ANNO I. Capodistria 4 Ottobre 4867. y. N. Li PROVINCIA ab «tiì'i'iol) fi flil.il! or ji&tii GIORNALE DEGLI INTERESSI CIVILI, ECONOMICI ED AMMINISTRATITI TJÌoq ib ') olofii ifj ostiftì ib iqbfihq w» •> itteoifeq ;ÉtnGni i i i• riq obiti) f.]l li- ; ófl'ci;io"!f;tf }( itnHsfwft M DELL'ISTRIA. Esce il 4 ed il 16 d' ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno f.ni 3, semestre e quadrimestre in proporzione. — Gli abbonamenti si ricevono presso la Redazione. Articoli comunicati d'interesse generale si ricevono gratuitamente; gli altri, e nell'ottava pagina soltanto, asoldi ì> per linea. — Lettere e denaro franco alla Redazione. — Pagamenti antecipati. ____.............. • . DELL' ISTRIA E DELLA CARSIA RISPETTO AL CARNIO. Memoria del D.r Pietro Kandler scritta per incarico della Giunta Provinciale dell'Istria. ( Continuazione, vedi n. 2. ) Non temiamo di seguire la storia per mostrare, quanto erronee siano le credenze di una annessione, pretesamente esistita in tempi passati, e senza salire a Noè, ma partendo dalla istituzione dell' impero romano. Augusto, nell' ultimo anno del suo impero, unì l'Istria all' Italia civile, mentre il Carnio stava ripartito fra la Pannonia superiore (Lubiana e le rive del Savo) e la Giapidia, la quale fu poi incorporata alla Liburnia, che apparteneva alla Dalmazia, e mentre il Carnio superiore era parte di provincia secondaria, cioè del Carnio minore, poi attribuito all'Italia. (*) Crollato il colosso romano, l'Italia fu di là dell'Isonzo reame di Odoacre; ma l'Istria tutta integra restò agli imperatori di Costantinopoli. A quanto si stendesse l'Istria, lo mostrano le ripartizioni dei Vescovati, i quali per legge di Stato e di Chiesa si composero secondo distretti politici; ed i Vescovati istriani corrispondono alle indicazioni di confini dei tempi anteriori, che si hanno dai classici. (**) Quelle confutazioni non furono alterate che nel 1784, per quella stessa ragione, che per le terre longobardiche del Friuli si diede altro vescovo che per le terre bizantine, cioè per la diversità del dominio. (Vedi allegato A.) Ora la Carsia tutta ed Adelsberg erano dell'ampia diocesi di Trieste, dalla quale Adelsberg e parte delia Carsia furono avulse soltanto nel 1850, per darle al Vescovo di Lubiana ; la Liburnia (poi austriaca) era dei Vescovi di Pola, dai quali fu avulsa nel 1784, per darla a Trieste, e attribuire Fiume a Segna. E mentre per ar-cidiocesi l'Istria lu dei Patriarchi di Grado, Lubiana ed il Carnio erano di Siscia, e Croazia era di Salona. (*) Carnio minore, donde i! nome Carniola. Gli Antonini avevano dilatato l'Italia più in là dell'Alpe Giulia sino a Cil-teja, l'odierna Cilli;ma nessuno credette che Italia fosse oltre le Alpi. Vedi componimenti relativi a Dante Allighieri, pubbli-tati dalla Società di Minerva in Trieste, pag. 7-55. (") Vedi miei discorsi pel centenario di Dante, celebrato in Trieste l'anno 4 86a. Il Carnio non fu dei Bizantini, dopo la calata dei Longobardi, come Flstria non fu dei Longobardi, nè degli Slavi, avanzatisi sul Carnio nel VI secolo. L'Impero, detto romano secondo, di Carlomagno, che s' era esteso colle prime conquiste fino al Mar Nero ed a Cattaro, raccorciato per rovesci, ed abbandonato in parte a' Croati, conservò il Carnio; ma l'impero di Carlo Magno abbracciava tre regni distinti; Germania, Italia, Francia; poi, distaccatosi il terzo, rimasero i due reami di Germania e d'Italia, che simili nelle loro primitive instituzioni di governo e di gius, degenerarono per opposta via. Il reame italico era composto secondo episcopati, ai quali si fecero corrispondere ter-ritorii politici, prevalendo nel reame italico il municipalismo, e mansuefacendosi i pochi baroni risparmiati; per cui la potestà regia, già dilavata, cessò alla metà del secolo XIII e non rimase che nominale e di pompa negli imperatori. Nel reame di Germania invece la potestà imperiale durava ancora qualcosa, e moltipli-cavansi i principi ed i baroni, pur serbandosi una forma nella costituzione dell'impero germanico ed un centro. Dal che venne che i due regni, ancorché avessero tanto di comune nell' origine, diversificassero nelle istituzioni e nelle leggi, sia per la persona, sia per il suolo, sia per la forma di governo e rappresentanza, sia per lo stato e la libertà delle persone. Questo reame di Germania e l'ombra del reame d'Italia cessarono amcndue nel 1804. Quando essi cessavano, di quello dell' Italia perduravano gli avanzi nella terraferma veneta: Verona, Padova, Treviso, il Friuli, l'Istria, la Carsia; ma la potestà principesca dei vescovi era da seicento anni cessata; non v'erano principi; i baroni rari e depressi, con bassi poteri; libera la terra, libero il villico; mite e civile soltanto l'enfiteusi; libero il commercio. Al cessare del reame di Germania all' incontro innumeri e tutti principi erano i vescovi, gli abati, i principi e duchi, i marchesi e conti; pochi i municipi imperiali; serva la terra, servo il rustico, meno i contadini imperiali; servo l'ebreo, che non fosse ebreo imperiale ; pochi i balzelli, universale la decima laica ter-renaria; vincolato a Ghilde il commercio; nulla, o quasi, l'industria. Diverso dall'uno all'altro reame il gius feudale, il gius baronale, il gius penale, lo stesso gius civile romano, l'universale in Italia, il glossato in Germania; diverse le procedure forensi, in Italia a modo ro- mano, in Germania a modo patrio antico; diversa la dottrina delle prove; diverso il gius civile statutario; diversa la composizione dei giudizi, di un solo giurisperito in Italia, di collegio o giurati in Germania; in Italia il gius doveva pronunciarsi dalla sapienza ci-Mle, in Germania dalla persuasione o dal convincimento, indipendente dalla sapienza e dalla critica. La chiesa ordinata diversamente nell'uno e nell'altro regno : nel germanico i vescovi di nomina del re ; patronato pubblico, patronato privalo; tutti i vescovi principi di rango, di titolo e di potere; un legato pontificio per la Germania; paroehi e non capitoli; la chiesa modellata sul baronismo; in Italia nessun legato, il Pontefice esarca e patriarca, direttamente senza legati; nessun vescovo principe; del potere comitale, dal quale da sei secoli esautorali, conservato il titolo, ma attribuito a Villa; i vescovi eletti dai capitoli, i capitoli esenti da patronati, eligenli i propri membri; l'agro dato od al capitolo cattedrale od a capitoli collegiali: vestito civile, vita diversa, claustrale in Italia, mondana in Germania. Leggi per Italia i concili ecu-nemici, i concili provinciali, i sinodi diocesani, i decreti dei