received: 2006-09-14 UDC 343.22:361.343-058.12(450.34)"17" original scientific article RITRATTO DI UN CRIMINALE ARISTOCRATICO NEL SETTECENTO Silvia GIRARDELLO Universita Ca' Foscari di Venezia, IT-30123 Venezia, Dorsoduro 3246 e-mail: silvia.girardello@libero.it SINTESI Il conte vicentino Gasparo Arnaldi (1671-1726), la cui vita era stata costellata da numerosi crimini, a causa dei quali era stato, in piu occasioni, processato dal ve-neziano Consiglio dei dieci, viene in questa sede presentato cercando di coglierne i tratti criminali e devianti. La descrizione trae materia dalle deliberazioni delle autorita giudiziarie e dalle suppliche delle vittime cui si contrappongono, in una triade insolita, le riflessioni dello stesso Arnaldi e le memorie di un compagno di carcere. Parole chiave: Gasparo Arnaldi, Repubblica di Venezia, criminale, peccatore PORTRAIT OF AN ARISTOCRATIC CRIMINAL IN THE 18th CENTURY ABSTRACT The presentation of Count Gasparo Arnaldi from Vicenza (1671-1726), whose life was rich with numerous crimes for which he was put on trial several times by the Venetian Council of Ten, will attempt to cover all his criminal and deviant features. The description is based on an analysis of deliberations of judicial authorities and pleas of victims juxtaposed to - in an unusual triad - reflections of Arnaldi himself and the memories of one of his fellow prisoners. Key words: Gasparo Arnaldi, Republic of Venice, criminal, sinner 595 Silvia GIRARDELLO: RITRATTO DI UN CRIMINALE ARISTOCRATICO NEL SETTECENTO, 595-606 Il 25 settembre 1722 il conte Gasparo Arnaldi, rampollo di una delle più prestigiose famiglie nobili della città di Vicenza, veniva condannato al carcere perpetuo in un camerotto all'oscuro nelle prigioni del veneziano Consiglio dei dieci. La condanna rappresentava l'epilogo, drammatico per il conte, di una vicenda iniziata alcuni anni prima a Vicenza, uno dei grandi centri della terraferma veneta, il primo a scegliere, nel Quattrocento, la dedizione alla Repubblica di Venezia. Tra i mesi di maggio e giugno del 1717, la città era stata sconvolta da due omicidi che avevano destato non poco sconcerto, non solo per la loro efferatezza, ma soprattutto per le evidenti analogie che sin dall'inizio avevano presentato. Entrambi i delitti erano infatti avvenuti di notte, con armi da fuoco, secondo dinamiche proprie di una esecu-zione. Le stesse vittime avevano molti elementi in comune: una stretta amicizia che li legava, lo stesso incarico professionale, le medesime conoscenze e frequentazioni. La rilevanza dei due episodi aveva comportato l'intervento del Consiglio dei die-ci, il tribunale veneziano che giudicava tutti i crimini gravi che accadevano nel territorio della Serenissima (Povolo, 1980, 238). Anche le famiglie delle vittime avevano chiesto, presentando una supplica allo stesso tribunale, che il processo fosse sottratto alle magistrature locali, ritenute troppo inviluppate in interessi particolaristici per operare con obiettività nel giudizio. Il Consiglio dei dieci aveva cosi deliberato la delegazione del processo ad una delle grandi corti della terraferma, la corte pretoria (Povolo, 1980, 157-158) di Padova, secondo il proprio rito. Si trattava di una procedura di natura strettamente inquisitoria, caratterizzata dalla segretezza - che riguar-dava sia il contenuto delle deposizioni, sia l'identità dei testimoni-accusatori che non veniva rivelata nè all'imputato nè agli altri testimoni - e dall'assenza degli avvocati. Il rito costituiva una peculiarità del solo Consiglio dei dieci, che aveva tuttavia la fa-coltà di delegarlo ad altri tribunali (Povolo, 1980, 164-166, 240 ss.). In seguito alla supplica di una delle due vedove, che aveva messo in relazione i due delitti, i processi erano stati unificati e successivamente avocati a Venezia dallo stesso tribunale veneziano. Alla luce delle informazioni raccolte durante la fase istruttoria, Gasparo Arnaldi veniva indicato