Gunver Skytte CDU 805.0 "16" Copenaghen IL CONCETTO DI STORIA DELLA LINGUA NELL'OPERA GRAMMATICALE DI BENEDETTO BUOMMATTEI Che la storia della lingua sia una disciplina linguistica di data recente, fondata nell'800, soprattutto grazie alle ricerche pionieristiche di insigni filologi tedeschi, e un'opinione comunemente accettata, ed essa eprobabilmente anche giustificata at­traverso la classificazione datane di disciplina. A questo dato di fatto si deve senz'altro l'opinione altrettanto estesa che prima dell'800 non esistesse il concetto di linguistica diacronica o cambiamento linguistico in senso scientifico, come pure quella non meno erronea che la linguistica, come scienza, sia stata fondata solo nell'800. Nonostante il crescente interesse degli ultimi decenni per la storia della linguisti­ca, il riconoscimento di radici piu remote della linguistica e della storia della lingua non eancora diventato comune nell'ambiente dei linguisti moderni. Infatti, anche prima di Bopp e Diez (per la storia della lingua) e di De Saussure (per la linguistica), si sono svolte delle attivita linguistiche non trascurabili: anzi, molti concetti della linguistica moderna, ritenuti di data recente, risalgono a studiosi dei secoli passati, e per capire a fondo le implicazioni di tali concetti, bisogna studiarli nella prospettiva storica. Quindi, i pochi studiosi che si occupano di storia della linguistica hanno un importante messaggio da trasmettere ai linguisti di oggi. Gia nel Rinascimento la nozione di cambiamento linguistico era oggetto di ri­flessioni linguistiche, come hanno dimostrato tra l'altro Hall (1936), Faithfull (1962) e Simone (1976). Ma a parte le eccezioni di queste ricerche, gli studi sui lavori grammaticali del Rinascimento si rivolgono piuttosto all'aspetto filologico della questione della lingua (Simone, 1976, 302). Se ho scelto di trattare tale problematica a partire dall'opera di Benedetto Buom­mattei, non e, come si potrebbe supporre, perche essa segni rinnovamenti eccezio­nali nel modo di considerare la storia della lingua rispetto alla tradizione precedente o rispetto agli studiosi contemporanei. Studiato sotto questo aspetto, il Buommattei -che per altri versi rivela veri pregi di progressista nel campo della grammatica (scienziato contemporaneo, anche spiritualmente, di Galilei) -risulta piuttosto tra­dizionale, a parte singoli dettagli, come vedremo oltre. Sono invece la chiarezza con cui il Buommattei espone le sue idee, nonche il periodo postrinascimentale e l'ambiente della "nuova scienza", a renderlo idoneo come punto di partenza. Con il procedimento scelto vorrei inoltre ribadire la necessita di studiare il con­tributo del singolo linguista (o scienziato in genere) non come fenomeno isolato, il che puo indurre a non ben fondate conclusioni intorno alla sua originalita, ma visto in relazione alla tradizione di cui fa parte, da cui dipende il suo atteggiamento e su cui si costruisce il suo universo. Benedetto Buommattei (1581-1647), scienziato, "pubblico lettore della lingua toscana nello studio pisano e fiorentino", segretario deli' Accademia della Crusca, insigne teologo ecc., e autore dell'opera linguistica e grammaticale Della lingua tos­cana, Vol. 1-II. II primo volume, che fu pubblicato nel 1623, e quello piu impor­tante in senso teorico, in quanto espone le idee del Buommattei sulla linguistica ge­nerale, basate su principi razionalistici e universalistici. Da notare che questo lavoro precede di quasi 40 anni quello piu famoso di Arnaut e Lancelot, Grammaire gene­rale et raisonnee, Paris, 1660. II secondo volume, che applica le idee generali alla lin­gua toscana, esce nel 1643. Nello stesso anno di pubblicazione del primo volume, Benedetto Buommattei "recita pubblicamente nell' Accademia Fiorentina" un dis­corso intitolato De/le /odi de/la !ingua toscana. Questo discorso e compreso nella 6.a edizione dell'opera grammaticale del 1807 (v. la bibliografia), alle pp. 541-568. E soprattutto quest'ultimo testo che fornisce la base per la seguente esposizione, com­pletata secondo il bisogno con brani tratti dal Vol. I, 1623. II titolo del discorso annuncia con la parola lodi un argomento centrale nelle ri­flessioni linguistiche del dibattito corrente: la questione del prestigio di una data lin­gua. II Buommattei era un fervente propugnatore della lingua toscana, e tutto il dis­corso e una ponderata argomentazione in favore del prestigio, ossia della nobilta o dignita, della lingua toscana contemporanea. Partendo dal suo obiettivo principale, e cioe di dimostrare la dignita della lin­gua toscana, il Buommattei distingue i fattori che possono conferire prestigio alla lingua in due tipi: 1) fattori esterni e comuni (origine, usoda parte del popolo e da parte HOZIE > HOZZI > oggi AMA VIT > AMAU > amao, amoe, amo L'opera del Cittadini anticipa con tutta evidenza la grammatica storica dell'800. Come abbiamo visto in Cittadini, l'idea dell'origine della lingua implica anche l'idea del mutamento. Nel discorso del Buommattei, l'origine nobile econsiderata in favore del prestigio della lingua toscana. Tuttavia, una nobile origine non enecessa­riamente sufficiente a garantire la nobilta della lingua derivata: " ... quand'e' si puo provare, che una lingua derivi da un'altra nobile, e quella dovra dirsi nobile, se gia ella non