pontefici; in Germania i sinodi nazionali, i concordali. Il confine fra reame italico e reame germanico del sacro romano impero l'Alpe Giulia, quello stesso confine che era dei Romani e degli episcopali del tempo dell'imperatore Giustiniano; Adelsberg era compreso nel reame d'Italia, nè avvenne, nei mille anni die durò l'impero romano carlovingico, alterazione di confini, altro che quella del 1522, per cui la contea di Gorizia fu solennemente aggregata al reame di Germania, collo stato e coli'onore di principato. Per la Car-sia, Istria e Liburnia non avvenne mai cangiamento alcuno. E nell'interno del reame d'Italia, quest'Istria, ancorché unita al reame da Carlomagno, per concessione di Carlo Magno stesso e di Lodovico conservò il gius dell' impero bizantino in massima parte, considerata nel complesso siccome pari ad un territorio episcopale italiano fino a' tempi di re Ugo di Provenza e di re Lottano li alla metà del secolo X, che vi estesero le leggi e le costituzioni del reame italico, dando ai vedovi di Trieste la potestà comitale entro territorio breve, l'Istria tutta a potestà comitale, con titolo e rango di Marca e con designazione precisa di con-lini territoriali; — ampliata poi la contea territoriale di Trieste ai tempi degli Ottoni. Più lardi, nel principio del secolo XII, per le facili e frequenti ribellioni dei baroni, e per le prepotenze consuete, oltre la contea territoriale dei vescovi di Trieste e la contea territoriale dei marchesi di Pola, sorsero le altre contee della Carsia e dell'Istria, officio piuttosto che territorio, che am-pliavasi e restringevasi per qualsiasi (itolo, p. e. per acquisto di ville, che per palio o colla forza avevano dai vescovi istriani. Queste contee a modo di patrimonio civile privalo rreditavansi, spartivansi, alienavansi, mercavansi, fino a che presero forma interna feudale, il che avveniva od almeno doveva avvenire senza pregiudizio del signore alto, che ne aveva l'alto dominio, sia in benefizio, sia in feudo, però senza mai alzarsi a principato, che era soltanto del duca; ed il ducato era passalo ai patriarchi d'Aquikja. Le derrate alimentari a buon mercato per il popolo. i magazzini cooperativi. Abbiamo in animo d'occuparci di tutti quei sodalizi popolari, che rendono servigi segnalati all'umanità. Ora le istituzioni popolari fanno di ragione pubblica i propri alti: il mistero è scomparso, e tutti hanno diritto di conoscere la gestione dei propri affari. Non sono più lecite quelle secrete congiure di operai contro la concorrenza : non si può invadere la bottega di un fornaio, perchè vende il pane a miglior mercato di un altro: tutti cooperano al bene comune. Le società di mutuo soccorso fra gli operai non tengono più sedute secrete, ma la porta della loro sala è aperta a ciascuno, e i giornali ne pubblicano i resoconti. Dove si fanno misteri, v' è poco di buono. Gli inglesi ce ne hanno dato adesso un esempio. Vi è un certo Guglielmo Brodhead, cassiere della società nazionale dei mestieri, che ha 6000 aderenti, e presidente di molte società operaie da meglio di vent' anni. Ora, nel processo che si fa in Inghilterra a questo riguardo, egli confessò, che segretamente si iscriveva in un libro nero il nome degli operai non contenti di certe deliberazioni, prese dalla società a porte chiuse. Ed era, nientemeno, che di bruciare case, saccheggiare officine, uccidere padroni, quando non facessero le cose a modo dei lavoranti! Oggi i governi, che intendono di porre in armonia gì' interessi più disparati, veggono di buon grado le radunanze pubbliche di operai ed il nuovo moto di idee, che tende ad affratellare i cooperatori e a renderne utili gli sforzi. Le società di mutuo soccorso fra operai devono perciò astenersi da tulle quelle mene recondite, che conducono a ruina e padroni e lavoratori, e se la povertà li stringe, se la pressura di bisogni cotidiani li martella, v'ha modo a temperare l'asprezza della fortuna, e le esperienze dell' Inghilterra e della Germania lo dimostrano ad ogni istante. 11 malcontento delle classi lavoratrici è pel caro dei viveri o per l'eseguita dei salari Per quest'ultimo oggetto ci converrà parlare separatamente in un altro articolo Ma il vendere a buon mercato la derrata alimentare è l'idea che occupò da gran lunga l'economista, e crediamo di non ingannarci, asserendo che ne abbia trovato una soluzione. A Rochdal si unirono pochi operai, e, accomunati i risparmi di tanti anni, comperarono ali" ingrosso un po' di farina, di the ecc. Con molta perseveranza, a capo del mese, riescirono a guadagnare qualche cosa: allo spirare dell'anno, il gruzzolo di danari s" aumentava ; ora quegli operai divennero signori. Avevano messa in pratica la cooperazione, schiuso un magazzeno, e le derrate si vendevano ai prezzi di piazza, a soci e a non soci, e gli utili netti erano divisi in relazione agli acquisti fatti. Codeste sono società di consumo, e l'Inghilterra n" è piena zeppa. La Germania anch'essa ne possiede in buon dato e ne organizzò in quattro modi. Esse pigliano a prestito, sotto la malleveria solidale, i capitali con cui si acquista la materia prima, e si fanno mallevadrici di quelle pigliate a prestito, — vendono ai soci le derrate col beneficio del quattro all'otto per cento, sul prezzo di fabbrica, — [ formano un fondo sociale colle azioni dei soci. IO Gl' impiegati, addetti alia vendila, hanno un tanto sulla vendita stessa, il che fa 2-3 per cento: le Spese d'amministrazione ecc. recano una spesa del 5 Vi -4 per cento: sicché le spese complessive ammontano presso a poco al sette per cento. 1 soci non possono reclamare il credito se non che lino alla concorrenza dei loro conti di creiito presso la società, per cui quest'ultima lavora allo scoperto. \ Di tali sodalizi se ne annoverano ben 480 con 10.000 soci, che in un anno ebbero all'ari per Lire 5.000.000. • Tutto ciò è attinto dai resoconti dell'apostolo della mutualità e della cooperazione, l'illustre Schultze-Delitzch. Ora anche nel regno d'Italia le società cooperative si (M'userò, e annoveransi fra le migliori quelle di Lodi. I principi fondamentali, da cui un magazzino cooperativo è governato, sono: le vendite a pronti contanti, a' soci e ai non soci, coi prezzi ordinari di piazza, — gli utili netti ai compratori in proporzione delle compere. Ecco il meccanismo dell' istituzione. Una società anonima è costituita mediante soci, azionisti o consumatori semplici: i primi o pagano una tassa di buon ingresso, o diventano azionisti in pochi mesi col cumulo di guadagni, che la Società riserba loro sul prezzo dei generi, acquistati nel