ACTA HISTRIAE • 26 • 2018 • 3 Received: 2018-05-06 DOI 10.19233/AH.2018.31 Original scientific article GLI STATI UNITI E L'EVOLUZIONE DELL'ONU NELLA PRIMA FASE DELLA COESISTENZA PACIFICA (1955-1960) Lucio BARBETTA Università degli Studi Roma Tre, Dipartimento di Lingue Letterature e Culture Straniere, Via del Valco di San Paolo 19, 00146 Roma, Italia e-mail: lucio.barbetta@uniroma3.it SINTESI Tra il 1955 ed il 1960, decine di nuovi membri furono ammessi all'ONU; contemporaneamente, grazie all'avvio della coesistenza pacifica, sembrava che ci fossero le condizioni per rilanciare il ruolo dell'Organizzazione come garante della pace e sicurez-za internazionale. Tuttavia, fu proprio in questi anni che gli Stati Uniti furono costretti a modificare la loroposizione rispetto all'ONU, finendoper accettare che la logica bipolare governasse anche la vita dell'Organizzazione. Paradossalmente, l'attenuazione della Guerra Fredda provocó la definitiva "bipolarizzazione" delle Nazioni Unite, mentre il sogno del "governo mondiale", basato su regole e principi condivisi da tutta la comunità internazionale, fu definitivamente abbandonato anche da parte degli Stati Uniti. Parole chiave: Stati Uniti, ONU, allargamento, distensione, coesistenza, bipolarismo THE UNITED STATESAND THE EVOLUTION OF THE UN IN THE FIRST PHASE OF THE PACIFIC COEXISTENCE (1955-1960) ABSTRACT Between 1955 and 1960, dozens of new members entered into the United Nations; in the meanwhile, the peaceful coexistence potentially created the conditions to relaunch the role of the UN as a milestone ofpeace and international security. At the same time, the United States had to modify deeply their approach towards the UN, accepting the idea that the bipolar logic of the Cold War would govern also the most important multinational organization in the world. Paradoxically, the mitigation of the Cold War caused the definitive "bipolarization" of the UN, while even the United States renounced the utopia of a "world government" based on universally shared principles and rules. Keywords: United States, United Nations, enlargement, détente, coexistence, bipolarism 765 ACTA HISTRIAE • 26 • 2018 • 3 Lucio BARBETTA: GLI STATI UNITI E L'EVOLUZIONE DELL'ONU NELLA PRIMA FASE DELLA ..., 765-786 INTRODUZIONE Questo articolo analizza la posizione degli Stati Uniti rispetto all'ONU negli anni 1955-1960, che segnarono l'inizio della coesistenza pacifica seguita più tardi dal processo di distensione internazionale. La preesistente storiografia su questa fase delle relazioni internazionali non ha attribuito una specifica attenzione al tema delle Nazioni Unite, pur sottolineando la crescente importanza rivestita dai paesi afro-asiatici di nuova indipendenza. Lo sviluppo dell'Organizzazione (che tra il 1955 e il 1960 passé da 58 a 98 membri) è stato spiegato come una mera conseguenza della decolonizza-zione e del nuovo clima nei rapporti tra i blocchi, che consenti di raggiungere accordi sull'ammissione di nuovi stati. Senza negare la validità di questa interpretazione, il presente articolo intende studiare l'evoluzione della politica americana e comprendere il progressivo cambiamento della natura e del ruolo dell'Organizzazione, mettendo in luce un apparente paradosso: fu proprio l'inizio della coesistenza pacifica a determinare il definitivo "scivolamento" dell'ONU verso lo spirito della guerra fredda e della contrapposizione tra i blocchi. Questo studio si avvale come fonte prevalente dei documenti diplomatici statuniten-si editi nella raccolta FRUS. Inoltre, sono stati tenuti in considerazione studi e ricerche sulla seconda metà degli anni '50, con particolare attenzione alla memorialistica; pur in assenza di contributi specifici sul ruolo dell'ONU, è stato possibile comprendere i cambiamenti dell'Organizzazione attraverso lo studio di varie situazioni specifiche. Tali cambiamenti non si manifestarono con iniziative politiche clamorose e plateali, quanto piuttosto con un cambio di approccio da parte dei principali attori, ed in particolare degli Stati Uniti. Più di tutti gli altri paesi, gli USA attribuivano un'importanza peculiare allo sviluppo e al ruolo dell'ONU, e non perdevano occasione per assumere il ruolo di paladini dei principi ispiratori, della legalità internazionale e persino dell'obbligo morale per i paesi membri di attenersi alle risoluzioni dell'Organizzazione. L'Ammi-nistrazione Truman e poi quella Eisenhower dispiegarono un profondo impegno politico-diplomatico affinché l'Organizzazione assumesse un ruolo crescente nel sistema internazionale, in armonia con gli interessi nazionali americani ma senza abbandonare l'utopia di creare un "governo mondiale" basato su principi condivisi1. In particolare nel suo secondo mandato, ed in seguito a diversi problemi esaminati in questo studio, l'amministrazione Eisenhower modificó progressivamente il suo approccio rispetto alle Nazioni Unite, e le conseguenze sulla vita dell'Organizzazione furono profonde. LINEE GUIDA DELL'AZIONE AMERICANA ALL'ONU TRA GUERRA FREDDA E AVVIO DELLA COESISTENZA PACIFICA Subito dopo la firma dello Statuto, le speranze che l'ONU realizzasse il sogno di un "governo mondiale" si scontrarono con una realtà ben diversa. I contrasti tra le su- 1 Nel quinquennio qui esaminato, più volte i documenti del Dipartimento di Stato richiamavano il concetto di "governo mondiale", inteso come fine ultimo dell'esistenza delle Nazioni Unite. 766 ACTA HISTRIAE • 26 • 2018 • 3 Lucio BARBETTA: GLI STATI UNITI E L'EVOLUZIONE DELL'ONU NELLA PRIMA FASE DELLA ..., 765-786 perpotenze impedivano il funzionamento dello Statuto. L'impostazione "mondialista" avrebbe potuto risultare efficace solo se tutti i membri dell'Organizzazione avessero condiviso i valori fondanti e le regole di funzionamento, ponendo l'ONU al di sopra dei contrasti contingenti e degli stessi interessi nazionali2. La situazione era peró ben diversa: in un mondo caratterizzato dalla contrapposizione tra i blocchi, il meccanismo del veto in Consiglio di Sicurezza paralizzava il processo decisionale, e tutta l'attività dell'Organizzazione risultava gravemente compromessa. Anziché diventare un'Orga-nizzazione universale e super partes in grado di garantire la sicurezza collettiva, l'ONU divenne cosi un terreno di scontro tra i due blocchi, finendo per risultare atrofizzata e snaturata rispetto all'impostazione originaria. Il prestigio dell'Organizzazione restava alto, soprattutto agli occhi delle opinioni pubbliche mondiali, e tutti i Governi si pro-clamavano fautori dell'ONU e dei suoi obiettivi; essa risultava incapace di incarnare i principi ed assolvere gli obiettivi per cui era stata istituita. Fin dall'inizio quindi, gli Stati Uniti, se da un lato si avvantaggiavano della supe-riorità numerica dei paesi filo-americani all'ONU, dall'altro cercarono di porre rimedio alla sua degenerazione, tentando di mantenere in vita, almeno da un punto di vista ideale, il sogno di una entità politica mondiale capace di porsi al di sopra delle rivalità tra gli stati. Il più autorevole tentativo in questo senso fu effettuato con la celebre risoluzione Vandenberg del 1948, che viene ricordata soprattutto come il "via libera" del Congresso alla firma dell'alleanza occidentale e quindi come manifestazione di una politica bipolare e di containment (Miscamble, 1993, 128). Tuttavia, il punto relativo alla partecipazione americana alle alleanze regionali era solo uno di quelli contenuti nella risoluzione; essa, in realtà, mirava anche ad un miglior funzionamento dell'ONU. La risoluzione si apriva infatti con le parole "Whereas peace with justice and the defense of human rights and fundamental freedoms require international cooperation through more effective use of the United Nations..." (Senate Resolution 239, XVIII Congress). Conseguentemente, il primo punto del documento riguardava proprio le Nazioni Unite, ed invocava una rinuncia volontaria al diritto di veto da parte delle grandi potenze sulle decisioni relative al mantenimento della pace e nelle votazioni sulle nuove ammissioni. Gli Stati Uniti continuavano quindi a inseguire l'ideale di San Francisco, secondo cui sarebbe stato possibile garantire la pace e la sicurezza collettiva attraverso il consenso delle principali potenze; ció anche nel momento in cui, con il "via libera" all'Alleanza Atlantica, assumevano un ruolo fondativo nel sistema bipolare. Nella risoluzione Vandenberg, dunque, realpolitik e approccio idealista convivevano fianco a fianco, con il secondo che rappresentava il quadro ideologico entro cui operava la prima3 (Kaplan, 2 II Congresso americano discusse a lungo l'idea che le Nazioni Unite divenissero una sorta di entità sovra-nazionale mondiale. A titolo di esempio, si veda To Seek development of the United Nations into a world federation, 1950. 