Received: 2017-07-27 Original scientific article ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 2 DOI 10.19233/AH.2017.12 FAIDE E LETTERATURA GIURIDICA NELLO SPAZIO TRENTINO-TIROLESE DEL TARDO MEDIOEVO Marco BELLABARBA Universita degli Studi di Trento, Dipartimento di Lettere e Filosofia, via Tommaso Gar, 14, 38122 Trento, Italia e-mail: marco.bellabarba@unitn.it SINTESI A partiré dalla meta del Quattrocento, famiglie aristocratiche e comunitá rurali, ma anche singóle persone, richiedono ai giuristi dello Studium di Padova un ricco numero di pareri giuridici da utilizzare per risolvere le loro controversie giurisdizionali. In questi consilia, che spesso hanno origine da una faida, si depositano opinioni contrastanti sul diritto e sulle consuetudini locali, sulla possibilitá di resistenza armata concessa alle comunitá e sulle procedure vigenti nei tribunali. L 'intervento prenderá spunto da questo genere di letteratura per mostrare, contro le consuete letture 'oppositive' del rapporto tra procedure di diritto romano-canonico e consuetudini, il rapido adattamento delle comunitá aristocratiche e rurali a una nuova interpretazione dei conflitti di faida nel corso del tardo Medioevo. Parole chiave: faide, nobiltá, comunitá rurali, letteratura giuridica, processo penale FEUDS AND JURIDICAL LITERATURE IN LATE MEDIEVAL TRENTINO-SOUTH TYROL ABSTRACT Starting in the mid-1400s, aristocratic families and rural communities, as well as individual people, turned to the jurists of Padua's Studium requesting a high number of legal opinions to be used in solving jurisdictional controversies. Conflicting opinions about law and local customs, about the extent to which communities were allowed to carry out armed resistance, and about the procedures in force in courts of law may be found in these consilia, often engendered by a feud. The contribution sets off from this kind of literature to show—in contrast with customary "oppositional" interpretations of the relationship between Roman-canon law procedures and customs—how aristocratic and rural communities quickly adapted to a new interpretation of feud conflicts in the course of the late Middle Ages. Keywords: feuds, aristocracy, rural communities, juridical literature, criminal process 235 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 2 Marco BELLABARBA: FAIDE E LETTERATURA GIURIDICA NELLO SPAZIO TRENTINO-TIROLESE DEL ..., 235-250 Le persone comuni - scriveva Francesco Guicciardini in uno dei suoi Ricordi - sólitamente accusano i giudici "per la varietá delle opinioni che sono tra loro" senza osservare che tale varietá non deriva da un " difetto degli uomini, ma dalla natura della cosa in sé"; pertanto, continuava, poiché alcuni casi non si possono risolvere con regola certa, la legge li "rimetta in arbitrio del giudice, cioé che el giudice, considerate le circustanze e qualitá tutte del caso, ne determini quello che gli pare, secondo la sinderesi e conscienza sua" (Carta, 2011). La discrezionalitá, l'arbitrium, la coscienza, erano dunque requisiti necessari nell'applicazione della legge ai casi particolari (Meccarelli, 1998, 3-22), i quali sfuggivano di regola a un inquadramento previsto in partenza. Questa definizione di Guicciardini, che svela una dimensione pluralistica del diritto connotata e dalla varietá delle procedure (Povolo, 2013, e piu ampiamente Povolo, 2015), sembra una buona introduzione ai tre 'casi' penali esaminati in questo lavoro. Si tratta di processi istruiti a cavallo del tardo Quattrocento e primi anni del secolo successivo, che ebbero protagonisti differenti - una comunitá rurale e il suo signore feudale, alcune famiglie non nobili, infine un grande lignaggio aristocratico - ma almeno tre caratteristiche comuni: l'essere nati entro contesti territoriali di tipo signorile e non urbano, in cui confluivano tradizioni normative di diritto romano, consuetudinario e germanico; la scrittura di pareri giuridici, che saranno letti sia come fonti di informazione dei modelli di argomentazione giuridica, sia come racconti, discorsi, attraverso i quali cogliere le strategie di