ANNO XIV. Capodistria, 16 Aprile 1880 N.r0 8 LÀ PROVINC ip DELL' ISTRIA Esce il 1° ed il 16 d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno fior. 3; semestre e quadrimestre in proporzione. — Gli abbonamenti si ricevono presso la Redazione. Articoli comunicati d'interesse generale si stampano gratuitamente. — Lettere e denaro franco alla Sedazione. — Un numero separato soldi 15. — Pagamenti anticipati. EFFEMERIDI ISTRIANE Aprile 16. 1387. — Il comune di Muggia, ricercato dal doge e dal podestà di Capodistria, a voler accordare ai suoi terrazzani di ascriversi al servizio della Repubblica, risponde negativamente, parte perchè molti della Terra erano con l'armata nel Friuli e parte perchè i confinanti nemici la minacciavano. - 5, 1, - 43, e 18, 13. 17. 1398. — Udine. Il patriarca scrive a que' di Buie e di Portole di dover accogliere in loro Podestà ser Giacomo da Brescia, avvertendogli d'aver delegato il vescovo di Cittanova a lanciare contro di essi la scomunica ove vi si rifiutassero ; così pure avvisa il comune di Pinguente di contare le decime all' anzidetto podestà. - 13. 18. 1363. — Il patriarca Lodovico della Torre elegge Guglielmino del fu Corrado de' Boiani di Cividale a marchese governatore d'Istria per 2 anni. - 21, 138, - e 13. 19. 1344. — Il senato mette in istato di quiescenza i quattro conestabili equestri in Capodistria perchè carichi d'anni, assegnando a ciascuno un mensile di lire 22 di picc., col patto però di fermarsi in loco e di mantere un cavallo coli' uomo. I conestabili erano : ser Pauluccio, ser Padovano, ser Truffa e ser Giovanni Lombardo vulgo Guercio di Ravenna. - XXII.16.a 19. 1349. — Bertrando, patriarca d' Aquileia, delega il vescovo di Cittanova, Giovanni Morosini, per riscuotere la decima di Castel Venere e di San Giorgio (Castiglione) presso il Quieto - 21, 114, - e 42, V. 123. 20. 1283. — Il senato delibera che il comune di Ve- nezia estragga a sorte i sestieri che secondo ordine dovranno mandare i loro figli a combattere contro la città di Trieste. - 6, I, 150, - e 7 II, 314. 20. 1334. — Frà Pace di Vedano, vescovo di Trieste, infeuda ser Andrea Dandolo di Venezia e suoi discendenti della decima di quattro case situate nel castello d'Umago. - 13 21. 1431. — Trieste. Il vescovo Pietro de' Bonomo assiste alla stipulazione di atto solenne, fatto nel convento dei Minori di San Francesco .ov'era guardiano fra Giovanni della Croce. - 14. 22. 1344. - - Il senato ordiua al sopracomito della barca pubblica alla custodia della costa istriana di condurre a Venezia il podestà di Parenzo, Francesco Donato, e la di lui moglie, colpita da malattia, - 11. XXII, 17.b 23. 1365. — Neumarkt. Alberto, ultimo conte d'Istria della casa di Gorizia, accorda ai possidenti ed ai nobili della Contea gli antichi diritti e le vecchie consuetudini, risguardanti la pubblica amministrazione ed i feudi. - 22, I, 51, - e 13. 23. 1428. — Trieste. Il consiglio elegge Nicolò de' Boiardi a capitano di Castel Nuovo sui Carsi, cassandone ser Pietro che era dello stesso luogo. - 2, 53.a (*) 24. 1226. — Venezia vieta a' suoi sudditi 1'andata a Trieste con o senza merci, ed anche il solo invio di merci, e ciò sotto la penale di lire 130 soldi 12 e mezzo. - 18, 45.a 24. 1344. Il senato elegge a conestabile delle truppe pedestri in Capodistria ser Angelo de Come-zano. - 11, XXII, 19.a 25. 1499. — Trieste. Il vescovo Acacio de Sobriach affitta per un anno a Vitale de Mirez la muda maggiore della civica porta di Riborgo verso la corrisponsione di 160 ducati. - 17, 322. 26. 1546. — Giovanni de Hoys, eletto capitano di Trieste, prende possesso della carica, giurando piena osservanza dello statuto. - 3. 27. 1369. — 11 doge Contarmi sollecita il podestà di Conegliano, Marco Moro, a mandargli pel primo di maggio 150 guastatori, muniti di scure e di lancia, per quindi passare contro Trieste. - 13. 27. 1463. — Papa Pio II scrive al comune di Muggia a non opporsi che le monache della Cella in Trieste possano ritirare il sale delle loro saline situate in Muggia. - 43, 24. *) Erra il Mainati Tom. Il, p. 233, dicendolo primo capitano del detto luogo, ed eletto li 27 aprile. 28. 1221. Papa Onorio III accorda al capitolo di Trie- ste il tredicesimo canonicato, domandato dallo stesso capitolo e dal vescovo Corrado. - 36, I, 72, - e 13. 29. 1378. — Udine. Marquardo del Eandect, patriarca d' Aquileia, investe di feudo il triestino ser Accarisio. - 21, 149. 29. 1419. — Trieste. Il comune affitta al cittadino Giacomo de Cadoure per anni cinque la fornace con la casa ed annessi fondi, tutto situato nella contrada de Valderivo. - 2, 21.b 30. 1427. — Trieste. Il comune affitta per cinque anni a Pietro de' Leo la fornace e gli annessi beni, il tutto posto in Zaulis, e ciò verso 1' annua contribuzione di lire 20 di picc., pari a lire italiane dieci. - 2, 48.b Del Decadimento dell'Istria' Gli arciduchi adunque, negata 1' unione alla Carniola, continuarono come per lo innanzi, a disporre a piacimento della contea, «facendola amministrare per proprio conto, talvolta vendendola, e dandola in pegno o fitto a famiglie nobili e ricche, dalle quali nelle ristrettezze finanziarie dello stato avevano ricevuto sovvenzioni e denari: scrive il De Franceschi. 1) Così nel 1560 „ 1' ebbe a pegno Adamo barone de Swedkovetz, il Kheveuhiiller nel 1578; il Kaitschach nel 1578 pel mutuo di fior 120,000 dato al 7 per cento ; e poi i Fugger, i Barbo, gli Eggeuberg; e così si eressero castelli qua e là ; e iu nuove signorie fu frazionato il paese. Quali fossero i costumi di questi signorotti dell' Istria è facile immaginarlo ; perciò continue le brighe, i soprusi e le guerricciuole coi Veneti al confine. Antico è il lamento e giusto da parte di san Marco. Fin dal 1457 Antonio Venier e Francesco Cavodelista la-mentavausi dei danni continui recati da quelli della Contea e scrivevano al doge. — "Iusumma noi femo certi che se la S. V. nou mete fin a questa faconda cum qualche forma e modo che i subditi Vostri pos-sino viver in libertà, e golder el suo senza le tirauie e incurie de questi del Contà, questa Istria rimanerà in pizor condizion la fosse mai, e, diremo così, in preda a total dissolution: pensi la S. V. se questi todeschi avessero più fiato quello farevero2).