received: 2008-10-07 UDC 316.7:343(450.25)"17/18" original scientific article L'INTERPRETE, IL DIRITTO, LA VITA. OSSERVAZIONI A MARGINE DI UNA RACCOLTA LOMBARDA DI ALLEGATIONES (XVIII-XIX SECOLO) María GigliolaDIRENZO VILLATA Universita degli Studi di Milano, Facolta di Giurisprudenza, Dipartimento di diritto privato e storia del diritto, Sezione di storia del diritto medievale e moderno, IT-20122 Milano, Via Festa del Perdono, 7 e-mail: gigliola.direnzovillata@unimi.it SINTESI La raccolta di Allegationes, conservata presso il Dipartimento di diritto privato e storia del diritto dell'Universitá degli Studi di Milano, costituisce un angolo privi-legiato d'osservazione per cogliere i tratti caratteristici del fluire del diritto nello scorrere dei secoli in Lombardia. Si riflette nelle fonti il suo graduale mutamento anche grazie all'opera intelligente e talora indubbiamente creativa dell'interprete-avvocato, che segue l'evolversi del diritto ma soprattutto della cultura giuridica e registra negli atti di parte l'avvenuta trasformazione. Cosi operando, si adegua di pari passo allo sviluppo della societá, che vive tra Sette e Ottocento momenti di ac-centuato dinamismo, non senza che il vecchio continui ad irrompere con una sintomatica frequenza sulla scena. Nel saggio una veloce carrellata su alcune vicende processuali, in specie penali, pone al centro la tecnica del difensore, che presta grande attenzione all'elemento fattuale che ne costituisce ilpresupposto e all'impo-stazione giuridica, abbozzata con l'ausilio di tutto l'arsenale argomentativo accu-mulato attraverso i secoli ed ora, tuttavia, controllato con maggiore razionalitá. L'avvocato si erge cosi quale testimone a tutto tondo del suo tempo, rappresen-tandone i fermenti di progresso e le reazioni conservatrici, alla ricerca di un equilibrio tra gli interessi in conflitto. Parole chiave: allegationes, difesa e giustizia civile, difesa e giustizia criminale, protettore dei carcerati, delitti, pena capitale, XVIII secolo, Lombardia ABSTRACT The collection of Allegationes kept by the Department of Private Law and Legal History of the University of Milan offers an outstanding means of capturing the characteristic features of the development of law in Lombardy. The sources allow to 453 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: L'INTERPRETE, IL DIRITTO, LA VITA ..., 453-490 detect a gradual change of law thanks to the intelligent and sometimes creative work of the lawyer following the evolution of law as well as that of the juridical culture, recording these changes in legal proceedings. In doing so, the lawyer conforms to the development of society during periods of marked dynamism literally as they happened, especially between the 18th and l9h centuries. With a cursory glance at various legal proceedings, particularly criminal, evidences the lawyer's work describing facts in legal terms and arguing on the basis of both evidences ancient and more recent laws and legal literature, now more reasonably ordered. The lawyer is a witness to his age, representing the wheels of progress and the resulting conservative reactions, seeking a balance between conflicting interests. Key words: Allegationes, defence and civil justice, defence and criminal justice, defender of inmates, crimes, capital punishment, 18th century, Lombardy Al centro di queste pagine è una raccolta di Allegationes, conservata presso il Dipartimento di diritto privato e storia del diritto dell'Università degli Studi di Milano, dove da circa quarant'anni svolgo la mia attività di ricerca: dato l'agevole accesso, la silloge mi allettava, con tutto il tesoro di notizie racchiuse, per il suo essere preziosissima memoria storica dell'età delle riforme, alla quale soprattutto si riferivano i testi tramandati, perciô un angolo privilegiato d'osservazione per cogliere i tratti caratteristici del fluire del diritto nello scorrere dei secoli in Lombardia. Si ri-flette, infatti, nelle fonti il suo graduale mutarsi grazie all'opera intelligente e talora indubbiamente creativa dell'interprete-avvocato, che segue l'evolversi del diritto ma soprattutto della cultura giuridica e registra negli atti di parte l'avvenuta tra-sformazione. La sua attività, vista nel susseguirsi dei documenti trasmessi nell'arco temporale tra Sette e Ottocento, rispecchia ugualmente lo sviluppo della società, che vive nel periodo momenti di accentuato dinamismo, non senza che il vecchio con-tinui ad irrompere con una sintomatica frequenza sulla scena. Occorre perciô subito precisare che la categoría delle Allegationes, terminologia ricorrente per designare un'articolata tipologia di atti, tutti della pratica forense (Fiorelli, 1958, 69-70; Vano, 1994; Gianesini, 2003), sussume in realtà ben più che semplici allegationes perché, se la gran parte dei "pezzi", inseriti nelle raccolte, si presentano quali atti di parte, non raramente, frammisti a questi, si alternano atti di vario contenuto e funzionalità. Vi si trovano suppliche (Massetto, 1985, 130-134, 142-144; Nubola, Würg-ler, 2002; Nubola, 2002, 21-63), repliche, osservazioni e memoriali di parte, rias-sunti dei fatti di causa, arringhe, documenti prodotti in giudizio (dai testamenti alle fedi battesimali, agli estratti di vari registri, depositati quali prove documentarie), di- 454 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: L'INTERPRETE, IL DIRITTO, LA VITA ..., 453-490 versi consilia pro veritate, sentenze che concludono i gradi della singola istanza e ne "consacrano", provvisoriamente o stabilmente secondo la fase processuale, l'esito, provvedimenti senatori in copia, gride, Istruzioni per l'esecuzione di provvedimenti governativi, impartite, ad esempio, per le monache della Lombardia austriaca di alcuni Istituti soppressi, avvisi di natura varia come quello della Giunta delle Pie Fondazioni-Trotti, del 1784, "avviso intorno al metodo per l'accettazione e mantenimento degli Esposti nell'Ospedale di Santa Caterina alla Ruota, e delle condizioni delle loro Balie" (USM, 20; 19); Editti di "promulgazione" in Lombardia delle norme approvate negli Stati ereditari asburgici, come quello di Giuseppe II del 1784, in tema di feudi posseduti dal clero secolare e regolare (USM, 21), Fogli d'annunzi della Gazzetta di Milano (USM, 9; 11), Editti del Regno di Savoia (USM, 26) o, come nella raccolta milanese, un estratto della profezia di S. Cesario vescovo d'Arles, trascritto a mano dall'avvocato Margarita da un'edizione posseduta dalla Biblioteca Nazionale di Parigi (USM, 8). Insomma un materiale spesso assai eterogeneo, che non puô mancare di incuriosire lo storico per il suo carattere di finestra aperta su un mondo per tanti versi ancora coperto dalla polvere del tempo passato. Conteneva (e contiene) circa duemilaseicento "pezzi" tra atti di parte, sentenze, motivi di sentenze ed altri documenti processuali, oltre a materiale vario - come si è appena accennato -, spesso frammenti di un mosaico intessuto di tante tessere, alcune ignote nel loro contenuto ma presupposte dalle "schegge" presentí. Redatti per lo più in un arco cronologico che corre dal Seicento ai primi decenni dell'Ottocento (tra gli atti più recenti, stampato a Piacenza nel 1847, il Discorso dell'Avv. Buttafuoco (USM, 10)), sono parte integrante del Fondo Margarita, costituito dai libri e dagli incartamenti, raccolti in singoli volumi, delle Allegationes iuris, posseduti dall'avvocato Giovanni Margarita, di famiglia originaria di Cuggiono ma trasferitosi poi a Milano e titolare di uno studio avviato nella Milano che visse tra il tardo Settecento e la prima metà del secolo successivo decenni convulsi (di Renzo Villata, 2009). Ho appena fatto cenno alla preziosità delle fonti: tanto più sono preziose perché la documentazione archivistica su tale versante - vi si farà cenno in seguito - soffre di una grave lacuna, che pesa sulle possibilità di ricostruire in maniera completa lo svolgersi delle istituzioni giudiziarie e della prassi locale in Lombardia per un certo periodo della sua storia. Alle vicende giudiziarie, del tutto consumatesi in Lombardia, si intrecciano peraltro nella raccolta, anche per l'insediamento a Milano della Corte di Cassazione del Regno d'Italia, controversie davanti alla Corte d'Appello di Ancona (USM, 12; 13; 15; 16; 18), o alla Corte dell'Alto Adige sedente a Trento (USM, 17), o alla Corte d'appello di Venezia (USM, 14), ma ugualmente processi celebrati al cospetto del Senato di Piemonte (USM, 1; 3; 4; 5; 6), o del Senato di Casale (USM, 2), o davanti al Consiglio di Giustizia di Parma e Piacenza (USM, 25), o al "Tribunale d'Appello dei ducati di Parma, Piacenza e 455 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: L'INTERPRETE, IL DIRITTO, LA VITA ..., 453-490 Guastalla sedente in Piacenza" (USM, 7), o al Supremo Tribunale di revisione parmense (USM, 10): ció senza dubbio aumenta l'interesse per lo storico, al quale si aprono numerose possibilità di comparazione sincronica e diacronica, alla ricerca di immancabili elementi di affinità e, in definitiva, di tendenziale unità. Puó capitare di imbattersi in atti "dotti" del Seicento, elaborati talora da giuristi lombardi altrimenti noti, con corposo corredo di argomentazioni a sostegno, secondo la moda: in veste di difensori, o di redattori di consilia pro veritate al cospetto del Senato, figurano i cremonesi Francesco Redenaschi (USM, 23) e Cesare Carena (USM, 22), o il tortonese-milanese Giuseppe Dondeo (USM, 24), o il pontremolese, canonico ordinario della Chiesa metropolitana di Milano, Francesco Antonio Tran-chedini, e discutono, ad esempio, dell'interpretazione del diritto d'asilo secondo la bolla gregoriana, quanto alla milanese chiesa di S. Maria della Scala (USM, 29),1 o dei diritti della vedova a godere degli iocalia (USM, 28). Nel Settecento, pure oltre l'età delle riforme, gli atti, redatti forse da professionisti non "di grido" e ignoti ai posteri, rivelano ancora, accanto ad un minore ancoraggio alla dottrina dei dottori ed alla tuttavia sempre trionfante giurisprudenza dei grandi tribunali, un'attenzione viva al dettato romano, filtrato ormai attraverso l'interpret-azione della culta giurisprudenza: gli avvocati hanno infatti, pure nell'area italiana, metabolizzato gli esiti dell'umanesimo giuridico, adattandoli alle loro necessità pratiche (Acerbi, 2004; Tedoldi, 1999a; 1999b; 2007; Colao, 2006). Irrompe cosi sulla scena della giustizia lombarda un ceto forense, di provenienza in buona parte pavese, di mentalità e di studi più aperti alle nuove correnti europee, conoscitore del giusnaturalismo e dei frutti dotti dell'età dei lumi (di Renzo Villata, 2000; 2001; 2003; 2006): mentre si consumano le invettive illuministiche contro i curiali, famelici ignoranti distruttori dei patrimoni altrui (penso a Pietro Verri e alla sua incessante polemica contro un ceto malvisto, in ossequio ad una tendenza diffusa a livello europeo e per motivi personali), si vanno lentamente formando nuove leve, promuovendo un'ascesa professionale, che permette, per lo meno ad alcuni, di ben figurare tra i "principi del foro", degni di essere menzionati come tali da Giuseppe Marocco (di Renzo Villata, 2006, 27 ss.). Il processo gioco, dramma, alea, palestra ed esercizio di un forte e generoso im-pegno professionale: tutte queste rappresentazioni si confanno al materiale qui studiato. Le Allegationes si rivelano, in effetti, quali "armi" pacifiche di una logo-machia combattuta tra gli avvocati delle parti, in un gioco condotto secondo regole: dagli atti difensivi traspare da un verso la "drammaticità" delle tesi giuridiche contrapposte, rintuzzate spesso in maniera puntuale dalla parte avversa attraverso un serrato argomentare (Padovani, 2006; Piano Mortari, 1978) per conseguire la vittoria, 1 Cfr. anche, per altri esempi USM, 27. Tranchedini fu autore di assai citate Consultationes variae, da me consultate nell'ed. Ticini Regii 1691. 