rappresentazione scelte dalle parti in causa per descrivere la loro immagine nel corso dei processi; infine, il ruolo assegnato alla dottrina e alle pratiche giu-ridiche per porre una barriera meglio definita tra forme socialmente accettate o rifiutate dell'uso della violenza. BOSCHI, FEUDATARI E UNA FAIDA CONTADINA Il primo dei casi qui esaminati e il lungo contenzioso che oppose i conti Welsberg1 e le comunitá della valle del Primiero per il possesso dei boschi collettivi, uno degli innumerevoli conflitti scoppiati tra comunitá e Gerichtsherren nei quali le dispute attorno allo sfruttamento delle risorse collettive erano in realtá lo specchio di contrasti sui relativi diritti giurisdizionali. Nella vicenda che nella prima metá del Quattrocento mise l'uno di fronte all'altro i giusdicenti e i rappresentanti della valle, non c'e in apparenza nulla d'in-solito. Il 22 settembre 1401 il duca d'Austria e conte del Tirolo Leopoldo IV d'Asburgo aveva concesso a Giorgio II Welsberg il feudo del Primiero; l'investitura, rinnovata senza interruzioni fino alle soppressioni ottocentesche, concedeva al lignaggio un distretto posto in una zona strategicamente vitale ai confini con la Repubblica di Venezia, oltre che ricco di risorse minerarie e boschive. Quando i Welsberg, arrivarono dalla val Pusteria nel Primiero erano giá un lignaggio tra i piu importanti della corte asburgica, di cui avevano finanziato generosamente le poco fortunate imprese militari contro i cantoni svizzeri. Un 1 Nel 1452 Baldassarre Welsberg era titolare del feudo con i nipoti Osvaldo e Gaspare, essendo il fratello Giovanni morto dieci anni prima, nel 1442. Per una presentazione complessivo del quadro giurisdizionale nel periodo rinvio a Brandtstatter, 2006. 236 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 2 Marco BELLABARBA: FAIDE E LETTERATURA GIURIDICA NELLO SPAZIO TRENTINO-TIROLESE DEL ..., 235-250 primo crédito di 4000 fiorini, di fatto inesigibile dalla camera tirolese, si era trasformato nell'investitura del 1401 mentre un secondo, ancora più corposo, si consolido nell'ac-quisizione a titolo di feudo pignoratizio dei castelli di Telvana, Tesobo e San Pietro, che nel 1462 permisero ai Welsberg di estendere il loro controllo alle giurisdizioni distribuite attorno all'importante arteria di traffico della Valsugana. Negli intervalli delle trattative con la corte, la famiglia procedette a irrobustire il patrimonio che già possedeva. Una serie fittissima di acquisti di diritti decimali, di beni in allodio, di concessioni beneficiali su parrocchie e cappellanie, costellarono gli anni centrali del secolo. Fu in particolare la gestione feudale di Baldassarre Welsberg, agente come senior per il fratello Giovanni e i nipoti Osvaldo e Gaspare, a segnare un più forte radicamento territoriale del lignaggio nella valle del Primiero. La "sfumata distinzione tra proprietà collettiva e proprietà privata" (Bernardin, 2005-2006, 184), l'assommarsi di diritti d'uso su boschi e pascoli suddivisi tra più comunità, gruppi di famiglie, consorti o talvolta mercanti imprenditori non residenti, costituiva il sostrato ideale al ripresentarsi di litigi possessori; la comunità del Primiero e il vescovo di Feltre avevano nel loro passato un trascorso corposo di cause giudiziarie attorno alle entrate per lo sfruttamento dei boschi. Poi le controversie subirono un salto di qualità tra il terzo e il quarto decennio del XV secolo, quando i Welsberg entrarono nel ricco circuito del commercio di legname diretto dal Primiero alle abitazioni e agli arsenali veneziani. Accusati dalla valle di ingerirsi arbitrariamente nelle rendite dei boschi di propria pertinenza, i signori risposero tentando di difendere in sede giudiziaria i propri diritti. Per quanto non si abbiano dettagli precisi sulle fasi iniziali dei processi (tranne alcuni, vaghi, accenni a sentenze favorevoli per la comunità), la lite continuo a riprodursi in sede locale fino a che, nel 1452, i procuratori della valle decisero di rivolgersi direttamente al duca d'Austria e conte tirolese Sigismondo d'Asburgo. La soluzione del conflitto venne affidata a