3 La risoluzione Vandenberg è considerata come l'abbandono definitivo dell'isolazionismo politico da parte degli Stati Uniti. Era inevitabile che tale "sacrificio" fosse fatto in nome dei principi dell'idealismo universalista di tradizione wilsoniana, che vedeva nell'ONU il "modello ideale" per un futuro sistema mondiale in grado di assicurare pace e sicurezza. Tuttavia, nella pratica, la risoluzione risultó decisiva nella costituzione del blocco occidentale e quindi nel consolidamento del bipolarismo, mentre non ebbe conseguenze effettive sul rilancio 767 ACTA HISTRIAE • 26 • 2018 • 3 Lucio BARBETTA: GLI STATI UNITI E L'EVOLUZIONE DELL'ONU NELLA PRIMA FASE DELLA ..., 765-786 2010, 10-11). La piena realizzazione dello Statuto di San Francisco restava il principale riferimento idealistico della politica estera americana, anche nella fase di creazione del blocco atlantico. In una fase considerata emergenziale, bipolarismo e universalismo non apparivano ancora strutturalmente antitetici. Nel mondo del 1948, gli auspici della risoluzione Vandenberg erano destinati a restare lettera morta. Non solo l'URSS era totalmente contraria a limitare il ricorso al veto, ma anche gli altri membri permanenti del Consiglio, pur alleati degli Stati Uniti, non vollero mai rinunciare al loro status di potenze egemoni nel Consiglio di Sicurezza4. Già nel 1948, dunque, l'idea di far funzionare l'Organizzazione secondo lo spirito dello Statuto era un'utopia; nel concreto, gli stessi Stati Uniti diedero priorità alla necessità di costituire un blocco e di contenere quello avversario, piuttosto che all'esigenza ideale di creare un sistema mondiale. Tuttavia, il sogno mondialista fu tenuto in vita, soprattutto nel Congresso e nell'opinione pubblica americana. La crisi dell'ONU si aggravé con la vittoria comunista nella guerra civile cinese e con l'istituzione della Repubblica Popolare, mentre la Repubblica di Cina (membro permanente del Consiglio di Sicurezza con diritto di veto) si riduceva ad una entità politica di modeste dimensioni e dipendente, per la sua sopravvivenza, dal sostegno degli Stati Uniti. Per volontà americana, il seggio cinese all'ONU fu mantenuto dalla "piccola" Taiwan, mentre la Cina continentale restava esclusa. Si apriva in questo modo il grave problema della rappresentanza cinese all'ONU, che avrebbe pesato sulla vita dell'Organizzazione per i decenni a venire (Grant, 2009, 165). Il paese più popoloso del mondo restava infatti fuori dall'organizzazione, e ció rappresentava un grave colpo alle aspirazioni universaliste dell'ONU. Tanto più che molti paesi membri, e non solo quelli comunisti, iniziarono una lunga battaglia volta all'ammissione della Cina di Mao, costringendo gli Stati Uniti ad adottare una linea di moratoria rispetto alla discussione del problema. La dimostrazione più evidente dello scadimento del ruolo dell'ONU fu data dalla guerra di Corea. Complice la politica della "sedia vuota" seguita dall'URSS staliniana, l'Organizzazione si trovó "coprire" con la sua bandiera l'intervento militare del campo occidentale, contribuendo alla sconfitta del tentativo aggressivo nord-coreano ma fallendo nella sua aspirazione di realizzare la pace mondiale e la sicurezza collettiva (Edwards, 2013, 27-57; Pak, 2000, 12-36). Di fatto, durante la crisi del 1950-1953, l'ONU su ridusse a strumento politico nelle mani del blocco occidentale, mentre il mondo comunista era escluso dai suoi meccanismi, per l'evidente indifferenza sovietica e per l'assenza della Cina di Mao (Barnes, 2014, 28 e segg.). La crisi coreana causó dell'ONU. Si dibatte su quali fossero le reali intenzioni dell'amministrazione Truman, e molti osservatori so-stengono che la componente idealistica fosse soltanto un espediente propagandistico per sostenere la politica atlantista. Se tale interpretazione appare largamente condivisibile, va anche notato che negli anni successivi gli Stati Uniti molto spesso brandirono i principi della risoluzione del 1948 come linea guida della loro presenza all'ONU. Il documento va pertanto valutato nella sua complessità, come pietra miliare della politica bipolari-sta ma anche come tentativo di rilancio dell'utopia universalista alle Nazioni Unite. 4 Si veda, a titolo di esempio, la posizione assunta da Francia e Gran Bretagna in occasione degli allargamenti del 1955 (FRUS, 1955-1957/XI, Doc. 103, 131). 768 ACTA HISTRIAE • 26 • 2018 • 3 Lucio BARBETTA: GLI STATI UNITI E L'EVOLUZIONE DELL'ONU NELLA PRIMA FASE DELLA ..., 765-786 anche un ulteriore inasprimento della questione della rappresentanza cinese all'ONU, per il fatto che il contingente cinese, considerato "aggressore" al pari delle forze nord-coreane, si trovó a combattere contro le truppe sotto bandiera ONU. Era pertanto del tutto impossibile che la questione della rappresentanza potesse sbloccarsi. Negli anni successivi, gli Stati Uniti, con la loro pervicace opposizione all'ingresso della Cina di Mao (nonostante le voci contrarie presenti pure nel campo occidentale), finirono per apparire come i principali responsabili dell'isolamento cinese, e quindi anche del fallimento dell'ONU in questo ambito5. La crisi dell'Organizzazione fu evidenziata non solo dalla paralisi del Consiglio di Sicurezza, ma anche dal blocco delle nuove ammissioni, determinato dai veti sovietici contro gli alleati degli USA e dall'indisponibilità dell'Assemblea - dominata dai paesi occidentali - a riconoscere i requisiti a vari satelliti dell'URSS. Se tra il 1945 e il 1946 molti stati erano entrati nell'ONU come membri fondatori, tra il 1947 e il 1950 solo pochissimi paesi riuscirono ad ottenere l'ammissione, per la quale, secondo l'art. 4 dello Statuto, era necessaria l'approvazione sia dell'Assemblea Generale che del Consiglio di Sicurezza6. Tra il 1951 e il 1954, le adesioni furono del tutto bloccate. Oltre a essere paralizzata nella sua azione di tutela della pace, l'ONU sembrava cosi rinunciare anche alla sua visione universalista, vista l'esclusione permanente di molti e importanti soggetti della comunità internazionale (Cina comunista, Germania, Giappone, Italia, Corea ecc.). L'ALLARGAMENTO DEL 1955 E LE SUE CONSEGUENZE7 La situazione si modificó in modo repentino nel 1955, con l'ascesa di Nikita Kru-sciov ai vertici dell'URSS e la sconfitta dell'ala del PCUS facente capo a Malenkov. Gli obiettivi di fondo della politica estera sovietica non cambiavano, ma il nuovo leader impresse un cambiamento profondo nella tattica, negli strumenti e nei toni utilizzati dall'URSS. Riprendendo le tiepide aperture sulla questione tedesca operate da Stalin 5 Se è vero che gli Stati Uniti si impegnarono con decisione per mantenere la Cina Popolare fuori dall'ONU ed isolata dal contesto internazionale, molti analisti notano che anche l'URSS staliniana condivideva lo stesso interesse, sebbene a livello esteriore essa esprimesse una rumorosa solidarietà alla Repubblica Popolare. Spingendo la Cina ad intervenire in Corea, infatti, Stalin scavava un solco incolmabile tra Mao e il mondo non comunista; ció avrebbe consentito all'URSS, se non di satellizzare il gigante cinese, quanto meno di legarlo a sé con vincoli molto forti, come di fatto accadde per tutti gli anni '50 e fino all'esplosione della rivalità sino-sovietica negli anni '60. 6 Secondo l'art. 4 dello Statuto, l'ammissione avviene attraverso una raccomandazione in questo senso che il Consiglio di Sicurezza invia all'Assemblea Generale, che aveva in precedenza riconosciuto i requisiti al pa-ese interessato. E' dunque necessaria una votazione favorevole da parte di entrambi gli organi, ed accadde più volte che il veto sovietico impedisse l'ingresso di membri qualificati dall'Assemblea Generale. L'art. 4 specifica chiaramente che l'ammissione di ogni paese va valutata singolarmente, senza considerazione per la situazione di altri paesi; tale linea fu ribadita con una sentenza interpretativa della Corte Internazionale di Giustizia, sollecitata dagli Stati Uniti dopo uno dei numerosi veti sovietici all'ingresso dell'Italia, moti-vato da Mosca con la mancata ammissione di altri paesi del blocco comunista. Sulla storia e l'applicazione dell'art. 4 rimane imprescindibile lo studio di Grant, 2009. 7 Su questo argomento si veda Barbetta, 2015. 