ANNO VII—N. 36-3?
Sabbato 4 e li Settembre 1852
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VENEZIA.
Al nome dell'inclita città che poniamo in fronte all' articolo presente nessuno attenda da noi o descrizione di quei monumenti che la fecero e fanno unica, o celebrato qualche fasto di lei ; noi ristretti a questo litorale non consegniamo in questi fogli se non quanto ci accadde in breve stata di vedere in quella città che, o è d'Istria, od è materiale per l'impresa nostra, o giova all'intelligenza delle cose istriane. E prima diremo della chiesa di S. Marco.
Allorquando nel 1845 dettavamo alcuni cenni al forestiero che visita Pola, abbiamo registrato che dalla chiesa abbaziale della B. Vergine Formosa o <ii Caneto di Pola, passassero a S. Marco parecchi marmi ed insigni. Queste cose dicevamo sulla fede di pubblica voce' e di alcuni dialoghi sulle antichità di Pola, manoscritto della Biblioteca Marciana che abbiamo pubblicato in appendice alla Guida. Dalla gentilezza di Monsignor Giacchetti, canonico di quella metropolitana, cameriere d' onore di S. Santità, primo sacrista della Marciana, abbiamo avuto comunicazioni ed indicazioni che danno qualche luce in queìl' argomento, dacché 1' abbazia di Caneto è in commenda della Marciana di Venezia.
In quale tempo avvenisse ciò, noi potemmo sapere; nelle carte nostre troviamo del 1316 un abbate di Caneto; era questo tempo tale che il più delle Abbazie istriane fatte deserte per mancanza di monaci, vennero prese in commenda dai vescovi fino a ristabilimento del proprio ordine, od introduzione di altro, alcune perpetuamente unite alla mensa vescovile. Le diserzioni avvenivano per effetto di pesti in quei tempi frequentissime; ed una appunto erasi mostrata nel 1330; nel seguente 31, •'ola davasi al principe Veneto in durevole dominio, nel quale perseverò fino allo sciogliersi di quello stato. È verosimile che l'abbazia di Caneto venisse in commenda della Marciana nel 1331 od in quel torno di tempo, e c'ie fino d'allora o poco dopo cominciasse il trasporto a ^ cnezia di oggetti preziosi, o per materia o per arie. Altre volte in questo giornaletto abbiamo parlato della chiesa dell'abbazia e ne demmo la pianta; ripeteremo in oggi che fu alzata nel 546 da S. Massimiano, nativo daVistro nell'agro polense, il quale rinvenuto nel campo paterno "eco tesoro nascosto, lo portò all' imperatore Giustiano Costantinopoli, ed avuto in grazia veniva scelto ad arcivescovo di Ravenna, alla quale sede metropolitica fu "ola qualche tempo soggetta. La carta di dotazione di
quella chiesa era stata rinvenuta nel 1657, ma non seppe leggersi ed andò miseramente perduta.
Come il principe Veneto patrono di S. Marco, trattasse la chiesa dell' abbazia, è chiaro per due carte, l'u-na del 1545, del 1605 l'altra. È manifesto per la prima che il celebre Sansovino fosse stato inviato a vedere la chiesa, e dovevano allora togliersi le colonne che si dicono di marmi preziosi, sostituendovi pilastri in cotto. Avvenne il primo, non cosi il secondo; chè le cose di Pola andavano sempre peggiorando per pesti frequenti, ed allo scarso popolo erano troppe le chiese d' altronde numerose. Nel 1605 si deliberava di portare a Venezia quattro colonne di alabastro orientale, e sono quelle medesime che ornano l'altare già del Ss. il quale è in fondo all' abside nella Marciana, dietro l'altare maggiore. Qualche anno dopo, 1605, le colonne erano al sito ove si veggono.