quattro commissari di nomina ducale: il capitano di Trento Hans von Metz (o Giovanni da Mezzocorona, un feudatario vicino alla corte asburgica), il vicario vescovile Bonamonte Aliprandi di Mantova, e due dottori in legge, il trentino Antonio de Fatis Terlago e il padovano, ma da tempo trasferitosi nel capoluogo episcopale, Melchiorre Facini. Il luogo scelto per la riunione dei commissari, non un tribunale ordinario ma l'assemblea pubblica (la dieta o il Landtag) dei ceti provinciali tirolesi, determino l'opzione per una procedura compromissoria "sola mera & pura veritate inspecta" secondo le formalità previste dalla cosiddetta Clementina saepe. Una procedura formale ma priva delle ritualità più costrittive del rito inquisitorio - citazioni solenni, escussione dei testi su sola indicazione del giudice, eventuale loro arresto, impiego della tortura - e che dunque fin dall'inizio dichiarava lo scopo di "accogliere nel suo ambito una tipologia del conflitto, il cui svolgimento rimaneva comunque predominante nel contesto sociale esterno, agevolando le pacificazioni e il ripristino degli equilibri infranti" (Povolo, 2013, 80). La duttilità della procedura non era in ogni caso del tutto spoglia di implicazioni negative a carico della comunità: molto probabilmente erano stati i consi-glieri di Sigismondo a spingere per uno stile giudiziario abbastanza elastico da adattarsi a un territorio in cui a una matrice statutaria veneta, condensata negli statuti valligiani del 1367, si sovrapponevano prassi feudali e consuetudini di provenienza germanica; oltre tutto, l'informalità del rito poteva assicurare al duca la possibilità di eleggere un collegio 237 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 2 Marco BELLABARBA: FAIDE E LETTERATURA GIURIDICA NELLO SPAZIO TRENTINO-TIROLESE DEL ..., 235-250 di giudici quanto meno non ostile - il che di fatto risultava abbastanza evidente dalle loro biografie. In un momento molto confuso dal punto di vista político, con un potere vescovile da anni di fatto assente (Brandtstatter, 2006), le premesse a una condizione sfavorevole per gli abitanti di Primiero c'erano tutte. Come a contenere i rischi di tale incertezza, la comunita cerco allora di adottare una "legal agency" (Vermeesch, 2015) che le permettesse di riempire a suo favore gli spazi della frammentazione giurisdizionale esistente in valle. Nella necessita di comunicare ai giudici e all'avversario la propria posizione "sotto la forma di modelli normativi simbolizzati in messaggi" (Ferrari, 1993, 45), essa fece riferimento a quelli che parvero i piu adatti alla circostanza processuale: non, come ci si poteva attendere, gli antichi statuti del 1367 e neppure la prassi di presen-ziare con propri giurati alle assise penali, bensi un corposo pacchetto di consulti legali commissionati alla vicina facolta di Padova2. Le formule del linguaggio giuridico fecero irruzione con un'intensita mai prima ascoltata nei dibattiti dietali. A Bolzano, la citta di convocazione della dieta, i procuratori del Primiero arrivarono portando con loro alcuni pareri legali pro parte", o "pro veritate" (Ascheri, 1999, 11-53; Ascheri, 2003, 319), ordinati ad altrettanti doctores legentes presso la facolta giuridica di Padova; i Welsberg, sul fronte opposto, fecero lo stesso. I tribunali del territorio principesco-vescovile, comprese le giurisdizioni feudali soggette a lignaggi tirolesi, avevano una solida consuetudine di rapporti con le dottrine dello ius commune. Ricorrere all'aiuto di giuristi gravitanti attorno alle citta universitarie italiane per dirimere cause ereditarie o di proprieta era un'abitudine ormai consolidata nelle grandi famiglie aristocratiche trentine. Il 31 ottobre 1467, il giurisperito trentino Approvino Approvini scriveva da Padova ai tre figli di Simone Thun (allora il piu influente ceppo aristocrático del territorio) scusandosi di non aver fatto ancora pervenire i "consilii" commissionatigli. La ragione andava imputata al fatto che "alguni doctori sierano a Vinexia, et alguni non possevano constar per el principio del Studio che comenzava"; solo dopo una lunga