456 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: L'INTERPRETE, IL DIRITTO, LA VITA ..., 453-490 dall'altro la sostanza, non raramente tragica, sconvolgente e talora comica, delle vi-cende umane sottoposte al vaglio del giudice; lo svolgimento della causa appare dalle sorti incerte e variabili nelle diverse fasi del giudizio, ma testimonia una dedizione ed una coscienza del ruolo, affidato all'avvocato, tale da restituirci un'immagine vivida ed elevata della professione. A volte le carte tramandano la memoria dell'esito del conflitto giudiziario, talaltra la curiosità di conoscere la "fine" del romanzo non è soddisfatta. Un'umanità dunque ora avida ed ambiziosa, ora dolente per i soprusi patiti, popola le pagine delle nostre Allegazioni chiedendo giustizia: i loro "autori" tendono a dar voce a questa dimensione della vita vera, o supposta tale secondo il racconto delle parti, a narrare, in sostanza, storie di vita... , dei costumi, delle istituzioni e della società, che si riflette nell'adesione a pratiche al momento non più cosi accettate eppure colte nel pieno fiorire, ampiamente registrate dallo scontro "scritto", vivace e polemico tra i redattori forensi delle deduzioni di fatto e di ragione, delle os-servazioni, delle riflessioni, delle appendici, tutte riunite, insieme a molti altri documenti, nei bei volumi delle Allegationes iuris "milanesi". Il lettore che ne scorre pure di sfuggita le pagine riesce, a mio avviso, a cogliere i tratti essenziali di un'epoca, di un ambiente e della sua quotidianità, dei costumi condivisi, delle tensioni dominanti, molto meglio di quanto possa fare ricorrendo agli affreschi, pure indubbiamente validissimi e, per molti versi, suggestivi, ma inevita-bilmente un po' standardizzati, offerti dalla letteratura storiografica generale. Tra le carte ingiallite dei volumi delle Allegationes pulsa il cuore di un'età ormai lontana; si compongono in un mosaico policromo mille frammenti di vita, vissuta in disparte dal proscenio della storia. Tra i "frequentatori" della giustizia lombarda spiccano infatti personaggi celebri, adatti alle pagine di una grande histoire, ma accanto compaiono, ora attori ora con-venuti, ora dispersi tra una massa di un "concorso di creditori", nomi di fittavoli, di artigiani, di gente di bassa condizione, portatori ciascuno di una petite histoire: la sfera del privato, per gli uni e per gli altri, non riesce a rimanere celata agli occhi indiscreti ed irrompe nel "pubblico", per cercare, o sperare di trovare giustizia, la-sciandone traccia permanente nella "scrittura". Forse anche per questo le Allegationes rivelano un fascino magnetico agli occhi di chi vi si accosta per penetrarne i segreti rimasti sepolti per secoli: vi palpita si la vita del diritto, ma vi pulsano insieme i fermenti di un'epoca, di una società lacerata e "rappresentata" da contraddizioni, conflitti, miserie e, solo talora, capace di far emergere i suoi splendori. Il diritto vivo, che spesso tradisce o lascia appena trasparire la componente umana attiva sullo sfondo, è colto nelle sue più diverse manifestazioni attraverso un periodo denso di rivolgimenti. I rapporti rivelati dal multiforme e variegato universo delle allegationes si sviluppano per la gran parte tra Sette e Ottocento ed hanno a volte 457 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: L'INTERPRETE, IL DIRITTO, LA VITA ..., 453-49Q radici nei secoli precedenti. Spaziano dal diritto internazionale al pubblico-ammini-strativo, al privato, molto rappresentato in alcuni settori quali la famiglia e le suc-cessioni, di sovente intrecciati nelle questioni dibattute, ma non meno nelle obbli-gazioni e nel fallimento, evento purtroppo all'epoca ben lungi dall'essere raro; sono presenti, seppure in misura quantitativamente minore rispetto al resto, "difese" penali, e si dispiega di pagina in pagina - è scontato - tutta l'articolazione di una realtà normativa processuale, implicita in ciascun atto, sottoposta allora a continui muta-menti, percepibili qua e là nel dipanarsi delle allegazíoní, al pari del diritto sostan-ziale finora richiamato. La società lombarda, simile per tanti versi ad altri ambienti del mondo europeo, vive e cresce, nello svolgersi dei giorni, in una rete di relazioni che interessano il diritto: le fonti giudiziarie ne registrano - è ovvio - il lato conflittuale. Dalla descri-zione del fatto, visto con la lente del giurista, aduso, nell'atto difensivo, ad anteporre al "diritto" una ricostruzione dettagliata degli eventi che fondano o contrastano la pretesa, è agevole peró ricavare il profilo più schiettamente umano dei rapporti. Si possono intuire i piccoli e grandi drammi degli individui coinvolti nel processo, lo scontro dei sentimenti, il desiderio di pace o il loro animo litigioso, la spasmodica egoistica avida ricerca dell'interesse o la tendenza generosa di alcuni, gli usi accettati di un gruppo, le idealità caratteristiche di un tornante storico pieno di promesse, i progressi nel sapere e nella tecnica [...]: attraverso il linguaggio dell'avvocato, ora freddo ed arido, ora passionale al punto da sembrare esercizio di mera retorica professionale, la storía dí víta diventa per noi una realtà narrata. D'altro canto il complesso consistente di atti offre una testimonianza cospicua e perspicua dell'arte del dííendere in Lombardia: la capacita di configurare e disciplinare la fattispecie concreta, scolpita attraverso le parole di indubbia efficacia espressiva degli avvocati, di "governare" la fase dell'accertamento probatorio ricor-rendo a tutto lo strumentario messo a punto dalle tecniche di diritto comune, dalle presunzioni agli indizi, ai comportamenti concludenti e al notorio, dall'analisi della ratío delle norme ad un abbondante uso degli argumenta ex auctorítate legum e doctorum, è esemplare. Il rinvio al dato normativo più recente, nella specie le innovazioni napoleoniche, è parimenti puntuale, anzi quasi anticipato - si rileva in un caso - rispetto all'entrata in vigore della norma: ció dimostra l'innegabile flessibilità dell'avvocatura, capace di adattarsi ai continui mutamenti dell'epoca ed, in particolare, al radicale cambio provocato dai nuovi codici, senza rivoluzionare, invece, il metodo interpretativo, che sembra considerare ancora, al momento, valido supporto della professione. Esemplari in questo senso mi sembrano le vicende del processo Ortolani-Boch: sullo sfondo della separazione personale di due coniugi (ma di fatto - sembra -) si intreccia una serie di eventi assai intricati, che tiene occupate le aule dei tribunali lombardi ed i giudici del primo Ottocento, già ricostruita nei risvolti umani e pro- 458 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: L'INTERPRETE, IL DIRITTO, LA VITA ..., 453-490 cessuali da Chiara Valsecchi (Valsecchi, 2006, 165-284). Una coppia formata da Cosmo Boch, savoiardo ex-notaio e poi appaltatore di giochi, e da Geltrude Ortolani, una vedova romana con un bambino di nome Antonio Ferravilla, decide nel 1798, dopo una breve convivenza, di contrarre matrimonio stipulando patti obnuziali per un ammontare non modesto. Entrambi sembrano benestanti ma ben presto - sono gli anni dei rapidi cambi di regime in Lombardia - il marito va incontro ad un rovescio di fortuna che lo costringe a vendere i beni propri e della moglie per tacitare i creditori; intervengono alcune scritture dell'uomo con fini cautelativi da un verso nei confronti della donna che, attraverso una donazione, contestata in seguito come atto simulato, diviene proprietaria di alcuni beni e creditrice di un assegno di mantenimento e dello spillatico, dall'altro nei confronti del figliastro, per assicurargli un congruo mante-nimento, "come se fosse suo vero figlio." La vita coniugale naufraga nasce un bambino il 4 marzo 1804, apparentemente durante l'assenza del marito. I due coniugi -tali restano perché mai si parla tra le carte né di separazione, né, dopo il 1806, di divorzio - si danno ormai battaglia in giudizio, davanti alla giustizia milanese. Il bilancio di questa vera e propria guerra delle carte e tracciato da Chiara Valsecchi: "Almeno nove tra avvocati e procuratori, civilisti e penalisti di diversa celebritä, furono in qualche misura coinvolti; almeno dieci anni trascorsero, impegnando tutti i gradi e livelli della giustizia; due ordinamenti sostanziali e processuali, si sus-seguirono nel passaggio dalla legislazione austriaca alla napoleonica e dal diritto comune ai codici; almeno una dozzina, tra sentenze (interlocutorie e definitive) ordi-nanze e decreti, furono le decisioni che i magistrati pronunciarono in un continuo alternarsi di conferme e sovvertimenti deigiudicati"(Valsecchi, 2006, 280 ss.). Tra gli avvocati impegnati troviamo Giovanni Margarita, raccoglitore delle nostre Allegazioni e proprietario del Fondo Margarita, che, nell'occasione, quale difen-sore degli interessi di Geltrude e del figlio Antonio, rivela profonda cultura giuridica e abilitá tecniche di alto profilo; Bartolomeo Zamperini, penalista consumato, avvo-cato curatore dei diritti di Giovanni Giuseppe Vittore Boch, il nuovo nato considerato "corpo del reato", sul quale si instaura un giudizio di adulterio, indi convenuto in una causa di disconoscimento di paternitá e poi, infine, a sette anni compiuti, figlio legittimo di Cosmo Boch, forse grazie ad una strategia difensiva del recuperato padre, volta ad evitare il peggior male; Lauro Glissenti, avversario di Zamperini nel processo penale, anch'egli capace dialettico; Giuseppe Maria d'Adda, che interviene nel processo civile per il disconoscimento di paternitá; Giulio Nervi, impegnato per dimostrare la simulazione delle scritture notarili, rogate tra il 1800 e il 1802; Giuseppe Pioltini, che - si dice nella documentazione - aveva "a sue mani" alcuni atti di Geltrude Ortolani, e Matteo Biumi, nominato curatore speciale di Antonio Ferravilla nel 1803. 459 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: L'INTERPRETE, IL DIRITTO, LA VITA ..., 453-490 PRO Petro Ghírlandfno. Lapfi efl in Lacum vita mea, & pofuerunt lapidem fuper me. Jerem. Thren. Cap. Ill, Urem eximís iotei paucos gquitatis, ít piudeflti» brevis I'roccTuv oftendit, cujus afpeÔu dubio pro-cul arbittor Reo ma gis opituUtumiñ, quam ex his, qua in íu ni ir a temporis anguftia ad ipiïus defeofio-ncm coriogareltuduerim. Humilis, & finceracon-feíTio vita m indicar fa ci nor is pœrLitentiam; quippe nil triílius homo ingenuus exilUmai per occailoncm — lapfussquam in eospeccaffc, qjibus fidem debebat; nihil vilius fe met ipfo, cui totam adfetibit ciilpam , nullum plant consilium caufarus, quam quoi aninii motus extîtaverit, ad expíen-dam libidinem ludí vulgo il Biribii. Frcquens eratmunus paQa mercede Salem è Navibus ad Celia ri um P. T. Bajulare, Prxtrat illic Capfeiius, cui nomen Montcmerulus, [s cla-vem Capful a itsprarc negligens, in qua petunia, quae in dies reeipitur siTerirabarur.occafionem prabuit meditandi, quorum paito ultra mo-dumBajuli Hipendia extraheret , Subiii Haiim memoria cujufdamiatc-brœ tub Abaco vulgo S inen ad habitum hominis obtcRcnduin idónea. Hue eau te Ingrediens ilatut i horà, iatebat, donee rtmotis arbiiiis opportune con fu le ret, quantum fibi CO die pecunia numcrsndum, qui i nil a mill us fuffieeret indigentiis^Jiiam mini m o triam polFet Salitorum damno : Mox latibulo rcllirutus, patienter adveníate tempus, quo per citcumfufain multitudincm profiliret exfpeflabat. fcr incrcdibili facilitate alternis vicibus ad exit um opus perduxit; qua:-torn tandem molicntcm Capierius depreftendit. Plerofque coin) ita_ fallit in itbus peilimis di ut urna; frlniutis fpèii Univerfa pecuniaium fumma furto fubtraéh vin attendit ad libras 42J., quas quidem inlquo faro amifit ludo » Proh fatale facinus, quod nulla dulccdo, & amarißima quaque confeqnuntur 1 [gitur res errt de domeflico fure contra quem jura vêtant procedí » tit ell Texten in L Keffuicndum f. furia dmeSltta ff. dt penis ■■ ibi - Nee ad-mtttetida eft he/ju (midi at en fat to, eu m fervtes d lylrmr-;. Libert Mi a Pa-IrWQ in etijui :::: muratur , vet mtrecrtarim ab fi - tat operttí fteai /ota* Virai afferattir çaafiiini ; quod licet de co 11 fut tu dim; non fervati affirme t |}o Es. tie, de furí il nu, , ubi teftatur Senatum in contrarium de-clarailc ; at tarnen Olr. Furtum num.21, dill induit hanc contrariant juri conluctudinem in gravioribus locum obthnere, non quidetn irL. lev ¡>111%. Quft autem levia s qurve enormia futra dicantur, íeclufa difpofiiionej. WC^lrt qua Senams hodie temilfius agit t iu divetfas DD. aucune (ce,' Fig. 1: Corio F. G.: Pro Petro Ghilardino (USM, 32) (con l 'autorizzazione del Dipartimento di diritto privato e storia del diritto, Université degli Studi di Milano). Sl. 1: Corio F. G.: Pro Petro Ghilardino (USM, 32) (z dovoljenjem Oddelka za zasebno pravo in zgodovino prava Univerze v Milanu). 460 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: L'INTERPRETE, IL DIRITTO, LA VITA ..., 453-490 PER Giufeppe Antonio Doícío Appellato II Genoveíino da Malgrate. Miferebitur ejus, & dtcer: Inveni in quo ei propitier. Job. XXXIII. 24. Ovendo ¡o per efecuzione de' fuperiori veneratiíTimi Comandamentiaccingermi a fare le difefe diGiufeppe Antonio Dofcio, dal Real Calíello a quefle R. Careen tr.idoito, non fari céreamente, che alctmo ftupilca, fe in una caula di tanta i m por tanza, veggafi compadre il men efpeno fra tant' altrí Signoti miei Collega, cia-fcheduno de' quali, avvegnache di preroeative non_ meno, che di dottrina lungo tratio fuperiore, fenza dubbio a úntale impegno compito avrebbe, con r¡pórtame per fe tutto l'applaufo, e ció che piü importa, in pro del Difefo molio piü grandi i vantaggi. E in veri ti ben 10 conobbi, non porer eílere aun tale a fiare proporeionare le troppodeboli mieforzi. La lunga ferie de'volumi di que-fto Procellb; La ftravaganza de' títoli. II numero conliderabiíe di quauordecí Rcati, inrrodotei per la maggior parre colla fatale efpref-íiva di Lefa MaeíHben atredare mi potevatio, qualora non rni follj opportunamente avvifato, che quefto mío car i (ate volé ufficio fempre piu ravvívato dal mérito dell' u bbid ienza, i nfallibí Intente impegnato avrebbe queíli Illuíítiffimi Letteratiflimi Signori ConfeíTori, degna-mente trafcelti al gindizio di queíh caula, perché eol lume fu per ion de lie foilevatirtimc loro me ni i íuppMero alia Difefa del fnppoíloReo, per dove mancarte il Difenfore, giufhi la norma del teño [i non def-ftniaatytfAefonit ; Nonfi potendo date cafo, in cui la d i fpo fisione dell'accennara legge debbaaver luogo, qnanto ilprefente, Quindi con ta! fiducial, impetratone prima dall1 E.S. il benigniflimo aíTcnfo , piíi di buon grado merto mano all'opera, col farmi meglio che pollo alia diíamina de" Reart a] mió Difefo aferitti, non poco ¿tnimato dalla fperanza di abbarterli, e di molí ta tío innocente, o certameme di fro¡-nuirli in modo che degno rendí ¡i di un benigniffimo compaiimento, íd ¡mero perdono. Prima Fig. 2: Corio F. G.: Per Giuseppe Antonio Doscio appellato il Genovesino da Malgrate (USM, 35) (con l'autorizzazione del Dipartimento di diritto privato e storia del diritto, Universitä degli Studi di Milano). Sl. 2: Corio F. G.: Per Giuseppe Antonio Doscio appellato il Genovesino da Malgrate (USM, 35) (z dovoljenjem Oddelka za zasebno pravo in zgodovino prava Univerze v Milanu). 