„ Finalmente nel 1640, trovandosi l'imperatore Ferdinando bisognoso di denari, deliberò di vendere la contea ; e ne propose la compera, indovinate a chi? alla repubblica veneta; e la repubblica dimentica delle istruzioni de' suoi provveditori, e della sua storia, acconsentì la comperassero i Conti Flangini suoi sudditi per 350,000 fiorini, lasciandosi sfuggire, tanto era in basso caduta, 1' occasione da secoli desiderata, e non più presentatasi di avere in suo domiuio l'Istria intera. 3) Equi non possiamo trattenerci da una semplice osservazione. Se l'Austria non sapea che farne della contea d'Istria e ne propose la vendita ai Veneziani ; non potea essere dunque gelosa della potenza di questi. Adunque, quando a scusare il fiacco governo dei Veneziani si adduce la triste necessità di tenere l'Istria in basso stato, per non eccitare le brame del potente vicino ; allora le campane (*) Continuazione. Vedi Num. 23, 24, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7. 1). Oper. cit. pag. 391. 2). Notizie storiche di Montona, pag. 205, 206. 3). De Franceschi opera cit. pag. 296. della rettorica suonano a doppio; e si discorre e si giudica con le frasi fatte. L'argomento vale solo per i secoli XVII e XVIII; ma quanto cammino non si avrebbe potuto fare in due secoli, senza quel maledetto scilocco ! Così tra padroni che ci vendevano, e padroni che non ci volevano comperare l'Istria andava sempre più decadendo e rimase fino agli ultimi tempi divisa. E tornando alla Contea (la quale per non so quante vendite e rivendite, era di nuovo venuta in possessso degli arciducali, che la cedettero ed affittarono agli Auersberg, alla camera arciducale della Stiria, e poi ad altri fino ai Montecuccoli da Modena, che la tengono auche oggi), tornando alla contea, dico, accennerò"ora alle deplorabili sue condizioni, in confronto delle quali tutte le negligenze e le distrazioni dei Clarissimi Rettori dovevano parere carezze. E qui sen' altro lasciamo parlai e i documenti. Come si stesse nell' Istria austriaca ai tempi delle guerre della lega di Cambrai sappiamo dal Durer incaricato dalle diete dell' Istria e della Carsia unite a Trieste di rappresentare all' imperatore i bisogni delle popolazioni — „Esporrà (il Durer) in quale stato si trovino tutte le città murate, i castelli e i villaggi di queste provincie della Carsia e dell'Istria, i quali, diroccati nella maggior parte, senza viveri, senza soldati, senza munizioni sono quasi abbandonati; le popolazioni parte per necessità cacciate, parte uccise nella guerra, parte perite di peste......lo stesso capitanio conosce come tutto è devastato e desolato, tutte le campagne incolte, tutte le ville abbandonate, pochissimi i coloni rimasti 4). Gravissime le tasse, e specialmeute la tassa personale. E nou potea essere altrimenti. Se gli Arciduchi esigevano aggravi in base del diritto di proprietà.; i nobili, che possedevano la contea in appalto, imponevano nuovi carichi per conto proprio. Perciò i contadini emigravano ; e in pochi anni oltre a 120 famiglie passarono nell' Istria veneta 5). Singolare documento è quello del vescovo di Pedena commissario arciducale, incaricato dall'arciduca d'informarlo se dalla contea si potevano cavare nuovi danari. Il vescovo nella sua relatione attesta iu foudo che i sudditi sono iu pessime conditioni, che non possono sostenere nuovo aggravio che si voleva loro imporre; racconta però che alcuni contadini ebbero tanto ardire in presenza sua di dire — più tosto che pagare cosa alcuna di quest'accrescimento di voler andare a servire il Veneto. Quanto indignamente udissimo queste voci et vedessimo questa loro ostinazione non possiamo esprimere. Quelli che si mostrarono così arroganti et poco fedeli, furono per commissione nostra posti in torre ; ed indi, dopo fatta alcuni giorni de penitenza, rilasciati 6). Se un vescovo cacciava in un fondo di torre le sue povere pecorelle, perchè non volevano lasciarsi tosare, che cosa non avranno fatto gli altri ? Se miserando fu lo stato delta contea dopo le guerre di Cambrai, cento anni dopo, per le devastazioni degli Uscocchi divenne peggiore d'assai, come si ha dalla relazione dei commissari arciducali. — „I sudditi non hanno, conchiudono i commissari, nemmeno un pezzetto di pane, e vivono soltanto di cappucci e di rape senza 4). De Franceschi opera cit. pag. 401. 5). De Franceschi opera cit. pag. 410. 6). De Franceschi opera cit. pag. 423. avere per condirli nè olio, nè burro, nè sale"". — 7) «Questo spaventevole quadro, cito le parole dell'egregio De Franceschi, delle condizioni della contea nel 1619 fu 1' effetto, oltrecchè dei mal consigliati progressivi aumenti delle gravezze ai sudditi agricoltori della medesima, della sciagurata guerra per gli Uscocchi preceduta da ricorrenti feroci ostilità colla Repubblica durate per alcuni decenni, a motivo che 1' Austria non seppe determinarsi che troppo tardi, e quando ne fu costretta colla forza delle armi, ad allontanare dai suoi luoghi litorali un migliajo di questi terribili predoni, solo perchè potevano venire vantaggiosamente adoperati contro i Turchi, sacrificando ad essi le sostanze e le vite di migliaja di onesti, laboriosi e fedeli sudditi della Contea e dei luoghi al Quarnero." Ed in tale stato durarono le cose fino al 1848 ; anzi 1' anno innanzi si tumultuò seriamente