magazzino sociale. Le azioni sono di 20 lire pagabili in rate: tutti però pagano tosto la tassa di buon ingresso. I soci, che vanno a fare acquisti, li hanno registrati in un libretto. Dopo sei mesi la società può dare il cinque o sei per cento sul prezzo dei generi che ha consumato in quel tempo. Onesto utile il non socio Io lascia da parte, finché diviene azionista. L'azionista poi ha il dividendo sulle azioni e il tanto per cento su quello che ha speso nell'anno pei generi di consumo. Noi daremo fra breve un' idea particolareggiata di tale istituzione, pubblicando ed analizzandone lo statuto migliore. Possa anche questo paese, nel quale vivono gloriose tradizioni, incamminarsi coraggiosamente nella via che da' filantropi è schiusa: non venga meno il coraggio per lo scetticismo dei molti e l'indifferenza dei più: le nostre moltitudini hanno bisogno d'essere redente materialmente, prima che sul loro volto baleni lo splendore dell' educazione: e quando si vedranno uomini di condizione agiata, di intendimenti uniformi. scevri da ogni preoccupazione pubblica, bandirs il sommo benelizio delle società operaie, delle banche mutue popolari, dei magazzeni cooperativi, delle scuole gratuite e delle biblioteche circolanti, l'Istria si dorrà meno della povertà che l'affligge, e non si troverà dissimile da quelle nobili generazioni, che resero onorato il suo nome. A. E. STUDIO STATISTICO SUL COMUNE E SULLA PROVINCIA. I. Se la geografia fu chiamata l'occhio della storia, a più ragione può dirsi della statistica in ordine alle scienze economiche, vero punto di partenza d'ogni sociale miglioramento. Chiunque, in vero, abbia a cuo- re i progressi del proprio paese, è in debito di favoreggiare le investigazioni d' una scienza, che parla l'eloquente linguaggio delle cifre e dei fatti, e snudando le piaghe del consorzio civile, suggerisce i farmaci più acconci a risanarle. Perlochè i più sapienti reggitori dei popoli non pure ordinarono nei loro stati appositi officii, destinati a raccogliere ed improntare del suggello dell'autorità i risultati di una scienza sì utile ed importante; ma in questi ultimi anni s'inaugurarono a fianco delle esposizioni universali delia industria e delle arti quei congressi internazionali di statistica, i cui benefici frutti non tarderanno a maturare in bene delle società e di quegli stati, clic reclamano pronte e radicali riforme nei loro interni ordinamenti. La potenza del genio napoleonico improvvisava, a così dire, gli ordini civili ed amministrattivi, sui quali s'imperila ornai tutta Europa; ed è degno d'attenzione l'interesse, che Napoleone il Grande metteva nell'ordinamento delle statistiche. In uno di quei momenti, in cui meglio si manifesta la sua forte individualità, noi lo vediamo rescrivere ad un ufficiale del potere esecutivo: « Voi sentite quanto importi, che gli stati che mi sono trasmessi, non contengano errori di questa fatta. Bisogna far si di non darmi che risu'-tali sinceri. Dovrete esservi accorto, che io leggo questi prospetti statistici con quel gusto, con cui leggerci un libro di letteratura. » L'uomo che aveva vinto a Marengo, a Iena, a Wa-gram, ad Austerlitz, che aveva dettato il codice civile, non isdegnava di scendere all'ingrato ufficio di collazionare le tabelle, e rilevarvi gli errori di cifra. La grande Olimpiade industriale di Londra suggeriva prima l'idea di questi periodici convegni ; e il secondo succedeva nella stessa epoca e nel luogo stesso, in cui inauguratasi una seconda esposizione. SarebbesL detto che gl'ingegni, ai quali è riserbato il compito di delineare il quadro della pubblica ricchezza, abbiano voluto sorprenderlo in un momento di vitale manifestazione, e quasi formularne il concetto sotto il potente anelito di tante e sì diverse industrie, schierate nei maestosi edilizi d'IIy de-Park e dei Campi Elisi, ed ora di bel nuovo in quel Campo di Marte, convertito in un pacifico convegno dell'industria mondiale. Chi vive in un secolo come il nostro, in cui le ferrovie traforano o sorpassano i giganti delle Alpi, e i telegrafi sottomarini uniscono i più remoti continenti ; che scopre milioni di uomini perduti intorno ad un. oceano equatoriale dell'Africa; che palpita ai generosi conati dei martiri della scienza, per trovare un passaggio fra le imani isole di ghiaccio, galleggianti nei nordici mari; che illumina colla lampada di Davis le profonde viscere della terra; in un secolo che sulle tracce di quello di Sesostri sta per dischiudere un canale, il quale abbrevierà di due terzi il viaggio delle Indie, e richiamerà il commercio alle antiche vie dell'Adriatico e del Mediterraneo, la Tavola rotonda dei popoli più civili; che s'arma come un sol uomo per iscrollare le: secolari barbarie della China e del Giappone ed aprirli alla civiltà europea; in un secolo, a tutto dire, in cui gì' interessi economici e morali aspirano a formare dell'Europa una vasta confederazione di popoli e di stati, a somiglianza di quella creata dal genio di Va-shington e di Franklin; chi vive in questo secolo, io diceva, qualunque sia la sua condizione, non può sen.- za grave colpa e vergogna Ignorare quanto lo circonda, e non appassionarsi per questa graduale, operosa, incessante, provvidenziale trasformazione delle moderne società. Ora, fra le scienze sociali che studiano i dati positivi di, questa trasformazione economica e morale, entra a tutte innanzi la statistica, sorella della scienza del tempo e dello spazio, scienza eminentemente sperimentale, applicata col metodo induttivo dell'esperienza e dell"osservazione ai fatti sociali ed umani; scienza cui interrogano da un lato i filosofi, dall'altro gli uomini di stato, lei che or fa pochi anni e-lette intelligenze dubitavano di accogliere fra le scienze sociali. In un tempo, in cui ferve da per tutto l'opera della rigenerazione economica e morale, e ne sono considerati come precipui fattori il lavoro e lo studio>_, in un tempo, in cui] i popoli emancipati rivolgono tutte le forze loro alla guarentigia dei propri diritti e alla conquista dei beni, che sono il portato della scienza e dell'industria, noi pensiamo che la statistica applicata alle condizioni nostre economiche e morali possa riuscire di grande giovamento al benessere delle moderne società. Studiare e lavorare per il meglio del nostro paese è il più nobile officio, che uno scrittore possa proporsi, ed a cui chi non scrive può in molti modi prestarsi. Ora gli studi pei miglioramenti economici di un paese, dei quali i morali sono l'ultimo risultato, gli studi, cioè, per giungere a quel meglio che si desidera e puossi