461 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: L'INTERPRETE, IL DIRITTO, LA VITA ..., 453-490 PRO . .ooiiM/mgboisoiq mm W * Julio Gefare Bombello; Ht Rofalia Columba. Inconflant'ta concupifcentime tranfvertit f j,nfum Jine malit 'ta. Sapient. Cap. IV. 12. Vade, & jam amplius noli peccare. Joannis Cap. VIH. I». ... .. . En jam deMorum «mis baud agre imperra ver im.; Adolefcenti, &Mulíeri in primo juventui ts flore, queiseadem natura, turn vultus imagine, quutn corporis habitti iimiles efficíendo ini'idiari prope-modum vifa eíl, nii'i violenta nex viri, com_. fublequuta adulterar 11 m fuga tanti moment! ne-gotium tilico exhibuifler, ut non am oris , fed odii potius argumenta videri potlint. Ad deterius quo-que caula m deducir Reorum captura ,ad cmilíára es officio infiantiam , citra partis alien fum in externa ditione , fu-pre ra is R. M. S¡ jofiibus eüequuta: trille fine omen ; qua ndoqu idem ti plora tu 111 ell , plerofque nominum ita compara tos elle, ut il!uin_. rti even rum oüfpedandum puteiit, otiem es bono , aut funello exordio prasreperunt, Ver'untamen me riis angi minime patiar, haud immemor coram qualibus Judicíbus agendum fir. Difcet mobile^ vulgus eulem per I® pe crimina mentiri adfpeítu, qua; mendax fama ex miquis indiciis portendir , ñeque in mulEÍtudinis concepta , fed in veri tat is íinu confedilFe All ream . Utrifque igitur prsello ium de adulterio cuín incello poftulatis; dein folum Bom be Hum de homicidio reum peranum in perfonam Joleph Qannobii olim viri ejuf-dem Columbai feorfuiti ab ade teams protegam . Dete(labile adulter!! fee! 11s nemo eft, qui ignoret quanta legnm feve-ritate quondam perfequeretur. Cana neos ALgyptiolque maximum nuncupate peccamm Speroti. Sperm. Lib. 1. jpobg, dti Dialog, filer, i. Arabos, Lydos, 6: Longobardos nullam fpem venís relíqmuej ;'' Romanorum , abartimque antlquarum Narionum poems pro hoc crimine tradit Tiraquel, it kg. cannub. in L. rj. ¡¡»ft- I - »«»«■ 6.,& feq, ufque adnum. rB. Lege Moyfis, & Divina morti adjudican adulteren Levtt. cup. 10. Dtuteranotri.cop.i7. Ewb.cap. r<5,, & ante Legem Mo-faicam Gmteap. 38. Item Lege Julia Augufti 4- temb.jiti. gladium Fig. 3: Corio F. G.: Pro Julio Caesare Bombello et Rosalia Colomba (USM, 38) (con l'autorizzazione del Dipartimento di diritto privato e storia del diritto, Université degli Studi di Milano). Sl. 3: Corio F. G.: Pro Julio Caesare Bombello et Rosalia Colomba (USM, 38) (z dovoljenjem Oddelka za zasebno pravo in zgodovino prava Univerze v Milanu). 462 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: L'INTERPRETE, IL DIRITTO, LA VITA ..., 453-490 LE DIFESE DEI PROTETTORI DEI CARCERATI Ma troviamo tra le nostre Allegationes iuris anche le difese di protettori di carcerati (per esempio quelle a firma del giureconsulto e causidico collegiato Francesco Gerolamo Corio (USM, 30; 32; 33; 34; 35; 36; 37; 38; 39) per tentare di strappare l'inquisito, dopo la raccolta delle prove e la pubblicazione del processo, ad una sorte per lo più irreparabile: era tradizione, confermata da privilegi imperiali autorizzatori, che il governatore graziasse ogni anno due condannati a morte su perorazione della Confraternita di S. Giovanni Battista Decollato detta alle Case Rotte: nel 1642 il governatore dello Stato di Milano, conte di Dirvela, riconosceva privilegi di simile tenore precedentemente concessi - cosi si dichiarava - con il parere del Senato ed il voto del Regio Fisco; Carlo II, per esempio, li aveva nel 1675 esplicitamente rinnovati, effettuandone, per cosi dire, la ricognizione con riguardo all'antiqua pratica osservata; nel 1654 il marchese Conde de Pinto, governatore dello Stato di Milano, accordava alla "Escuela de San Juan a las Casas Rotas" la grazia in favore di Christoval Miguel del Hospital, condannato per avere sollevato i soldati dell'esercito perché passassero al servizio di altri principi: un caso dunque di estrema delicatezza e gravità, rientrante nella sfera d'azione del crimen laesae maiestatis (Sbriccoli, 1974; 2002), che tuttavia meritava l'attenzione benevola delle alte cariche del dominio, che provvedevano in varie riprese a graziare i condannati su solleci-tazione della Pia Confraternita.2 Quanto ai protettori dei carcerati, costoro erano membri pro tempore (di norma per un biennio) della Congregazione di antica origine della Malastalla, il più importante carcere milanese, che a metà Settecento - è il momento al quale si riferiscono le difese conservate nella raccolta - risultava composta da otto soggetti: tre dottori del Collegio dei nobili giureconsulti, tre nobili e due causidici. Ne facevano parte individui di varia provenienza professionale, ma comunque della buona società milanese e, per la parte nobiliare, giovani rampolli ai primi gradini del loro cursus ho-norum, che poteva segnare di anno in anno incarichi di prestigio crescente: Pietro Verri, per fare qualche nome noto, diveniva Protettore dei carcerati per la componente nobiliare, nel 1751-1752, a ventitré anni (era nato a fine 1728), dopo essere stato per il 1750 uno dei diciotto deputati annuali dell'Ospedale maggiore di Milano, e suo fratello Alessandro, nobile ma pure membro del Collegio dei giureconsulti, un decennio dopo (Capra, 2002, 104-105; AV, 1). 2 Cfr. ASMi, 12; 13; 14; 15; 7; 3, con il documento di grazia del 29 dicembre 1654 ed il privilegio di Carlo II del 1675: ivi numerosi documenti di vario contenuto riguardanti la Scuola di S. Giovanni Decollato nei suoi privilegi, nel suo patrimonio, nel suo operare, nelle procedure di ammissione come confratello, nelle cerimonie di accompagnamento dei condannati a morte, nelle indulgenze accordate (come quella del 1742 di Benedetto XIV), nelle grazie ottenute, nelle transazioni concluse, come quella ampiamente documentata con la Parrocchia di S. Stefano Nosiggia, ecc. 463 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: L'INTERPRETE, IL DIRITTO, LA VITA ..., 453-490 Le loro attribuzioni, variate nei compiti, disciplinate dalle stesse Constitutiones dominii mediolanensis del 1541 (Constitutiones Dominii Mediolanensis, 1747, 193) andavano dal contrallare l'osservanza delle leggi e degli ordini emanati riguardo ai detenuti nelle carceri milanesi fino al denunziare gli "abusi" manifesti nei soprusi e nelle forme di estorsione, che custodi e custoditi commettevano (cosa che fece il giureconsulto collegiato Cesare Lampugnani nel 1751, suscitando le reazioni delle autorità superiori del Ducato, dal Senatore Olivazzi al Capitano di Giustizia Carlo Maria Recalcati, a sua volta Protettore dei Carcerati nell'ormai per lui lontano 1727 (ASMi, 14; Capra 2002, 105); ed inoltre sollecitare le grazie (Massetto, 1994b) e prestare assistenza legale ai detenuti indigenti. Sin qui le funzioni più propriamente tecnico-legali, che dovevano impegnare precipuamente la componente del gruppo a vocazione tecnico-giuridica, ma nel ventaglio di compiti assegnati rientrava pure l'attività indubbiamente a carattere protettivo assistenziale, costituita dall'organizzare distribuzioni di pane e minestra (le condizioni dei detenuti nelle carceri erano veramente miserabili) e questue quaresimali, da destinare poi alla "causa" degli stessi carcerati (G. F., 1909; Biffi, 1880; 1881a; 1881b; 1882; 1884; 1885; Orefice, 1985, 31; Olivieri Baldissarri, 1985; Capra, 2002, 104-105; Liva, 1990). Per venire al versante tecnico-giuridico, le testimonianze conservate portano a de-sumere che si trattasse di lavoro estremamente delicato ed impegnativo, suscettibile di provocare le censure aperte di chi non voleva intralci alla giustizia. Diceva infatti il Senatore Olivazzi a metà del XVIII secolo, a proposito delle rimostranze esposte da Lampugnani, che "la carità verso i Prigionieri esercitar si deve nel difender li Rei, non per ritardare, o intorbidire la costruzione deiprocessi; " nel 1723 un dottore collegiato Protettore dei Carcerati, Giovanni Maria Aliprandi, si sentiva redarguire poiché, se era da approvarsi che "da Protettori de ' Carcerati nulla si ometta di ció puó influire ad un giusto soglievo de' Raccomandati al loro patrocinio, altre tanto merita tutto il rimpro-vero che da loro per soverchio zelo si oltrepassino i limiti della modestia propria del loro caritatevole institutto, e del rispetto dovuto alla persona dei Giudici:" nella specie si rimproverava all'Aliprandi "d'havere mancato a queste parti nelle diffese da esso compilate in Iure nella causa di Carlo Fontana dettenuto nelle Regie Carceri per ordine suo" e ne seguiva un "serio" avvertimento riguardo alla disapprovazione meri-tata con la sua condotta, ispirata a "troppa animosità con cui ha scritto in questa causa," invitandolo a "contenersi in avvenire nel patrocinio de Rei con magistrale circospezione e prudenza, altrimenti sarà obbligata l'Eccellenza Sua a frenare questa licenza con altre più adeguate dimostrazioni di castigo." Era un invito dunque a prendere le difese dei protetti con juicio, quasi a badare soprattutto alla forma, senza impegnarsi a fondo nel conseguimento di un risultato favorevole (ASMi, 13). In altro momento storico, quasi alla fine del Settecento, quando l'istituto era stato reintrodotto, a fine giugno 1791, per volontà di Pietro Leopoldo, dopo un periodo di soppressione 464 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: L'INTERPRETE, IL DIRITTO, LA VITA ..., 453-490 (ASMi, 15),3 si poteva parlare in una luce positiva di "incessante zelo... che carat-terizza il vero filantropo... zelo da vero Amico dell'Umanità... gratuite fatiche da molti anniprestate a sollievo de'miserabili... infelici detenuti [...] "a proposito di un Protettore dei Carcerati che, in piena Repubblica Cisalpina, aveva svolto il suo ufficio cari-candosi di un pesante fardello di fatiche, accresciute dalla necessità di difendere da-vanti alla Commissione Militare, residente al Palazzo di Giustizia, "alla presenza di un popolo intero, nelle aringhe di morte con cento applausi sostenute" e, in privato, da-vanti ai Tribunali ordinari, "un'infinità di detenuti" (ASMi, 12). I documenti trasmessi a noi per il tramite della Biblioteca dell'Avv. Margarita riguardo all'attività di difesa, svolta dall'ufficio dei Protettori dei carcerati, sono opera, la maggior parte, di Francesco Gerolamo Corio,4 giureconsulto, ben presto notaio attivo "ad omnia laudatus", dispensato dal limite minimo d'età (25 anni), e causidico collegiato (ASMi, 8; 9; 10; 11; 1; Calendario, 1793, 155-156; Pagano 2001, 392), che offre gratuito patrocinio ad alcuni detenuti nelle carceri milanesi a metà Settecento, non lesinando il suo impegno generoso.5 L'esordio della difesa del Protettore dei carcerati è un'invocazione, un invito sottomesso alla pietà, come quello tratto dal Vangelo di Giovanni: "abbia pietà di lui e dica: 'Scampalo dallo scender nella fossa, ho trovato ilriscatto. '" II difensore fa vibrare le corde del sacro: il riferimento, collocato in esordio alle difese di questo Protettore dei carcerati, è ad un testo biblico, tratto dal Vecchio o dal Nuovo Testamento; nello snodarsi dell'atto egli scende al profano. O prende le mosse dalla descrizione del fatto sub iudice, materializzato ai nostri occhi attraverso un racconto che partecipa della cultura specializzata del giurista in ruolo di mediatore tra il fatto ed il diritto, nonché della cultura, spesso popolare, del reo e della vittima. O inizia a discettare dell'imputazione in termini squisitamente tecnici per passare poi a confrontare il fatto, attribuito al reo, con il delitto che gli si contesta. Irrompe nella trama difensiva, spesso ancora costruita sulle salde fondamenta di un latino giuridico, lingua trasformata nei secoli ma non al punto da nascondere le 3 La soppressione della Scuola di S. Giovanni Decollato seguiva il 30 agosto 1784: cfr. ASMi, 4. 4 Girolamo Francesco Corio era nato nell'aprile 1713 e battezzato nel successivo 22 settembre, notaio "ad omnia laudatus", dal 22 maggio 1737, e causidico collegiato dal successivo 6 giugno, già dottore nello stesso anno, figlio di Giuseppe Antonio a sua volta notaio, preposto alla Regia Zecca, agente e tesoriere del Pio Luogo della Malastalla, nonché di Teresa Antonia Biragha, come risulta dalle deposizioni testimoniali, raccolte nel fasc. di comparizione di cui in ASMi, 1 (vi è testimonianza della sua attività notarile in ASMi, 8; 9; 10; 11); cfr. ASMi, 11, fornito di notizie biografiche nel fasc. di comparizione per l'ammissione al Collegio dei notai, segnato nell'occhiello Corii, che raccoglie, tra l'altro, il certificate di battesimo presso la Chiesa di S. Tecla della Metropolitana nel settembre 1713, e ASMi, 1 per l'ammissione al collegio dei causidici; inoltre Pagano, 2001, 392, ove il Nostro compare tra i causidici collegiati degli anni 1787-1796. V. anche Calendario, 1793, 155-156 per l'inserimento tra i "Signori causidici del Nob. Collegio di Milano approvati per il patrocinio delle cause." 