dai poveri contadini angariati nelle varie signorie, i quali trovarono un valido appoggio nel dottor Francesco De Combi di Capodistria, uomo non solo di splendido ingegno, ma di gran cuore, il quale, non abbadando a' pericoli, indignato dal racconto dei tanti soprusi a cui erano soggetti quei miseri, imprese a patrocinarne strenuamente la causa-E fu buona ventura per lui, che al dispostismo met-ternichiano succedesse nel 1848 il nuovo reggime di libertà che decretò l'esonero del suolo, altrimenti avrebbe dovuto pagare caro quel suo slancio generoso di poeta legale che lo avea indotto a difendere, caso non molto comune, i nostri Renzi dalle prepotenze degli ultimi don Rodrighi. Non dimentichino i nostri storici questo esempio di civile virtù. Il lettore ci ha seguito pazientemente fin qui, per ricercare nei secoli scorsi le cause del nostro decadimento. Aucor due parole degli ultimi tempi ; ma prima un rapido cenno ad altre cause indipendenti dall'ordine politico ; ma che pure hanno esercitato una sinistra influenza nel nostro paese. In ultima analisi anche queste hanno uno strettissimo nesso colle condizioni politiche, e ne sono spesso una naturale conseguenza; pure gioverà accennarle almeno di volo, lasciando agl'Istriani che vivono attualmente nella provincia, e ne conoscono quindi meglio i bisogni, il compito di un più largo studio sulle medesime, con piena conoscenza di causa. Un tale studio fu già benissimo iniziato ; 8) allo scrivente l'onesta compiacenza di avere cooperato, per quanto stava in lui con le poche sue forze a questo indirizzo pratico degli studi. Un grande guajo ne viene alla nostra provincia dall' inettitudine dei popolani, e specialmente degli Slavi che abitano 1' antica contea, di procurarsi con altri mezzi il sostentamento, quando difettano le produzioni del suolo. Egli è uu fatto che il nostro suolo nelle parti montane non è quanto basta produttivo: ed è necessario perciò che il popolano sappia ricorrere all'industria per vivere. Si guardi un po' alla Carnia ed al Friuli vicino : nella rigida stagione que' bravi montanari discendono, rondini del lavoro, sotto più miti soli nella pianura, e vi esercitano ogni sorta d'arti e mestieri: i Cargneli vanno qua e là a lavorare da sarto; i Cadorini ed i Friulani a vendere mele cotte, o si allogano quali braccianti a Venezia, a Trieste, o accorrono sulle strade ferrate in Germania, in Ungheria, fin nei Principati Danubiani: da per tutto dove 7) De Franceschi opera cit. pag. 428. 8) Vedi N. 7 Corrispondenza da Pisino. ferve il lavoro ; ed all'estate tornano ai loro monti con un gruzzolo di denari. In tutti i paesi dove il suolo non basta si ricorre così per vivere all' emigrazione. Ma non in Istria, dove il contadino vive, vegeta e muore come ostrica attaccata al suo palo; egli non possiede alcun mestiere, non sa trattare altro ferro che il vangile e la zappa; e quando la gleba gli fallisce, vi muore su nell'ozio e nell'ignavia fumando filosoficamente la sua pipa di giuepro. E poi sapesse anche qualche mestiere, gli manca sempre il mezzo di comunicare con la gente colta : in tutte le cittadelle dell'Istria, ed a Trieste, centro principale del movimento e della civiltà istriana, nessuno intende il suo rozzo dialetto. Da ciò si vede quale opera veramente santa farebbero i maestri ed i sacerdoti slavi nella campagna, senza preoccupazioni di partito e senza propagande politiche di nessuna sorte, se disnebbiassero quelle rozze menti, e fornissero loro il mezzo di comunicare con la gente civile. Il decadimento della nostra provincia, osservano altri, è opera naturale. Ricco il suolo ai tempi romani e bizantini, andò poi perdendo l'originaria sua feracità; ne abbiamo un esempio nella valle del Quieto. Quanto fosse ferace ai tempi antichi ne fanuo testimonianza le rovine di città e di castelli che si osservano tuttora su quelle rive ora deserte. All' imboccatura Aemonia (Cittanuova) popolata e fiorente come ne fa fede l'antica sede vescovile ; poi in alto il castello di S. Giorgio ; due miglia più oltre Nigriniano, quindi Ningone, e così via via dentro alla valle altre forti castella e ville fino a Montona coronata di torri. 9) E tutta la valle era un tempo fertilissima, vi spiravano aure salubri e fresche anche l'estate, se crediamo ai poeti, 1' acque scendevano in molti canali dalle amene colline, e su per i densi rami degli alberi vi cantavano allegramente le cicale: Quod si non rumpant querulse nemora alta cicadse Vix equidem aestatem norim, tam lenior aura Spirat in his crepitatque lucis, dum serus opacis Arboribus gaudet cuculus producere carmen. IO) Adesso l'acque si distendono ed impaludano in fetide lame 11) e invece delle cicale vi gracidano le rane e mugolano i rospi. Ma anche qui si potrebbe rispondere, che il deperimento della valle più che opera naturale è conseguenza dell' abbandono. Ma queste ed altre indagini potranno continuarsi meglio, come ho detto, dagl' Istriani che vivono in provincia. Ancor un ultimo sguardo adunque alle lezioni della storia. p. T. (Continua) 9) Vedi Kandler. Notizie storiche di Montona pag. 61. 10) Il poeta Rapicio. 