769 ACTA HISTRIAE • 26 • 2018 • 3 Lucio BARBETTA: GLI STATI UNITI E L'EVOLUZIONE DELL'ONU NELLA PRIMA FASE DELLA ..., 765-786 negli ultimi mesi della sua vita, Krusciov avviô dunque la fase della coesistenza pacifica, consistente in un susseguirsi di proposte e aperture dal tono "dialogante", seppure con frequenti ricadute nel clima della guerra fredda. Già la prima iniziativa distensiva - l'accordo sul Trattato di Stato austriaco - era destinato ad avere ricadute sul problema dell'ONU; tutte le potenze firmatarie, compresa l'URSS, tornavano infatti ad impe-gnarsi per favorire il rapido ingresso dell'Austria nell'Organizzazione (Austria State Treaty, Preamble)8. Dopo una lunga stagione di veti, il Cremlino sembrava disposto a riprendere la "partita" delle ammissioni alle Nazioni Unite, e più in generale a mettere l'ONU al centro dei propri interessi. Il rinnovato interesse sovietico fu confermato al momento della firma del Patto di Varsavia, il cui testo faceva esplicito riferimento allo Statuto dell'ONU e prevedeva un coordinamento tra le attività difensive del Patto stesso e le eventuali azioni del Consiglio di Sicurezza (The Warsaw Security Pact, Preamble, art. 4); era evidente la volontà sovietica di iscrivere il nuovo Patto nel quadro disegnato dallo Statuto dell'ONU (Cramp, 2015, 15 e segg.)9. Una simile impostazio-ne rendeva pressoché inevitabile l'inserimento nell'ONU anche dei quattro membri che ancora ne erano esclusi (Albania, Bulgaria, Romania e Ungheria), ed era dunque ipotizzabile una offensiva sovietica sul tema delle nuove ammissioni. Quasi contemporaneamente, anche in ambito extraeuropeo maturavano eventi assai importanti per la storia dell'ONU. Su iniziativa della Jugoslavia di Tito, dell'India e dell'Egitto, il movimento dei "non allineati" vedeva formalmente la luce con la celebre conferenza di Bandung (aprile 1955), destinata a imprimere un'accelerazione non solo al processo di decolonizzazione, ma anche al rilancio delle Nazioni Uniti. Infatti, l'atto finale della Conferenza conteneva la richiesta esplicita al Consiglio di Sicurezza affinché sette paesi afro-asiatici fossero ammessi all'ONU senza ulteriori indugi (Final Communiqué of the Afro-Asian Conference, Art. f. 1). Nel 1955, dopo anni di paralisi, la questione delle nuove ammissioni si rimetteva improvvisamente in moto, su stimolo del campo sovietico e dei paesi non allineati. Anche all'interno del campo occidentale, il nuovo clima internazionale suscitava un crescente interesse verso le Nazioni Unite. Paesi come Italia e Giappone, da anni in "anticamera", colsero la nuova disponibilità sovietica ed iniziarono a premere sugli Stati Uniti affinché si trovasse una soluzione. Ma anche paesi della NATO già all'interno dell'ONU, soprattutto Gran Bretagna e Canada, decisero di impegnarsi con determinazione per sbloccare finalmente il problema delle ammissioni, consolidare il 8 L'apertura sovietica sulla questione austriaca colse del tutto di sorpresa il fronte avversario, tanto che anni dopo Foster Dulles confessava di non riuscire ancora a spiegarsi il motivo di tale mossa. Nikita Krusciov, nelle sue memorie, ammette che la decisione fu improvvisa, e che fu motivata soltanto dalla necessità di consolidare la propria posizione ai vertici del PCUS all'indomani della cacciata di Malenkov (Khrushchev, 1999, 7). In ogni caso, l'Austria si trovo quasi all'improvviso nella condizione di poter essere ammessa all'ONU, e, nel clima della Conferenza di Ginevra, cio apparve come un "premio" alla neutralità austriaca. 9 Fin dal preambolo, il testo del Patto richiamava i principi dello Statuto di San Francisco, ed in particolare la rinuncia all'uso della forza, che veniva ribadita nell'art. 1. Se è vero che veniva poi citato l'art. 51, relativo al principio di autotutela individuale e collettiva, il testo stabiliva comunque che tutte le operazioni della nuova alleanza sarebbero state comunicate al Consiglio di Sicurezza, e che sarebbero state interrotte nel momento in cui il Consiglio avrebbe adottato proprie misure. 770 ACTA HISTRIAE • 26 • 2018 • 3 Lucio BARBETTA: GLI STATI UNITI E L'EVOLUZIONE DELL'ONU NELLA PRIMA FASE DELLA ..., 765-786 clima distensivo e realizzare un rinnovato "concerto mondiale", da costruire nel rispetto degli interessi di tutte le potenze, ferma restando l'appartenenza a blocchi contrapposti. In particolare, fu la Gran Bretagna ad inseguire per un certo periodo questa visione della distensione, e fu proprio nell'ambito dell'ONU che dispiegô i maggiori sforzi, anche nell'ambito del problema cinese10. Nell'arco di pochi mesi dunque, tra il marzo e l'agosto 1955, si erano create le condizioni perché il tema delle ammissioni fosse trattato con efficacia nel corso della sessione annuale dell'Assemblea Generale. Para-dossalmente, erano gli Stati Uniti a non essere preparati per questa nuova situazione. La loro posizione restava ancorata all'eredità degli anni precedenti: impegno sincero affinché entrassero nell'Organizzazione i paesi dotati dei requisiti, e ferma opposizioni affinché gli stessi requisiti fossero negati ai regimi "fantoccio" dell'URSS. Coeren-temente con lo spirito e la lettera dello Statuto11, gli Stati Uniti ritenevano che ogni caso dovesse essere affrontato singolarmente, e che l'unico criterio per l'ammissione dovesse consistere nel possesso dei requisiti, senza alcuna connessione con i casi di altri paesi. Se la posizione americana era stata "naturale" fino a pochi mesi prima, all'inizio della Sessione ONU del 1955 essa appariva improvvisamente superata dagli eventi. URSS, Gran Bretagna e paesi neutrali concordavano su un rilancio dell'ONU non in nome dei principi ispiratori, ma per ottenere vantaggi immediati nel quadro del confronto bipolare. Mentre dunque gli Stati Uniti si affannavano ad affrontare i casi dei singoli paesi (Brosio, 2008, 135), Mosca e Londra raggiunsero un robusto accordo de facto affinché il problema delle ammissioni venisse risolto attraverso l'ingresso simultaneo di un ampio "pacchetto" di paesi candidati, da approvare o respingere in blocco. Era nato il cosiddetto package deal, che prese la forma di una proposta avanzata dal Canada e strenuamente sostenuta dall'URSS, dalla Gran Bretagna, dal blocco dei non allineati e da tutti quei paesi candidati che speravano di veder realizzato, dopo lunghi anni, il sogno dell'ammissione. Il package conteneva originariamente 18 stati, e rispecchiava un'accorta logica di equilibrio tra i blocchi. In esso figuravano infatti 5 satelliti dell'URSS (Albania, Bulgaria, Romania, Un-gheria e Mongolia), 5 paesi del blocco occidentale o comunque apertamente antisovietici (Italia, Giappone, Spagna, Portogallo e Irlanda) e 8 paesi non allineati o neutrali (Austria, Cambogia, Ceylon, Finlandia, Giordania, Laos, Libia e Nepal); restavano esclusi i paesi "con problemi di unificazione" (Germania, Corea, Vietnam), per i quali non esisteva alcuna possibilità di accordo. Il package poteva quindi contare su un ampio sostegno trasversale ai blocchi. Ap-parentemente, il nuovo spirito della coesistenza pacifica sembrava favorire un "facile" 10 Fin dal ritorno al potere dei conservatori, nel 1951, il governo britannico iniziô un proprio tentativo di distensione basato sul recupero dei meccanismi del tradizionale concerto europeo (Bar-Noi, 2009, 9 e segg.); questo tentativo, che vide il suo apice all'indomani della morte di Stalin, fallí per il disinteresse sovietico e per la ferma opposizione degli Stati Uniti. Relativamente al problema cinese, fin dall'inizio la Gran Bretagna seguiva una linea diversa dagli Stati Uniti, avendo riconosciuto la Repubblica Popolare fin dal 1950; ufficialmente, tuttavia, all'ONU la posizione di Londra si allineava con quella americana basata sulla moratoria. 11 Si veda nota n. 4. 771 ACTA HISTRIAE • 26 • 2018 • 3 Lucio BARBETTA: GLI STATI UNITI E L'EVOLUZIONE DELL'ONU NELLA PRIMA FASE DELLA ..., 765-786 accordo in cui tutte le parti ottenessero qualche vantaggio. Ma, paradossalmente, il package metteva in grande difficoltà proprio gli Stati Uniti, che fin dai tempi della risoluzione Vandenberg avevano auspicato le nuove ammissioni12. Il piano anglo-russo-canadese risultava inaccettabile a Washington per almeno due ragioni essenziali; da un lato esso implicava una sorta di riconoscimento de facto del processo di satellizzazione attuato dall'URSS in Europa Orientale, e dall'altro sanciva l'abbandono del principio delle ammissioni individuali, che gli Stati Uniti avevano perseguito con fermezza per un decennio. Quest'ultimo aspetto, ben lungi dall'essere una mera questione procedurale, rivestiva un'importanza sostanziale. L'ammissione individuale manteneva in vita l'idea che l'ONU potesse realizzare un modello autenticamente universalista, in cui tutti gli stati, a prescindere dai loro contrasti occasionali, si riconoscessero in un quadro di valori comuni, in grado di assicurare pace, sicurezza e giustizia; in questa ottica, l'unica discriminante per l'ammissione era il possesso dei requisiti, che coincideva con il rispetto esplicito e riconosciuto dei principi ispiratori da parte di ogni singolo candidato. In questa logica, le Nazioni Unite si collocavano al di sopra del confronto bipolare, e ne erano anzi la "soluzione". Accettare il package, al contrario, significava imporre la logica del bipolarismo anche all'ONU, e riconoscere che era il bipolarismo a dettare non solo le regole di funzionamento dell'Organizzazione, ma persino la sua composizione. Lungi dal diventare il "governo mondiale" vagheggiato all'indomani della guerra, l'ONU si riduceva cosi ad uno dei molti terreni di confronto/scontro tra le superpotenze. Se è vero che ció era avvenuto già a partire dal 1947/48, per gli Stati Uniti risultava inimmaginabile arrendersi in maniera esplicita a tale visione proprio nel momento in cui l'ONU sembrava tornare al centro dello scenario internazionale. Il governo di Washington si oppose quindi