quale mandante dei due omicidi; gli stes-si sicari venivano riconosciuti in uomini che gravitavano intorno alla sua casa. Al conte vicentino era stato intimato di presentarsi nelle carceri del Consiglio dei dieci. L'Arnaldi aveva cosi lasciato Vicenza e affrontato il processo, fiducioso in una sua positiva risoluzione. La sentenza aveva invece esiti del tutto diversi: il conte era ritenuto colpevole di aver commissionato i due omicidi e condannato, i suoi complici assolti. La chiusura di questo capitolo giudiziario, l'ultimo di una serie di altri processi che avevano scandito la vita del conte, rappresentava anche la fine di una lunga se-quenza di crimini di cui l'Arnaldi si era reso protagonista a partire dagli anni Novanta del Seicento. Nel 1695 infatti, poco più che ventenne, aveva subito un primo proces-so dal Consiglio dei dieci per aver ucciso un uomo. Bandito per non essersi presen- 596 Silvia GIRARDELLO: RITRATTO DI UN CRIMINALE ARISTOCRATICO NEL SETTECENTO, 595-606 tato alla giustizia, era peró riuscito a liberarsi alcuni anni dopo. Nel 1708 veniva ancora una volta processato per aver spinto un altro, con le sue percosse, al suicidio. Infine era stato coinvolto negli episodi del 1717. In occasione di questi procedimenti giudiziari erano emerse tutta una serie di angherie che il conte aveva perpetrato a più riprese ai danni di molte persone, minacce, percosse, violenze di ogni genere, mani-festazioni di un temperamento irrequieto e impulsivo, incline alla reazione violenta e spropositata nei confronti di tutto ció che contrastava con le sue idee e i suoi progetti. La documentazione relativa ai processi subiti dall'Arnaldi, che avrebbe rappre-sentato una fonte privilegiata per delineare un ritratto del criminale, non si è purtrop-po conservata. E' tuttavia possibile cercare di ricostruire quale fosse l'immagine che la giustizia aveva del criminale Arnaldi attraverso le deliberazioni del Consiglio dei dieci e i proclami emessi nei suoi confronti in occasione dei processi che lo avevano visto come protagonista. Le due tipologie documentarie si riferiscono a due momenti distinti, ma connessi tra loro, della procedura inquisitoria del tribunale veneziano. Le deliberazioni infatti contenevano la decisione della magistratura di proseguire, dopo una prima fase definita processo informativo, volta a raccogliere le notizie necessarie sul crimine commesso e ad individuarne i responsabili, il procedimento penale, rite-nendo che sussistessero elementi tali per perseguire l'accusato. I proclami, che veniva-no stesi subito dopo la deliberazione del Consiglio, possono invece essere considerati la manifestazione "pubblica" delle decisioni del tribunale, il momento in cui veniva cioè reso noto alla comunità, ma soprattutto all'imputato stesso, che il Consiglio dei dieci aveva avviato un procedimento penale nei suoi confronti. Contestualmente gli veniva intimato di presentarsi personalmente per "informar la giustizia et render conto " (ASVi, 1; ASVi, 2; ASVi, 3) delle imputazioni elencate nello stesso proclama. La descrizione del criminale, che le due tipologie documentarie forniscono, presenta una sostanziale identità di forme, termini e contenuti. L'immagine che da essi emerge, concreta, pratica, derivata dalla quotidiana azione giudiziaria, rispecchia il contesto giuridico estremamente pragmatico della tradizione veneziana, estranea al mondo del diritto comune e alle elaborazioni dottrinali dei giuristi. Del tutto assenti sono quindi descrizioni che facciano riferimento ad astratte "tipologie" criminali, quali potevano essere delineate nella trattatistica. La descrizione si articola invece su due piani complementan, talvolta costituenti un unicum narrativo, talvolta due parti del discorso nettamente distinte tra loro. In un primo momento viene delineato uno stereotipo del criminale piuttosto generico attra-verso alcuni termini, solitamente aggettivi, che sottolineano la natura malvagia