11) La voce dantesca lama (Inferno 20) per stagno, o fossa d' acque piovane è viva nel dialetto istriano a Buje ed altri luoghi. COKRJSPOEDENZE Pisino, aprile 1880. *) Taluni dicono, che dopo una serie di anni buoni, il paese potrà riaversi. Io non sono di quest' avviso, perchè mi pajono le cose giunte agli estremi. I debiti e i rispettivi interessi verso *) Continuazione, vedi "Provincia, n. 7. i mercanti e gli speculatori, le imposte correnti e le arretrate d'ogni genere, l'ingente debito derivante dall'esonero del suolo, formano un sì enorme passivo da assorbire di volta in volta tutte le rendite, e da togliere ogni lusinga di redenzione; poiché oltre al non essere sufficienti le ordinarie e le eventuali rendite, non si può far calcolo sulla vendita dei terreni, stante che non si trovano aquirenti, o verso prezzi disperati; avendo tutti provato che non torna di far coltivare per proprio conto, come neppure a mezzo di coloni, ai quali deve dar mantenimento negli anni scarsi e cattivi, chi non vuol lasciare i fondi incolti. Negli ultimi anni poi l'usura non frenata da legge, fu qui il gran tarlo che alla sordina corrose tutte le fibre. — Le cose andavano a male gradatamente da molto tempo, sicché non si sarebbe evitato il tracollo delle famiglie agricole; ma quest'anno eccessivamente cattivo ne accelera il turno, e già va sorgendo un proletariato rurale numeroso, il quale verrà accresciuto rapidamente dopo che le famiglie depauperate per mancanza d'animali, e fiaccata l'attitudine al lavoro per mortalità e malattie, quali effetti di patimenti, non potranno costringere la terra a dare quanto ancora potrebbe, applicandovi forze maggiori. Chi non crede sia così, non tarderà d'anno in anno a persuadersene. Non devesi in fine dimenticare che una calamità costante affligge questa provincia, la siccità, che è causa principale della scarsezza di derrate e che quest'anno si ebbe un'altra grave sciagura; il deperimento cioè di gran parte delle viti nelle comuni dell'interno, in conseguenza dell'eccezionale rigore dell'inverno, essendo stata la temperatura per molti giorni sotto i 10° e sino sotto i 14° R., e avendo gelato il terreno, se tale era lo strato, a quasi un metro di profondità; per cui non si potrà far calcolo per più anni della rendita del vino. È poi notorio che i prodotti dai quali si può sperare denaro, sono in generale il vino (risorsa anche del piccolo possidente) e le legna da fuoco, comechè i boschi di qualche estensione sieno in mano di pochi. Ed in proposito giova avvertire che quest' anno procurandosi, per necessità, a trar legna da qualsiasi parte era fattibile, si pregiudicò anche questa rendita per più anni. E per ultimo deve dar molto pensiero la demoralizzazione insinuatasi nella maggioranza della popolazione, la quale per accidia innata, lusinghe esagerate, sussidi non sufficienti e bisogni continui, fece scuola di pretese strambe e di accattonaggio svergognato, di che lo sviluppo e le conseguenze saranno immancabili a male sempre maggiore. È vero che per fortuite circostanze il decadimento venne in alcuni luoghi precariamente arrestato. I milioni spesi a Pola irradiarono nella parte orientale dell' Istria sino a pie' del Montemaggiore la benefica loro influenza, la quale però adesso si ridusse a cerchia molto ristretta. La costruzione della ferrovia diede occasione a guadagni in tutta la rispettiva zona, sia per lavori, sia per l'espropriazione dei fondi; ma ora non se ne ha più che la reminiscenza. A Rovigno trovò provvedimento lo sciame delle donne nella neo-eretta fabbrica di tabacco. In Albona per le miniere di carbone di Carpano e Vines vengono distribuiti mensilmente dai 25 ai 30,000 fiorini; sicché in città e suburbio c' è da vivacchiare e da fare alla men peggio il fatto suo. Anche in altri capoluoghi distrettuali c'è qualche risorsa; ma in fin dei conti, colui che non arrriva a percepire alcun chè di fisso, sia paga, pensione, o affitto, possibilmente dal sovrano erario, o che non abbia un'industria speciale ben indovinata, desso come possidente puro sangue, va di male in peggio. Ora poi si domanderà se ci sarebbe un qualche rimedio a tanto male ; dovendosi ritenere che una popolazione non debba trovarsi nell' assoluta impossibilità di rimettersi. Odesi che si dovrebbero costruire delle strade. Io sono persuaso che le strade per le comodità che apportano giovino molto all' incivilimento ; che se anche talune si appalesassero capitale passivo, chiuderei un occhio ; però le strade per sè stesse non producono il miracolo della prosperità ; chè ognuno sarà ben persuaso, che per quante strade venissero costruite, ad esempio, in Siberia, questa si rimarrebbe sempre a far rima con miseria. Proponesi di bonificare qualche migliajo di jugeri di terreno alla foce del Quieto. Ya bene; ma poi si dovrebbero trasportare colà famiglie da luoghi dove ora stanno male, e non comporne di nuove, per modo che vi sieno queste di più e rimangano a suo luogo anche le altre come prima. Taluni vorrebbero vedere disseccato il lago di Ceppich; ma se ciò riescisse e dopo molto dispendio, ritengo che non si sarebbe ottenuto meglio di una landa sabbionosa, sulla quale dopo anni appena si acquisterebbe dei prati magri di fieno garbo, di che ci può servire a campione la valle attigua. Altri osservano che stante il frazionamento dei terreni non essendovi delle tenute complete nelle quali convenga ai possidenti civili difar soggiorno per attendere alla propria economia con miglior vantaggio che dirigendolo stando in città, si dovrebbe invocare una rigorosa legge di commassazione. Ma anche questa non si potrebbe applicare qui, per il possesso troppo disperso delle particelle di terreno e per la differente bontà delle medesime, nonché pei complicati rapporti d'ubicazione tra i vari e spessi casali. Dunque sarebbe indispensabile di fare studi per conoscere le minime circostanze, onde poter imitare la natura che adopra i minimi mezzi, e consegue risultati grandiosi, perchè agisce simultaneamente ed incessantemente. Entrare adunque in tutti i particolari dell' azienda economica della provincia, e non già sperare di rimetterla con qualche espediente di opportunità locale, ritenuto tanto più efficace quanto più chiassoso, e per una volta tanto. Non si cessi neanche col metodo vecchio di provare più cose, che qui o là non mancherà qualche effetto. Però a conseguire un radicale miglioramento, temo converrà attendere fin quando si verrà a