5 Si conserva pure nella medesima raccolta la difesa nell'ambito di un'attività di gratuito patrocinio, svolta in data Milano 23 dicembre 1653 da Gian Battista Parasacco, giureconsulto. 465 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: L'INTERPRETE, IL DIRITTO, LA VITA ..., 453-490 sue origini classiche, il volgare usato dalle parti in causa e dai testimoni, la sponta-neità e la freschezza delle loro parole, delle loro dichiarazioni e del loro discorso, filtrato e rielaborato, con buona probabilità, nell'esperienza giuridica dell'avvocato. Sul versante contenutistico, la dinamica del fatto imputato è rivissuta dando spazio alla dimensione oggettiva, ricavata dalle deposizioni testimoniali e dalle prove rac-colte, o dai semplici indizi che si cerca di elidere e, per un altro verso, ad un'inter-pretazione del fatto dalla parte del difeso. Trapassiamo dal furto di dieci galline in un pollaio ad un concorso di reati, contraddistinto da un adulterio con omicidio del marito dell'adultera, ad una serie di condotte, rubricate sotto il titolo di lesa maestà: in ognuna delle difese l'impegno del Protettore si dispiega con energia, passando - lo si è detto - dal fatto al diritto, dal diritto al fatto, ricorrendo alla dottrina criminalistica più matura, con una netta pro-pensione, nel caso del Corio, per una scienza giuridica locale (ma non conosciuta solo nel ristretto territorio lombardo), rappresentata soprattutto da Egidio Bossi e da Giulio Claro, ma senza trascurare gli altri protagonisti di uno sviluppo del diritto penale al di là dei confini lombardi: da Angelo Aretino a Sebastiano Guazzini, da Prospero Farinaccio a Perez. Laddove il caso da difendere appare senza dubbio più grave e delicato - tale l'incriminazione di lesa maestà a carico di un certo genovese di nome Doscio - ecco allora l'impegnato Protettore mostrare le sue conoscenze ormai ad ampio spettro europeo: non più soltanto i "classici" del diritto comune ma i campioni del giusnaturalismo, da Grozio a Puffendorff e Barbeyrac, "riletti", se occorre, attraverso l'esperienza interpretativa di un autore inglese, Cumberland. Qualche esempio varrà a mostrare con maggiore forza le peculiarità di queste "difese", svolte a beneficio di soggetti bisognosi, privi di aiuto tecnico per resistere all'"offensiva" dell'apparato inquisitorio dell'epoca. Prendiamo il caso di Gian Maria Gilardo e di Pietro Giuseppe De Nicolla, rei costituti, insieme ad altri presunti colpevoli non identificati, di "rubberia alla strada" (Manzini, 1912a, 454, n. 2, 456; 1912b, 729; Solavaggione, 1970a; 1970b; Garlati Giugni, 1999, 66)6 ai danni di alcuni carrettieri di Turate, commessa la notte del 5 aprile 1748 in una zona di confine tra il territorio di Uboldo e quello di Gerenzano, piccoli centri contigui a Saronno: l'oggetto del reato una somma di denaro non infima, uno zuffolo di legno da tabacco (Fiorelli, 1953, 199-200)7 ed un coltello a serramanico. I malcapitati, interrogati, persistono nella negativa (Giarda, 1980): ne- 6 II termine ruberia o robbaria, allora molto usato, indica un furto con violenza, usata contro la persona, vale a dire una rapina. Gli Statuta criminalia Mediolani facevano impiego di questo termine, che consideravano equivalente a quello di scacco ("In iure nostro municipali Scachum, et robaria idem inteligantur"). 7 Il testo reca il termine zuccolo, ma si deve leggere invece zufolo: si trattava del tormento degli zufoli o delle cannette, usato di solito per delitti lievi o nell'esame di ragazzi o donne. Marc'Antonio Savelli, nella sua Pratica (al lemma tortura), parlava di "zufoli o sibili fra le dita d'ambe le mani congiunte insieme in modo d'orare," poi strette con una cordicella, provocando perció dolore. 466 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: L'INTERPRETE, IL DIRITTO, LA VITA ..., 453-490 gano di avere commesso il fatto, di essere stati la notte del giorno, indicato dall'atto d'accusa, nel locus commissi criminis, apportando a loro difesa dei fatti in contrario, che si trasmettono a noi per il tramite del linguaggio, rispettoso ed insieme popolare, reso piu immediato dal volgare dialettale dell'epoca, impiegato nelle parole di uno dei rei, il Gilardo: "Illustrissimo Signore la mi perdoni, che s'informi da mia Madre, che gli dirá se non abbia dormito in quella notte di Giovedi in Milano in Casa sua." Confutata dall'avvocato fiscale la validitá, o piuttosto la necessitá di una prova di tal genere, il Protettore dei Carcerati, il dott. Corio, oppone l'ammissibilitá di una simile deposizione testimoniale, facendosi forte dell'autoritá di Egidio Bossi, usato spesso -l'ho giá accennato - nelle difese trasmesse dalla raccolta milanese di Allegationes iuris (Bossi, 1562, 458; di Renzo Villata, 1996). Il volonteroso difensore d'ufficio non esita a richiamare, accanto ad argomenti strettamente giuridici, la mala sorte degli sventurati suoi difesi, catturati al suono della campana al di fuori dei confini cittadini. Ma non solo la sfortuna e messa in campo per commuovere gli animi dei giudici ed indurli a risparmiare la vita, o a diminuire la pena dei rei; si ricorre anche alla "pia cupiditas", che aveva spinto i due ad andare in pel-legrinaggio al Sacro Monte di Varese. Non insieme ma ciascuno per conto proprio, con autonoma intenzione, decide di farsi pellegrino per devozione. Percorse molte miglia, i compagni di strada si fermano per dare riposo alle loro stanche membra e li s'incon-trano, manifestandosi reciprocamente i loro progetti virtuosi, ma purtroppo s'imbat-tono in un losco soggetto, che mostra loro un tormentum brevis formae, vale a dire lo zufolo di legno. Nella ricostruzione delle vicende incriminate dalla parte della difesa, che dá - e ovvio - una versione differente dei fatti rispetto all'accusa, e il momento dell'entrata in scena di una quarta persona, che assiste all'incontro e nutre subito il sospetto di trovarsi di fronte a ladri di strada, volta le terga e di corsa si allontana; incontra il fratello, al quale narra la sua presunta brutta avventura. Il seguito viene da sé e sembra incredibile. "Quis crederet?" esclama il nostro difensore per mettere quasi in guardia chi ascolta ed esortarlo ad un'oggettiva lettura dei fatti. Dunque i due, suggestionatisi a vicenda, decidono di darsi all'inseguimento dei supposti briganti ("latrones quos animo conceperant") esclamando: "Dai Lader, Dai Lader, Ciapel, Ciapel," in verace dialetto lombardo. Alle grida accorrono molti rustici, muniti dei loro arnesi da lavoro e lanciando sassi, finché non intercettano gli infelici Gilardo e De Niccola, che proseguivano placidamente il loro viaggio, forse non osando fuggire, e li mettono sotto custodia, con le mani legate, nell'osteria di Origgio.8 Giá era presente il console del comune; contemporaneamente entrano nella locanda due carrettieri, che temerariamente dichiarano di essere stati derubati nella notte appena trascorsa dai due presunti ladri mentre si recavano ad Uboldo9 a comprare cenere con altri due soci. 8 Comune di antiche origini all'estremità sud della provincia di Varese, posto a sud-est di Saronno. 9 Situato nell'appendice sud-orientale della provincia di Varese. 467 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: L'INTERPRETE, IL DIRITTO, LA VITA ..., 453-490 Sopravviene il Littore di Saronno;10 si eseguono le dovute perquisizioni, che con-ducono alla scoperta addosso ai due del coltello e degli altri oggetti, riconosciuti da una delle due vittime come a lui sottratti. Supposta l'esistenza del corpo del delitto, senza il quale non è possibile in-quisizione - come si faceva notare, richiamando un principio comunemente recepito e convalidato dall'autorevolezza di Giulio Claro e della sua Praxis criminalis (Claro, 1626, 197) -, si contesta subito l'attendibilità dei testi, dipinti come pusillanimi, rustici, di corto intelletto e cocciuti, in altri tempi considerati incapaci di deporre e perciô, quali sospetti, da respingere. Le argomentazioni pongono in chiara evidenza la fragilità del castello accusatorio, del quale il riconoscimento, effettuato di notte nei confronti di soggetti mai visti prima, è uno degli elementi più rilevanti, tale da ingenerare perplessità. "Era ancora un poco chiaro di Luna, " dichiara una delle supposte vittime; alla deposizione oppone subito il difensore: "Novilunium adhuc agi indicat Ephemeris eius anni; idcirco tunc Luna subierat orbem, suique sideris fulgorem detrectaverat. " Non vi era gran possibilité di vedere con precisione di contorni e perciô, consequenzialmente - rileva ancora Corio ("ob idque alter ex derobatis ait"), a dimostrare lo scarso valore della prima deposizione -, l'altra vittima aveva dichiarato: "Il resto della pistola non l'ho veduto, perché era un poco scurotto" (USM, 31). A confutare dunque la testimonianza allega una serie di circostanze soggettive (riguardo alla capacità dei testi di riconoscere l'indagato in quelle condizioni di visibilità) e oggettive (centrate sulla configurazione dei luoghi, fatti di terra sabbiosa e sassosa e di per sé più tenebrosi della pianura). Tutto congiura, dot-trina autorevole compresa, per sminuire l'importanza della deposizione, di cui si di-mostra l'incertezza, tale da suscitare ragionevoli dubbi: "Mi par questo che mi ha assaltato sulla strada, che ha li capelli lunghi, ed era anche ferito dai Paesani et c." Altri hanno studiato perché tale fase della giornata acquisti rilevanza in rapporto alla perpetrazione del reato, identificandone i motivi in una presunta maggior peri-colosità, nella "paura di notte e della notte," che portano un affievolimento delle normali capacità di difesa nella vittima: qui si tratta piuttosto del peso da attribuire ad una testimonianza de visu, inficiata nella sua completa attendibilità dalla scarsa visi-bilità insita nelle ore notturne, preclusiva di un pieno ed indubitato riconoscimento, e non mi resta che rinviare alle loro anche suggestive riflessioni (Lacchè, 1991). Ma non basta: risultano ancor meno pregiudizievoli per l'assistito le deposizioni tra loro contrastanti dei due testi, che forniscono una ricostruzione della dinamica degli eventi imprecisa e contraddittoria. Del forsitan precipuo indizio (il forsitan esprime tutto il dubbio del tecnico del diritto sulla sua classificazione), costituito dal ritrovamento addosso ai rei de "il zuccolo e coltello serramanico," Corio si affretta a definirne la qualità di indizio 10 Comune in provincia di Varese. 468 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: L'INTERPRETE, IL DIRITTO, LA VITA ..., 453-49Q remoto e dubitato: affiora l'influenza imprescindibile (e accettata dal mondo della pratica forense) della teoria della prova legale, volta a stabilire una gerarchia di valore tra gli indizi, sufficienti al massimo, anche se fossero tra loro congiunti, -come rileva Corio - a torturare, ma non a condannare. Per quanto concerne invece il denaro che, date le sue naturali caratteristiche, è privo di un'identità assoluta ("non potest identitas constitui"), emerge dalle stesse testimonianze sul punto la contraddittorietà e dunque l'incerta verità. La confusione monetaria tipica dell'epoca (oggetto della sottrazione sarebbero, secondo i testi, "cíoé una mezza dopía dí Spagna, un'altra mezza dí Roma; alíter vero [...] e due mezze dopíe dí Roma", mentre ancora un altro teste afferma qualcosa di diverso) contri-buisce ad acuire nella rappresentazione dei fatti il loro carattere controverso (Lacchè, 1991, 129 ss.; Delumeau, 1979, 136). Al punto che lo stesso difensore si chiede se gli indizi raccolti possano, davvero e a buon diritto, considerarsi tali ( "Eíusmodí índítía [sí tamen eo nomíne noncuparí ías est]") e conclude rimarcando come nemmeno il Fisco, vale a dire la pubblica accusa, sia riuscito a considerarli sufficienti se ha assicurato l'impunità a Mella, il losco individuo incontrato sulla strada verso il Sacro Monte di Varese che li aveva messi, per cosi dire, nei pasticci. È proprio costui ad avere testimoniato contraddicendosi sui fatti, mostrando varí-etas (Fiorelli, 1953, 259; Bassani, 2QQ7) e l'inattendibilità delle dichiarazioni fatte. Infine, riguardo al possesso delle armi, mentre Gilardo, catturato, non ne aveva e manca di conseguenza, nel caso, il necessario permanens cor-pus delíctí, Nicolla afferma di aver trovato il coltello durante il tumulto occasionato dalle vicende, ma -osserva Corio - anche supposta una versione diversa dei fatti, la detenzione delle armi durante il viaggio, di per sé assai pericoloso, aggiungiamo noi, in quei tempi, è lecita. Mancando di conseguenza una confessione degli imputati o una loro "convin-zione" (Garlati Giugni, 2QQ4), la presenza di legittimi indizi a loro carico, Corio invoca per loro l' aequítas e la clementía dei senatori. La notte ritorna come elemento capace di conferire una diversa cornice ai fatti descritti nell'altra difesa di Bombello, accusato di avere ucciso il marito dell'amante (USM, 38; 39). La dinamica delle circostanze produttive dell'evento è narrata con abilità retorica, accompagnata da una lucidità argomentativa, volta a svuotare gli elementi probatori d'accusa della loro pericolosità