del personaggio. Successivamente la descrizione si "personalizza" intorno alla figura che, caso per caso, incarna il deviante, soffermandosi sulle sue azioni. Azioni che vengono contestualizzate nello spazio e nel tempo, sono indicate le vittime, le moti-vazioni o non-motivazioni del reato. Nella deliberazione e nel proclama del 1695 contro Gasparo Arnaldi, i due momenti formano un'unica narrazione: 597 Silvia GIRARDELLO: RITRATTO DI UN CRIMINALE ARISTOCRATICO NEL SETTECENTO, 595-606 "Gasparo Arnaldi conte [...] odiato alla giustizia et a sudditi col sostenere parti di bravura e dannabilissima prepotenza, coll'andar armato d'armi lunghe e corte da fuoco, col opprimere li poveri insanguinandosi in essi e privandoli delle mercedi do-vutegli, dando percio mottivo à molti d'essagerare contro la fiera e perversa sua natura, [...] essendosi fatto conoscere in più tempi et occasioniper huomo di heretica pravità" (ASVe, 1). Le espressioni che definiscono lo stereotipo criminale e la descrizione delle azio-ni comunemente praticate dal conte sono comportamenti ancora generici, che si pre-cisano subito dopo quando il testo scende a descrivere nel dettaglio i singoli episodi imputatigli, le percosse inflitte a varie persone, ad un uomo nella piazza in giorno di mercato, ad un altro con il calcio della pistola, ai suoi lavoranti in campagna e le mi-nacce che ne erano seguite perchè costoro non si rivolgessero alla giustizia. Seguiva-no lo sfregio al volto di una donna definita sua concubina, l'inseguimento con armi in pugno della madre - che era riuscita a malapena a mettersi in salvo fuori di casa - fino all'omicidio commesso. La stessa articolazione, le stesse espressioni, ricorrono anche nel proclama. Molto più scarna nel delineare lo stereotipo criminale dell'Arnaldi è la delibera-zione del Consiglio dei Dieci del 1707. Unico riferimento in tal senso è la "inquieta natura " (ASVe, 2) del conte. Il proclama, scritto dalla corte pretoria di Padova cui era stata delegata la formazione del processo, si presenta invece più ampio. L'Arnaldi viene presentato "di natura torbida, inquieta, et incline alle prepotenze, et eccessi " (ASVi, 2). Segue, in entrambi i documenti, la descrizione, sempre piuttosto analitica e precisa, delle sue "imprese" delittuose, le percosse ad un uomo che si era poi suici-dato, le bastonate ad un altro, le espressioni "di sdegno" indirizzate al parroco di Settecà - centro poco fuori Vicenza dove il conte spesso risiedeva - il blocco con i suoi bravi di tutte le carrozze che transitavano sulla strada pubblica provenienti da Padova, per colpire un suo avversario. La deliberazione e il proclama del 1719 si presentano, nel complesso, più artico-lati ed estesi, come se alla maggiore gravità e quantità degli episodi imputati corri-spondesse una più impegnata elaborazione formale dei due testi. Le espressioni volte a delineare lo stereotipo del criminale vengono proposte ripetutamente all'interno della narrazione, frapponendosi ai singoli episodi e creando una sorta di cornice nella quale essi trovano una giustificazione e una ragion d'essere. In apertura della delibe-razione l'Arnaldi viene descritto "di genio altiero, superbo, di natura feroce e sanguinaria" (ASVe, 4), cui segue una serie di generici comportamenti criminosi, il venir meno al rispetto del principe, alle leggi, l'arrogarsi "privata autorità " (ASVe, 4), la bestemmia. Queste pratiche "abituali", generali, costituiscono un ulteriore substrato in cui si calano i singoli episodi. La connotazione del criminale si arricchisce, nel corso del testo, attraverso l'accen-tuazione di alcuni caratteri, l'animo perverso, i costumi violenti, le enormi colpe, la co- 598 Silvia GIRARDELLO: RITRATTO DI UN CRIMINALE ARISTOCRATICO NEL SETTECENTO, 595-606 scienza macchiata. Segue poi la lunga serie delle specifiche azioni delittuose. Azioni che sono elencate dalla più "leggera", l'aver trasformato la sua casa in ricovero di