umanamente conseguire, devono essere preceduti dalla cognizione di quello che è. La statistica presa nel senso più largo e comprensivo, che a questa parola dar si possa, diventa una necessaria preparazione a tutti i civili ed economici progressi, e all'educazione che ogni popolo vuole e deve darsi per lo svolgimento e l'armonico esercizio delle facoltà, onde venne dalla natura largamente dotato. L'esame di quello che è giova a tutti. Giova all'individuo eh'entra nell'età virile, in cui dopo avere riflettuto su quello ch'egli è e sul posto che occupa nella società, comincia la vita operativa; giova alle singole famiglie, quando vogliono ordinare la varia attività dei membri loro ad un fine di comun bene; giova ai comuni, alle provincie, cioè all'elemento naturale d'ogni stato ed agli aggregati di quegli stati elementari, che formano anello di congiunzione fra essi e i grandi consorzii nazionali, i quali hanno nella natura geografica, fisica e storica il loro fondamento; giova alla società delle nazioni civili, le quali si trovano naturalmente confederate nell'umana progressiva civiltà, in cui ciascuna di esse rappresenta qualche principio, qualche modo particolare di attività, più o meno armonica all'insieme. Ogni esame di coscienza, ogni bilancio familiare, ogni censo e reso conto comunale e provinciale3 ogni studio comparativo degli elementi che costituiscono la vita morale ed economica dei popoli, è un ajuto che si porta a quel sociale perfezionamento, che è una legge provvidenziale, a cui non puossi senza grave colpa e sicuro danno mancar d'obbedire. Noi salutiamo quindi come buon segno del tempo ogni nuovo lavoro statistico, provenga esso da governi, da corpi accademici, da camere di commercio, da so- cietà private, o da individui, che viene ora illustrando i comuni e le provincie italiane con lodate monografie, fra le quali a titolo di lode ricordiamo quelle di Forlì e di Ascoli - Piceno e di Padova. Di giornali e di annuari storici ed economici, fra cui quelli finora pubblicati dal Maestri, dal Gicca e Duprat, dallo Stefani, da G. De Castro, dal Correnti, nonché di altre opere speciali, come ad esempio 1"/-talia economica del Maestri, per tacere delle dotte pubblicazioni degli Uflicii di Statistica, non manca affatto l'Italia, ma manca ancora d'un'opera, la quale gli sparsi dati raccolga, ordini, confronti e venga coi risultati delle nuove ricerche correggendo, ampliando completando e dirigendo all'applicazione del nostro avvenire. I termini di confronto sono in generale troppo poco noti agl'Italiani, anche a quelli che appartengono alla classe colta, perchè essi abbiano quella cognizione dei fatti e quella sicurezza dei giudizi necessari ai popoli, che intendono di essere veramente civili. Pur troppo è comune difetto giudicare delle cose della storia contemporanea senza la cognizione preventiva della storia e della statistica; e quindi i giudizi sono spesso uno strano impasto di fantasie illusorie e di politico sentimentalismo, che non hanno il loro fondamento nel vero, e sono quindi infecondi nel campo pratico delle applicazioni. V. D. C. { Continua ) Pirano, settembre. (0. C.) Fra le città istriane d'interesse notevole per la navigazione, Pirano merita particolare considerazione. La sua vasta rada, situata nel golfo veneto, ad ostro-libeccio da Trieste, cinta di amenissimi colli, va restringendosi in forma d'angolo dall'ampia sua apertura tra questa città ed il capo Salvore, per terminare nel porto delle Rose. Questo seno di mare fu uno dei più importanti ricetti dell' Adriatico, per quanto ci narrano le cronache degli archivi marittimi. Considerata la scarsità, l'incertezza e il pericolo di approdo lungo la spiaggia occidentale dell'Adriatico, si può affermare con sicurezza, che Pirano presenti una posizione eminente e primaria in questo mare. Sicurezza di ancoraggio, facilità d'ingresso e di poggiata con tutti i venti, ed anzi perfino coi più burrascosi, di giorno e di notte, essa fu da natura dotata in tale riguardo di condizioni preziose. Quando il vento bora imperversa contro i bastimenti diretti a Trieste, e respinge perfino i legni della più gran forza a vapore, quando lo scilocco contende il passo ai naviganti per Venezia e pel veneto litorale, che in ombra ci si disegna di rim-petto, la rada e il porto di Pirano ne sono il più sicuro rifugio. Ed è di frequente che occorre vedere qui all'ancora un numeroso naviglio, di bandiera diversa, aspettare che s'imboniscano le bufere; è qui che bastimenti carichi approdano a farvi sosta e ad attendere gli ordini di destinazione per viaggi a presso che tutte le parti del mondo. Questi pregi peraltro non sono dovuti che alla provvida natura, perchè a perfezionarli e a renderli fonte di utilità e di ricchezza, nulla fece finora la mano dell'uomo, tranne qualche piccola opera, che data dai tempi della veneta repubblica, ed alcuni facili raccomodamenti a spese del comune, quando esso trovavasi in condizioni economiche più felici. Eppure il movimento marittimo di Pirano aumenta annualmente, ad onta che i naviganti, i quali danno l'àncora nella sua rada, debbano in date circostanze affrontare ostacoli e perigli; ad onta che il fiume Dragogna, negletto in modo inesplicabile ne' suoi più necessari lavori di escavazione, renda ornai difficile, come sarà da qui a non molto impossibile, l'approssimarsi allo scalo di Siziole; ad onta che il movimento per l'esportazione del sale marino per Venezia e S. Giorgio di Nogaro sia da più anni cessato. Il movimento marittimo di tutto il litorale dell' Austria fu in Pirano il più animato nell'ultimo decennio, dopo quello di Trieste e di Fiume; Venezia stessa accolse minor numero di navigli che il nostro porto. L'andamento commerciale assunse negli ultimi anni più vaste dimensioni. Pola, per circostanze sue proprie, offre maggior valore d'importazione e di esportazione, ma di confronto a Pirano il numero de' navigli arrivati e partiti n' è inferiore di circa un migliaio all'anno. Valga a dimostrarlo un breve cenno, estratto dal bilancio di navigazione, pubblicato dal governo marittimo nell'anno 1863. Arrivati. Partiti. Bastim. Tonell. Bastim. Tonell. Pirano 3686 112542 3695 112757 Pola 2441 61000 2470 60177 Lussinpiccolo 1501 75549 1504 75419 Rovigno 2285 43465 2280 43504 Venezia 2947 217514 2894 214560 Spalato 5170 45136 5167 44919 Tutti gli altri porti def litorale veneto istriano e del dal-mato presentano un movimento minore. È cosa indubitata, che il commercio assumerebbe uno sviluppo ben maggiore, se venisse costruita una più ampia darsena, poiché quella, che