con forza al package deal, dichiaran-dosi indisponibile sia ad accettare le ammissioni in blocco, sia a consentire l'ingresso dei "regimi fantoccio dell'URSS", con particolare riferimento alla Mongolia, il cui inserimento nel pacchetto era considerato come una provocazione rivolta alla Cina nazionalista. Tuttavia, in maniera del tutto imprevista, gli Stati Uniti si ritrovarono a fronteggiare un isolamento senza precedenti; tanto l'URSS quanto la Gran Bretagna erano consapevoli che per gli Stati Uniti era impossibile ricorrere al veto sulla questione delle ammissioni, e dunque l'asse tra Mosca e Londra, sostenuto dalla quasi totalità della comunità internazionale, resistette alle pressioni statunitensi13. Non 12 Non mancarono voci secondo cui tra Londra, Mosca e Ottawa fosse stato concluso un vero e proprio accordo segreto ai danni degli USA e di Taiwan, raggiunto in occasione della visita del ministro canadese Pearson in URSS. L'obiettivo finale dell'operazione sarebbe stato quello di allargare l'ONU provocando allo stesso tempo una crisi con Taipei, che avrebbe aperto la strada all'ammissione della Cina Popolare. Lo stesso Foster Dulles mostró di credere all'esistenza di questa intesa, e lanció aperte accuse ai governi alleati, che le respinsero fermamente (FRUS, 1955-1957/XI, Doc. 196, 228). Le ricerche storiografiche non hanno evidenziato alcuna prova in questo senso, ma le successive mosse dei tre paesi dimostrarono che esisteva un solido accordo di fatto. 13 Si ricorda che la Risoluzione Vandenberg, continuamente invocata dagli USA nel corso degli anni, esclu-deva esplicitamente il ricorso al veto per le nuove ammissioni. Venire meno a tale indicazione avrebbe significato non solo abbandonare le linee guida della propria politica verso l'ONU, ma anche creare una forte opposizione nel Congresso e nell'opinione pubblica. Una simile opzione non fu mai presa in conside-razione. 772 ACTA HISTRIAE • 26 • 2018 • 3 Lucio BARBETTA: GLI STATI UNITI E L'EVOLUZIONE DELL'ONU NELLA PRIMA FASE DELLA ..., 765-786 solo il package non fu ritirato, ma gli Stati Uniti, in un crescendo di tensioni con i propri alleati, dovettero dapprima accettare il principio delle ammissioni collettive, poi acconsentire all'ingresso dei satelliti europei dell'URSS, ed infine dare il proprio assenso persino all'ammissione della Mongolia14. Quest'ultimo cedimento rappre-sentava un autentico disastro diplomatico per Washington, sia perché appariva come una vera e propria umiliazione rispetto alle posizioni sostenute in precedenza, sia soprattutto perché riapriva la "piaga" della rappresentanza cinese all'ONU (Barbetta, 2015, 106 e segg). Non vi era infatti nessuna possibilità che Taiwan, accettasse l'ingresso della Mongolia, la cui esistenza dipendeva da accordi tra l'URSS e la Cina di Mao. Consentire l'entrata della Mongolia significava, nell'ottica di Taipei, riconoscere de facto la legit-timità dei trattati stipulati dal regime "ribelle" di Pechino; pertanto, fin dall'inizio, il governo di Chiang chiari che avrebbe posto il veto a tutto il package deal, a meno che la Mongolia non venisse esclusa. Un veto cinese al "pacchetto" non solo avrebbe costi-tuito un durissimo colpo per le Nazioni Unite, ma soprattutto avrebbe ridato voce a tutti coloro che desideravano una pronta ammissione all'ONU della Repubblica Popolare, in sostituzione della Cina nazionalista. Una volta che quest'ultima si fosse opposta ad un accordo che sembrava rilanciare le Nazioni Unite, sarebbe stato infatti molto difficile per gli Stati Uniti contenere le pressioni dei paesi - presenti anche nel blocco occidentale - che auspicavano l'ingresso della Cina maoista nell'Organizzazione. Nelle settimane precedenti alla votazione definitiva, prevista per la metà di dicem-bre, gli Stati Uniti sperimentarono difficoltà senza precedenti in sede ONU15. Costretti a subire un accordo che li vedeva esclusi, essi si ritrovarono stritolati tra l'intransigenza russo-britannica da un lato, e quella cinese dall'altro. Dopo aver ceduto su tutti i punti, gli Stati Uniti si trovarono persino nell'assurda posizione di dover insistere con Taiwan affinché fosse rimosso il veto sulla Mongolia e quindi sul package nel suo complesso. Tutto quello che gli Stati Uniti ottennero, fu di creare una crisi diplomatica con Taipei, 14 Nel corso del 1955, gli USA tentarono diverse strade per consentire le nuove ammissioni, fermo restando il principio che ogni paese doveva essere ammesso caso per caso (Barbetta, 2015, 92-93). Una volta rasse-gnatisi alla logica del package e all'ammissione dei satelliti europei, dovettero incassare anche il "colpo" della Mongolia. Ció emerse in un drammatico incontro informale tenuto tra Dulles e Molotov ai margini della seconda conferenza di Ginevra (novembre 1955); quando il segretario di Stato annunció la propria "resa" alla controparte sull'ammissione dei satelliti europei, si trovó davanti ad un autentico muro da parte di Molotov, che si dichiaró del tutto indisponibile ad escludere la Mongolia facendo leva soprattutto sul sostegno britannico e canadese al package (FRUS, 1955-1957/XI, Doc. 158, 228). 15 Il governo statunitense esercitó inutili pressioni su Canada e Gran Bretagna affinché il package fosse ritirato o quanto meno modificato. Tale circostanza determinó un duro scontro tra Dulles e Eden, quando quest'ultimo reiteró la posizione britannica argomentandola con la fedeltà dovuta a Ceylon, storico alleato della Gran Bretagna. Reduce dal citato scontro con Molotov, Dulles reagi molto polemicamente chiedendo se era possibile inserire nel pacchetto anche Porto Rico e l'Isola Duck, dove egli era solito recarsi in vacanza (Barbetta, 2015, 94; FRUS, 1955-1957/XI, Doc. 156). Alla vigilia delle votazioni, gli stati fautori del package si riunirono all'ONU per "blindare" la risoluzione canadese; gli Stati Uniti, esclusi dall'incontro, si rivolsero alle delegazioni latinoamericane per essere quanto meno informati dell'andamento delle discus-sioni, ma perfino questa richiesta andó incontro a un rifiuto, in quanto quelle delegazioni, molto favorevoli all'ingresso della Spagna, sostenevano compattamente il package (FRUS, 1955-1957/XI, Doc. 215-217). 773 ACTA HISTRIAE • 26 • 2018 • 3 Lucio BARBETTA: GLI STATI UNITI E L'EVOLUZIONE DELL'ONU NELLA PRIMA FASE DELLA ..., 765-786 che accolse con irritazione le pressioni esterne e accusé Washington di aver tradito gli ideali e i principi del mondo libero (FRUS, 1955-1957/XI, Doc. 188, 198, 199, 200, 202, 203, 205, 206, 208, 209, 214)16. Pertanto, al momento delle votazioni in Consiglio di Sicurezza, gli Stati Uniti si rassegnarono ad approvare il "pacchetto", Mongolia inclusa, ma non poterono evitare che la Cina apponesse il suo veto. Nella seduta del Consiglio di Sicurezza del 13 dicembre 1955, il package fu cosi bocciato nella sua interezza. Il rilancio dell'ONU si bloccava traumaticamente a causa di un irrigidimento di Taiwan, di cui tuttavia gli Stati Uniti sembravano avere la paternità politica, stante la loro ben nota ostilità verso la Mongolia e verso il concetto stesso di package. L'Unione Sovietica approfittô al massimo della difficoltà avversaria e, immediatamente, chiese una nuova convocazione del Consiglio di Sicurezza "offrendo" la propria rinuncia all'ingresso della Mongolia in cambio di una analoga rinuncia all'ingresso del Giap-pone. Colto completamente di sorpresa dall'iniziativa dell'URSS, il campo occidentale non poté che accettare la nuova forzatura, che rappresentava l'unica via d'uscita ad una situazione di totale stallo (Barbetta, 2015, 109-110). Il 14 dicembre, dunque, 16 nuovi membri (i 18 del package meno Giappone e Mongolia) venivano ammessi all'ONU, un evento salutato con apparente entusiasmo da tutte le parti in causa. In realtà, la "partita" della ammissioni aveva visto un trionfatore assoluto, l'URSS, e uno sconfitto, gli Stati Uniti. Il "baratto" tra Giappone e Mongolia, due realtà politiche completamente diverse e non paragonabili tra loro da nessun punto di vista, significava che l'appartenenza ai blocchi qualificava un paese più dei requisiti posseduti. L'ammissione o l'esclusione dall'ONU venivano valutate non sulla base dei principi contenuti nello Statuto, ma sulla base del do ut des che caratterizzava i rapporti tra i blocchi nella nuova fase di coesistenza pacifica. Il clima della distensione, favorendo il dialogo e il confronto tra i due campi avversi, aveva finito per segnare il trionfo della logica bipolare sul sogno universalista che era allo origini dell'ONU. Il package deal, se da un lato favoriva l'uni-versalismo in riferimento alla membership, dall'altro metteva definitivamente in secondo piano importanza dei requisiti (Grant, 2009, 99). La traumatica "resa" degli Stati Uniti al principio delle ammissioni collettive, e l'umiliante scambio concluso ai danni di un fedele alleato come il Giappone17, segnavano un punto di non ritorno in questo processo. 