trattare seriamente la questione: se ed a qual punto il diritto di proprietà possa legittimamente subire l'influenza dell'utilità pratica. Nel qual tempo usciranno parecchi odierni dogmi legali sul campo pratico determinato dalla necessità. Frattanto al povero possidente non resta altro che di invocare protezione sopra le sue proprietà campestri e sopra i frutti delle sue fatiche crescenti da quelle; avvegnacchè oltre alle influenze telluriche e meteorologiche, i fondi vengano danneggiati, i frutti asportati, ed il proprietario stesso sia costretto di cogliere l'uva ancora immatura, per non venirne derubato. La poca sicurezza nei campi, a cui si è per così dire rassegnati, mentre non si sa come ed a chi ricorrere, è la maggiore cancrena che impedisce ogni progresso nell' agricoltura, dove è ancora possibile; e se vi sia una legge valida per riparare a cotesto male, e se questa possa essere attuata, nel distretto di Pisino ed in qualche altra parte, lo si ignora affatto. (Continua) ANNOTAZIONI sulla versione in dialetto dignanese del diàlogo tratto dall' Amico del Contadino (Auno 11,47), ed intitolato Economia del tempo.*) 1) I vaégni (venjo - vengo), struppi (turo ; ven. stropa) gióusti (aggiusto) vói (voglio), vidi (vedo), co-gnussi (conosco), déghi (dico), i te turni (ti ritorno), i no lassi (non lascio), no me féidi (nou mi fido), no intendi (non intendo), no te senti (non ti sento); casi questi, tutti di presente, coi quali sono da mandare insieme gì' imperfrtti : i zivi (andavo), passivi (passavo), zeighivi (gridavo) fivi' (facevo) domandivi (domandavo), avivi (avevo), savivi (sapevo), vulivi (volevo), cardivi (credevo), giaéri (era); — e l'avverbio gióusti *) Vedi Provincia n. 6 e 7. (giusto), preciso), esempj questi della sostituzione dell 'i all'o atono ven. od it. di 1. persona sing. e che ricor-dan il ladiuo ed il lombardo (cfr. Arch. Glott. 1 397). 2) gi-e(au risultante questo da habeo ho) nella compo sizione del futuro: purtaró (porterà), veignarò (verrà), te scognaró (ti converrà, da conveni o meglioex con (n) iut esempio in cui o ricorre come egli come cfr. Mussafia, ec. (.Beitrag zur Kunde de norditalienischen Mundarten im XV. ten Iahrhunderte in der Sitzungsberichten der K. Akademie der Wisseuschaften, phil-hist Classe, S. 99-100), dagneizzaró (danneggerà), portaró (porterà), sarò (sarà), farò (farà), ci portano in pari tempo e alla Eumenia e alla varietà friulana dell'Istria, essendo attper (habet) proprio tanto del valaco (au vindut) come anche di Trieste (V. Archivio Glott. I, § 5 e IV 367). In gi-aéro (ci era), eagio (cade, propriam. da cadjet) fus'so (fosse), paérdo (perde), vido ( vede), fbuggio (fugge) dizéido (decide),proumaéto (promette), saérvo (serve) rest sso (restasse), fazisso (facesse), burlar ùvo (urlerebbe), varavo (avrebbe), enei sostantivi ed aggettivi:parto (parte), paro (padre), maro (madre), zaénto (gente), sorto (sorte), imposéibilo (impossibile), gì andò (grande), calco (qualche), e negli avverbj: inféinamaénto (finalmente), fa-séilmaénto (facilmente), porpéiamàento (propriamente), séimalmento (similmente) maéntro (mentre) saémpro (sempre; da confr. il veglioto siampro), si richiamano iu singoiar modo le serie veronesi (Cfr. Arch. 1,307 e 424). Sono d'aggiungersi le forme avverbiali in ae anca (anche), donca (dunque), inscina (sine) ed il caratteristico vulla (rov. ula, friul. d-u-là, ven. indove, aut. triest. dola, mugg, dolla cinde-ubi' (Arch. I 67, 446, 500), col quale è da mandare, insieme 1' ubi precisamente nel senso condiz, che avea iu latino. 3) gi-é (rov. j-ié, ant. veu. friul. ai, veglioto ai da un a(v)eo - ai-(o),-e,-ié), sé (sa), ed in composizione del futuro: fare (farò), vari (avrò); vedaré (vedrai), saré (sarai), cattare (troverai), pourassé (pur assai; proprio dell' antico venez. v. Atti dell' Ist. Ven., XV e Arch. 1 464); a trésso ad tra(v)erso, (per assimilazione dello r all' s susseg.) accanto a intravessdda (rov. intressada). 4) Zircaém (cerchiamo), vaém habemus (abbiamo); sognaém (siamo ; rov. signém) ci dauno, d' accordo col friul. e col bellunese la conservazione, del-m-di I. pers. plur. (Cfr. Arch. ecc. I 412). 5) fi - 'facitis' (romagn. iè),perdi (perdete), favalli (favellate), vi e vinde (avere ed habetis, avete), deisi-me (ditemi), savi (sapete) ; - pudivi (potevi e potevate accanto podi ^potete e potere), fari (farete), stiva (stava, per analogia di fiva), zeighivi (gridavi), passiva, (passivi) tres', tre, friul trei. rov. tri.), gise djece, quiito (quieto) cagiva (cadeva), viva (aveva), vissi (avessi), e i participj in stò movisto (mosso vendemie (vendemia), sirà (serà), misi (mesi), ven. movesto), curisto (corso) paristo (parso), savisto (ven. savesto), vulisto, (ven. volesto), curregisto (corretto) perdisto per la spiegazione della qual forma participiale è da ved. 1' articoletto prezioso dell' Ascoli nell' Arch. ecc. cit. (IV p. 393-378. e III 467). 6) ruvenia (rovina), no la indoubetia (non ne dubiti), s'inzugolia, no la pagburia (non si spaventi - non abbia paura, dov' è da notare il verbo intrans, costruito alla lat.), no se comperia (non si compera), seveitio (seguiti, *se(g)vit-ea), vendemmia (vendemmia), te urdenio (ordini), sfadeighia (affatica), recapetia (recapitano), forme queste di presente e che trovano le corrispondenti nel rov. e nel rumeno (Cfr, Diez. le Gramm. II3 269). 7) soin (il vegl. direbbe sai(n) l'ant. triest. sons, il friul. sos; Arch. IV 363), e i plur. : villain (villani) carantain (carantani), boin (buoni), coloin (coloni,), ci condurrebbero a primo aspetto in Liguria (il gruppo ligure ci dà esso pure, boin bon-i; cfr. Arch. cit. I 310), ove non si pensasse all'analogie che s' hanno: nel dialetto d' Ampezzo (bori plur. bòi, bóiny, dove l'i, come nel dignan. si propaggina dietro la tonica; cfr. compain-companio nel padov. rustico, che dice egualmente balcòi per elisione del n dopo la tonica, (Cfr. Arch. id. p. 418) del feltrino - bellunese : presòi, bocchi, mattói ; il rom. dice egualm. sing. vilan: plur. vilen (V. Mussafia Darstellung. der romaguolischen Mundart, p. 60). 