Pirano ora possiede, non può contenere, con piena sicurezza, che scarso numero di barche, e se colla voluta assennatezza si provvedesse alle esigenze portuali di questa città. A ciò rendesi prima di tutto indispensabile il prolungamento del molo. Da più anni il governo marittimo ne conobbe la necessità: il comune e l'uffìzio di porto e sanità, con lodevole accordo, si fecero incontro a tafe idea, e il profungamento del molo veniva proposto siccome provvidenza per la navigazione in generale. Che se dal comune e dall' uffizio di porto e sanità un tale lavoro si riconosceva indispensabile molti anni addietro, cioè afiora quando Pirano possedeva forse una cinquantina di navigli, ben più a ragione e con più fervore doveasi sostenere dippoi un tale disegno, essendosi accresciuto il numero de' suoi navigli fino a cento ottanta. Le commissioni, recatesi sul luogo, per rilevare e riferire, giudicarono tosto l'opportunità del lavoro, ed ebbero efficace appoggio negli organi comunali e portuali. Ma l'opposizione di pochi marinai, che fanno il piccolo ed irrilevante cabotaggio, e che son dediti più alla pesca che ai commerci, si pronunciò contro la formazione di una nuova e più vasta darsena. Quindi si proposero opere di forme diverse, inammissibili, perchè pericolose e cozzanti coi più ovvi precetti nautici; si consigliarono costruzioni di scogliere di difficile effettuazione, di scarso vantaggio e di ragguardevole dispendio ; insomma si vollero secondare unicamente viste particolari, di accessorio interesse. Non si pose riflesso, che nella formazione di un porto non basta pensare alla sicurezza dei navigli, ma che in pari tempo bisogna prevedere, come 1' aumento commerciale potrebbe in epoca più o meno lontana rendere indispensabile l'ampliazione della darsena. A ciò risponde bene nel caso nostro il progetto del governo, caldeggiato dagli intelligenti, prolungando il molo, non mai però dietro agli avvisi degli opponenti, che renderebbero impossibile l'avvenire commerciale di Pirano. Ed intanto il litigio continua, gli anni corrono, fa buona disposizione a favore def le nostre prosperità materiali attiepidisce, e mentre in altri porti dell' Istria si provvide, come ne godiamo, ai bisogni dei naviganti, Pirano non ha in prospettiva che progetti, non ode che parole, e sempre parole. E(f anzi una proposta rettificazione del porto Rose resta dimenticata, si lascia che sempre più s'interri il fiume Dragogna, non si tolgono gl'inciampi ai traffici, la navigazione indicata da una invidiabile posizione topografica non si favorisce, fa decantata attività ed industria de' piranesi non viene incoraggiata, non si cura menomamente di rialzare le sorti di questa città. Dipende ciò forse da disparità di opinioni nelle persone invitate a formale commissione per esprimere il loro buon parere sul divisato prolungamento del molo ? Se peraltro uomini competenti in arte, se persone, che alle teorie accoppiano esperienze pratiche di navigazione, esprimono il loro voto a sostegno di un progetto, eh' è appunto il primo proposto dal governo marittimo, sembrami che questo non do- vrebbe essere tenuto in iscaceo, o forse anche modificato, o perfino abbandonato dalle povvidenze governative. Le quali se dad-dovvero vogliono essere dirette ad un bene, perchè mai subiranno esse una negativa influenza per l'opposizione mossa da uomini di mediocre coltura, e che compendiano tutta la loro valentia marine-resca nel saper dirigere una barca peschereccia? Senza dubbio, se si intende di volere unicamente favorita la comodità delle barche o dei palischermi, se si vuole risparmiare agli stessi pochi metri di via, per lasciarli entrare in un bacino ristretto e adatto soltanto ai loro pochi bisogni, allora non occorrono favori di sorta. Non cosi però, se si voglia prendere a cuore la prosperità di questa popolazione e promuovere il commercio e la navigazione. Considerando i pregi della posizione marittima di Pirano, le speranze, fatteci concepire dai disegni d'opere portuali, e-rano ben legittime. Possano essere apprezzati i consigli di valenti tecnici e dei bene iniziati nel ramo commerciale e marittimo, e si valutino per quello che possono valere le opinioni contrarie, che infine non sono favorevoli che alle barche da pesca e non mai al naviglio men autile. Poveri gli opponenti di opportune cognizioni non ponno certo levarsi a larghi concetti, nè presentire i tempi che verranno. E lo si dica pure senza reticenze; non istà nemmeno nella saviezza del governo marittimo di mostrarsi titubante per meschine opposizioni, se, avendo già reso noto il suo disegno, questo ebbe l'approvazione e il plauso degli intelligenti. E qui depongo la penna, nel desiderio di veder realizzato il progetto primitivo del porto o bacino di Pirano. In anni climaterici, come gli attuali, e nella povertà che conseguentemente ci va minacciando, noi vedremmo arrivarci un' ottima risorsa. E certamente per gli utili, clie ne deriveranno, non avrà a pentirsene le autorità preposte. Ma se fare si deve, facciasi bene, e dove l'opera della natura è sì grandiosa, non si producano lavori acciabattati da pigmei. Se fare si vuole, facciasi in breve, nè si mandi il divisato progetto alle calende greche, perchè tempo è danaro. BIBLIOGRAFIA. STELIS MOZZE OCCIOKTI - VALERIO, GLI AMICI D.r GIACOMO TONICELI,! £ JACOPO SEBRAVAILO. — Trieste, Weis, 1867. A merito delle nozze Oecioni-Valerio, e dei signori dott. Giacomo Tonicelli e Jacopo Serravallo, a-micissimi agli sposi, esci alcuni mesi sono qui a Trieste per le stampe un elegante opuscoletto di poesie, con cui vollesi festeggiare l'auspicato avvenimento. Cosa del resto naturalissima: al maritaggio di un poeta non era permesso alle Muse l'assistere mute, e sarebbe stata grossa colpa dei poeti confratelli il non portarvi il loro canto epitalamico. — Siccome di tale pubblicazione la stampa triestina non fece sino adesso parola, così m'azzardo a parlarne io, perchè, per quanto povero, il mio discorso varrà l'altrui silenzio. Il migliore elogio per un libro è certo questo, che il lettore lamenti di averne trovato troppo presto la fine. Ora è appunto ciò che tocca a chi legge 1' o-puscoletto stampato per cura dei signori Tonicelli e Serravallo; ai quali, se ognuuo è grato per quanto ammannirono, si sa poi male che non abbiano chiamato a contributo le altre molte loro conoscenze letterarie. Ecco i nomi degli autori, come disposti irell' o-puscoletto: Caterina Percoto, Giacomo Bernardi, A. Maffei, F. Dall' Ongaro, Ab. Paolo Tedeschi, N. Tommaseo, Giuseppe Sinico, Giovanni Tagliapietra, Erminia Fuà