16 Le pressioni più forti furono esercitate verso Taiwan, nel tentativo di trasformare il veto sul package in astensione. Il presidente Chiang fu raggiunto da messaggi personali di Eisenhower e Dulles che, nei toni più netti, paventavano gravi conseguenze sulla rappresentanza cinese all'ONU in caso di veto cinese contro il package. Ogni tentativo fu inutile. E l'irritazione del governo cinese palpabile. Foster Dulles si illuse di poter sfruttare la visita a Taipei di una delegazione del Congresso americano per convincere Chiang, ma l'iniziativa fu controproducente: infatti i Congressmen finirono per schierarsi dalla parte della Cina, ed anzi manifestarono la loro volontà di imporre al Dipartimento di Stato il rigetto del package, giudicato come un tradimento. Queste frenetiche vicende determinarono anche un aspro scontro personale tra Dulles e l'am-basciatore a Taipei Rankin. 17 Tra l'altro, nel novembre 1955 il Dipartimento di Stato aveva offerto al Giappone garanzie scritte che nessun paese sarebbe entrato all'ONU senza un contestuale ingresso del Giappone (FRUS, 1955-1957/ XI, Doc. 173). La traumatica esclusione dal package fu dunque vissuta dal Giappone come un autentico tradimento, che spinse il Governo di Tokio a rivedere le proprie relazioni con Mosca e a cercare un accordo coi sovietici (FRUS, 1955-1957/XI, Doc. 220, 221, 223, 225). 774 ACTA HISTRIAE • 26 • 2018 • 3 Lucio BARBETTA: GLI STATI UNITI E L'EVOLUZIONE DELL'ONU NELLA PRIMA FASE DELLA ..., 765-786 VERSO LA "BIPOLARIZZAZIONE" DELL'ONU Nell'immediato, la partita delle nuove ammissioni sembró chiudersi senza conseguenze di lungo periodo; tutte le parti in causa si dichiaravano soddisfatte dell'esito, e rivendicavano per sé il merito del rilancio dell'ONU e dell'apparente trionfo del clima distensivo18. La Casa Bianca e il Dipartimento di Stato, almeno in alcuni momenti, tornarono ad avanzare la linea ufficiale delineata nella risoluzione Vandenberg, sebbene ormai la realtà fosse irrimediabilmente mutata19. Già dal 1956, si manifestarono i segnali del cambiamento intervenuto rispetto al ruolo e alla natura dell'ONU nell'ambito del confronto bipolare. Il primo passo in questa direzione fu determinato dalla violenta reazione degli Stati Uniti rispetto a quello che ritenevano una sorta di tradimento, consumato dagli anglo-canadesi con il package deal. Poiché a Washington non sfuggiva che alla base dell'azione britannica c'era stato anche il tentativo di forzare la mano sulla questione cinese, il governo americano, al massimo livello, comunicó a Londra che l'ipotetico ingresso della Cina Popolare nell'ONU avrebbe comportato l'immediata uscita degli Stati Uniti; tutti coloro che, apertamente o dietro le quinte, lavoravano per l'ammissione della Cina, dovevano essere consa-pevoli che al momento della scelta avrebbero dovuto optare tra la presenza cinese e quella americana, essendo le due cose incompatibili (Brosio, 2008, 176)20. A queste condizioni, la Gran Bretagna non poté che recedere dai suoi progetti, rinunciando, per il momento, ad ulteriori manovre a favore della Repubblica Popolare. Se da un lato la fermezza americana aveva impedito il cedimento anche sulla questione cinese, dall'altro era ormai chiaro che le cause dell'esclusione di Pechino erano cambiate: se fino al 1955 la Cina di Mao era lasciata fuori perché la maggioranza dei membri non ne riconosceva i requisiti, dopo il package deal essa rimaneva esclusa solo perché gli Stati Uniti gettavano sul piatto della bilancia tutto il loro peso politico-diplomatico, riducendo al silenzio i propri alleati riottosi. Mentre il dibattito sui requisiti retroce-deva in secondo piano, gli equilibri di potenza diventavano l'elemento determinante 18 Tuttavia, nel campo occidentale gli osservatori più attenti non mancavano di esprimere grandi preoccupa-zioni sull'esito delle votazioni. In particolare, la diplomazia italiana, pur avendo accolto con giubilo l'ammissione all'ONU, notava che l'anno 1955 si chiudeva con una pesante sconfitta per l'Occidente, e che il futuro si annunciava carico di rischi. Ancor più preoccupate furono le reazioni del governo francese, che si spinse a chiedere a Washington l'accettazione senza condizioni di tutte le future candidature pur di evitare che fosse l'URSS a sostenerle. 19 Ancora all'inizio del 1958, in risposta a una offensiva diplomatico-propagandistica dell'URSS consistente in uno scambio di lettere tra Bulganin e Eisenhower, quest'ultimo tornó a riproporre la rinuncia del veto da parte delle grandi potenze, al fine di favorire una maggiore funzionalità dell'ONU. Com'era inevitabile, questa proposta si scontró con la netta opposizione sovietica (FRUS, 1958-1960/II, Doc. 4). 20 Potrebbe essere lecito dubitare della fondatezza di questa sorta di ultimatum, che prefigurava scenari davve-ro impensabili in concreto. Tuttavia, tanto le fonti documentarie quanto quelle memorialistiche danno conto di questo passaggio, e del fatto che esso fu preso sul serio dalla diplomazia europea (FRUS, 1955-1957/ XXVII, Doc. 221, nota n. 3; FRUS, 1955-1957/XI, Doc. 230). Del resto, l'amministrazione americana chiariva che la traumatica uscita dall'ONU sarebbe stata pretesa dal Congresso e dall'opinione pubblica, e che pertanto l'amministrazione avrebbe avuto le mani legate. Stando alle fonti consultate, nell'immediato le minacce ebbero l'effetto desiderato sulla posizione britannica. 775 ACTA HISTRIAE • 26 • 2018 • 3 Lucio BARBETTA: GLI STATI UNITI E L'EVOLUZIONE DELL'ONU NELLA PRIMA FASE DELLA ..., 765-786 anche nella questione della rappresentanza cinese all'ONU, confermando in questo modo l'impostazione uscita vittoriosa con il package deal. Non a caso, quando negli anni '70 la Cina comunista fu finalmente ammessa nelle Nazioni Unite, ció si dovette ad una svolta della politica estera americana, e non certo alla "conversione" cinese ai valori e ai principi dell'ONU. Le minacce americane rivolte alla Gran Bretagna, nel 1956, costituivano già il primo passo verso questa soluzione, poiché spostavano la questione dell'ammissione dal terreno dei requisiti a quello del peso delle grandi potenze. L'anno 1956 fu poi caratterizzato dalle crisi di Suez e Budapest, che attrassero quasi esclusivamente l'attenzione dell'Assemblea Generale. Sfruttando le difficoltà di Mosca, Londra e Parigi, gli Stati Uniti riuscirono a giocare la carta dell'ONU secondo i propri interessi, ottenendo deliberazioni favorevoli alle loro posizioni e formalmente aderenti ai principi ispiratori dello Statuto. Nel caso di Suez, l'azione dell'Assemblea Generale si dimostró anche incisiva ai fini di una soluzione della crisi; il prestigio dell'ONU ne risultó complessivamente accresciuto. Tuttavia, il rilancio dell'Organizzazione era più apparente che reale; il Consiglio di Sicurezza restava infatti paralizzato dai veti, e l'URSS poteva permettersi di ignorare le risoluzioni dell'Assemblea Generale sull'Ungheria senza nessuna conseguenza. Inoltre, anche l'ammissione del Giappone, conclusa finalmente nel dicembre 1956 insieme a quella di tre paesi neutrali, non fu in grado di "bilanciare" gli eventi del 1955. Se infatti l'URSS non reiteró il "baratto" con la Mongolia (la cui ammissione fu comunque deliberata nel 1961 senza alcun riguardo per il possesso dei requisiti), il Cremlino condizionó l'ingresso del Giappone alla ratifica della Dichiarazione congiunta nippo-sovietica firmata a Mosca nell'ottobre del 1956. Per accedere all'ONU, il Giappone doveva pagare un prezzo alla logica bipolare, consistente nella firma di un accordo bilaterale molto favorevole agli interessi dell'URSS21. L'articolo 4 dello Statuto era rispettato da un punto di vista procedurale, ma veniva completamente alterato nella sostanza. Dopo gli eventi del 1955-1956, continuó dunque il processo di allargamento dell'ONU, e anche il tentativo di attribuire ad essa maggiori responsabilità. Ma tutto questo avveniva al prezzo di un crescente cedimento dell'Organizzazione alla logica bipolare. Gli Stati Uniti, pur non abbandonando formalmente la difesa dei principi originari, trovarono crescenti difficoltà a promuovere le loro visioni, anche perché, persino dentro l'Amministrazione Eisenhower, iniziarono a levarsi voci favorevoli ad un approccio più realista e pragmatico. Le questioni su cui questo approccio si manifestó negli anni successivi furono quella delle credenziali ungheresi, della rappresentanza cinese e delle elezioni agli organi ed uffici dell'ONU (dal Consiglio di 21 L'accordo non costituiva un Trattato di Pace, vista anche l'impossibilità di comporre il contrasto territoriale sulle isole Curili. Esso tuttavia rafforzava l'offensiva distensiva sovietica in corso in Asia; poneva fine allo stato di guerra, riallacciava le relazioni diplomatiche, confermava l'impegno sovietico per l'ammissione all'ONU del Giappone e alimentava gli scambi commerciali tra i due paesi, un punto questo che stava molto a cuore all'URSS. 776 ACTA HISTRIAE • 26 • 2018 • 3 Lucio BARBETTA: GLI STATI UNITI E L'EVOLUZIONE DELL'ONU NELLA PRIMA FASE DELLA ..., 765-786 Sicurezza