attesa era riuscito a ottenere "consilii dei cosí excelenti homini che siano in Italia", grazie ai quali sarebbe stato finalmente possibile ratificare la validitá della divisione ereditaria con il ramo cugino dei Thun (Langer, 1909, 299*). Decine di pareri, raccolte di libri giuridici, lettere private, cedole di pagamento, testimoniano la familiarita nobiliare con i grandi poli del sapere giuridico italiano (Padova e Bologna per lo piu), o talvolta con figure di particolare prestigio attive dentro i collegi di avvocati e notai dei comuni padani. Del tutto meno scontata appare la possibilita che simili materiali fossero prodotti in causa da soggetti di condizione sociale inferiore. Ora, a meta del XV secolo la valle del Primiero possedeva mezzi economici, forniti dal taglio del legname e dallo sfruttamento minerario, inarrivabili per la maggior parte delle altre comunita trentine; lo smercio di tali prodotti verso il mercato veneziano le ave-va inoltre permesso di introdursi in un circuito informativo e di conoscenze professionali con numerosi addentellati proprio negli ambienti giuridici. Se queste erano condizioni preliminari all'acquisto sulla piazza padovana dei consilia, anche il genere della controversia con i Welsberg dovette giocare un ruolo nelle opzioni dei valligiani. 2 Li aveva segnalati e analizzati per primo Papaleoni (1896, 1-12). 238 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 2 Marco BELLABARBA: FAIDE E LETTERATURA GIURIDICA NELLO SPAZIO TRENTINO-TIROLESE DEL ..., 235-250 Il conflitto, che si protraeva ormai da decenni, aveva alcune delle caratteristiche riconoscibili nel concetto di faida (Miller, 1990, 180-181): una relazione ostile dura-tura; il coinvolgimento di gruppi legati da relazioni di parentela, amicizia, o vicinato, la responsabilitá collettiva, lo scambio di offese, le esplosioni improvvise di violenza. Altrettanto caratteristica di questa forma di ostilita reciproca erano la sua contiguita alla sfera del diritto e sua la presenza reiterata dentro i tribunali. Come accadeva in moltissime altre realta tardomedievali, le procedure consuetudinarie della faida erano state "accolte e riformulate nell'ambito di pratiche legali e di riti processuali" grazie alla mediazione dell'influente ceto di avvocati e consulenti esperti di diritto comune (Povolo, 2013, 76). Anche in questo caso, il retroterra di argomentazioni scientifiche impiegate per contenere il conflitto (o magari risolverlo pacificamente), aiuta a comprendere sia le cause dell'opposizione comunitaria al proprio signore, sia il modo spesso reticente con cui i consiliatores assoldati dovettero farla entrare in un corretto gergo giuridico. Francesco Alvarotti, Angelo di Castro, Giacomo Zocchi, Giovanni da Porto, Giovanni da Prato riconobbero seccamente le ragioni di Primiero: la frase conclusiva del libellum comunitario riportata da Alvarotti - che "Piaxa alla vostra gratia de comandare a miser Baldesar che delli boschi, i quali a nui apertien et aspeta non se impace e pacificamente ne li lasse" - indicava un orientamento condiviso dai colleghi. Non seguiremo il punto specifico trattato nei consilia, che verteva sulla presunta (e di fatto probabile) falsita di un atto notarile citato a sostegno delle ragioni comunitarie. Ció che ci interessa qui sono le espressioni con cui i giuristi provarono a descrivere gli antefatti dello scontro prima del suo ingresso nella discussione pubblica bolzanina. Un riferimento facile da cogliere alla faida traspare dalle parole messe in bocca agli uomini del Primiero "dicentes velle potius reliquere vitam quam permittere sibi auferri suam possessionem ante litemfinitam, sic quae dicta Communitas retinuit suam possessionem, quia non fuerunt illi homines suspicati se posse repelli, immo viriliter resisterunt dictae violentiae"4, dove l'argomento sottolineato da Alvarotti e la legittima resistenza alle azioni signorili. Altri passaggi, la "lis et maxima discordia" creata dal disprezzo delle antiche consuetudini, i testimoni prezzolati e "vilis conditionis" manipolati dai Welsberg, la "violentam possessionem" tentata dai conti