letale, con l'ausilio della forza della realtà, ricostruita dal difensore, e di una buona dottrina penalistica, di marca in prevalenza lombarda. Dicevo con abilità retorica: la si vede con l'intenzione palese, evidente fin dall'inizio della difesa, di far appello alla pietà dei giudici facendo leva sulla giovane età dei due imputati, ritratti nel fiore della gioventù e della bellezza, spinti l'uno verso l'altro da un'attrazione fatale e pericolosa, quasi nutrita dalla natura ( "queís eadem natura, tum vultus ímmagíne, quum corporís habítu símíles eííícíendo ínsídíarípropemodum vísa est"), verso i quali - si sottintende - possono solo nascere 469 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: L'INTERPRETE, IL DIRITTO, LA VITA ..., 453-490 sentimenti di umana simpatia; ma all'immagine compiacente dell'amore giovanile si contrappone subito la morte violenta del marito, Giuseppe Cannobio, seguita dalla fuga degli adulteri, indizio di indubbia rilevanza processuale non nascosto, e la cat-tura dei rei in externa ditione, su ordine della Maestà Suprema (R.M.S.), presagio triste dal quale è quasi scontato che la maggior parte degli uomini tragga delle conseguenze, in questo caso funeste per i rei. Ma la realtà - sembra dire il Nostro -non è sempre quella che appare, ed il mobile vulgus imparerà che spesso i crimini si rappresentano per cosi dire sotto mentite spoglie, indossate in virtù di una mendax fama ex iniquis indiciis. I due elementi, sui quali si punterà per distruggere la tesi offensiva, vengono subito posti in primo piano per dedurne che Astrea, la Giustizia, non puô riporsi nell'opinione della moltitudine ma "nel seno della verità." La strategia difensiva punta ad enfatizzare la gravità del reato "minore", l'adulterio, ed a derubricare il reato maggiore, l'omicidio commesso dagli amanti, da premeditato, o volontario, a commesso per eccesso di legittima difesa. Perciô Corio, non lesinando le citazioni, dalle bibliche alle giuridiche, talora filtrate dalla lettura degli umanisti (come avviene per il De legibus connubialibus di André Tiraqueau (Rossi, 2006), si affretta a condannare l'adulterio, "detestabile scelus", punito severamente nel passato presso molti popoli dell'antichità, poi man mano mitigato nelle conseguenze e reso punibile ad istanza dei congiunti più stretti con pene, dalla fustigazione al ritiro in monastero, talora con sole sanzioni pecuniarie, ora passate in desuetudine ad onta del rammarico dei Dottori (Seidel Menchi, Quaglioni, 2004): nel caso di specie - fa presente il giurista - i due giovani sono ingiustamente detenuti nelle carceri per man-canza della "querela" dei parenti del marito; l'adulterio in questione inoltre non consta che dalla sola confessione della donna, non sufficiente a costituire il corpo del delitto: cade perciô l'accusa di incesto, in sostanza adulterio qualificato (i due erano congiunti collaterali in secondo grado secondo il diritto canonico, cioè cugini), susseguente a quella di adulterio, del resto di solito sanzionato con pene maggiori tali da assorbire quella per l'incesto tamquam mitiorem. Si aggiunge, a connotare il quadro fattuale e normativo descritto, l'accettazione nei fatti da parte del marito della relazione extraconiugale della moglie, segnata dalla circostanza dei rapporti tra loro consumati dopo la conoscenza del fatto, se non si vuole - cosa da cui il Nostro prende le distanze perchè non religiosum nei confronti di una persona mortalibus ereptus - addirittura accusare il marito di essersi comportato da lenone. Lo sguardo alla normativa dell'epoca intermedia, contraddistinta da uno spirito di decisa moderazione, ha respiro internazionale e non trascura tuttavia il nostro ius proprium, propenso a disciplinare il reato in maniera autonoma, senza abbandonarlo alla legislazione di ius commune. La censura moralista si arresta di fronte alla "calamità" dei tempi: "nostris tempo-ribus tale peccatum soli Deo puniendum relinquatur," suggerisce Giovan Domenico Rainaldi, autore di accreditate Observationes criminales puntualmente citate (Rainaldi, 1735, 111). Forse la ragione di tanta clemenza è simile - si era ingegnato a spiegare 470 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: L'INTERPRETE, IL DIRITTO, LA VITA ..., 453-49Q Corio - a quella che spinge a non osservare la rigorosa norma canonica nei confronti dei chierici colpevoli di adulterio, passibili di deposizione e di internamento nei monasteri a termini di legge; se si eseguisse, se cioè "hodíe clerícípropter adulteríum ín Monastería detruderentur, paucí eorum ambularent per vías." L'affermazione di Alciato, rievocata per il tramite di Giulio Claro (Claro, 1626, 11), era con evidenza ancora utilizzabile a distanza di due secoli; del resto il cicisbeismo praticato ed un'in-fedeltà diffusa erano all'epoca materia di una polemica frequente (Bizzocchi, 2QQ8). La conclusione riguardo al primo capo di imputazione è, per i motivi esposti con dovizia, l'impunità per entrambi gli adulteri; quanto a Rosalia, prima descritta giovane e bella accanto al suo amante giovane ed appassionato, ora la si coglie nella sua convivenza con un marito "acerbum et infensum", probabilmente di età non giovanile, dedito alla crapula, violento e seviziatore, non attento alle esigenze della donna, tale da esasperare con il suo comportamento qualunque appartenente al gentil sesso: gli uomini - si sa, ma la guida autorevole per l'affermazione è lo Sperone Speroni11 del Díalogo della dígnítá delle donne - preferiscono le bellezze delle donne estranee piuttosto che l'eccelsa bellezza della propria. Cosi stando le cose, non ci puó essere nessuno - osserva quasi compiaciuto il Nostro -, nemmeno gli humaníssímí Patres, cioè i senatori giudici, che, di fronte ad una tale condizione, non provi compassione per questa poveretta, fragile ed imbelle, che, per sfuggire alla protervia del coniuge, si allontana dal tetto coniugale e ritorna dai suoi o va altrove: è il motivo per cui sollecita i giudici a rimettere in libertà e in pace la donna, "Christi Domini exemplo". E la preoccupazione prevalente per le sorti di Rosalia emerge dal tentativo di discolparla dall'accusa di concorso in uxoricidio, desumibile dalla fuga successiva, architettata con Bombello, al di là dei confini della giurisdizione di appartenenza, interpretabile come presunta ratifica del delitto compiuto. Si passano quindi in rassegna gli indizi, cinque, che il Protettore poi confuta sin-golarmente, mentre si preoccupa di svuotare subito di fondamento la chiamata in causa di una massima, "quae síngula non prosunt collecta íuvant," che nel processo di diritto comune aveva rivestito un ruolo di primo piano per condurre in molti casi ad una condanna non supportata da prova piena, ma tuttavia "motivata" da prove ed indizi di peso (Rosoni, 1995). Il primo è integrato dalla deposizione de audítu ("de aliquorum popularium voce") (Mausen, 2QQ6, 2Q6, 615, 633) di cinque testimoni: costoro, fondandosi sulla íama,12 sostenevano di essere certi dell'identità dell'uccisore, che era stato spinto a compiere il gesto dall'amore veemente per la moglie della vittima. Il se- 11 Sperone Speroni degli Alvarotti (15QQ-1588), umanista rinascimentale membro dell'Accademia pata-vina degli Infiammati, si laurea a Padova ín artíbus e insegna nello stesso Ateneo dalla cattedra di logica; studia quindi a Bologna sotto la guida di Pietro Pomponazzi e diviene titolare a Padova della cattedra straordinaria di filosofía. Scrive, oltre a varie altre opere, i Díaloghí, pubblicati nel 1542: dal Díalogo della dígnítá delle donne al Díalogo della retoríca al Dialogo d'amore, già scritto nel 1537. 12 Traspare l'identificazione, qui accettata senza perplessità, tra testimonianza de audítu e fama. 471 María Gigliola DI RENZO VILLATA: L'INTERPRETE, IL DIRITTO, LA VITA ..., 453-490 condo dalla deposizione di un certo Paolo Pisano, che afferma "con riserva", cómplice l'oscuritá, di avere visto il Bombello sotto il portico della piazza, con lo schioppo in mano, nell'ora probabile del delitto ("ma io non gli ho fatto piu che tanto ríflesso, mentre era un poco scurrotto'): la notte ritorna come elemento capace di giocare un ruolo non secondario nella ricostruzione processuale dell'evento. Terzo un testimone che riferisce di alcune affermazioni incaute, fatte da Bombello, piene di minacce verso Cannobio: "Che dovessi dire al detto Cannobio, che se non lo lasciava parlare con sua Moglie lo voleva ammazzare anche sopra il Banco nella sua Bottega." Quarto la deposizione di Rosalia, configurante una confessione stragiudiziale, sulla cui validitá il difensore ha buon gioco nel far valere le numerose eccezioni opponibili, dall'essere Rosalia un donna, non ammessa a testimoniare in criminalibus, alla sua "contiguitá" tanto al marito ucciso quanto al secondo marito "putativo" - cosi veniva qualificato -, uccisore presunto. Quinto l'allontanamento di Bombello dal Dominio milanese subito dopo l'omicidio: anche la validitá di quest'ultimo indizio e inficiata dal difensore con argomenti ex auctoritate doctorum, centrati sul momento della fuga e capaci di svuotarne la forza per le modalitá della stessa. Né sembra potere godere di maggiore valore un'altra deposizione di un testimone proposto dal Fisco, portatore di voci raccolte dalla fama e non plausibile nell'affermare il riconoscimento di Bombello che, diciottenne al momento dell'omicidio, dichiara di non avere incontrato da cinque anni: "Che cognizione avesse lui C. del suddetto Giulio Cesare Bombelli di Appiano," respondet, "Erano cinque anni che mi non lo aveva praticato." L'analisi degli indizi, che si cerca di elidere, si intreccia con la narrazione dei fatti, conclusisi tragicamente con la morte di Cannobio. La giovane donna, entrata, ancora una volta, in conflitto piu aspro del solito con il marito, abbandona il tetto coniugale con l'intenzione di ritornare nella casa dei genitori; ne informa l'amante, pregandolo di accompagnarlo. Costui non si fa pregare ed esorta anzi la donna a perseverare nella sua determinazione per evitare di subire peggiori maltrattamenti fisici: "Dicendoli se voleva venire anche lui ad accompagnarmi; e lui disse, che sarebbe venuto dove volevo: dicendomi anche di non tornar piu a casa, che sarei stata scusa di cattar su piu botte." Ed e la forza dell'amore, rievocata anche attraverso i versi virgiliani, che viene in campo a giustificare la condotta del giovane, incapace di resistere al richiamo dell'amata: "Ecquis adeo amoris expers, talem in modum invitanti Mulieri restitisset? Quid autem vehementius amore ad subiiciendam voluntatem, quam sibi parere velle, philosophicumpotius quamjuvenile opus dicitBaldus [...]"Bombello segue Rosalia in una vigna, la lascia, a suo dire, per andare a prendere qualcosa che aveva dimenticato e ritorna dopo mezz'ora: da questo assai breve intervallo si traggono elementi per dedurre la consumazione del delitto in capo all'accusato, si che il difensore non puo fare a meno di esclamare: "Vix talia mihi credo." Si passa cosi a scavare sulla natura dell'atto criminoso commesso: non omicidio premeditato perche, date le circostanze, avrebbe ben potuto l'indiziato porlo in atto in 472 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: L'INTERPRETE, IL DIRITTO, LA VITA ..., 453-490 maniera meno appariscente, "sine strepitu et ex insidiis commode paratis [...] num-quam tamen in platea, et sclopo adhibito pallinis onusto [...]," né si deve presumere ch'egli volesse lasciare sola di notte Rosalia per andare a perpetrare l'omicidio; né le altre circostanze dell'incontro tra i due lasciano presagire una premeditazione ma piut-tosto una casualità; infine i segni del pentimento per quanto era accaduto, attestati dalle lacrime per il dolore, sono additati da Corio ad escludere l'animus delinquendi. Ma acquista un valore probatorio di un certo rilievo il fatto che Bombello avesse detto a Guffanti, latore di un messaggio da parte di Cannobio, desideroso di parlare con il rivale, "Che non venga no a parlare con mi Giuseppe, se de no ghe do una schiopettata. " Questo stesso indizio viene interpretato da Corio come elemento idoneo ad esclu-dere la premeditazione e a far comprendere - ad avviso del difensore - come l'ac-caduto sanguinoso fosse invece la conseguenza fatale di un concorso di fatti scia-gurati. La minaccia, l'incontro dei due, la supposta provocazione da parte della vit-tima, il clima d'ira creatosi: c'erano i presupposti perchè Bombello, alla vista di Can-nobio furibondo e supposto munito di armi (come in realtà non era ma la notte aveva generato l'equivoco), temesse per la sua vita e si difendesse dall'aggressione versando in condizioni di legittima difesa. La causa dirimente è enunciata: non rimane che trarne le dovute conseguenze in termini sanzionatori e chiedere una condanna più lieve, motivata in particolar modo dall'età acerba di Bombello: "et sane numquam satis miserandum hujus adolescentis, qui prae nimio justitiae metu, quem timidior pusilla aetas patitur, quamplurima forte reticuit, quibus maxime nisus Protector, validiora habuisset defensionis argumenta ad majorem ei veniam impetrandam, quam tamen deprecatur et sperat [...]" (Gatti, 1933, 149-181; Grosso, 1974, 27 ss.; Massetto, 1994a, 149-152; Chiodi, 2005). Ed ancora la notte è circostanza menzionata nella "perorazione" di