ban-diti, alla più grave, l'aver cercato di violare la segretezza del rito inquisitorio del Consiglio dei dieci "controinterrogando" i testimoni del processo per conoscere il contenuto delle loro dichiarazioni. Tra i due estremi si collocavano vari altri episodi, il contrab-bando di generi alimentari, le minacce ai dazieri, la detenzione di veleni, l'aver scroc-cato la pistola contro un altro nobile vicentino, fino alla commissione, a uomini della sua casa, dei due omicidi avvenuti nel 1717. Su questi omicidi la deliberazione del Con-siglio dei dieci si soffermava in modo particolare, descrivendo la sera in cui erano av-venuti, il luogo, la dinamica, sino a stabilirne i moventi. Analoga è la caratterizzazione del personaggio nel proclama, che ancora una volta non presenta variazioni di rilievo. La documentazione giudiziaria analizzata presenta, nel complesso, una semantica negativa volta a caratterizzare l'immagine del deviante - genericamente inteso - e dell'Arnaldi in particolare. Questa semantica negativa è costruita intorno a termini forti, "strepitosi", per usare un'espressione dello stesso Arnaldi, volti ad enfatizzare i tratti pericolosi, riprovevoli che devono classificare come outsider il criminale e provocare quindi avversione nei suoi confronti. Parole ricorrenti sono perverso, iniquo, attroce, pravità, offesa, assalto, ferezza, che suggeriscono un'idea di violenza e so-praffazione, ma anche parole quali sacrilego e dannato, che sottolineano una sovrap-posizione tra il criminale e il peccatore. E' questa una concezione tipica di un sistema di antico regime, che nel definire il reato fa riferimento "anche ad elementi extra-giuridici di tipo morale, o sociale, o naturale " (Ferrajoli, 1989, 365), una visione che il giurista Ferrajoli definisce sostanzialistica (Ferrajoli, 1989, 13-15, 365-367). La descrizione del deviante si articola cosi ulteriormente con quei tratti, quelle azioni, che rappresentano un "peccato" e che delineano nel complesso la figura del criminale-peccatore. Molteplici sono i riferimenti in tal senso nella documentazione analizzata. L'Arnaldi criminale infatti, oltre ad aver trasgredito le leggi del principe, ha violato anche "le sovrane leggi del signor Dio contro il quale per consuetudine espresse hereti-cali bestemmie, essendosi fatto conoscere in più tempi et occasioni per huomo di heretica pravità " (ASVe, 1). L'immagine che emerge è quindi quella di un personaggio non solo crudele, violento, malvagio, ma anche irriverente, blasfemo, sacrilego. Tale immagine si rafforza ancor più scorrendo il contenuto delle deliberazioni del 1707 e 1719. Nuovi episodi contribuiscono a confermare e calcare il quadro dell'Arnaldi. Una domenica mattina, a Settecà aveva "proferite parole di sdegno in chiesa contro il parroco della villa [...] in tempo che celebrava la santa messa, minacciandolo dopo terminata la mede-sima con la canna d'India " (ASVi, 2). E ancora, "ritrovandosi [...] in tempo di quaresima nella chiesa di San Michele di Vicenza et arrogando a se stesso le invettive che faceva in genere il zelo del predicatore e 599 Silvia GIRARDELLO: RITRATTO DI UN CRIMINALE ARISTOCRATICO NEL SETTECENTO, 595-606 scosso e trasportado dai rimorsi di una macchiata conscienza si levasse improvvisa-mente et uscisse alterato dalla chiesa medesima con dispreggio del detto predicatore proferendo contro lo stesso parole di strapazzo con osservazione e scandalo del popolo; cosí che il sacro ministro per esimersi da qualche maggiore insulto con-venne nel giorno susseguente dichiarir all'udienza che haveva parlato et intendeva parlare non giamai in particolare ma solo generalmente; onde chi fosse nel peccato si correggesse " (ASVe, 4). Sulla semantica negativa volta a connotare il crimínale e sulla sua caratterizza-zione come peccatore fa leva anche la retorica delle suppliche che i sudditi inviavano al Consiglio dei dieci al fine di sollecitarne l'intervento. Risulta in tal senso