8) In sèi (gire), vignéi (venire), dèi (dire), tignéi (tenire), sintéive (sentirvi) déigliela (dirgliela), infin tutti della IV lat., ma più specialmente in rivd(gìie) (arrivarci), insignà-me (insegnarmi), ciapdla (acchiapparla), spetta (aspettare), cavd-lo (levarlo), tira (tirare), ddglie (dar-gli), mandà-la (mandarla), guzzd (aguzzare) mudamele ("mutarmele), impéiantàme (piantarmi), cum-peràsselo (comperarselo), recupera, (ricuperare) purtà (potare), repuzià (menar vanto quasi da *repodjare (poggiar alto),inferra (ferrare), fd-ghe-ve-sse-lo-la (far-gli-vi-si-lo-la), mazza (ammazzare), cumperà-sse (comperar-si), sparignà (risparmiare), lavurà, (lavorare) sta (stare), in-grumà (raggrumare), scultà (ascoltare), tacca (attacare), capasse (occuparsi) remegià (rimediare), lassa passa passare), varagnà (guadagnare), vendemmia (vende-(lasciar miare), giudaghe (ajutar-gli), ruvinà (rovinare), impaensà (pensare), duca (educare), ciamà-me (chiamarmi), termenà (terminare), feda-sse (fidar-si) ciò-Io, dis-ciove (torre, torlo e distorvi da is-tiorre) cfr. rov. ci, abbiamo il dilegarsi dei-r dell' infinito, fenomeno, perii quale vanno ricordategli particolare, le analogie del Buranello : faglie, sta, trovà, magna, savè, mori ; (Calmo, Egloghe, Venezia 1568, p. 118-19); in essi (essere), maètti (mettere), vidi (vedere), perd-elo (perder-lo), pejòvi (piovere), curri (correre), saèrvi (servire), vaèrsi (aprire ; cfr. ven. averzer) avremo la riduzione ?d i dell' e atona dell' antica penultima dell' infinito. 9) La forma troncata la troviamo egualm. nel participio, però solo al sig. ed al mascb. : ciamà, ciapà, spetta, reivd, cattà (trovato) insarra (serrato) seveità, tira, falla interugàstà (stato) sammeinà (camminato), intriga (imbro gliato), manda (mandato), jiassà (passato), lavurà (lavorato), paricid (apparecchiato), termenà (terminato), mena (menato) scultà urdenà (ordinato), reimpruverd (rimproverato), ferma (fermato), repurtà (riportato), turnd (ritornato), sudisfà, vadignà, ara (arato), paraentà (parentado), marca (questi tre ultimi in di sostantivi), tibidói, (ubbidito), furnéi (fornito), bòu funzione (avuto), pussióu (potuto) vignòu (venuto) co-gnissou (conosciuto), sintóu (sentito), formati tutti per analogia di altri participi in utus, esistenti già in lat. argutus, dilutus, indutus, solutus. Già nel basso lat. si osservano forme, come: incendutus, perdutus, sternutus. Cfr. Diez. Gramm li,3 162, e Untiseli, Itala und vulgata (Marburg, 1875, p. 141 e segg.) 10) cavai (cavallo), viséin (vicino), invir (in-verso), rugiàl (crubialis' rovetto), aitar (altare), baratéin (baratto), di chéin e cléin (dechino, clivo), cuséin (cugino), cai (calle), mal (male),^er (pajo), caligher (calzolajo), ,zaen£e-nér (centinajo), cappel (pi: cappai, cappello), e forse in analogia con questi: pài (piedi), anemdi, somedcr cemitarius' (sentiero), dóur (duro), paltdn (pantane col mutamento del - n in 1) gran (grande e grano), terraén (terreno), faén (fieno), baén, sibacn (bene, sebbene), man (mano e mani), siur accanto a signur seujor (signore), mijuri me-ljori (migliori), razòn (ragione), cagiòn (cagione), pa-ròn (padrone, e parangòn e paragone), stagiòn (stagione,) cureziòn (correzione), par amur fper amore propter lat. identico al sopraselvano (Arch. glott. cit. I, 25). E qui noteremo col Maestro, come 1' amore,' disceso a funzione preposizionale, vada incontro a singolari vicende. Poiché per amore - propter, non estraneo pure alla lingua letteraria, e molto usato in più dialetti italiani, offre imprima un curioso esempio di etimologia che affatto si oscura senza che c' entri alcun detrimento fonetico ; e a dirittura s' arriva al per amore -per odio, in odio, come p. e. nel seguente passo di un proclama brigantesco (Calabria, 1867): 'spero a Dio e alla Madonna del Carmine, che io brucio tutte le masserie degli Albanesi pei amore delle squadriglie' — lavùr (lavoro), fattur (fattore), póur (pure), a son (a suono, modo avverbiale per dire a forza) puntéin par puntéin (parola per parola alla lettera) campagnól (contadino; plur. campagnuoi come féiioj figliuoli); il partic. respds (risposto) ed i verbi : mòu (muove), deis (dice) par (pare), vaén (viene) e in analogia con questo, poi (può), nonché le I pers. plur in - ragià citate alla n. 4. Tutti questi fenomeni ci conducono al feltrino - bellunese e al padov. rustico (Cfr. Arch. I ecc. 413 e 423). 11) marappaéna (a mala pena-col mutamento A'I in r ; (cf. il pistoi acc. a l'it.) arido in alido. Qui è da notarsi pure l'aferesi dell'» di cui due altri esempj l'abbiamo in bastanzia (abbastanza) — buléida (abolita) mundarità mondalità coli' inserzione d' un - n (cfr. parangon, culuméia (economia; cfr. friul. lova, nova rov. calonago, fr. calonge, it.) Bologna, veleno ecc. 12) in pe" (in vese propriam in piedi; egualm nel Ven.) acc. ad a pai (a piedi) ; intubi - nel (cfr. boi. intla, rov. iutul); cumu (come friul. cumò); despuoi rov. friul. e ven. despuo spagn. despues dopo. Noma non magis (vai. nu-mai, friul. e ven. nome. mil. doma trent. e rover. doma e noma, soltanto. (La Notizie precise che ci giungono da diverse parti della nostra provincia, sulla mortalità delle viti, tolgono anche l'ultima speranza che in gran parte ponevamo nel credere esagerati, come di frequente, i lagni degli agricoltori. Questo malanno, non è per conforto che lo diciamo, ha colpito le viti di molte contrade dell'alta Italia, e tutti si preoccupano del modo con cui trattare le