Fusinato. Sono, in tutto, dieci composizioni, le più brevi, tutte poetiche, meno una in prosa ed una in musica. S'intende bene che il componimento in prosa appartiene alla signora Percóto. Non so quanto ella possa anche in poesia, ma è indubitato eh' ella non vi possa quanto nel campo della prosa, dove sta padrona. Scrisse un bozzetto di poche righe, ma ammirabile per semplicità e naturalezza di dizione e nitore di concetto. Solo, riguardo alla sentenza del tema, chi volesse guardare troppo per lo sottile, la direbbe, l'orse, non affatto vera, osservando che 1' umile lamento : Mi duole sui! avrebbe l'atto cadere di mano fa verga al fanciullo offensore, anche se pronunciata da un altro fanciullo. — 11 più chiaro nome nelF opuscolo è incontrastabilmente quello di Tommaseo, che solo basterebbe ad illustrarlo, benché il suo lavoro non sia il migliore della raccolta. Di Tommaseo bisogna parlare con le (jinocchia della mente incitine. Nel quarantotto Manin diceva a' suoi giudici : « Io confido d' essere un galantuomo, ma Tommaseo è un santo. »> — Se allora, è più adesso, che divenne vecchio venerando, e consumò gli occhi e la vita suoi in quasi mezzo secolo di lavoro intellettuale incessante, sempre guidato dal supremo pensiero di far servire la letteratura alla morale. Gli è perciò con peritanza che azzardo di dichiarare dei versi suoi nel!' opuscolo, che il senso ior ni è ihtro. Il lavoruccio è intitolato Trieste, ma di questa s' occupano solo quattro strofe: le altre contengono, pare, una rivista, come a dire a volo d' uccello, di memorie storiche dei due litorali dalla Grecia a Trieste, dalla Sicilia a Genova. Tommaseo è maestro e donno nella letteratura italiana presente, e nella storia letteraria del nostro secolo apparirà tra' primi. II suo dizionario dei sinonimi, e l'altro massimo della lingua, rimarranno monuménto aere pereii-nius della profondità delle cognizioni sue linguistiche, dcW acuto senso suo filosofico. Ma nel campo della poesia egli non si trova a un posto da lui; perchè ad essere poeta non basta avere il senso del bello, non basta sentirsi vibrare dentro nell' anima la corda poetica: t poeti nascono e non si fanno. Per sé ne provava il dubbio lo stesso Tommaseo, e lo. esprimeva a Be-senghi, nel mandargli alcune sue poesie religiose. « Ditemi liberamente, gli scriveva, se a me sia concesso far versi-. » E questo assoggettarsi di lui al giudizio di Besenghi volli accennare anche per l'onore che ne viene a un nostro istriano, che ha bisogno e diritto di essere maggiormente conosciuto e stimato in Italia, Avrei riportato qui per intero la lettera di Tommaseo, da cui trassi questa notizia, se non avessi temuto, me se ne avesse a lare carico d'inopportunità. E cosa perfettissima^ che appalesa sin nel. fondo la religiosissima anima dello scrittore. L' epistolario di Tommaseo, che da quasi cinquant' anni lavora per le lettere italiane, e prese molta parte anche alle vicende politiche d" Italia, sarà dei più interessanti ed educativi che siano stati mai stampati. Jacopo Bernardi dista in valore letterario lungo intervallo da Tommaseo, ma gli va del paro nella purità dell' animo e nelP innamoramento- del bene. Di lui si legge nella raccolta una poesia, che canta la Modestia. Sono ottave d'un andare tranquillo e disinvolto, d' un giro pieno e sonante ; senza le amplificazioni e intarsiature, che è tanto difficile scansare in questo metro scabroso. Mi dispiace, che la ristrettezza dello spazio non mi permetta di riportarne qui alcuna, in saggio. A. Maffei diede pochi versi, ma meditati e compiuti e dalla forma classica, come tutti quelli ch'escono dalla sua penna. II tema n'è: «Una bambina che tiene in grembo dei fiori e guarda il cielo — statua di Vincenzo Vela. » — Di eguale finitezza sono le due poesie di Dall' On-garo, veterano dell' arte, 1' una intitolata il vaso di Pandora, 1' altra V eco d' amore. Di questa il concetto non è nuovo, nè dell'altra molto peregrino; ma in tutte si trova quella corretta facilità e quella vena di limpida poesia, che i lettori italiani sanno di trovare sempre nei lavori poetici di questo autore. Nel vaso di Pandora il poeta, accennato alle nubi ed alle procelle, ond" è seguita la prima ora della vita, esorta la sposa al carpare diem, s'intende, già. non col metodo oraziano, ma come a candida e pura donna può pure addirsi. « Vanne fin che potrai bella ed altera; — Ridi al giorno che nasce, al sol che cade; — Danza sui mille fior di primavera, — Umidi ancor delle natie rugiade. —• D'Ebe il sorriso ed il candor di Psiche — Fido al tuo cuore ed al tuo labbro sia; — Colle fidate e vereconde amiche, — Di profumi t'inebbria e d'armonia. » — Pur troppo, l'ora del duolo verrà, perchè nessuno può respingere il dono di Pandora; ma non arrestarti: « In fondo al fatai vaso è la speranza.» — E chiude nobilissimamente: Aspro arringo è la vita ! È una battaglia A cui 1' onore e la virtù ci sprona. Nella lotta si tempra un cor che vaglia, Ove pugna non v'è. non v'è corona. V eco d' amore fu messo in musica dal maestro G. Sinico. Il nome dell'abate Paolo Tedeschi, familiarissi-mó quale di prosatore franco e spigliato, non Io è tanto quale di poeta. Eppure poeta vero lo dimostra il lavoro che di lui si legge nell'opuscolo, e che gli piacque intitolare la campana del coprifuoco. E' a-bate Tedeschi è dei pochi sacerdoti italiani che sanno assorellare civiltà e religione, e servire Dio e la patria, ricordevole che anche Cristo, ch'era pur Dio, amò qui in terra una patria e pianse su essa. Religioso senza bigotteria, patriotta senza adulazione, con la forza che gli deriva dalla coscienza di una vita ìntemeratissima, egli non risparmia la sferza di una santa ira ai vizi dell' epoca e del paese, e le sue parole trovano quell' eco, che manca ai rabbiosi sermoni di certi pergami. L'argomento della campana del coprifuoco è, in riassunto, questo. — È di sera. Il poeta gira per le deserte vie di Monza, ed ode solo il passo della scolta. Suonano le dieci, è la campana del coprifuoco. A quel suono il poeta è colto da arcano sgomento, e per fuggire dal presente timoroso, si getta nel passato. E con la mobile fantasia corre a Teodolinda, che, divenuta sposa di Autari e regina dei Longobardi, innalza il monastero di S. Giovanni; corre' ai tempi repubblicani e viscontei di Monza, come all' infelice monaca dì cui tutti sonno la pietosa istoria. Sono versi di vera poesia, pieni di sentite e vivaci immagini, ravvivati continuamente dal calore dell' affetto, ed espressi con linguaggio armonico, rumoroso e colorito. Solo troverei, che sarebbe a desiderarvi, forse, maggiore