partico-larmente significativo il testo inviato a Venezia dalla vedova Gritti, nel 1707, all'in-domani del suicidio del marito. Attraverso una retorica permeata dalla captatio bene-volentiae, la supplica enumera i crimini di cui si è macchiato l'Arnaldi tracciando allo stesso tempo un ritratto del criminale. "S'attrova nella città di Vicenza il conte Gasparo Arnaldi che [...] con torbido genio manten patto di clarissima privata auttorità, non sono ne pochi ne lievi gl'ec-cessi da lui commessi di offese e di eccidio di persone per trattenerlo m 'inchino a rappresentar il suo terribilgenio nato alle violenze, solo attento all'oppressioni, fiero e formidabile per l'armi da fuoco, e per il seguito di privar di vita chiunque offeso procura di reclamare" (ASVe, 3). Oltre ad una semantica fortemente negativa, non manca, anche in questo testo, la descrizione di episodi che facessero dell'Arnaldi una figura sacrilega e blasfema: "professando il detto conte Gasparo ingiusto disgusto con prè Ottavian Toldo [...] mentre nella chiesa parrocchiale in giorno di festa nell'atto della celebration della santa messa gli fu datto secondo l'uso a baciare la pace, in vece d'offerir la solita pia elemosina posse nella borsa due balle dipiombo da schiopo " (ASVe, 3), cui seguiva il racconto di come avesse sottratto dalla chiesa di Settecà la vecchia fonte battesimale, che era stata sostituita, portandola nella propria casa per usarla come abbeveratoio per gli animali. La supplica, che per sollecitare l'intervento del tribunale doveva far leva su un sentore comune, enfatizzandolo, illustra anche con chiarezza l'ideologia che sta alla base della percezione e definizione del criminale. Egli è semplicisticamente tale per sua natura, un "genio nato alle violenze". Proprio perché l'essere criminale è un elemento "innato", la punizione non sempre puó recuperare una natura malvagia. Per contro, la perseverante pratica delittuosa comporta una incorreggibilità di fondo che rende vano ogni tentativo di recupero. Il deviante, percepito secondo questi termini, rappresenta un elemento di disturbo nella e della società. Egli va quindi eliminato, allontanando cosi, un sintomo ma non la malattia. "Fu reo d'altri misfatti il conte Gasparo Arnaldi e fu corretto colla pena; punito con bando capitale [...] ma tal castigo nulla valse a corregger la sua depravata na- 600 Silvia GIRARDELLO: RITRATTO DI UN CRIMINALE ARISTOCRATICO NEL SETTECENTO, 595-606 tura, il suo cuore è troppo indurratto perció convien sradicarlo sin dal profondo come pianta velenosa " (ASVe, 3). Nella documentazione giudiziaria mancano espliciti riferimenti di tal genere sulla natura del crimínale. Possiamo peró supporre che l'ideologia fosse ampiamente diffusa e condivisa, essendo espressa chiaramente in un testo, una supplica, che ha il concreto obiettivo di far leva su ció che la giustizia percepisce come delitto grave per sollecitarne l'intervento. All'immagine dell'Arnaldi che la documentazione giudiziaria propone, quella di un deviante violento, pericoloso, blasfemo, autore di crimini efferati che sconvolgono il sistema di valori di riferimento, si contrappone nettamente l'immagine che l'Arnaldi dà di sè in una memoria, una riflessione sulla procedura inquisitoria del Consiglio dei dieci, scritta in carcere nel 1722 in attesa della sentenza che lo avrebbe condannato. Si tratta della "Raccolta dell'ordine per il quale deve passare un presentato volonta-rio del Consiglio dei dieci" (ASVi, 4), una riflessione sulla procedura inquisitoria della magistratura veneziana, cosi come egli e alcuni compagni di carcere l'avevano vissuta. Il conte vicentino illustra puntualmente le fasi della complessa procedura del tribunale veneziano, la presentazione, la carcerazione, l'interrogatorio e tutto il com-plesso rituale che ne accompagnava l'esecuzione. La stessa cura, la stessa imperso-nalità, lo stesso atteggiamento di osservatore esterno vengono usati per parlare