piante secondo il grado delle sofferenze patite. Abbiamo letto nel Giornale di Agricoltura del Regno d'Italia un'interessante relazione in proposito, ed il consiglio, troppo tardo per noi oggi di non legare, ma attendere, per convincersi se tutti i tralci sieno periti, potrebbe essere che la vegetazione ritardi. Altri crede che le viti gelate si debbano prontamente tagliare al piede onde provocare lo sviluppo di robusti getti che un altro anno darebbero frutto più abbondante di quello che potrebbero dare i tralci indeboliti che fossero rimasti vivi sui palchi superiori. Quest'ultimo consiglio è fatto forte dall' esperienza pratica di un possidente mantovano nel 1860, il quale tagliò al piede le sue viti rovinate dagli eserciti nella guerra del 1859, ed ebbe a trovarsene assai contento di confronto agli altri possidenti i quali lasciarono le viti alte. È bene, chiude l'accennata relazione, che i viticultori non si lascino guidare in questa faccenda nè da idee preconcette, sempre pericolose, nè da pregiudizi. La sola esperienza deve essere maestra d' ognuno. Notizie. Ricorrendo nel prossimo Maggio(22)l'anniversario di Alessandro Manzoni, i molti ammiratori di Lui stabilirono di far coniare in bronzo una medaglia commemorativa, la quale sarà distribuita ai promotori di tale dimostrazione. La nostra Giunta provinciale diresse all'Illustrissimo signor Podestà di Trieste le seguenti lettere di ringraziamento a nome proprio ed a quello di tutta l'Istria : Illustrissimo Signore! La scrivente ha l'onore di accusare il ricevimento dell'importo di f.nì 4000 (quattro mila), rimesso col favorito foglio 25 marzo 1880, N. 175 — P., a vantaggio degl'indigenti di questa provincia. Compresa della più viva gratitudine per questo novello e generosissimo atto della inesauribile carità triestina, la Giunta provinciale a nome proprio ed a quello dell'Istria tutta, che ammira e benedice la filantropica Trieste, mai sranca di venire con affetto fraterno in soccorso dei poveri di questa provincia, deve ripetere anche in questa circostanza a Vossignoria Illustrissima la preghiera di farsi inteprete di questi sentimenti verso l'onorevole Comitato, le gentili Signore Patronesse della Fiera di Beneficenza, e verso la Cittadinanza tutta, assicurando altresì che resterà indelebile in ogni cuore istriano il ricordo delle beneficenze ricevute. Dalla Giunta provinciale dell'Istria Parenzo, 27 marzo 1880. Il Capitano provinciale Dr. Titilliteli Illustrissimo signore ! Nell'accusare ricevuta dell' importo di f.ni 3000 (tremila), trasmesso col favorito foglio 31 marzo a. c. N. 179 — P., a favore degl' indigenti di questa provincia, la Giunta provinciale non può che ripetere a V. S. ed a tutti i cortesi benefattori i sentimenti della più viva gratitudine, già espressi nella nota 27 marzo p. p. N. 1616, per questo nuovo e generoso atto della carità triestina. Parenzo, 2 aprile 1880. Il Capitano provinciale Dr. Vidulicll Scrivono da Vienna. 26 marzo, all' Osservatore Triestino : Neil' ufficio del Caposezione nel ministero del Commercio trovansi circa 80 (ottanta) suppliche per ottenere le necessarie concessioni a costruire ferrovie secondarie, rispettivamente ferrovie vicinali. Tutte queste domande souo dirette ad ottenere il permesso di formare delle società per costruire tali vie. Fra le ottanta domande citerò solamente quella dell' Istria che può interessare il Litorale e della quale feci ormai breve cenno in altro mio carteggio. Si tratta, com' è noto, di costruire una ferrovia con sistema americano da Trieste sino a Pisino, passando Capodistria, Isola, Pirauo, Buje, Pin-guente, Risano e Moutona, onde mettere Trieste in congiunzione coli'interno e col cuore dell'Istria,'dacché l'attuale linea strategica da S. Peter a Pola non corrisponde allo scopo di porre Trieste in contatto immediato coli' interno dell' Istria, nè colle coste della penisola onde trasportare persone e vettovaglie. La linea avrebbe 24 chilometri di lunghezza e non avrebbe da superare chel' altura di Scofie a 76 metri sopra il livello del mare, serpeggiando alle falde dei monte presso Risano. I progettanti calcolano sopra un giornaliero movimento di 400 persone in media fra Trieste e Capodistria, e di 250 fra Trieste ed Isola, e di circa 500 fra Pirano e Trieste. — Calcolando le persone che approfitterebbero della ferrovia a Pinguente, Risano ecc. si potrebbe fare calcolo sopra uu treno giornaliero di 2000 individui. Il movimento sarebbe ancora più importante nei giorni festivi, specialmente durante la stagione estiva fra Trieste-Noghera- Risano, dacché i cittadini amano fuggire il lastrico triestino ed i cocenti raggi solari che lo percuotono, onde riposare nella frescura delle fatiche della settimana, e l'attività dei triestini è generalmente nota. Se il movimento delle persone è già importante, quello delle merci e delle vettovaglie è d' un peso molto maggiore. Leggiamo nell' Adria del .12 m. c. : „In seguito alle pratiche condotte tra il Ministero e la Luogotenenza di Trieste furono concessi a due lavoranti di merletti in Isola stipendi ed un sussidio di viaggio per recarsi a Vienna, dove nel Corso di merletti addetto a quel Museo d'Arte e d' Industria, si perfezioneranno in tutto ciò che si attiene a questa bella e proficua industria, per indi ritornare in patria a diffondervi le cognizioni acquistate." Secondo noi, se è un fatto che in Isola si conserva la tradizione del rinomato punto veneziano, e se veramente quest'industria prende piede colà, sarebbe cosa i assai vantaggiosa l'invitare una brava maestra da Burano, dove la confezione dei merletti, famosi per tutto il moudo, dà pane a centinaia e centinaia di operaje. Una sola persona, esperta in queir arte, potrebbe insegnarla in uno stesso tempo a parecchie apprendiste. Nè