disciplina di fantasia. Lo scrittore, e specialmente il poeta, nel fervore del concepimento, vede da soggetto a soggetto largo e comodo passaggio di magnifico ponte, là dove il lettore scorge invece un precipizio, che gì' intercide la strada. Voglio dire che a me sembra, il lavoro dell' abate Tedeschi diietti in unità di concetto, per voli troppo pindarici. Non trovo filo che leghi Teodolinda ai reggimi repubblicani e viscontei di Monza, e alla monaca, perchè non credo che a tenere strette assieme queste immaginazioni, tanto diverse e disgiunte, valga il fingerle o 1' essere anche nate ad un tempo, al suono della campana del coprifuoco. L' egregio autore dovrebbe avere speciale cura di scegliere tema bene delimitato, e questo svolgere compiutamente, per iscan-sire il pericolo della poca omogeneità delle parti, e l'invito a sfiorarle anziché approfondirle: dovrebbe, insomma, moderare 1" estro con la ragione. Dell' altro nostro poeta signor Giovanni Taglia-pietra leggiamo alcune castigate strofe per il centenario di Giuseppe Turimi. Con patriotica intenzione l'autore avverte che nel -1870 cadrà il centenario di Giuseppe Tartini, ed esorta il secolo a voler rendere tributo d' onore all' altissimo artefice de' numeri soavi -Sul centenario tumulo - In grembo agli Antenori. -Non so se tale voto avrà esaudimento. D'altra parte sarebbe l'orse desiderabile che non si largheggiasse troppo con simili feste, ma si riservassero per i geni universali e per i più gloriosi fatti della nazione. Erminia Fuà Fusinato è unii delle donne d'Italia che più s' elevi a gentilezza e nobiltà di pensieri e di opere. Al suo canto cerca ella sempre l'ispirazione nella virtù, nell' amore di patria e nei più delicati sentimenti dell' anima, e riboccante d' affetto lo versa ne' suoi lavori poetici, eletti per istile evidente, e meditato. Tale è questo della raccolta, intitolato a suo figlio Gino, dove espande l'immenso amore suo di inadrq. Chiudo, augurando che si trovino spesso nozze ed amici che portino pari regali a Trieste, la quale delle belle arti fu sempre larga aiutatrice, e se i godimenti materiali amò, mai disprezzò gì' intellettuali. Un po' di poesia è qui aura purificatrice nell'incessante turbine degli interessi commerciali, è un tributo d' omaggio allo spirito, necessario di faccia a tanto alla materia. G. V. VARIE! À. LETTERE MILANESI. » Milano, settembre 1867. (G. B.j Io debbo stimarmi fortunato che posso dar principio a queste mie cronache della capitale lombarda colla narrazione di un avvenimento, il quale per la sua intrinseca importanza e per le grosse questioni, a cui diede origine, forma e formerà per qualche tempo ancora argomento di discussione, non solamente nella stampa italiana, ma anche in quella d'oltremonte. Voi comprendete, che io intendo parlare della inaugurazione della Galleria Vittorio Emmnuele, la quale, come avrete rilevato dai giornali, ebbe luogo domenica 15 corrente eoli'intervento del re e con tutta quella solennità, che fu consentita dalle poco favorevoli condizioni sanitarie. Voi iHin v'aspetterete per certo che io vi ripeta <|ui la descrizione del modo, con cui fu celebrata la festa: sarebbe opera, a mio avviso, inutile, primieramente perchè i vostri lettori l'avranno già trovata sui giornali di costì e io non farei che ricopiarli, senza nemmeno avere il pregio della freschezza, e poi perchè le feste ufficiali su per giù sono le stesse in tutti i paesi del mondo, e chi ne ha veduto una può dire di averle vedute tutte. Con ciò non intendo dire che mancasse quel brio e quella spontaneità, che nascono dall'entusiasmo schiettamente sentito e liberamente manifestato: tutt'altro; ma anche in fatto d'entusiasmo qui siamo ormai diventati un pò esigenti: ne abbiamo fatto da otto anni a questa parte un tale spreco, che esso quasi non ci commuove più, o perchè ci commuova bisogna che sia un entusiasmo straordinario, diverso da quello di tutti i giorni, piramidale. E capirete clic siffatti entusiasmi non sono troppo facili, e che non si mettono poi in mostra per la semplice inaugurazione di una nuova via. Tuttavia il fatto ha in se una importanza maggiore di quello che a prima vista possa sembrare, una importanza, che si sente, quando ci si pensi su alquanto. Milano da otto anni lavora alla propria ricostruzione fisica e morale, e fece effettivamente lungo cammino, se si guarda al punto, d'onde prese le mosse, ma non quanto occorre, se miriamo a quello, che ci siamo prefissi di raggiungere. Senza dire de' progressi morali, di cui avrò in seguito occasione d5 intrattenervi, il materiale delle città aveva urgente bisogno di essere riformato. Da una parte quartieri vecchi e insalubri, intersecati da oscure e incomode viuzze, s'accalcavano nella parte centrale, ove più ferve il movimento e la vita : dall'altra i quartieri più remoti mancavano di coro-municazioni col centro e fra di loro. Si dovettero quindi aprire nuove vie, allineare e ampliare le esistenti; sistemarle in relazione alla nuova corrente del movimento, prodotto dalla grande stazione centrale, e fu la prima e più facile parte del lavoro. L'altra, oltre che essere per se stessa difficile, complicavasi per la necessità di por mano insieme anche alla costruzione della piazza del Duomo, il sogno di tutti i buoni Ambrosiani da duecento anni in poi. E qui ostacoli d'arte, non meno che di pecunia. 11 consiglio comunale però, guidato dalla solertissima Giunta municipale, si pose risoluto all'opera e deliberò mettere a concorso la eostruzione della gran piazza e di una via, la quale a-prisse una nuova comunicazione tra questa e la piazza della Scala, via, che si volle intitolata al nome del re, ordinandosi insieme la sistemazione di tutte quante le vie adiacenti, divenute anguste al cresciuto movimento della città. Non meno di venticinque furono i progetti presentati, e tre o quattro le commissioni successivamente incaricate di esaminarli. Da ultimo la scelta cadde sui progetto presentato dall'architetto Mengoni di Bologna, e trovata dopo parecchie difficoltà una società assuntrice dei lavori, venne nel dicembre 1864 fermato il contratto., col quale la società stessa impegnavasi dare, entro due anni compita la via Vittorio Emmanuele, che si deliberò dovesse essere coperta e non accessibile ai veicoli, entio i quattro successivi la piazza e le vie adiacenti. 