del-l'esperienza che aveva vissuto in prima persona. Secondo l'Arnaldi osservatore, il Gasparo Arnaldi carcerato è la vittima di un complotto ordito a più livelli a suo danno. Principali autori sono considerati i nemici, avversari in altre cause, o persone genericamente ostili che operano deliberatamente e intenzionalmente per aggravare la sua posizione e immagine, ma anche i giudici, il cui interesse verso tutte le voci contro l'imputato viene presentato quasi come una de-formazione, un vizio di fondo destinato ad alterare tutto il giudizio. Un vizio a tal punto radicato che anche le autorevoli voci dei protettori, probabilmente membri dello stesso patriziato veneziano, venivano guardate con sospetto e quasi aprioristi-camante screditate. Sconsolato era il riferimento, questa volta esplicito, alla sua vi-cenda: "l'esperienza me l'ha fatta toccar con mano" (ASVi, 4, 1v.). La generale pre-venzione verso il presentato era, secondo l'Arnaldi, il frutto del contenuto del proclama, sul quale si basava tutto il successivo processo, che era scritto in toni "steppitosi, e spaventevoli" (ASVi, 4, 10v.) e considerato dai giudici alla stregua del Vangelo di san Marco, una verità inconfutabile (ASVi, 4, 12v.). Nel veicolare at-traverso questi indiretti riferimenti il concetto di essere una vittima della vicenda che lo vedeva imputato, l'Arnaldi si sofferma in altri passi a sottolineare la durezza, la difficoltà dell'esperienza: "non si puó mai affidarsi che una cosa possa seguire in vo-stro sollievo, mentre tutti vigilano al male " (ASVi, 4, 14r.) e poco oltre "i spini sono tali e tanti che le condanne sono molte in una sola" (ASVi, 4, 14r.). 601 Silvia GIRARDELLO: RITRATTO DI UN CRIMINALE ARISTOCRATICO NEL SETTECENTO, 595-606 Fig. 1: Veduta aerea di casa Arnaldi a Setteca (Vicenza, Italia). SI. 1: Zračni posnetek hiše Arnaldi v Setteca (Vicenza, Italija). L'immagine che emerge e quella di un uomo mortificato, svilito, ferito nel suo or-goglio di nobile di terraferma, potente e rispettato nella sua cittá, con amicizie in-fluenti nella capitale. Un uomo che si aspettava, come nobile, un trattamento diverso dai "comuni" criminali e che si mostrava amareggiato per la "malla impressione" (ASVi, 4, 14r.) che la sua condizione di presentato in attesa di giudizio generava tra le diverse figure che ruotavano all'interno del sistema giudiziario veneziano, soprat-tutto se membri del patriziato. La giustizia e il criminale propongono due visioni contrastanti, opposte, di una stessa figura. Il quadro assume una terza dimensione attraverso la descrizione che dell'Arnaldi dá un condannato, un crimínale come lui, che nel 1726 scontava la sua pena in un camerotto accanto al suo. Questo prigioniero, rimasto anonimo, racconta in forma epistolare la vita dei suoi compagni di carcere. Nel ricordare la morte, avve-nuta pochi giorni addietro, del conte vicentino, egli propone un suo ritratto impron-tato ad una forte ostilitá. Gasparo Arnaldi, definito "bestia rationale" (ASVe, 5), viene presentato attraverso gli episodi salienti della sua vita che il narratore interpreta li-beramente. Racconta infatti di un omicidio - non due - nel 1717, di un accordo che l'Arnaldi avrebbe proposto ai suoi complici per coprire i propri crimini, dell'amara delusione nello scoprire che costoro non l'avevano rispettato presentandosi alla giu- 602 Silvia GIRARDELLO: RITRATTO DI UN CRIMINALE ARISTOCRATICO NEL SETTECENTO, 595-606 stizia, della condanna che dalle loro rivelazioni era derivata per il conte e della "ben meritata " (ASVe, 5) pena di morte che il Consiglio dei dieci non aveva approvato, tramutandola in carcere perpetuo. Nel citare le liti che avevano contrapposto l'Arnal-di alla famiglia, suggeriva che le sorelle del conte avessero sospettato un suo coin-volgimento nella morte del fratello - il cui patrimonio gli avrebbe consentito di versare l'ingente somma richiesta per potersi liberare dalla condanna in cui era incorso -e avessero quindi fatto avviare un processo per accertare le cause del decesso del fa-miliare. La descrizione del criminale Arnaldi si fa in alcuni tratti sottilmente ironica: "erano intanto corsi s 'in al presente sei anni, e mesi sei che si godeva il detto conte in questo seminario de riforma ti il suo camerotto nell'andio in cima segrega to dagl'altri, cosí bramando come più che bestia il star lontano dall'humano comercio" (ASVe, 5). Forse era anche questo isolamento del conte a generare l'ostilità del com-pagno di carcere che sottolineava, con la stessa terminologia dei proclami "la perfidia e il suo torbido genio " (ASVe, 5). L'avversione e il disprezzo di fondo che soggiace a tutta la descrizione dell'Ar-naldi crimínale, persona che la giustizia accomunava al narratore in quanto anch'egli condannato, si manifesta ancor più nel descrivere la morte inconfessa del conte e nel sottolineare quegli aspetti che ne tracciavano l'immagine di un bestiale peccatore. "A venti ottobre scorso, sazio d'incrudelir nelle morti altrui [...] spiro in braccio a detta sua serva non essendo comparso a tempo il religioso per poterlo confessare. O quanti dicevan male di questo signore perché [...] mai havesse pensato all'anima sua: altri compassionavano il caso [...] ma questo non faceva impressione cristiana in quelli che sapevano [...]. Mattina dietro fù il capitan di guardia a darne le dovute notizie all'eccellentissimi capi com'era anche morto inconfesso, a cui uno [...] li sog-giunse: chi mal vive malmuore " (ASVe, 5). E' interessante notare come, nel contesto carcerario, fisicamente separato dalla società, confinato in una dimensione parallela con proprie regole e sistemi di valori, in cui tutti i condannati sono - per la società - accomunati dalla condizione di crimi-nali, l'anonimo crei nuovi criteri di giudizio volti a delineare, all'interno dei devianti, chi è dentro e chi è fuori. L'Arnaldi, per la sua crudeltà, il suo carattere bestiale, l'as-senza di spirito cristiano, quasi fossero caratteristiche esclusivamente sue, anzichè comuni a tutti i carcerati - come percepiva invece la società - viene posto come criminale tra i criminali. Anche nella descrizione che questo carcerato propone, si accosta il criminale al peccatore sottolineando come l'Arnaldi non avesse fatto le sue de-vozioni, nè carità, ma soprattutto fosse morto inconfesso. Quest'ultimo aspetto viene interpretato, sia dal condannato sia da uno dei Capi del Consiglio dei dieci, esterno al contesto carcerario, come l'ultima e l'estrema conferma di una natura crudele, perversa, di un peccatore mai "convertito" che per questo non suscita più nemmeno "impressione cristiana" tra i condannati suoi simili. 603 Silvia GIRARDELLO: RITRATTO DI UN CRIMINALE ARISTOCRATICO NEL SETTECENTO, 595-606 E' significativo sottolineare come lo stesso episodio muti completamente conno-tazione se riferito, nel medesimo contesto sociale, anzichè ad un deviante ad una vit-tima. Mentre per l'Arnaldi infatti la morte senza confessione è un ulteriore prova della sua natura malvagia, della sua devianza, per Michiel Carraro, l'uomo che l'Arnaldi aveva ucciso nel 1695, la stessa condizione non rappresenta un segno di condanna morale, bensi un elemento che sottolinea ed enfatizza ancor più la sua inno-cenza e la sua condizione di vittima di un delitto percepito come ancor più atroce. La triade giustizia-criminale-compagno di carcere ha proposto tre diversi ritratti del criminale. Un ritratto ora veicolato attraverso la retorica della documentazione processuale, quello delle deliberazioni del Consiglio dei dieci e delle suppliche, quello invece più "spontaneo", meno imbrigliato dalle regole processuali delle me-morie dell'Arnaldi stesso e del compagno di carcere. In questi ultimi testi, una retorica è pur sempre presente, ma di tipo narrativo, che non persegue lo scopo di accertare la verità, ma ne propone una propria. Ciascuna di queste fonti, nella propria