ai vari comitati, dalle Organizzazioni collegate fino ai giudici della Corte Internazionale di Giustizia). La crisi ungherese aveva lasciato in eredità il problema dell'accettazione delle cre-denziali del nuovo governo, scaturito dalla repressione dell'ottobre-novembre 1956. La questione era più formale che sostanziale, in quanto l'accoglimento delle credenziali costituiva un passaggio procedurale, e non metteva in discussione l'appartenenza del paese all'ONU. Tuttavia, gli Stati Uniti, che avevano condannato l'intervento sovietico e chiedevano con forza il rispetto delle risoluzioni ONU del 1956, iniziarono una lunga battaglia affinché le credenziali del nuovo governo guidato da Kadar fossero respinte (si veda ad esempio FRUS, 1958-1960/II, Doc. 39). Una simile misura doveva essere approvata dalla maggioranza dei due terzi dell'Assemblea, e ben presto gli USA si resero conto che tale risultato non era raggiungibile (FRUS, 1958-1960/II, Doc. 42); inoltre, anche in questo caso, si manifestó una chiara dissonanza con la Gran Bretagna, che riteneva inutile un braccio di ferro sulle credenziali ed anzi insisteva affinché le indagini portate avanti dall'ONU sui fatti d'Ungheria non risultassero troppo invasive rispetto alla sovranità di Budapest22. Anche la rappresentanza americana all'ONU, manifestó i suoi dubbi sulla fattibilità dell'operazione, ma i suoi moniti non furono tenuti in considerazione dal Dipartimento di Stato (FRUS, 1958-1960/II, Doc. 39, 47). Alla fine, nel dicembre 1958, gli Stati Uniti dovettero abbandonare il loro proposito, e ripiegare su un rinvio della discussione e sul tentativo di evitare che l'Ungheria fosse eletta a partecipare ai vari organi dell'ONU (FRUS, 1958-1960/II, Doc. 49, 50, 51, 54 e 76). Ancora una volta, l'approccio basato sui principi doveva cedere il passo alle considerazioni realistiche portate avanti, con crescente successo, dall'URSS, dai paesi non allineati e anche da una parte importante del blocco occidentale, che vedeva nella Gran Bretagna il suo punto di riferimento. Su una scala maggiore, le dinamiche del problema ungherese tornarono a presen-tarsi sulla questione ben più rilevante della rappresentanza cinese all'ONU (si veda ad esempio FRUS, 1958-1960/II, Doc. 17, 20). L'energica reazione americana dopo il package deal aveva avuto l'effetto di congelare momentaneamente il problema, ma non risolveva alla radice la questione. La moratoria, infatti, doveva essere rinnovata di anno in anno. Non solo la sua stessa approvazione costituiva un problema, ma persino i suoi termini temporali risultarono oggetto di lunghe dispute. Nel settembre 1958, la rappresentanza americana all'ONU ammoniva che ormai l'esclusione della Cina dipendeva esclusivamente dal peso politico americano, e non da un sincero supporto alla propria linea politica: "Our support came almost entirely from loyality to the US as free world leader. There was no discernible evidence that it was based on the view that our policy is right" (FRUS, 1958-1960/II, Doc. 34). Per gli Stati Uniti diventava quindi sempre 22 La questione delle credenziali fu oggetto di un prolungato confronto tra il Dipartimento di Stato e il Foreign Office (si veda ad es. FRUS, 1958-1960/II, Doc. 16, 44, 45), soprattutto nel momento in cui Imre Nagy e i suoi più stretti collaboratori furono giustiziati in modo sommario e illegale. Alla fine, la parte americana, senza nascondere la propria riluttanza, si adeguó alla linea pragmatica suggerita da Londra, e il respingi-mento delle credenziali ungheresi non fu portato in votazione (FRUS, 1958-1960/II, Doc. 61, 62, 66, 69). 777 ACTA HISTRIAE • 26 • 2018 • 3 Lucio BARBETTA: GLI STATI UNITI E L'EVOLUZIONE DELL'ONU NELLA PRIMA FASE DELLA ..., 765-786 più difficile mantenere in vita la moratoria sulla discussione, specie per le resistenze indirette della Gran Bretagna e per il crescente attivismo di alcuni paesi non allineati in favore dell'ammissione23. Una revisione delle posizioni americane appariva, prima o poi, inevitabile: "It appears clear today that we should maintain the moratorium as long as we can, but everything else related to Chi Rep question [...] should be restudied" (FRUS, 1958-1960/II, Doc. 34). Tutte le volte che sorgevano problemi sulla composizione di qualche nuovo organo, o sulla sostituzione dei membri di quelli esistenti, gli Stati Uniti sperimentavano diffi-coltà simili, soprattutto a causa della crescente difficoltà ad ottenere la maggioranza dei due terzi in una Assemblea Generale sempre più numerosa (FRUS, 1958-1960/II, Doc. 20). Mentre infatti essi pretendevano di trattare ogni paese singolarmente, tenendo in considerazione solo il criterio della rappresentanza geografica, l'Organizzazione ten-deva a funzionare sempre più secondo una logica bipolare. Ovviamente, era l'Unione Sovietica a spingere verso questo "principio di parità", che avrebbe aumentato il suo peso all'interno e all'esterno dell'ONU e rafforzato la tattica distensiva globale, basata sulla ricerca di un miglior "clima" nei rapporti Est-Ovest come garanzia del manteni-mento dello status quo in Europa (FRUS, 1958-1960/II, Doc. 68)24. Ma anche gli stati neutrali e molti membri del blocco occidentale, Gran Bretagna in testa, consideravano più utile ai propri scopi una ONU ben inserita negli schemi esistenti, capace di bilan-ciare gli interessi di tutti, piuttosto che un'Organizzazione dedita ad inseguire il sogno universalista. Tutti questi problemi erano destinati ad approfondirsi con l'ulteriore aumento dei paesi membri25. Gli Stati Uniti si trovarono cosi coinvolti in una serie di piccole battaglie politico-procedurali sulla composizione dei vari organi, il cui esito si mostrava tutt'altro che scontato. Se infatti in molti casi il prestigio americano si dimostrava sufficiente ad indirizzare le decisioni nel senso desiderato, in altri casi esso non poté evitare sonore sconfitte; l'esempio più importante in questo senso fu l'elezio-ne dell'Ungheria nella neonata commissione dell'ONU sull'uso pacifico dello spazio esterno, che avvenne nel 1959. Con questa decisione dell'Assemblea Generale, che gli USA non furono in grado di impedire, si sanciva la chiusura della questione ungherese 23 In particolare, fu l'India a promuovere con forza la causa della Cina Popolare, al punto da far dire al Dipartimento di Stato che in questo settore essa aveva preso il posto dell'Unione Sovietica. Anche altri paesi asiatici facevano sentire la propria voce (FRUS, 1958-1960/II, Doc. 79). Se è vero che tali proposte risulta-vano spesso semplicistiche e quasi ingenue - si pensi ad esempio all'idea di ammettere la Cina comunista lasciando intatta la posizione di quella nazionalista (FRUS, 1958-1960/II, Doc. 142), esse avevano l'effetto di mantenere vivo il problema, e di costringere gli Stati Uniti in posizione difensiva. 24 Non era certo una novità che l'URSS mirasse a questo tipo di "parità" all'ONU, anche se una simile posizione non era sempre stata mantenuta con coerenza. Tuttavia, a partire dal periodo qui considerato, tale richiesta si ando a sovrapporre con l'analoga richiesta di "parità" nei maggiori summit internazionali. Per quanto questo tipo di istanza fosse destinata a cadere nel vuoto, il tema del bilanciamento dei blocchi in sede ONU acquisi una sempre maggiore portata. 25 Nel gennaio 1959, il Bureau of International Organization Affairs del Dipartimento di Stato affermava: "The substantial and growing number of uncommited members has strengthned the USSR's position in the UN. The vote the US can expect in support of its position vis-à-vis the USSR is likely to fall noticeably short of the very substantial majority it has obtained in the past" (FRUS, 1958-1960/II, Doc. 68). 778 ACTA HISTRIAE • 26 • 2018 • 3 Lucio BARBETTA: GLI STATI UNITI E L'EVOLUZIONE DELL'ONU NELLA PRIMA FASE DELLA ..., 765-786 in sede ONU, e il definitivo riconoscimento del Governo Nagy. Il Dipartimento di Stato non esitó a definire questo passaggio come un "esito catastrofico" (FRUS, 1958-1960/ II, Doc. 122)26. La pretesa di trattare con ogni membro in quanto tale, e non in quanto membro di un blocco, era quindi fuori dal tempo e costringeva la diplomazia americana a disperdere il proprio impegno in una lunga serie di schermaglie di corto respiro e non utili agli interessi generali del paese. Fu quindi dentro l'Amministrazione americana che, tra il 1959 e il 1960, iniziarono a levarsi voci che chiedevano un diverso approccio rispetto all'ONU, pur senza rinnegare esplicitamente i principi tradizionali. A partire dal 1959, l'amministrazione Eisenhower sostenne anche la proposta di limitare le competenze della Corte Internazionale di Giustizia ed estendere il principio di non ingerenza (FRUS, 1958-1960/II, Doc. 59)27. Se da un lato questa decisione non riguardava direttamente l'ONU, dall'altro essa indicava una modifica nell'approccio americano verso le tema-tiche universaliste e il sogno di "governo mondiale", che finiva sempre più nell'ombra. LA "SVOLTA" DEL 1960 La rappresentanza americana all'ONU e i settori del Dipartimento di Stato più impegnati negli affari europei presero la guida di questo "movimento sotterraneo" che chiedeva un nuovo approccio28. In particolare, questi ambienti insistevano su due richieste fondamentali. La prima era modificare l'atteggiamento americano rispetto alle elezioni dei vari paesi come membri degli organi ONU, abbandonando finalmente l'approccio "caso per caso" e sostituendolo con una linea generale che tenesse conto dell'esistenza dei blocchi29. La seconda richiesta riguardava la necessità di non insistere oltre sul preteso "obbligo morale" degli Stati membri ad attenersi alle risoluzioni non vincolanti dell'ONU30. Con l'aumento progressivo dei membri dell'Organizzazione, 26 La decisione definitiva in questo senso fu assunta il 23 dicembre 1959, e determinó una certa tensione tra gli Stati Uniti ed i loro alleati. 