Corio a difesa di due adolescenti, Giovanni Maria Vailato, chiamato Bergamaschino, e Sebastiano Piacenza, chiamato Piacentino, accusati di robaria (ma il Nostro cerca, con l'ausilio dell'arsenale argomentativo a disposizione del giurista, di ottenere la derubricazione dei reati contestati a furto semplice) (USM, 34): ho usato non a caso il termine perorazione perché i toni impiegati sapientemente per smuovere l'animo dei destinatari dell'atto sono di chi vuole fare appello a tutte le possibili ragioni, toccar tutte le corde dell'umana comprensione per venire in soccorso dei propri assistiti. Attraverso la suc-cessione scolastica degli argomenti portati per conseguire l'effetto, dalla descrizione ad arte dei fatti agli elementi in iure da sottoporre all'attenzione dei giudici, traspare, quasi nota comune, sorta di lente con la quale interpretare la sostanza degli eventi esposti, con riguardo ai dettagli, in termini di diritto, l'intento di muovere a pietà chi ascolta e chi legge, inducendo a riflettere sulla triste sorte degli sventurati, rei solo di furti di poco valore. La cronistoria della carriera delittuosa ha inizio con la sot-trazione per mano del Bergamaschino di un coltello da una tomba, reliquia votiva appesa in segno di gratitudine al proprio nume tutelare, strumento, ad avviso del di- 473 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: L'INTERPRETE, IL DIRITTO, LA VITA ..., 453-49Q fensore, poco atto ad offendere o ad esplodere, buono a fare da monito per chi guarda ma non ad incutere un terrore reale: dopo non molto il giovane stringe amicizia con il Piacentino e "insieme dichiarano guerra" - cosi si esprime il notaio-Protettore - alle galline facendo uso del coltello per abbattere le spranghe, apposte a protezione del pollaio. Dunque si tratta di furto, non di rapina poiché, se la detenzione di armi durante il furto genera una presunzione íurís di violenza, questa stessa puó essere elisa da una contraria più valida, valutate le circostanze specifiche del fatto: servendosi di Bossi, Corio osserva che occorre guardare alla sostanza degli atti compiuti, tali da integrare violenza anche senza armi se il soggetto faccia ricorso a potenti pugni, o non integrarla quantunque in presenza di armi. Cosi pure, quanto alla rilevanza penale di alcuni dei fatti attribuiti, il difensore richiama pro reo la massima tratta dalla compilazione giustinianea, che manda esente da punizione il tentativo di furto, anche se l'intenzione di compiere il reato s'era manifestata in atti preparatori prossimi. Passa in rassegna le diverse fattispecie contestate, sforzandosi di sminuirne la gravità attraverso un'attenta analisi delle circostanze: a proposito dell'imputazione di robaria, cioè di rapina, a carico dei due, costoro, descritti come pavidi adolescenti, non colpevoli di alcun atto violento, sono riconosciuti solo autori di occasionali "insidie" ai pollai, con l'eccezione della strage di dieci galline; ma le condotte tutte -opina Corio con ragionamento ai nostri occhi assai discutibile - avrebbero potuto agevolmente non produrre alcun esito dove vi fosse stato un recinto inviolabile, validamente protetto dagli attacchi dall'esterno o - si afferma - un minimo latrato di cani avesse svelato l'intenzione delittuosa. Si susseguono gli episodi incriminati: la sottrazione di due pignatte di bronzo e una bacinella di oricalco. Specchio dell'epoca, ancora segnata da una nutrita serie di immunità e privilegi, da violenze e incerti confini tra l'illecito e la legalità, è la difesa approntata dallo stesso Corio "pro Antonío Rognono dícto íl Brugnone Satellíte Guríae Laudensís" (USM, 33). Il primo tema messo a fuoco con adeguato corredo dotto, com'era ri-chiesto al tempo ed esigeva la complessa situazione all'origine delle accuse, è l'im-munità locale, ovvero il diritto di asilo, del quale ancora godevano la Chiesa e gli edifici ad essa pertinenti a metà Settecento: nel Ducato di Milano negli anni Cin-quanta l'istituto, nello svolgersi di una politica giurisdizionalista dai toni sempre più accesi, è al centro di trattative tra l'autorità civile ed il potere ecclesiastico, che sfo-ciano in un compromesso, ma si conserva ed è ancora, sebbene discusso e contestato, "in viridi observantia", come del resto attesta proprio la difesa a favore del Brugnone svolta da Corio, intenzionato a scendere nell'arena - questa la terminologia impiegata carica di retorica, - per vendicare da un canto lo íus ecclesíae, dall'altro garantire la sicurezza dell'inquisito contro la forza del Fisco (Rossi Ichino, 1982; Capra, 1993; Latini, 2QQ2). Convinto della delicatezza della questione, egli, di solito difensore dell'immunità ecclesiastica, si trova, infatti, per cosi dire sull'altro fronte, ad assistere un presunto víolator ímmunítatís. 474 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: L'INTERPRETE, IL DIRITTO, LA VITA ..., 453-490 Uno sbirro, il "satellite" (Antonielli, 1993; 1995; 2002; 2006; 2008, 168 ss.)13 Antonio Rognone detto il Brugnone, della Curia lodigiana, assieme ad un suo collega, Salvatore, identificato nel "costituto" (Garlati Giugni, 1999)14 anche con la paternité ("detto ora fu Gio. Salvatore"), entra armato nella Chiesa Parrocchiale di Brembio per "estrarre" da essa un certo Masserone, che era fuggito dalle carceri dell'autorità civile ed aveva poi cercato asilo in un luogo protetto da immunité. L'ingresso violento degli sbirri causa un tumulto popolare e la morte del compagno del Brugnone. L'accusa per il Brugnone è infatti di "violenta errezione della detta Chiesa Parrocchiale di Brembio del suddetto Masserone tentata da lui C. e dal detto ora fu Gio. Salvatore, rispettivamente armati, per causa del qual attentato segui non solo popolare tumulto nella stessa Chiesa, ma anche la morte dello stesso Gio. Salvatore"e, secondo capo di imputazione, "omicidio da lui C. mediante l'esplosione di detta sua pistola commesso nella persona del detto Bassiano Prada, e con la successiva manomissione di detto suo coltello evaginato." Quanto al primo capo contestato, Corio si preoccupa di dimostrare, grandi autori alla mano contrari e giurisprudenza del Senato milanese sulla medesima linea - la guida è Giulio Claro, che afferma verior et etiam magis communis l'opinione sfavorevole all'accusato (Claro, 1626, 311) - la legittimità del tentativo degli sbirri, categoría di "poliziotti", titolari di funzioni di ordine pubblico, tuttavia assai screditati nella società coeva e comunque considerati "una sorta di intoccabili" (Antonielli, 1995, 32), al fine di "estrarre" dalla chiesa il carcerato, che era evaso dal luogo di custodia laico. Ma, se anche cosi non è - ragiona Corio - la condotta degli esecutori di giustizia merita di essere derubricata: non si tratta di una violenta errezione poiché il tentativo di estrazione non avvenne con le armi, portate del resto a buon diritto dal Brugnone e da Salvatore, né si tratta di un crimen laesae maiestatis, integrato da una supposta violazione della immunità ecclesiastica, da punire con pena capitale, perché le modalité e circostanze dell'azione, compiutasi non a mano armata, o contro ministri del culto, o durante la celebrazione della messa, devono indurre a mitius iudicandum; ché anzi gli stessi trasgressori potrebbero anch'essi godere dell'immunità del luogo, non negata a quella tipologia di reati "nisi in personam principis delinquentibus." La ricostruzione dell'evento contestato per secondo, desunta dalle prove raccolte, fa perno invece su elementi tra loro in contraddizione - almeno questa è la tesi soste-nuta nello scritto. Ecco i fatti, quali sono descritti dal giureconsulto: i due sbirri, indaf-farati in copiose bevute d'osteria in osteria, sono raggiunti da un terzo compagno, Pe- 13 I satelliti, chiamati anche sbirri, birri, sgherri, esecutori di giustizia al servizio dei tribunali di giustizia, erano organizzati in "famiglie" da tre a venticinque uomini sotto il comando di un bargello responsabile della loro organizzazione e condotta. 14 Ivi la definizione tratta dal Ristretto della prattica criminale per lo Stato di Milano, quasi coeva ai nostri atti: "Constituto altro non é che interrogazioni fate al reo circa il delitto del quale viene incolpato, per poi convincerlo e castigarlo." 475 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: L'INTERPRETE, IL DIRITTO, LA VITA ..., 453-490 rez detto il Sbirretto, che annunzia loro la fuga di Massirone, prima custodito in un'osteria legato da funi dopo la cattura (in flagrante), quale ladro armato. I due si danno subito all'inseguimento del fuggitivo; al loro tentativo di cattura, giunti nella chiesa dove il ladro si era rifugiato, si oppone la folla li convenuta per la celebrazione della festività della S. Croce: circondandoli, li colpisce con forza con rudi bastoni, al punto che Salvatore non ne esce salvo (anzi diremmo meglio vivo), mentre Rognone non riesce a sfuggire all'urto degli inferociti rustici. Parte un colpo di archibugio ad intento intimidatorio, "non sane ad feriendum," non cioè con l'intenzione di provocare lesioni. Nessuno al momento soccombe, ma dopo pochi giorni Bassiano Prada muore. Gli interrogativi che si pongono riguardano perciô l'identità di chi sparô, se l'incriminato Rognone abbia in effetti sparato il colpo e, in caso affermativo, se gli possa essere contestato l'omicidio. Rognone nega di avere sparato, adducendo ad argomento a favore la circostanza che il suo archibugio fosse stato trovato carico dopo l'incidente; d'altro canto le deposizioni testimoniali raccolte non danno in prima battuta alcuna certezza e nessuna prova a carico, ma gli stessi testimoni, escussi una seconda volta davanti al Vicario di Giustizia per pressioni della Comunità di Brembio, che temeva ripercussioni dalla vicenda, forniscono una versione diversa dei fatti ritrattando la loro precedente testimonianza e rendendosi colpevoli di falso e sper-giuro, tanto da rendere configurabile una loro subornazione. Manca perciô la prova sicura sull'autore dello sparo, mentre sembra evidente la subornazione di alcuni testimoni, nonché l'aggressione da parte dei fedeli e dello stesso arciprete nei confronti degli sbirri, ampiamente attestata, e tale da culminare nella morte, poco prima dell'alba successiva, del secondo, "qui profundis plagis af-fectus, funibusque immaniter tota nocte perstrictus, mortalissimo dolore deficiens, paulo ante lucem exanimatus est." Anche concesso e numquam admisso che Bru-gnone abbia sparato dei colpi, li ha sparati per legittima difesa. Ed ecco il giurista snocciolare, con buono spirito di sintesi e conoscenza sicura dei cardini dell'istituto, la teorica della legittima difesa, vale a dire del moderamen inculputae tutelae, con i requisiti, modus, tempus, causa, integrati nella condotta dello sbirro lodigiano, che ha agito armato (ma anche i bastoni degli avversari rientrano nel genere delle armi e si rispetta quindi l'aequalitas armorum), nell'immediatezza di un pericolo di vita e per difendersi, non dunque per vendetta. All'argomento opposto dal Fisco, che sosteneva le ragioni dell'accusa, e identificava in Brugnone la causa prima della rissa, perciô colpevole degli eventi successivi per la sua condizione di dans operam actui illicito, Corio oppone, con suffragio di dottrina, la possibilità di infliggere al suo assistito quanto meno una pena diversa dall'ordinaria. "Minimizzato" l'omicidio, commesso per legittima difesa, si materializzano gli estremi per inserirlo tra i delitti protetti da immunità ecclesiastica. La stessa tentata violazione dell'immunità non deve perciô essere colpita da pena corporale specialmente avendo riguardo all'età dello sbirro meno che ventenne, "vix quartum aetatis suae lustrum attingente;" in maniera 476 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: L'INTERPRETE, IL DIRITTO, LA VITA ..., 453-49Q analoga l'omicidio, se pure si intravedesse in esso un eccesso di legittima difesa, deve sfuggire alla pena ordinaria ed anche per l'eccesso merita di essere punito "quam mitius". Il processo qui descritto solo in alcuni dei tanti dettagli trasmessi dagli atti di difesa, fa risaltare l'opera del difensore. Erigendosi ad interprete della vita e della società coeva, la rappresenta in tutta la sua drammaticità e problematicità attraverso 10 specchio del diritto. Intermediario avveduto tra la società, di cui conosce i mec-canismi psicologici e i comportamenti individuali e collettivi (nel caso le reazioni della folla e dei singoli intimoriti), e il sistema giuridico, in quel momento storico pieno di ombre e con poche certezze, cerca di comporre gli interessi contrastanti in una visione di equilibrio. Non potendo tracciare con sicurezza i confini tra buoni (la folla) e cattivi (gli sbirri), la soluzione ispirata alla clemenza, suggerita da Corio, appare preferibile e più equa. Un altro caso, del quale si riporta la memoria tra le difese del Corio, ha per og-getto un furto (o più furti, in ispecie tre) di non gran valore, per un totale di circa lire 425, commesso ai danni di un cassiere di nome Montemerulo da un certo Pietro Ghilardino (USM, 5), che prestava frequentemente la sua opera come facchino sala-riato addetto al trasporto del sale dalle navi al deposito, al servizio dello stesso cas-siere. Nella difesa sono descritte con cura le circostanze del fatto. Presupposto della vicenda è la negligenza del cassiere, che non aggiusta la chiave della cassaforte, dove è custodito il denaro, e crea, con la sua condotta, l'occasione a Ghilardino di proget-tare un piano per sottrarlo. L'imputato, favorito dall'oscurità, si apposta sotto l'abaco "vulgo Banco", che appare idoneo a fornirgli un riparo; preleva ogni volta, di seguito in tre soluzioni, "incredibili facilitate", quanto gli occorre per le sue esigenze urgenti e aspetta di saltare fuori del suo nascondiglio approfittando di un momento favore-vole di confusione intorno a lui. Alla quarta sortita è sorpreso in flagrante da Monte-merulo. L'autore del reato confessa, con umiltà, il misfatto e manifesta il suo penti-mento sincero, tanto più sentito per aver egli violato la fiducia in lui riposta e per l'averla violata per procurarsi denaro a soddisfare la passione per il gioco del bí-ríbís.15 Questo il fatto. Segue la difesa di Corio ín puncto íurís, ancorata ad una serie di argumenta: si punta innanzitutto sulla qualifica di furto domestico dell'evento, che vieterebbe di perseguirlo ad onta di una consuetudine contraria vigente nel Ducato, ricordata sulla scorta di Egidio Bossi, e suscettibile tuttavia di deroga, a detta di Giulio Claro, per i furti lievi (Bossi, 1562, 296; Claro, 1626, 77-78); poi sulla qualifica di furto lieve per 11 furto perpetrato. In soccorso del difensore viene Bonifacio, che autore di un ap-prezzato trattato De íurtís, aveva elaborato un concetto, per cosi dire relativo, del carattere lieve o grave del furto, comparandolo alla situazione patrimoniale della 15 Una sorta di lotteria di oggetti e denaro. 