specifica peculiarità ed elaborazione, traccia un ritratto del criminale aprendo degli squarci, anche contraddittori, sulle diverse rappresentazioni del deviante in un contesto di an-tico regime. Alla luce del percorso svolto, si puó cercare di proporre una possibile interpreta-zione della vicenda dell'Arnaldi. Questa figura cosi irruenta, impulsiva, pronta ad agire e reagire in modo violento a tutto ció che in qualche modo turbava il suo equilibrio, puó essere vista come la manifestazione di forti contraddizioni sociali particolarmente accentuate proprio all'interno di quel ceto aristocratico di cui egli faceva parte. Da un lato possiamo individuare una visione patriarcale della società, in cui era la componente maschile a tenere le redini economiche, del lignaggio, a tessere al-leanze, dall'altro la sempre più diffusa presenza di figure femminili carismatiche, ve-dove la cui forza era data non solo dall'elemento personale ma soprattutto dall'ingente patrimonio di cui disponevano, costituito dalla loro dote o dall'usufrutto sui beni del marito (Lavarda, 2004, 531). Questi aspetti, che collidevano tra loro, caratterizzavano pienamente il rapporto tra Gasparo Arnaldi e la madre.1 Schiacciato da una figura femminile forte, dalla contraddizione di essere socialmente chiamato a reggere le sorti della vita della famiglia, ma concretamente frenato nell'azione dai vincoli che le prerogative materne, specie economiche, ponevano al suo operato, l'Arnaldi viveva probabilmente una situazione fortemente frustrante, che sfogava tiranneggiando le vittime delle sue "imprese", spesso di estrazione sociale inferiore, nel tentativo di ri-affermare, all'esterno della famiglia, un predominio che al suo interno era invece fortemente messo in discussione. 1 La figura di Isabella Dal Sera Arnaldi presenta molte analogie con Anna Ferramosca, la figura de-lineata da Claudio Povolo (Povolo, 1990). 604 Silvia GIRARDELLO: RITRATTO DI UN CRIMINALE ARISTOCRATICO NEL SETTECENTO, 595-606 PORTRET ARISTOKRATSKEGA ZLOČINCA V 18. STOLETJU Silvia GIRARDELLO Univerza Ca' Foscari v Benetkah, IT-30123 Benetke, Dorsoduro 3246 e-mail: silvia.girardello@libero.it POVZETEK Leta 1722 je beneško sodišče sveta desetih obsodilo vicenškega grofa Gaspara Arnaldija na dosmrtno ječo. Arnaldi je bil obsojen, ker naj bi naročil dva umora, ki sta se v Vicenzi zgodila med majem in junijem leta 1717. Z obsodbo se je zaključilo obdobje dolge vrste zločinskih dejanj, izvršenih od devetdesetih let 17. stoletja dalje, zaradi katerih je grofu že večkrat sodilo isto beneško sodišče. Šlo je za grožnje, pretepe, nasilja, uboje, ki jih je izvajal nad vsemi, ki so se mu upali postaviti po robu. e- neškim sodiščem in sodni postopki ponujajo prvi portret Arnaldija kot zločinca. Gre t- nega grešnika perverzne narave. Povsem drugačno sliko nam o samem sebi predstavi Arnaldi v jetniških spominih, ki jih je napisal po obsodbi. Tu se vzpostavi skorajda kot nekdo drug in pripoveduje svojo izkušnjo sodnega procesa, v kateri večkrat izrazi stališče in prepričanje o tem, da je žrtev pristranskega procesa in proti njemu načrtovane zarote. S portretom, ki ga sodstvo in zločinec slikata v nasprotujočih si potezah, se prepleta portret anonimnega obsojenca, kije leta 1726 prestajal kazen v sosednjem prostoru z Arnaldijevim. Omenjeni jetnik v epistolarni obliki, v kateri ne skopari s podrobnostmi, pripoveduje zgodbo vicenškega grofa, ki jo interpretira s poudarjenim sovraštvom, zato da bi razgalil najbolj podle in 'zverinske' značilnosti jetniškega tovariška. Preko neobičajne triade sodstvo - zločinec - jetniški tovariš se e- tljajev. Ključne besede: Gasparo Arnaldi, Beneška republika, zločinec, grešnik FONTI E BIBLIOGRAFIA ASVe, 1 - Archivio di Stato di Venezia (ASVe), Consiglio dei dieci (CX), parti cri- minali, f. (filza) 122, 1695, marzo 15. ASVe, 2 - ASVe, CX, parti criminali, f. 128, 1707, gennaio 18. 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