27 Il noto "emendamento Connally" del 1946 riconosceva la giurisdizione obbligatoria della Corte Interna-zionale di Giustizia in una serie di casi (A decade of American Foreign Policy, 129); tra il 1959 e il 1960 si discusse della possibilita di inserire una clausola che escludesse da tale giurisdizione i casi che ricadevano "essenzialmente" nella domestic jurisdiction degli Stati Uniti. Il presidente Eisenhower annunció la modifica gia nel discorso sullo stato dell'Unione del gennaio 1959 28 L'ambasciatore all'ONU Cabot Lodge fu in prima fila nel richiedere un approccio diverso, in particolare sulla questione delle credenziali ungheresi (FRUS, 1958-1960/II, Doc. 42). Allo stesso tempo, egli tentó di tenere in vita anche un approccio piu idealista; ad esempio, nell'agosto 1959, egli propose che l'Assemblea Generale varasse una iniziativa sui temi del "mondo aperto", i cui contenuti ricalcavano i tradizionali valori e principi dell'universalismo. Tuttavia, questa proposta, generica e non strutturata, fu portata avanti senza energia, e ben presto abbandonata (FRUS, 1958-1960/II, Doc. 86). 29 L'assistente segretario di Stato per gli Affari Europei, Merchant, si lasció andare a giudizi molto severi: "I believe that the present practise of deciding on candidates for vacated Eastern European seats on an ad hoc basis is illogical, time-consuming and cumulatively harmful to our basic policy of supporting the United Nations" (FRUS, 1958-1960/II, Doc. 73). 30 L'idea di assegnare una sorta di valore morale vincolante alle risoluzioni dell'ONU era presente nella politica americana fin dalla fondazione dell'Organizzazione. Ovviamente, tutti erano consapevoli che non vi era 779 ACTA HISTRIAE • 26 • 2018 • 3 Lucio BARBETTA: GLI STATI UNITI E L'EVOLUZIONE DELL'ONU NELLA PRIMA FASE DELLA ..., 765-786 rifletteva la diplomazia USA, accadrá fatalmente che verranno approvate anche risolu-zioni contrarie agli interessi americani, ed in questo caso anche gli Stati Uniti potranno trovare piu conveniente non conformarsi alle delibere prese dalla maggioranza degli Stati (FRUS, 1958-1960/II, Doc. 68, 138). Entrambe queste richieste, che de facto furono progressivamente accolte nel corso del tempo, significavano il gradúale abbandono dell'utopia del "governo mondiale" e implicavano l'accettazione definitiva e consapevole della logica dei blocchi all'interno dell'ONU. Tanto piu che i problemi sul tema della rappresentanza cinese si ripresentavano anno dopo anno, senza che gli Stati Uniti riuscissero a modificare le opinioni della maggioranza degli stati (FRUS, 1958-1960/II, Doc. 80, 83, 84). Anche il tema della "paritá" avanzato con crescente energia dall'ONU restava insoluto, nonostante l'impegno del dipartimento di Stato per difendere, almeno su questo aspetto, l'impostazione originaria (FRUS, 1958-1960/II, Doc. 84). Infine, anche la lunga battaglia combattuta per la riforma dell'ONU, ed ini-ziata con la risoluzione Vandenberg, fu di fatto abbandonata31; secondo il Dipartimento di Stato, infatti, lo Statuto del 1945 risultava migliore di qualunque ipotesi di modifica che poteva emergere nella nuova situazione del 1959-1960 (FRUS, 1958-1960/II, Doc. 84, 88, 138)32. Tali istanze di mutamento si rafforzarono dopo la scomparsa del segretario di Stato Foster Dulles (aprile 1959) e la nomina del piu pragmatico Christian Herter, che, senza abbandonare le linee guida del predecessore, non ne condivideva gli slanci piu intransigenti sulle questioni di principio. Ma la spinta definitiva verso il cambiamento fu impressa dagli avvenimenti del 1960, quando fu chiaro che un alto numero di paesi africani di nuova indipendenza sarebbero entrati immediatamente nell'Organizzazio-ne33. Con una Assemblea Generale che si avviava verso i 100 membri, mentre i paesi dell'emisfero occidentale non arrivavano a 30, diventava sempre piu difficile per gli Stati Uniti contare su una solida maggioranza in seno all'organo. Non era piu pensabile andare a costruirsi una maggioranza di volta in volta, trattando con decine di paesi, ognuno dei quali portatore di istanze proprie. Era necessario accettare l'impostazione "tripolare", ovvero prendere atto che all'ONU esistevano tre nuclei di paesi, uno dei alcuna possibilité concreta di un simile sviluppo, e la richiesta in tale senso veniva reiterata soprattutto per motivi propagandistici, in quanto faceva apparire gli Stati Uniti come i paladini della legalità internazionale e dell'ONU. Tanto più che ben difficilmente l'Assemblea Generale o il Consiglio di Sicurezza avrebbero potuto approvare deliberazioni contrarie agli interessi americani. Tuttavia, la proposta di rinunciare definitivamente a questo tipo di approccio segnó un ulteriore punto a favore di una visione più realista e concreta della presenza americana all'ONU. 31 Membri autorevoli del Senato continuarono la loro battaglia presso l'amministrazione affinché la riforma dello Statuto fosse portata avanti, ma i loro sforzi restarono senza esito (FRUS, 1958-1960/II, Doc. n. 99). 32 L'Unione Sovietica si spinse a condizionare ogni discussione sulla revisione dello Statuto all'ammissione della Cina Comunista. Ció ovviamente escludeva alla radice ogni possibilité che si potesse giungere ad un accordo. 33 Ancora nel gennaio 1960, il Dipartimento di Stato non si attendeva una ondata massiccia di nuovi ingressi (FRUS, 1958-1960/II, Doc. 121). Ma nelle settimane successive divenne chiaro che questo esito non era evitabile, e che gli Stati Uniti non avevano alcun interesse a ostacolarlo. Alla fine dell'anno, ben 17 nuovi stati furono ammessi all'ONU. 780 ACTA HISTRIAE • 26 • 2018 • 3 Lucio BARBETTA: GLI STATI UNITI E L'EVOLUZIONE DELL'ONU NELLA PRIMA FASE DELLA ..., 765-786 quali, quello dei neutrali, non era coeso come gli altri due, e necessitava quindi di particolare attenzione per evitare scivolamenti verso l'altra parte. L'optimum per gli Stati Uniti continuava ad essere un'Assemblea Generale dove la logica dei blocchi non prevalesse sull'individualità dei membri, ma nessuno poteva farsi illusioni in merito. Anzi, gli Stati Uniti dovevano rassegnarsi a prendere posizioni anche su questioni secondarie e poco rilevanti, per poter contare sulla futura gratitudine e solidarietà dei paesi non allineati; la "three-cornered parity" non faceva che rafforzare i meccanismi del bipolarismo (FRUS, 1958-1960/II, Doc. 84)34. Alla vigilia della sessione ONU del 1960, il Dipartimento di Stato diramô istruzioni precise: nella nuova situazione, caratterizzata dalla presenza di due blocchi coesi ed uno più frammentato (ma anche numericamente più rilevante), la vita dell'ONU si avviava ad essere governata dai rapporti di forza e dal confronto diplomatico tra Stati Uniti ed Unione Sovietica. The relative power position of the United States and the USSR can be expected to manifest themselves in the United Nations. The measure of our influence in the UN is likely to reflect reasonably accurately our relative political influence in the world. Therefore, US policy in the UN is not and cannot be something apart and separate from our total diplomacy everywhere. [...] The general assessment [...] of the relative power balance between the Unted States and the Soviet Union, [...] has a strong influence in the United Nations (FRUS, 1958-1960/II, Doc. 138). L'assunzione di un approccio "bipolarista" anche verso l'ONU, non poteva essere espressa in termini più chiari. Il fatto che l'ONU fosse ormai caratterizzata da una mag-gioranza di paesi neutrali, non faceva che rendere il suo funzionamento maggiormente dipendente dai rapporti di forza tra USA e URSS, unico fattore in grado di scongiurare una paralisi o uno scivolamento dell'Organizzazione verso posizioni anti-americane: As the numerical balance in the United Nations shifts from the West to the Africans and Asians, the United States will encounter greater difficulty in preventing unde-sidered action where only a simple majority in required. [...] The actual course of events in the future United Nations will depend upon the inter-action of many diverse elements, including the direct U.S.