477 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: L'INTERPRETE, IL DIRITTO, LA VITA ..., 453-490 vittima del reato e facendo discendere diverse conseguenze punitive dalla sua ricono-sciuta ricchezza o povertà: applicando tale costruzione al caso di specie, Corio puô agevolmente concludere che i "Publicani Salis", i gestori pubblici del commercio del sale, non versano di certo in condizioni di indigenza; d'altro canto il cassiere e i suoi fideiussori avrebbero potuto incorrere in responsabilità per colpa lieve per i danni provocati dal furto, date le circostanze temporali dell'azione delittuosa e l'impreve-dibilità della stessa. Ma un altro elemento puô essere preso in considerazione a favore del difeso: il fatto che il Ghilardino sia un "ladruncolo imbelle" piuttosto che un ladro. Come si fa rilevare, si è trovato nella condizione di rubare molto di più ed invece si è limitato a sottrarre piccole somme: una difesa che sembra, a mio avviso, molto efficace, non svuotata da quest'ultimo poco convincente argumentum e dalla citazione di un passo evangelico "Fur non venit, nisi ut furet, et mactet, et perdat" (Joh. 10.10). Ma il nostro volonteroso difensore si appoggia in particolare, per conseguire un risultato non letale per il suo assistito, sull'unicità del furto commesso: su tale aspetto non esita a sfoderare la migliore dottrina, da Angelo Gambiglioni d'Arezzo a Claro e a Prospero Farinaccio, usati per dedurre l'unicità, giustificata dall'unico obiettivo perseguito e dalla continuità temporale del progetto criminoso, unificato perciô dal fine e dall'og-getto. Ancora: sulla scorta degli autori or ora menzionati, si deve applicare la massima che autorizza nella materia penale l'interpretatio in mitiorem partem, escludendo perciô un'interpretazione della condotta criminosa come reiterazione del furto fino a raggiungere la soglia pericolosa dei tre atti (Alessi, 1973). Ma la difesa più impegnativa, tale da assorbire in misura pressante il nostro Corio, è quella di Giuseppe Antonio Doscio, "appellato il Genovesino da Malgrate"16 (USM, 35; 36; 37; 38), accusato del "numero considerabile di quattordici reati, introdotti per la maggior parte colla fatale espressiva di Lesa maestà," commessi all'inizio del 1746, in un momento storico di transizione e confusione politica per il Ducato di Milano, passato in breve tempo sotto il dominio franco-ispano e poi ritor-nato nel pieno potere della Casa d'Austria (Cusani, 1864, 122-193; Annoni, 1959, 215-227; Capra, 1987, 126-127): un incarico, quello di prendere le difese di un simile imputato, che sembra atterrire il Protettore, pronto a dichiararsi di forze e capacità impari rispetto al compito affidatogli, di fronte ad altri, ben più competenti di lui ad assolverlo. Quasi come premessa alle successive sezioni del suo scritto, dedicate all'esame dei fatti e alla loro trattazione in puncto iuris, ritiene opportuno tracciare un breve ma efficace profilo del reo, senza mancare di ricordare, seguendo questa strada, il monito del legislatore romano a valutare, nel perseguire il reato di lesa maestà, la persona dell'agente, il suo passato, la sua capacità di commettere il crimine contestatogli e di pensarlo.17 Ne viene l'abbozzo di una personalità scarsamente predisposta, per la storia 16 Malgrate è un comune attualmente in provincia di Lecco. 17 Si riporta il frammento della compilazione giustinianea, tratto dal Digesto (D.48.4.7.3), per maggiore 478 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: L'INTERPRETE, IL DIRITTO, LA VITA ..., 453-49Q personale, a compiere i terribili reati attribuitigli, quale la coglie e la descrive Corio nel suo vivere in separata economia, ormai emancipato dal padre, con la moglie e tre figlioli, "sempre castígatamente, non íacendo maí male ad alcuno, come sí ha daglí attestatí dí tuttíglí Oííící crímínalí, regístratínell'Oííensívo, e tenuto da tuttí ín buona ríputazíone," intento ad occuparsi del suo commercio di carbone e abituato, per ragioni di affari, a spostarsi da un luogo all'altro, dotato di "un talento assai pronto," notoriamente fedele agli austriaci e pronto a mettere a loro servizio le sue abilità. Si integra un simile ritratto con un elenco di azioni meritevoli, compiute nell'immediato passato ai servizi degli austriaci a partire da metà dicembre dell'anno precedente, il 1745: si ricorda cosi l'incarico, assegnatogli con evidenza per le doti conosciute, di scortare a Novara un messo del Comandante di Lecco, latore di lettere destinate al Principe di Liechtenstein che, apprezzato il lavoro con parole di elogio, allegate agli atti in più attestati datati tra il dicembre ed i primi di gennaio del 1746, gli affida a sua volta un carico di lettere per il Gran Cancelliere e un servizio di scorta a due ufficiali austriaci; ancora un'analoga scorta a un corriere del Re di Sardegna, diretto a Novara all'inizio del 1746, quando già sul territorio si trovava l'esercito gallo-ispano, e, subito dopo, la missione quale corriere latore di missive dello stesso Principe al Gran Cancelliere attraverso un viaggio più lungo del preventivato per le operazioni di guerra in corso, irto di pericoli ( "valícando Montagne dí ghíaccío coperte, con esporsí ad evídentí perícolí della propría víta, soííríre dísastrí, íreddí, e píoggíe [...]"), superati "con ínvíncíbíle coraggío, perché anímato, e spínto dal genío dí servíre all'Augustíssíma sua Sovrana, come anche ín seno a ' perícolí contínuato avrebbe, se con ulteríorí comandí ne íosse stato sperímentato." Lo scopo che il difensore si prefiggeva, dimostrare una carriera di onorato servizio, dal quale inferire una successiva condotta, ispirata alla fedeltà alla monarchia asburgica, poteva dirsi "quasi" raggiunto. Con questi "precedenti" alle spalle, il Doscio viene accusato di una serie di reati, quattordici, commessi, a dire dell'accusa, ai danni degli austriaci da metà gennaio 1746, quando le truppe franco-ispane sono ormai insediate nel territorio lombardo, dove rimarranno per poco tempo. Una volta ritornata, Maria Teresa, oltre a dichiarare nulli tutti i decreti e gli atti degli occupanti, richiederà una dura punizione per tutti gli aderenti al "partito spagnolo", tra cui il principe Francesco Saverio Melzi, la contessa Clelia Borromeo del Grillo, il conte Giulio Biancani, "Regio feudatario d'Azzate, questore nel Maestrato ordinario e prima segretario del Senato Ecc.mo", che finirà al patibolo decapitato il 26 novembre 1746 con una cerimonia di particolare solennità, di cui mi sono occupata in questa stessa sede (Cusani, 1864, 122 ss.; Annoni, 232239; di Renzo Villata, 2QQ7, 535-536). comprensione del lettore: "Hoc tamen crimen iudicibus non in occasione ob principalis maiestatis venerationem habendum est, sed in veritate: nam et personam spectandam esse, an potuerit facere, et ante quid fecerit et an cogitaverit et an sanae mentis fuerit [...]". 479 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: L'INTERPRETE, IL DIRITTO, LA VITA ..., 453-490 Le accuse formulate a carico del Doscio sono pesanti: dalla diserzione dal campo austríaco per passare al servizio del nemico, in veste di "patentato come provveditore del Forte di Fuentes," all'azione volta ad intercettare, con l'ausilio di soldati nemici, la corrispondenza austriaca, fatto peraltro confessato ma senza la presenza di un corpo di reato, alla sottrazione, in concorso con altri quattro individui, di lettere e denari ad un corriere del re sabaudo e ad un postiglione "avendo in tal modo co-operato allo scoprimento degli Arcani importantissimi al Cesareo Reale Servizio e de ' suoi Alleati, e in conseguenza commesso il delitto di lesa M.; e con avere altresi commessa alla strada pubblica una rubberia di detta considerabile somma. " E si prosegue con il fiancheggiamento, portato alle azioni del nemico attraverso lo spionaggio, ed altre condotte variamente dannose agli austriaci, fino alla detenzione di due pistole corte e di un coltello con punta acuta, minuziosamente riportate in un insidioso elenco, contestato nel dettaglio dall'agguerrito difensore, tutto teso a dimostrare l'assenza di dolo malo nell'assistito con l'ausilio della migliore dottrina di diritto comune e dei giusnaturalismi più stimati come Pufendorff, Grozio, Barbeyrac e Coccejus, che servivano ad appoggiare la versione di Corio giustificando parte delle azioni compiute in quei particolari frangenti, per obbedienza agli ordini superiori, e lo stato di sudditanza del Doscio nei confronti del nemico. Appare fuori luogo in questa sede ripercorrere punto per punto i fatti e gli argomenti portati a favore: si puô solo qui mettere in luce come Corio si impegni, per il tramite della scienza giuridica più aggiornata all'epoca, per minimizzare il com-portamento delittuoso del povero Doscio, le cui tracce si perdono nei meandri della storia: i Registri dei giustiziati, conservati e da me consultati per quel periodo, non menzionano nessuna esecuzione capitale a quel nome. Rimane ora da trarre qualche breve conclusione, che conferma quanto da me osservato all'inizio di queste pagine: le Allegationes, sulle quali si è concentrata la mia attenzione, in specie quelle penali, si presentano come uno straordinario stru-mento per conoscere in maniera non conformista, dall'interno, lo stile di vita, le abitudini e i costumi degli uomini del tempo, le loro paure e i pregiudizi, l'atmosfera e l'ambiente, offrendoci, sia pure con la deformazione creata dalla lente del racconto processuale, una rappresentazione verace dell'epoca, capace di verificare se gli stereotipi con i quali si è soliti parlarne corrispondano ad un'effettiva realtà o siano frutto di fertile immaginazione. L'interprete, sotto le spoglie del difensore, intermediario e cinghia di trasmissione tra la società ed il sistema giustizia, collabora a questo processo di conoscenza, talora, anzi spesso fornendoci la versione "buo-nista", in termini di diritto e secondo il suo dovere professionale, ma non al punto da alterare la veridicità delle testimonianze, trascritte con generosa abbondanza e frequenza negli atti. E' messa in pieno risalto una fonte, quella delle Allegationes, che mantiene intatto, a distanza di secoli, un fascino discreto, dal quale lo storico puô facilmente essere attratto. 