nel corso della lite, ricostruiscono una catena di azioni violente susseguitesi negli anni mischia-te a tentativi di composizione pacifica regolarmente caduti nel nulla. Anche il consilium di Francesco Capodilista, specularmente opposto a tutti gli altri, ricorda il clima di reciprocita violenta in cui e maturato lo scontro tra la comunita e il lignaggio feudale: schierandosi apertamente con i conti Welsberg, il dottore padovano accusa i sindaci di essersi comportati (prima di tutto nei confronti del resto della comunita) "tanquam seditiosos" e di essere pertanto incorsi nel crimine piu grave imputabile a un suddito, quello di ribellione al potere legittimo. La sanzione invocata allo scopo di repri-mere il comportamento dei valligiani e, tuttavia, stranamente mite: dopo aver accennato allo sfondo sedizioso del conflitto, Capodilista ritorna in fretta a discutere del "falsum instrumentum" ed e solo per questo reato che egli propone ai giudici la condanna della 3 Ziletti, 1562, Consilium LXVII, 128. 4 Ziletti, 1562, Consilium LXVII, 133. 239 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 2 Marco BELLABARBA: FAIDE E LETTERATURA GIURIDICA NELLO SPAZIO TRENTINO-TIROLESE DEL ..., 235-250 comunita: il parere e infatti che che Baldassare convochi gli uomini citati nel documento e li costringa a rispondere del falso, "& facta adunantiapunietur sicutprivatus, quoniam istud delictum potest cadere in universitate, & etiam poena ex delicto imponenda"5. Non si tratta di una moderazione solo sua: tutti gli accenni al litigio contenuti anche nei consilia favorevoli al Primiero risultano tutto sommato poco numerosi, certo non mar-ginali nella cornice del testo, ma inseriti quasi tra le righe, come se si volesse trattenere la trasposizione giuridica della faida al di sotto di una soglia esplicita - e non ammissibile - di violenza. Questa cautela, che sembra anticipare l'ondata di provvedimenti emessi dagli anni settanta del XV secolo sia in Tirolo sia nel principato vescovile di Trento contro il dilagare delle proteste antisignorili, evidenza un confine non superabile posto alla legittimita delle Bauernfehden: per quanto il vincolo della committenza li spinga a sostenere gli abitanti della valle, i dottori patavini non si spingono a riconoscere la faida rurale come una consuetudine socialmente accettata e inseribile al pari di quella aristocratica entro le formule del diritto comune. "DIFFIDATIO' E "FIDEIUSSORES": UNA FAIDA TRA NOTABILI RURALI La riluttanza a includere la faida entro il campo giuridico scompare invece nel caso esaminato in un consilium di Melchiorre Facini, uno dei commissari ducali incontrati sopra, su incarico di Johannes Spaur, capitano (vicario) vescovile delle valli di Non e Sole. Protagonisti della causa, di cui non possediamo il fascicolo, furono Bono, il figlio Andrea e il loro servitore Nicolo "pro certis excessibusper eos commissis etperpetratis" a danno di Nicolo di Tassullo "sive aliquem de sociis, sive complicibus suis"6. Come accade di solito, il parere si snoda attraverso una serie di dubia posti dalla corte al giurista. Il primo di essi, se il vicario possa procedere secondo il rito accusatorio vista la querela presentata da Nicolo, oppure "per viam inquisitionis", come nel frattempo Spaur aveva cominciato a fare, e risolto subito evocando la "publica utilitas" necessaria in questi frangenti "ut provincia purgetur malis hominibus"7. I tre dubia seguenti riguardano un argomento cruciale per l'iter del processo, quello delle fideiussioni e della contumacia degli accusati. Sono temi ricorrenti nei processi di faida - e non a caso essi occupano anche qui lo spazio maggiore del testo. Con un modo tipico di procedere della letteratura consiliare, Facini sovrappone il discorso giuridico al piano concreto degli avvenimenti, in-treccia letteratura e realta, cercando di inserire quest'ultima dentro lo schema piu ordinato della prima. E facile supporre che dopo gli "excessa" il gruppo di Bono sia fuggito onde evitare la ritorsione degli avversari; questa fuga viene ricondotta, per cosí dire, ad alcuni 5 Ziletti, 1562, Consilium LXXI, 152. 