-Sovietpower relationship, which is outside the United Nations but is clearly reflected in it (FRUS, 1958-1960/II, Doc. 138). In definitiva, diventava necessario persino "spegnere" gli entusiasmi dell'opinione pubblica americana verso l'ONU, poiché la realtà dell'Organizzazione era mutata e non 34 La situazione tripolare faceva si che fosse sempre più necessario muoversi "per blocchi", altrimenti sarebbe stato impossibile ottenere di volta in volta l'appoggio di quello dei neutrali. Proprio l'estrema frantuma-zione di quest'ultimo rendeva impossibili trattative caso per caso, e imponeva agli Stati Uniti di prendere posizioni relative a tutto il blocco dei non allineati. Il cedimento alla logica bipolare fu determinato quindi da una progressiva presa di coscienza del tripolarismo di fatto alle Nazioni Unite. 781 ACTA HISTRIAE • 26 • 2018 • 3 Lucio BARBETTA: GLI STATI UNITI E L'EVOLUZIONE DELL'ONU NELLA PRIMA FASE DELLA ..., 765-786 era più opportuno che essa fosse ancora percepita come "a cornerstone of United States foreign policy" (FRUS, 1958-1960/II, Doc. 138). Anche gli Stati Uniti, ultimi custodi del sogno universalista, dovevano prendere atto che l'ONU, anziché fungere da "antidoto" rispetto al confronto bipolare, finiva per adeguarsi alle regole e alle dinamiche di quest'ultimo. Il paradosso iniziato con la battaglia sul package deal del 1955, giungeva dunque al suo compimento con il blocco di ammissioni del 1960. L'entrata di decine di nuovi membri, il crescente interesse dell'URSS per l'ONU e il consolidamento del clima distensivo, anziché portare ad un rilancio degli ideali originan, portavano ad una "resa" dell'ONU allo schema dei blocchi contrapposti. L'esistenza di un ampio ma disomoge-neo gruppo di paesi neutrali, non faceva che accentuare la necessità per i due blocchi di agire all'ONU tenendo conto soprattutto degli equilibri di potenza, senza dare troppo rilievo ai sogni originari. Del resto, nel mondo del 1960, la logica dei blocchi declinata in un contesto di coesistenza pacifica appariva come l'unico strumento possibile per governare il sistema internazionale e garantire la pace e la sicurezza; era dunque inevi-tabile che le Nazioni Unite entrassero a pieno titolo in questo quadro, e che anche gli Stati Uniti cedessero progressivamente a questa visione. CONCLUSIONI Se è vero che già nel periodo 1948-1955, di fatto, la vita dell'ONU era stata regolata dall'andamento della guerra fredda, è vero anche che da parte americana tale situa-zione era stata vissuta come una stortura, una condizione di emergenza determinata dall'esplosione della guerra fredda. Al fondo della posizione americana, restava sempre l'idea che le Nazioni Unite dovessero diventare qualcosa di diverso, e che continuasse-ro ad incarnare il sogno del "governo mondiale". La dimensione utopica di una simile visione divenne chiara agli stessi Stati Uniti proprio quando, con il rilassamento della tensione internazionale, le Nazioni Unite conobbero il proprio rilancio, tra il 1955 ed il 1960. Il maggiore dialogo tra i blocchi non metteva in discussione i cardini del sistema bipolare, ma anzi finiva per rafforzarli in quanto le superpotenze, almeno in alcuni settori, tendevano ad una gestione "direttoriale" del sistema internazionale. Le Nazioni Unite non potevano certo sottrarsi a questa dinamica, e il loro rilancio fini per inserirsi nel solco della nuova fase nei rapporti Est-Ovest. Il progressivo cedimento americano verso questa visione, sanci la definitiva "bipolarizzazione" dell'ONU. Tra il 1955 e il 1960, non vi fu alcuna rivoluzione esplicita nell'atteggiamento americano verso l'ONU. A livello esteriore, i principi dello Statuto e i contenuti della Risoluzione Vandenberg continuarono ad essere promossi come elementi ispiratori del-la politica degli Stati Uniti. Ma se all'apparenza tutto rimaneva come in passato, nella realtà l'approccio era profondamente cambiato. Se prima del 1955 la bipolarizzazione dell'ONU era considerata come una sorta di forzatura, dopo il 1955 essa diventó una scelta consapevole e strategica anche per gli Stati Uniti, come già accadeva da tempo per gli altri protagonisti del sistema internazionale. Pur in assenza di eventi clamorosi, una serie di questioni determinarono la modifica delle vedute americane: l'approva- 782 ACTA HISTRIAE • 26 • 2018 • 3 Lucio BARBETTA: GLI STATI UNITI E L'EVOLUZIONE DELL'ONU NELLA PRIMA FASE DELLA ..., 765-786 zione del package deal del 1955, la questione della rappresentanza cinese, l'incapacità di indirizzare la discussione sulla crisi ungherese secondo direttive "idealistiche", la difficoltà di affrontare le nomine negli organi dell'ONU e, da ultimo, l'impossibilità di trattare "caso per caso" con una Assemblea Generale che contava quasi il doppio dei membri rispetto a quelli originari. Tutte queste situazioni, che paradossalmente scaturivano proprio dallo spirito della coesistenza pacifica, rendevano indispensabile anche per gli USA l'assunzione di un approccio più realista e pragmatico. Con la "resa" americana a questa visione, tramontava definitivamente l'utopia universalista che era alla base della nascita dell'ONU. Negli anni successivi, le Nazioni Uniti divennero uno delle sedi più importanti del confronto tra i blocchi, fatto di negoziati e accordi di indubbia importanza, ma anche di scontri politico-propagandistici privi di conseguenze tangibili. Lungi dal rappresentare l'antidoto alla conflittualità internazionale, l'ONU divenne cosi il più autorevole "palcoscenico" da cui il bipolarismo poteva manifestarsi e governare il sistema internazionale; la pratica del "concerto mondiale" prevaleva definitivamente sull'idea del governo mondiale. 783 ACTA HISTRIAE • 26 • 2018 • 3 Lucio BARBETTA: GLI STATI UNITI E L'EVOLUZIONE DELL'ONU NELLA PRIMA FASE DELLA ..., 765-786 ZDRUŽENE DRŽAVE AMERIKE IN RAZVOJ ORGANIZACIJE ZDRUŽENIH NARODOV V PRVI FAZI MIROLJUBNE KOEKSISTENCE (1955-1960) Lucio BARBETTA Universita degli Studi Roma Tre, Dipartimento di Lingue Letterature e Culture Straniere, Via del Valco di San Paolo 19, 00146 Roma, Italija e-mail: lucio.barbetta@uniroma3.it POVZETEK Članek obravnava spremembe v ameriškem odnosu do Organizacije združenih narodov v obdobju 1955-1960 in posledice le-tega na delovanje same Organizacije. Od leta 1955 dalje so uveljavitev ozračja miroljubne koeksistence, novo zanimanje Sovjetske zveze do Organizacije združenih narodov in pospešitev procesa popuščanja napetosti ustvarili pogoje za poživitev Organizacije, za kar so si Združene države Amerike prizadevale, in sicer od Vandenbergov resolucije dalje; pot je bila tako odprta bodisi za sprejem novih desetih članic kot tudi za ponovni zagon globalne vloge Organizacije kot garanta miru, varnosti in spoštovanja temeljnih pravic. Boj glede novih članic v letu 1955 se je končal z diplomatskim porazom Američanov, ki so se morali odreči prvotnemu načinu sprejema, ki je temeljil na dobesednem spoštovanju Statuta, saj se je uveljavilo načelo skupinskih pristopov. Novo načelo je predvidevalo vstop "paketa" držav, ki so pripadale različnim blokom, tako da bi se lahko v Generalni skupščini ohranilo dotedanje ravnovesje moči. Po napornem boju so bile Združene države Amerike prisiljene vdati se, in sicer zaradi več razlogov: notranjih delitev v svoji Administraciji, kitajskega vprašanja, ki je postalo ponovno aktualno, nepopustljivosti Sovjetske zveze, soglasnega pritiska neuvrščenih držav, zlasti pa zaradi politike Velike Britanije in Kanade, ki sta si skupaj s Sovjeti prizadevali za zagotovitev uspeha "paketa". Ko so ZDA popustile se je okrepila "bipolarnost" Organizacije združenih narodov, saj je tudi država, ki si je prizadevala uveljavlati načelnost, pristala na logiko razdelitve in ravnovesja moči ter to ravno v času, ko je kazalo, da bi lahko oživili univerzalistično idejo in povzdvignili Organizacijo nad bipolarno logiko. Če se je v času hladne vojne bipolarizacija v Organizaciji združenih narodov razvila zaradi mednarodnega konflikta, se je ta delitev še bolj razširila in postala zavestna izbira tudi za Američane in druge zahodne države. Na predvečer razširitve leta 1960 se je tako ameriška diplomacija vedno bolj zavedala, da bo pri vodenju Organizacije združenih narodov treba upoštevati ravnovesje moči med velesilami. Ključne besede: Organizacija združenih narodov, širitev, détente, koeksistenca, bipolarnost 784 ACTA HISTRIAE • 26 • 2018 • 3 Lucio BARBETTA: GLI STATI UNITI E L'EVOLUZIONE DELL'ONU NELLA PRIMA FASE DELLA ..., 765-786 FONTI E BIBLIOGRAFIA A decade of American Foreign Policy - Basic Documents, 1941-1949. Prepared at the Request of the Senate Committee on Foreign Relations. United States Government Printing Office, 1950. Austria State Treaty - Treaty Series, vol. 217, n. 2949, United Nations, 1955. https:// treaties.un.org/doc/Publication/UNTS/Volume%20217/v217.pdf. Brosio, M. (2008): Diari di Washington 1955-1961. Gentiloni Silveri, U. (ed.). Bologna, Il Mulino. 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