480 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: L'INTERPRETE, IL DIRITTO, LA VITA ..., 453-490 RAZLAGALEC, PRAVO, ŽIVLJENJE. NEKAJ OPOMB K LOMBARDIJSKI ZBIRKI ALLEGATIONES (18. IN 19. STOLETJE) Maria Gigliola DI RENZO VILLATA Univerza v Milanu, Pravna fakulteta, Oddelek za zasebno pravo in zgodovino prava -zgodovina srednjeveškega in novoveškega prava, IT-20122 Milano, Via Festa del Perdono, 7 e-mail: gigliola.direnzovillata@unimi.it POVZETEK Zbirka Allegationes, ki jo hranijo na Oddelku za zasebno pravo in zgodovino prava Univerze v Milanu, predstavlja privilegirano gledišče, s katerega lahko opazujemo in dojemamo značilnosti pravnih sprememb v Lombardiji skozi stoletja. Viri odražajo postopno preobražanje, kar je med drugim tudi zasluga inteligentnega in včasih nedvomno ustvarjalnega delovanja razlagalca-odvetnika, ki sledi razvoju prava in predvsem pravne kulture ter v zadevnih aktih beleži dogajajoče se preobrazbe. S takšnim pristopom se obenem prilagaja družbenemu razvoju, ki je na prehodu iz 18. v 19. stoletje izrazito živahen, pri čemer tisto, kar je staro, še vedno simptomatično pogosto vdira na prizorišče. V razpravi obravnavamo zlasti nekatere procesne, posebej kazenske zadeve, kijih rekonstruira zagovornik (v omenjenih primerih zaščitnik zapornikov, poklican, da s svojo zagovorniško veščino pomaga siromašnim obtožencem), in preučujemo njihove različne vidike. Pri tem ne spregledujemo stvarnega dejstva, ki predstavlja njihovo temeljno predpostavko in lahko ponuja (poseben in običajnemu bralcu stežka dostopen) ključ za razlago družbenega in ekonomskega okolja, kjer nastaja kriminal, pa tudi prevladujočih idej. Enak pomen je pripisan zasnovi pravnih podlag, ki črpa iz celotnega argumentativnega repertoarja, kakršnega je skozi stoletja - vse do piščevega časa - ustvarila doktrina občega prava, takrat pa je bil postavljen pod izrazitejši racionalni nadzor, prav kakor najbolj aktualno pravno-filozofsko mišljenje. Dragoceni vir, ki smo ga vzeli za predmet raziskave, izpričuje, kakšni so raznoliki pomeni teh pravnih podlag. Od tod razpoznavamo vlogo odvetnika kot polnokrvnega pričevalca, ki prikazuje napredno vrenje in konzervativne reakcije tistega časa, iščoč ravnovesje med konfliktnimi interesi. Po tej poti se Allegationes kažejo kot izjemno orodje za nekonformistično, od znotraj izhajajoče spoznavanje življenjskega sloga, navad in običajev tedanjih ljudi, njihovih strahov in predsodkov ter vzdušja in okolja; ponujajo nam, čeprav skozi deloma izkrivljeno optiko pripovedi o procesu, prepričljivo repre-zentacijo dobe, prek katere lahko preverimo, če stereotipi, ki jih običajno uporabljamo, ko o njej govorimo, ustrezajo konkretni stvarnosti ali pa so zgolj plod živahne domišljije. Razlagalec v podobi zagovornika, posrednika in transmisijskega člena med družbo in pravnim sistemom sodeluje v tem spoznavnem procesu; včasih oziroma kar pogosto nam posreduje različico, kije v skladu s pravnimi okviri in njegovo poklicno dolžnostjo "tolerantna", a ne do te mere, da bi načela verodostojnost pričevanj, ki so 481 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: L'INTERPRETE, IL DIRITTO, LA VITA ..., 453-490 bila v veliki meri in redno prepisana v akte. Diskretni šarm Allegationes, ki je skozi stoletja ostal neokrnjen vse do današnjih dni, prevzame zgodovinarja, ki iz njega lahko črpa koristne spodbude za širitev svojih obzorij, vse do v marsičem neraziskanih pokrajin petite histoire. Ključne besede: Allegationes, civilno zagovorništvo, civilno pravo, zagovorništvo kriminala, kriminalno pravo, zaščitnik zapornikov, kazniva dejanja, smrtna kazen, 18. stoletje, Lombardija FONTIE BIBLIOGRAFIA18 ASMi, 1 - ASMi (Archivio di Stato di Milano), Collegio Notai (CN), cart. 170: Collegio Notai (con fascicoli di comparizione ordinati per notai relativi al 1737). ASMi, 2 - ASMi, CN, cart. 171: v. Elenco causidici collegiati per alfabeto. ASMi, 3 - ASMi, Fondo Culto (FC), p.a., cart. 1506: Confraternite. Comuni. Milano. ASMi, 4 - ASMi, FC, p.a., cart. 1506: Confraternite. Comuni. Milano. Fasc. S. Giovanni Decollato detto alle Case Rotte 1589-1628 al 1788. ASMi, 5 - ASMi, Fondo di Religione (FR), cart. 577: Capitoli ed Ordini della nobilissima congregazione di S. Giovanni Decollato, alle Case Rotte, detto de Bianchi, dell'inclita cittá di Milano, corretti e ristampati[...], Milano, eredi di Giovan Battista Malatesta, 1654. ASMi, 6 - ASMi, FR, cart. 582. ASMi, 7 - ASMi, Fondo Giustizia punitiva, p.a., cart. 43. ASMi, 8 - ASMi, Fondo notarile (FN), cart. 43420 (dal 1737 al 1760). ASMi, 9 - ASMi, FN, cart. 43421 (dal 1760 al 1770). ASMi, 10 - ASMi, FN, cart. 43422 (dal 1770 al 1780). ASMi, 11 - ASMi, FN, cart. 43423 (dal 1781 al 1789). ASMi, 12 - ASMi, Fondo Uffici giudiziari (FUG), p.a., cart. 225, fasc. Protettori dei carcerati (PC): A Z, "Acquanio D.r Angelo". ASMi, 13 - ASMi, FUG, p.a., cart. 225, fasc. PC: A Z, sottofasc. "Aliprandi". ASMi, 14 - ASMi, FUG, p.a., cart. 225, fasc. PC: A Z, sottofasc. "Recalcati". ASMi, 15 - ASMi, FUG, p.a., cart. 225, fasc. PC: A Z, sottofasc. "Repristinazione dell'Uffizio gratuito dei Protettori de Carcerati in Milano, e nomine fatte". ASMi, 16 - ASMi, Luoghi Pii, p. a., cart. 310. 18 Nelle indicazioni bibliografiche che seguono riguardo ai documenti conservati nella raccolta di Allegationes iuris presso il DDPSDMi (v. infra) sono sempre aggiunte, per facilitarne il reperimento trattandosi di documenti pur a stampa ma assai raramente presenti in altre biblioteche italiane ed europee, le segnature relative. 482 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: L'INTERPRETE, IL DIRITTO, LA VITA ..., 453-490 AV, 1 - Fondazione Mattioli per la storia del pensiero economico. Archivio Verri. Università degli studi di Milano, ms. 358: Memorie riguardanti il conte Don Gabriello Verri. Bossi, E. (1562): Tractatus varii, qui omnem fere criminalem materiam [...J com-plectuntur, et in quibus plurima ad fiscum, et ad principis autoritatem [...J expli-cantur [...J una cum indice [...J copiosissimo [...J. Lugduni, apud Sebastianum Honoratum, ex typographia Iacobi Faure. Calendario (1793): Calendario ad uso del foro per tutta la Lombardia austriaca. Milano, Stamperia di Francesco Pogliani. Claro, G. (1626): Opera omnia, sive practica civilis atque criminalis cum doctissimis additionibus [...J D. D. J. B. Baiardi [...J B. Rosignoli ... H. Giacharii [...J J. Guiotii [...J A. Droghi [...J Liber Quintus Sententiarum. Venetiis, ex Typographia Baretiana. Constitutione« Dominii Mediolanensis (1747): Constitutiones Dominii Mediola-nensis decretis et Senatus-consultis nunc primum illustratae curante comite Gabriele Verro. Mediolani, in regia curia sumptibus Joseph Richini Malatestae regii typographi. Digesto (530-533): Digesta seu Pandectae. D. 48.4.7.3. Farinaccio, P. (1613-1616): Praxis et theorica criminalis. Lugduni, sumptibus Iaco-bi Cardon et Petri Cavellat. Rainaldi, G. D. (1735): Obervationes criminales, civiles et mixtae. Vol. III. Ed. Venetiis, ex typographia Balleoniana. USM, 1 - Università degli Studi di Milano (USM), Dipartimento di diritto privato e storia del diritto (DDPSD), Allegationes iuris (AI), 67.XI.B.046.07. Cauda, D. L.-Baldassare G.-G.-Fiorito (1816): Ragionamento detto avanti la seconda classe dell'Ecc.mo Reale Senato di Piemonte nella causa dei poveri Gioanni e Giuseppe fratelli Mazza [...J contro la Veneranda confraternita del Suffragio. Torino, Domenico Pane. USM, 2 - USM, DDPSD, AI, 67.XI.B.046BS.01. Pinelli P. L. (1842): Ragionamento per la Signora vedova Piacentini-Omodeo [...J contro la Congregazione Provinciale di Carità di Vigevano nella causa vertente davanti l'Eccellentissimo Real Senato di Casale intorno alle disposizioni testamentarie dell'avvocato Gaspare Piacentini. Casale, dai Fratelli Corrado. USM, 3 - USM, DDPSD, AI, 67.XI.B.046BS.03. Sineo R.-Villanis1 (1836): Osser-vazioni in confutazione del ragionamento esposto all'udienza del 7 marzo 1836 per parte della signora Marietta Ballio nata Lampugnani. Torino, Alessandro Fontana. USM, 4 - USM, DDPSD, AI, 67.XI.B.046BS.04. Sineo R.-Villanis2 (1836): Ragionamento esposto all'udienza dell'eccel.mo real Senato di Torino addi 7 marzo 1836. Torino, coi tipi di Alessandro Fontana. 483 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: L'INTERPRETE, IL DIRITTO, LA VITA ..., 453-490 USM, 5 - USM, DDPSD, AI, 67.XI.B.046BS.05. Demargherita L. (1836): Ragiona-mento in materia statutaria per la nobildonna Marietta Lampugnani vedova Ballio milanese [...] contro li signori Filippo, Giovanni Alessandro e Giacomo Ballio pur milanesi. USM, ó - USM, DDPSD, AI, 67.XI.B.046BS.06. Cornero-Priggione S. N.- Demargherita L. -Barocchio (1835): Disputa per li signori Gioanni e Giorgio Fratelli Mazza appellanti contro la signora Rosa Rosari vedova di Michele Mazza appel-lata davanti al'Eccell.mo R. Senato di Piemonte. Torino, Stamp. Speirani e C. USM, T - USM, DDPSD, AI, 67.XI.B.046BS.09. Buttafuoco G. (1843): Dissertazione in pro degli eredi della signora contessa M.D.T. intimati nella causa agitata dinanzi il Tribunale d'Appello dei ducati di Parma, Piacenza e Guastalla sedente in Piacenza contro il signor F.C. appellante. Piacenza, dai torchi di Antonio del Majno. USM, 8 - USM, DDPSD, AI, 67.XI.B.046BS.78. Estratto delle Profezie di S. Ce-sario vescovo d'Arles che trovasi alla prima pagina e seguenti nel Libro intitolato Mirabilis [sic!] esistente alla Biblioteca Nazionale di Parigi, USM, 9 - USM, DDPSD, AI, 67.XI.B.047.07. Foglio d'annunzi della Gazzetta di Milano di domenica 5 ottobre 1828. USM, 10 - USM, DDPSD, AI, 67.XI.B.047BS.01. Buttafuoco G. (1847): Discorso in grado d'appello a difesa dei diritti di proprietà della casa acquistata per giudiciale decreto dall'autore contro la dimanda in risoluzione istituita dai debitori espropriati precedenti proprietari. Piacenza, dai torchi di Antonio del Majno. USM, 11 - USM, DDPSD, AI, 67.XI.B.047TR.21. Foglio d'annunzi della Gazzetta di Milano del 'sabbato 19 maggio 1827'. USM, 12 - USM, DDPSD, AI, 67.XI.C.058.39. Pioltini G.-Biumi M. (1811): Li motivi di cassazione dedotti dal sig. Bonizio Trionfi nel suo ricorso contro la de-cisione del giorno 15 maggio 1811 proferita dalla Corte d'appello d'Ancona f. f. di revisione nelle cause di vecchio metodo, sono talmente fondati in fatto, ed in diritto, che non lasciano luogo a dubbio sulla nullità della detta decisione. [Milano], Cesare Orena, stamp. Malatesta. USM, 13 - USM, DDPSD, AI, 67.XI.C.062.23-24. Pioltini G.-Biumi M. (1811): Allegazione a favore del sig. Giuseppe Ignazio Trevisani che ha interposto ricorso contro la decisione pronunciata il giorno 26 marzo 1813 dalla Corte d'appello residente in Ancona. [Milano, 1813] Cesare Orena stamp. Malatesta). USM, 14 - USM, DDPSD, AI, 67.XI.C.063.35. G. Gambarana: Ricorso de' signori Zaccaria e Filippo [...] Capello contro la decisione della Corte d'Appello in Venezia che [...] dichiarô una monaca professa capace di acquistare e di disporre per atto tra vivi. Milano, C. Dova. USM, 15 - USM, DDPSD, AI, 67.XI.C.065.20. Se vi fu decisione la quale più d'ogni altra siasi perfettamente conformata alle leggi, dopo 1810] (In testa al front.: Suprema Corte di Cassazione). 484 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: L'INTERPRETE, IL DIRITTO, LA VITA ..., 453-490 USM, 16 - USM, DDPSD, AI, 67.XI.C.065.21. Memoria per l'amministrazione della Santa Casa di Loreto rappresentata da quel sig. vice prefetto Stefano Berselli ricla-mante per la Cassazione della decisione proferita dalla R. Corte d'Appello d'Ancona. USM, 17 - USM, DDPSD, AI, 67. XI.C.065.24. Mazzetti Antonio: Motivi del ri-corso in Cassazione interposto da Ricci, Maffei, Battisti ec. contro la sentenza criminale di vecchio metodo della Corte dell'Alto Adige [...]. [1810.]. USM, 18 - USM, DDPSD, AI, 67.XI.C.066.10-15. Per la signora Antonia Carrara qual tutrice della sua figlia Teresa, possidente, domiciliata in Fano, contro il sig. Leonardo Castracane anche qual cessionario dei fratelli [...] Ricorso [...] [dopo il 1811]. USM, 19 - USM, DDPSD, AI, 67.XI.C.072.03. Giunta delle Pie Fondazioni - Trotti L. (1784): Avviso intorno al metodo per l'accettazione e mantenimento degli Esposti nell'Ospedale di Santa Caterina alla Ruota, e delle condizioni delle loro Balie. Milano. USM, 20 - USM, DDPSD, AI, 67.XI.C.072.11. Istruzioni per le monache della Lombardia austriaca d'alcuni Istituti soppressi da Sua Maestá in tutt'i suoi domini. USM, 21 - USM, DDPSD, AI, 67.XI.C.072.20. Josephus II: incipit: Dipendendo la concessione dei feudi soltanto dalla sovrana Civile Podestá [...]. In Milano, nella Regia Ducal Corte, per Giuseppe Richino Malatesta, 27 giugno 1784. USM, 22 - USM, DDPSD, AI, 67.XI.C.078.21. C. Carena: Pro d. Bianca Maria Porona et fratribus Lonatis contra i. c. colleg. d. Caesarem Burrum. 1648. USM, 23 - USM, DDPSD, AI, 67.XI.C.078.35. F. Redenaschi: Mediolanensis Fidei-commissi de Castronovato. Romae 1647. USM, 24 - USM, DDPSD, AI, 67.XI.C.078.74. G. Dondeo: Pro DD. Constantino et consortibus Rouellijs aduersus D. Constantiam Catherinam Rouellam a Porta, [1647]. USM, 25 - USM, DDPSD, AI, 67.XI.G.012.45. Allegazione di replica per l'illus-trissima comunitá di Parma, e li signori Capitano Pietro Gio. Cattanej, e Giam-battista Tarchioni contro la Ragion cantante sotto il nome Fratelli Cioja di Milano nanti il Regio-Ducal Consiglio di Giustizia, e di Grazia, di Piacenza, e Parma. Piacenza, per Filippo Giuseppe Giacopazzi, 1750. USM, 26 - USM, DDPSD, AI, 67.XI.G.012.4567. Regio Editto proibitivo degli af-fittamenti [...] in data delli 19 luglio 1797. Torino 1797. USM, 27 - USM, DDPSD, AI, 67.XI.G.014.22. Pro ill.mo D. Marchione Io. Baptista Ariberto. USM, 28 - USM, DDPSD, AI, 67.XI.G.015.28. F.A. Tranchedini: Requisitus, an vidua in Civitate Mediolani lucretur iocalia, et causa eius parata, et quae, ideo pro veritate infrascripta his litteris amplecti, non dubitabo. Itaque propona iocalia, et dona sponsae tradita, quae sunt magni valoris censeri tantum comodata ad usu, et causa, atque gratia ipsius mariti, eiusque honoris, ut ornatior sponsa incedat, ut huius conclusionis antesignanus [...] - [17..?]. 485 Maria Gigliola DI RENZO VILLATA: L'INTERPRETE, IL DIRITTO, LA VITA ..., 453-490 USM, 29 - USM, DDPSD, AI, 67.XI.G.017.05. F.A. Tranchedini: Thesis pro Curia Archiepiscopali Mediolani. USM, 30 - USM, DDPSD, AI, 67.XI.G.017.27. Corio F. G.: Pro Joanne Maria Gilardo et Petro Joseph De Nicolla. USM, 31 - USM, DDPSD, AI, 67.XI.G.017.27. Corio F. G.: Pro Joanne Maria Gilardo et Petro Joseph De Nicolla, Fasc. 1rv-2r. USM, 32 - USM, DDPSD, AI, 67.XI.G.017.28. Corio F. G.: Pro Petro Ghilardino. USM, 33 - USM, DDPSD, AI, 67.XI.G.017.29. Corio F. 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