digenerasse dalla sua ragguardevole origine." (op. cit., p. 544). II mutamento, dunque, puo anche verificarsi come degenerazione. Infatti, quando nel '400 erano cominciate le discussioni sull'origine latina dell'italiano, il termine normalmente usato per designare il mutamento era stato quello di corruzno­ne (conformemente a una teoria che spesso nella letteratura viene menzionata come 'teoria della catastrofe'). Con la crescita del prestigio del volgare, tale termine viene man mano sostituito con termini piu neutri come generazione (p. es. Varchi) o alte­razione (p. es. Castelvetro, Tolomei, Cittadini). Accanto all'evolversi del concetto di mutamento, nasce il bisogno di interpre­tarne le cause. Per tutto il '500 l'interpretazione comunemente accettata era quella esposta da P. Bembo nelle sue Prose, sul mescolamento della lingua romana con quella o quelle dei Barbari. Claudio Marazzini (1989, p. 22 ss.) discute il lato negati­vo della teoria delle 'origini barbare': essa, infatti, "serviva perfettamente come ar­gomento per i nemici dell'italiano." Forse eaddirittura questo il motivo che spinge il Giambullari ad avanzare la sua teoria sull'origine etrusca ed aramea della lingua tos­cana, per evitare cosi la 'teoria della catastrofe' (Marazzini, 1989, p. 26). Benedetto Buommattei riprende il filo del discorso, affrontando da scienziato i vari elementi "penosi" della tradizione. II suo punto di vista, molto piu articolato, sul "valore" del mutamento, procede con chiarezza dal titolo del Capo III (Trattato Primo, Primo Libro del Della lingua toscana, pp. 99-104) Dove, quando, e come la lingua Toscana si generasse, crescesse, cascasse e risurgesse. II capitolo comincia cosi: "Per quel che da'piu intendenti Scrittori (dalle conghietture piu che da altro ajutati) possiam cavare, la lingua nostra, quanto al corpo naturale delle sue pa­role, riceve i suoi primi principj dalla Latina, con altre straniere confusa. 11 che se fosse dopo la incursion de'Barbari (come pare al Bembo) o pure sin quando cominciarono a dominare lmpera.tori stranieri e barbari (come disputa l'autor della Giunta [Castelvetro] basta dire che mescolamento di parlar forestiero con l'originario latino produsse una terza specie di lingua." (op. cit., p. 99). Si noti la riserva, tipica dell'atteggiamento del Buommattei, a proposito della validita della teoria ("conghiettura"). 11 "mescolamento" delle lingue genera o pro­duce una terza lingua: qui, veramente, non si parla di corruzione. Al contrario, il Buommattei si volge a ribattere le connotazioni negative dei termini mescolamento e barbaro: "Ese alcuno vago d'opporsi a'miei detti, e alla grandezza di questa lingua, di­cesse, che un miscuglio si fatto non puo non averle portato detrimento notabile, e percio esser caduta in gran parte da quella nobilta, che le sarebbe conferita dalla latina, risponderei prontamente, che quando il mescolamento si fa con co­sa d'inferior condizione, quel che si mescola puo riceverne danno, come chi mette l'acqua o cosa sl fatta nel vino; ma quando vi si mette cosa di pari bonta, o migliore, ella puo mutarsi e non peggiorare, e anche talora puo guadagnarne, come chi mette il vino bianco nel rosso, o il greco nella verdea, o trebbiano, mutano e sapore e colore, e forse in parte ancora temperamento, ma non diven­tano cattivi." (Delfe !odi, p. 549). La metafora del vino mescolato sembra essere comune nella letteratura sulla questione della lingua, come del resto molte altre metafore adoperate a proposito della lingua. Si confronti p. es. il commento di Lazzaro Bonamico nel Dialoga di Sperone Speroni: "tale sia la volgare thoscana rispetto alla lingua latina; quale la feccia al vino: peroche la volgare non e altro che la latina guasta e corrotta hoggimai dalla lunghezza del tempo, o dalla forza dei Barbari" (Speroni, 1989, p. 168). A proposito dei barbari, il Buommattei, rovesciando l'immagine tradizionale dei barbari, si pronuncia cosl: "Ne si lasci alcuno ingannar da questo nome, che si da loro di barbari, perche noi in questo, come in molte altre cose, seguitiamo i Greci e i Latini, che chia­mavan barbari tutti quelli, che avevan il parlar diverso da loro, quasi volesser con quella parola aspra e ruvida bar ba ro accennar contraffacendo, quella ru­videzza, che a loro pareva sentire in tutte le lingue straniere. Furono grandi e famosi que'barbari ... Ne manco fra loro chi le buone arti, e le liberali discipli­ne e favorisse, e abbracciasse; e in particular nelle leggi, e ne'governi molti di loro dimostraron ingegno e spirito piu che ordinario ... " (op. cit., p. 550). Un altro tratto da notare nel titolo del Capo III el'applicazione di una.valuta­zione graduata dell'evoluzione della lingua toscana, della quale edetto che si gene­ra, cresce, casca, e risurge. Con crescere il Buommattei si riferisce al periodo dei grandi Trecentisti, Dante, Petrarca e Boccaccio. Ma gia dal 1350 la situazione cam­bia e segue il periodo della "cascata": "E se il nuovo risurger che fece la lingua Latina intorno al 1350 (di che si dee non poca lode al Petrarca) non avesse per lo spazio di piu di 150 anni interrotto il suo corso, si puo creder ch'ella sarebbe ora a tal grado venuta a quale forse niun'altra potette arrivar giammai. Ma ... poco manco ch'ella [la risurgente lin­gua Latina] non la riducesse al niente, della