crediamo che il punto d'Isola differisca dal punto ora in uso a Burano. (Nota della Red.) Cose locali Se l'incarico di dare un variato trattenimento, conveniente e decoroso, è in ogni luogo assunto di non sempre facile esecuzione, difficilissimo lo si rende in una piccola città di provincia per la scarsezza degli elomenti che attivamente vi possono concorrere, e più ancora per le giuste esigenze di chi è vicino ad una città, quale la ricca, la splendida Trieste. Non isgomentandosi per siffatti ostacoli, il locale Comitato di beneficenza, offerse a totale beneficio dei nostri indigenti, colla zelante cooperazione del signor Pietro Garbini, maestro dilettante di scherma e di ginnastica, nella sera del 3 m. c., un trattenimento, di musica, drammatica, scherma e ginnastica, a cui presero parte attiva parecchi gentili signori, due amabili signorine e sette vispi fanciulli. Ecco il bello e ricco programma: l'arte prima. 1) Marcia del Profeta, suonata dalla banda ed orchestra cittadina. — 2) Concerto per violino sopra motivi dell'opera Linda di Chamounix, eseguito dal signor Maestro Giuseppe Czastka, e accompagnato col piano dalla siguorina Ida Battistig. 3) Fan• tasia per piano sui motivi dell'operaia Straniera suonata dalla signorina Ida Battistig. 4) Addio a Firenze per violino e piauo eseguito dagli stessi. 5) Fantasia per piano — signorina Ida Battistig. — Parte seconda. 6) Esercizi di scherma e di ginnastica, eseguiti da sette fanciulli dai quattro ai nove anni, allievi del signor Maestro dilettante Pietro Garbini; cioè Maria, Alessandro e Massimiliano Mahorich. Te-resita, Giovannino, Angelo e Geppino Marsich. — Parte terza. In mezzo ai Turchi, scherzo comico di G. Salvestri, recitato dalla signorina Annita Montanari, e dai signori Luigi Montanari. Arturo Pasdéra, Vittorio Scampicchio, Antonio Cobol; — Giuseppe Cobol suggeritore. — Parte quarta 8) Assalto e divisione di bastone sostenuti dai signori Umberto Pieri e Raffaello Raffo. — Negli intermezzi 1' orchestra cittadina suonò variati e sceltissimi pezzi. Dire partitamente dei meriti di ogni singolo è opera vana, dopo che il pubblico, affollatissimo, plaudendo tutti, con molto anzi insolito calore, ha fatto le parti di giudice e di critico; ma è ben naturale che fra tanti e per l'età e per le attribuzioni più importanti o differenti, dovesse primeggiare qualcuno. L' egregio e notissimo signor Maestro Giuseppe Czastka, sempre assai premuroso e cortese quando si tratta di prestarsi per la nostra città iu cui vive da parecchi anni, ha dimostrato anche questa volta nel suonare il difficilissimo istrumento, la sua non comune valentia, specie nel pezzo di sua fattura Un addio a Firenze; così pure ha dimostrato ottima scuola e sicurezza di vincere le difficoltà più ardue, la simpatica signorina Ida Battistig, nell' accompagnamento al piano, e sola, nel pezzo di fantasia. La signorina Annita Montanari è una graziosa giovanotta, appena quindicenne, che sa unire già a molta scioltezza tutti gli accorgimenti dell'arte. Il signor Luigi, fratello di lei, è un dilettante abbastanza disinvolto, e spigliato, da fare anzi ricordare in alcune situazioni l'arstista provetto; solo (e glielo diciamo in un orecchio) colorisca più ed acceutui la frase. — Negli esercizi ginnici, diretti dal signor Garbini, le giovanetto Maria Mahorich, Teresita Marsich, ed i fanciulli Alessandro Mahorich e Giovannino Marsich furono tutto fuoco, destrezza ed elasticità, specie la prima. Bene l'assalto del bastone eseguito dai signori Pieri e Raffo. L'orchestra poi e la banda hanno dato novello saggio di quel molto che sanno fare, dirette dall' indefesso Montanari : vorremmo soltanto che i nostri concittadini cooperassero con tutto il loro miglior animo a sorreggere una istituzione che tanto onora Capodistria, se si pensa specialmente che non v'ha in oggi piccola borgata senza società filarmonica o almeno senza uuo straccio di banda. Pubblicazione II Museo civico di antichità ili Trieste. Informazione di Carlo Kunz, con note illustrative del lapidario triestino del Dottor Carlo Gregorutti. Trieste, tip. e cale, di G. Balestra e C°. 1879. (Dono dell' egregio autore a questa redazione). È una bella e chiara rassegna, anzi, come dice l'autore, una prima informazione che può servire di punto di partenza a quelle più ampie notizie che il Museo triestino in progresso di tempo renderà necessarie. Amatore il signor Kunz di archeologia e dottissimo numismatico, degno seguace e consanguineo del compianto Dr. Buttazzoni, espone nella presente operetta in istile piano e corretto le vicende di quel museo dalla sua creazione al giorno d'oggi, e dalla lettura apparisce quanto venne fatto per renderlo nello stato fiorente iu cui attualmente si trova. Anche la nostra provincia è ivi rappresentata, da lapidi importanti ritrovate fra noi, da frammenti statuari, da oggetti di terracotta e di bronzo. Ha poi un oggetto di sommo pregio (così lo stesso sig. Kunz) in una tavola d'avorio, parte di un dittico consolare, ritrovata iu un luogo presso Capodistria, la quale può avere servito iu tempo remoto per coperta di qualche volume sacro, o non come da altri fu ritenuto erroneamente, coperchio di cassettiua. Nella parte superiore di questa preziosissima tavola vedonsi i due Dioscuri con quattro Eroti, e nell'inferiore Europa che accarezza il toro, con altri tre Eroti, ed uu ritratto che sembra essere quello del donatario. Nel giro corre uua fascia ornata con rami di vite sui quali si arrampicano sedici amorini vendem-miauti. Il lavoro si manifesta d'epoca tarda romana, e dal ritratto potrebbe giudicarsi posteriore a Giustiniano. — Il Museo di Trieste è accessibile in tutti i giorni dell' anno tanto ai visitatori cittadini che forestieri____ Nicolò de Madonizza edit. e redat. responsabile