6 Ziletti, 1562, Consilium, LXXVIII. Il processo venne istruito nel 1449, il solo anno compatibile con il mandato dello Spaur e la residenza a Trento di Facini. 7 Ziletti, 1562, Consilium, LXXVIII, 173. "Praetera, si bene consideretur, inquisitio nostra formata est ad partis petitionem ut supra dictum est, & sic non solum ad privatam utilitatem Nicolai de Tassullo, quod fieri potest, ut supra probatum est, sed etiam ad publicam, scilicet ne delicta remaneant impunita; ut provincia purgetur malis hominibus, quod etiam pervenit ad utilituatem fisci, saltem quoad commodum pecunia-rium". 240 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 2 Marco BELLABARBA: FAIDE E LETTERATURA GIURIDICA NELLO SPAZIO TRENTINO-TIROLESE DEL ..., 235-250 quesiti di ordine técnico: se gli accusati possano "cogi et arctari praestare fideiussores de non offendendo"s e se essi, in quanto contumaci alle citazioni del vicario " veniant condemnandum adpoenam ducatorum quatuorcentum secundum formam mandatorum et proclamationum emanatorum", dunque a una pena pecuniaria molto consistente. Le risposte di Facini sono positive per entrambi i quesiti: nel primo poiché e una libera decisione del giudice, ovvero sta " in animo iudicis" decidere "compellere adsatisdandum de non offendendo" se si teme la qualita delle persone coinvolte, nel secondo perché la loro contumacia e considerata un segno di disprezzo dell'autorita del giudice (e di rimando del principe vescovo), sebbene dopo tre mandati dell'ufficio vicariale il solo Andrea sia comparso personalmente nel tribunale " et fideiussores praestitit"9. Risponde invece in senso negativo al dubbio se la "diffidatio" del famulus Niccolo possa essere interpretata come la rottura della pace e condannata alla pena di 400 ducati previsti nei mandati del vicario. E un indizio del fatto che la contumacia dei rei, lo abbia-mo visto sopra, rappresenta un modo come un altro per sospendere la faida in attesa di una ricomposizione. Di seguito Facini considera se un gesto di sfida rompa la pace siglata tra le parti, una pace che il vicario ha evidentemente assecondato. La discussione, molto ricca di riferimenti alla giurisprudenza consiliare verte sulla forma della "diffidatio" e sul contesto in cui essa e accaduta: occorre cioe capire se pronunciandola il suo autore "voluerit sibi ius dicere et vindictam summere et per consequens pacem rumpere et violare". Nicolo senza dubbio ha pronunciato "verba minatoria" e "iniuriosa tam contra Niccolaum de Tassullo quam contra iurisdicitionem domini Vicarii", ma spetta al giudice valutare "quae et qualis fuerit et secundum qualitatem iniuriae illatae", e se si debba punire "affectus si non sequatur effectus". Secondo Facini, in questo caso occorrera scin-dere parole e azioni, considerando infatti che "prolatio verborum non est sufficiens ad rumpendum pacem nisi aliud sequatur, quia frequenter homines ex iracundia vel superbia corrumpuntur ad dicendum verba"10. Sbrigati piu brevemente, ma non per questo meno interessanti, sono il quinto e sesto dei dubia affrontati dal giurista. Il quinto, vertente sulla possibilitá che gli accu-sati abbiano una copia degli interrogatori, si riallaccia alla consuetudine locale che la impedisce se non richiesta all'inizio dell'inquisitio, una richiesta che Bono, Andrea e Nicolo avrebbero evidentemente non potuto fare essendo contumaci. E infine il sesto, concernente la pena da infliggere ai fuggitivi; nel ragionamento di Facini rispunta, come elemento decisivo, l'aggressione armata con lance e armi che pero non si e tradotta nel ferimento o nell'uccisione di Nicolo: si puo considerare tutto cio e punirlo "tamquam pro delicto consumato"? La risposta, considerate le circostanze degli avvenimenti, e negativa: "Ex quibus concludo, quod praedicti Bonus, Andrea, & Nicolaus famulus & socii sunt puniendi, mitius tamen quam si delictum consumassent, in arbitrio Domini Vicarii"11. 8 "Nam praeses provinciae curare debet ut quietam atque pacificame habet provinciam quam regit, utff. de offic. praesi. l. congruit". 