11 martello del demolitore s'affaccendò allora instancabile intorno a quelle topaje, che ingombravano la parte più preziosa della città, e il 7 marzo '1865 sull'area sgombra di macerie Vittorio Emmanuele poneva la prima pietra al nuovo e grandioso edilieio. Passarono due anni e mezzo, e ora finalmente ù potè vedere l'effetto del lavoro ostinatamente continuato. L'effetto d'insieme della Gallerìa è senza esagerazione imponente: una vasta ed elegante intelajatu-ra di ferro ricoperta di vetri, che nel punto d'incontro dei due bracci della Galleria s'allarga ad ampia cupola, ricopre tutto l'edificio; affreschi, statue, musaici, colonne dai capitelli di bronzo, lesène istoriate, cariatidi la adornano ricchissimameute. Una bella loggia corre sopra il primo piano lunghesso i due lati dell'edificio e reca al di fuori li stemmi di cento città italiane, tra cui quelli di Trieste, Capodistria e Pola; l'illuminazione è sfarzosa, e si prevede che l'effetto ne sarà ancora più grande, quando i cento ne-gozj, che son già quasi affittati, verranno occupati dai lor conduttori, ciò che avverrà fra qualche giorno. Il giudizio del pubblico è unanime; quelli, che viaggiarono ali" estero, assicurano che nessuna città offre uno spettacolo simile; la stessa Galleria di Brusselle. che godeva fama di magnifica, resta al di sotto di questa, e ciò è di buon augurio per noi, che speriamo di vedere il rimanente delle costruzioni affidate al Mengo-ni riuscire con pari felicità. Quando il nostro Duomo avrà avanti a sè una piazza degna della sua mole, il quartiere centrale di Milano sarà d'una magnificenza inarrivabile. Tutto ciò ha recato doppiamente piacere, in quanto che una parte della stampa cittadina, che nelle ultime elezioni comunali aveva ricorso a tutti i mezzi per abbattere la Giunta e vi era riuscita, temendo li effetti di un postumo trionfo della Giunta stessa, s'èra data a insinuare che la Galleria era brutta, che doveva esser brutta, che i denari del comune erano stati sprecati e via di questo passo. Il giudizio pubblico però le strozzò la parola in gela, e ora essa stessa è costretta a confessare che la Galleria è bella, e anzi le fa appunto di essere troppo bella per Stilano. Certo è che l'effetto inorale è grande, e che se domani si avessero a compiere le elezioni generali (cosa, a cui arriveremo, certo, fra un pajo di mesi) la Giunta ne uscirebbe vincitrice. Voi mi direte che fra i due concetti non vi ha analogia, e che la Galleria potrebbe essere brutta senza che per questo s? avesse a dare un voto di sfiducia alla Giunta, e io sono del vostro parere. Ma andate dirla alle moltitudini. Profittando dell' occasione, anche Io scultore Magni ebbe il pensiero di innalzare sulla piazza della scala il modello in grande del monumento a Leonardo da Vinci, che gli era stato commesso dal Governo austriaco, ma non potè finora essere eseguito, perchè, avendo il Magni ampliato il disegno, il preventivo della spesa s'accrebbe di un 25 o <50 mila lire, che nessuno s' è ancora indotto a sborsare. Il Magni disse che metteva fuori il suo modello per vedere che figura facesse; in fatto però fu una tentazione all' animo del re, nella speranza eh' egli dia del suo la somma, che manca. In complesso il monumento è bello: sopra uno zoccolo di granito rosso sorge gigantesca la statua di Leonardo, e ai quattro angoli su basamenti più piccoli s' alzano le statue de' suoi quattro migliori allievi. Per me trovo che queste sono eseguite con maggior accuratezza e perfezione della statua centrale, alla quale il lungo pastrano dà una forma piuttosto monotona. Già che sono a parlar d'arte, vorrei dirvi due parole della esposizione, che è ora aperta a Brera, ma essa è di una povertà desolante. I tempi non sono favorevoli all' arte, è storia vecchia, e per di più quest'anno l'Esposizione di Parigi ci ha portato via il meglio. Se ne togliete due quadri di Girolamo Induno, dei quali quello, che rappresenta l'ingresso del re a Venezia, è di una assai discutibile bellezza, tre o quattro tele del venerando Hayez, due quadretti del Pagliano e un lavoro di un principiante bolognese, certo Busi, che espose un quadro Amore e foto di grandissimo effetto, tutto il rimanente non è che mediocrità. Il Domenico Iduno, fratello, come sapete, di Girolamo, ha testé compito una grande tela, rappresentante l'inaugurazione della Galleria Vittorio Emanuele, commessagli dalla società inglese assuutrice dei lavori. La fredda pompa di una solennità ufficiale, complicata da un tempaccio nevoso, non impedì che l'Induno ne cavasse un quadro magnifico, che li intelligenti dicono il suo capolavoro. Peccato che non l'abbia esposto a Brera. Per oggi vedo che mi sono già troppo dilungato. Alla prossima mia non mancheranno altri più gravi argomenti. NOTIZIE. Fino dal 1823 venivano stabiliti due stipendi annui, daf. 130 l'uno, per studenti di chirurgia, oriundi dell'Istria ex-veneta.--Nel 1824 ammettevansi al concorso anche quelli dell' Istria rimanente. Gli stipendi nel 1830 si elevavano a f. 300 di conv. Ma l'avviso 18 maggio 1865 N. 8226 chiamava a competenza, oltre agli aspiranti di tutta l'Istria, anco quelli del litorale intero, cioè anco quelli della città di Trieste e dell' ex Circolo di Gorizia. Il municipio di Capodistria, nell' interesse del proprio Comune ed insieme di tutta l'Istria, reclamava, ma inutilmente. Non pago della contraria decisione rivolgevasi al Ministero dell'interno, e da questo, secondo il rescritto luogotenenziale 4 agosto 1867 n. 10513, veniva deliberato, che d'ora innanzi sarebbero concessi i due stipendi esclusivamente a' giovani dell' Istria, affinchè studino nell' istituto di operazioni chirurgiche in Vienna, per essere indi qualificati come operatori, ovvero, in mancanza di tali competenti, a' giovani istriani, che stanno dedicandosi a studi medico-chirurgici, senza riguardo in quest'ultimo caso, se, dopo compiti gli studi e conseguito il grado dottorale, manifestino o no una speciale attitudine all' ufficio di operatori. Il Ministero del commercio con dispaccio 24 giugno 1867 N. 10264 ha accordato al comitato composto dai signori Ugo conte Henkel, Alfredo Lorenz, Edoardo Haider, Bland W. Croker Burn, e D.r Wingraf, l'invocato permesso per un anno a poter intraprendere i lavori preliminari tecnici per una strada ferrata, che da Trieste passando per Pisino, Gimino e Dignano conduca a Pola, con una strada di congiunzione da san Pietro a Fiume, e ciò sotto la condizione, che la strada, se condotta lungo la costa, abbia ad essere costruita in modo da non poter venir cannonneggiata dal mare. Va osservato per altro su questa notizia, che del tronco da S. Pietro a Fiume v'è già un progetto fatto, prossimo ad essere approvato dal Ministero del commercio, e che si assicura da buona fonte, volersi cominciare i lavori ancora in quest' anno.