9 Ziletti, 1562, Consilium, LXXVIII, 175-176. Facini suggerisce perö che la pena possa anche essere dimi-nuita "in arbitrio Domini Vicarii", rispetto alla qualita delle persone e del fatto. 10 Ziletti, 1562, Consilium, LXXVIII, 177. 11 Ziletti, 1562, Consilium, LXXVIII, 179. 241 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 2 Marco BELLABARBA: FAIDE E LETTERATURA GIURIDICA NELLO SPAZIO TRENTINO-TIROLESE DEL ..., 235-250 UNA FAIDA NOBILIARE: I CONTI D'ARCO E LA DIVISIONE DEL PATRIMONIO Il terzo caso di studio considerato ci pone davanti a un contesto aristocrático a tutto tondo. La differenza cetuale è l'elemento determinante di questo racconto di faida perché essa coinvolge, lacerandola dall'interno, la famiglia dei conti Arco, uno dei più importanti lignaggi nobiliari trentini. Gli Arco possiedono un vastissimo nucleo di territori signorili, raccolti per lo più attorno al castello eponimo, nella zona sud-occidentale dell'episcopato ai confini con il bresciano, e hanno vincoli feudali sia con il principe vescovo di Trento sia con il conte del Tirolo, una condizione di doppia dipendenza feudale molto comune in questo periodo. Nel 1456, dopo anni di offese reciproche, la contesa tra i fratelli Galeazzo e Francesco richiama in loco un mediatore di prestigio, il conte Cesare Martinengo, incaricato dal principe vescovo Georg Hack di trovare un compromesso tra i due rami del lignaggio. Il nobile bresciano, scelto come arbitro in virtù dei legami personali con i conti, giunge ad Arco munito di due lettere di tregua preparate dalla cancelleria trentina. Le versioni delle lettere gli paiono troppo prolisse e complicate, "apud nos Itálicos inusitata"12 scrive all'Hack, e ne propone una versione abbreviata, suggerendo che "adfirmandum cor sicerum sola fides sufficit". L'archivio della famiglia arcense non ha conservato il testo delle missive, ma verosimilmente si sarà trattato di un tipico "iuramentum pacis", quello che il diritto germanico del tardo medioevo chiamava "Urfehde", la promessa giurata di pace richiesta a un imputato di non vendicarsi del suo accusatore, spesso come garanzia per lasciare il carcere13. Lo spaesamento provato dal bresciano Martinengo riflette l'incontro mancato di due prassi giuridiche. In Italia la promessa di pace (rinuncia) è un atto di solito privato, possibile anche senza una sottoscrizione notarile, ratificato solo della fides consensuale delle parti con la mediazione di un arbitro. Al contrario, la "Urfehde", lo strumento di pace giurato solennemente di fronte a un giudice, è nei riti delle corti germaniche a tutti gli effetti una parte formale del processo. Non è la sola particolarità 'germanica' presente nella faida famigliare, che, fallita la mediazione del Martinengo, riaffiora alcuni decenni più tardi fra i figli di Francesco, Andrea e Odorico, una volta estromessa la discendenza di Galeazzo. Il litigio cresce attraverso una fitta serie di "iniuriae" armate per il possesso del castello e dei beni materiali della contea. Allo stesso tempo pero, poiché la faida ingaggiata dai seguaci di Andrea e Odorico minaccia di destabilizzare un'area di confine già precaria con Venezia, divengono sempre più insistenti i tentativi di compromesso per arrestarla: verso i tardi anni Ottanta, verificata la loro inefficacia, le commissioni vescovili lasciano il posto a giudici nominati dal re dei Romani Massimiliano I (esponenti 12 ASTn, Sezione latina, capsa n. 41, 8 gennaio 1456. 13 Esistono in senso stretto due generi di "Urfehde", la cosiddetta "Streiturfehde", il giuramento di pace che termina una faida iniziata o solo dichiarata; e la cosiddetta "Hafturfehde", la piü comune nel tardo medioevo, la promessa giurata di pace che viene richiesta a un imputato di non vendicarsi del suo accusatore, spesso in quanto garanzia per lasciare il carcere. Sul significato giuridico del termine Saar (1998, 562-570), mentre sulla sua evoluzione nella storia della giustizia tardo-medievale, piü in generale, Blauert (2000) e Wernicke (2000). 242 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 2 Marco BELLABARBA: FAIDE E LETTERATURA GIURIDICA NELLO SPAZIO TRENTINO-TIROLESE DEL ..., 235-250 A—