Non ci è noto che sia stata scritta la storia dell' edifizio sacro di S. Marco, almeno inutilmente ne abbiamo fatto inchiesta; pure di pochi edifizi sarebbe necessaria la storia al pari di questo singolarissimo. Imperciocché se guardiamo alla distribuzione ed al più del materiale impiegatovi, dovrebbe dirsi queir edifizio opera del secolo VI; dovrebbe dirsi edifizio progettato su tipi bizantini al finire del regno di Giustiniano o poco dopo, anzi dettato il piano in Costantinopoli; dovrebbe dirsi il materiale tolto da edifizi più antichi nei tempi in cui il lusso architettonico dovrebbe essere stato all'apice; la parte d'intaglio dovrebbe dirsi per la più parte opera del secolo VI. Ma nelle decorazioni architettoniche veggonsi chiaramente opere del secolo nono, opere del secolo XJI e del secolo XIV e dei successivi; nei lavori di arte veggonsi opere di secoli anteriori al sesto, di quelle dello stesso secolo svariate per genio, per dimensioni, per arte; nelle decorazioni a pittura in mosaico si manifestano secoli posteriori, ed in serie continuata fino a' tempi moderni, nel materiale adoperato parti disparate per destinazione, per tempo, per artifizio; così che il primo e naturale giudizio si è il dirlo edifizio cominciato su tipo più antico del tempo di costruzione, compiuto in lunga decorrenza di tempo, modificandone le parti secondo il genio dei tempi, impiegando materiale, né trovato né lavorato in Venezia, ma tolto da vari paesi, di vari tempi ed in vari tempi, posto nell' esterno più a fasto che a pensala decorazione, ad ostentazione di lusso anzi che a dimostrazione di arte, i cui precetti cedettero luogo all'abbondanza dei materiali di decorazione voluti impiegare. La storia della chiesa di S. Marco non sa-
robbe già la storia dell'arte, ma darebbe alla storia dell'arte bei materiali da registrare in sussidio e comprovazione di quella; darebbe bella luce alla storia maravi-gliosa di quello stato, storia che riteniamo non essere ancora in ogni parte chiarita; darebbe bella luce ad un periodo di storia di provincio vicine a Venezia; darebbe poi ragione desideratissima dello stato in cui si trova quell' ammiratissimo ediGzio, e che ben altro che facile a comprendersi, lascia anche dopo ripetuti esami, attonita e confusa la mente in tanta disparità di parti e di ornamenti, a segno che qualche bizzarro ingegno la disse moschea.
Non era S. Marco fino dal suo cominciarsi nel IX secolo, più che privata cappella del Principe veneto, sontuosa in modo da corrispondere alla maestà del Principe, ed all'arte che i Veneti ammiravano nelle opere bizantine, fossero in Costantinopoli centro d'impero, al quale fino allora Venezia non era straniera, fossero in altri luoghi frequentati dai Veneziani. Noi non possiamo persuaderci che Venezia sorgesse a stato indipendente, nè allorquando nell'isole dell'Estuario ripararono temporaneamente i fuggiaschi delle città venete rovesciate o minacciate da Attila, nò allorquando i fuggenti dalle oppressioni longobardiche presero stabile dimora nell' isole, nè quando nelle lagune ebbe residenza il duca della Venezia che insieme era duca d'Istria; neppure quando, scematala terra posseduta dai bizantini in Italia, fu il Papa Vicario imperiale. Ma pensiamo che intime assai fossero le relazioni fra Venezia e lo Stato bizantino; fra l'ipato o protospatario che era duca di Venezia, e l'imperatore di Costantinopoli che gli conferiva quelle dignità; nè fa quindi a noi meraviglia che il genio di architettura bizantina prevalesse non solo in Venezia ma nelle provicie prossime che furono in dominio bizantino. Ed anche quando ristabilito l'impero d'occidente, sembrava 1* Italia tutta dovesse dipendere da questo, pure le relazioni di mare, che non potevano la-lasciare le antiche vie note e giovevoli, facevano naturalmente preferire le opere architettoniche ammirate e consolidate da fama generale del vecchio impero, a quelle meschine del nuovo. Non fa a noi meraviglia che nel IX secolo si volesse in Venezia, chiesa di tipo bizantino, già noto per edilizi esistenti. Però S. Marco alzato in tempo nel quale era concesso a' privati di tenere cappelle e d'esercitarvi atti di culto, non era chiesa pubblica, ma privata del principe, e tale rimase fino ai primi anni del secolo presente; non chiesa episcopale, non chiesa plebanale; il vescovo di Castello, poi i patriarchi che vennero in seguito avevano loro chiesa in S. Pietro, in altra parte di città. La chiesa di S. Marco non è a nostro avviso basilica, sebbene di basilica abbia quelle parti che a chiesa officiata convengono. L'interna pianta è a croce greca, con trulla, anzi con più trulle; non hale tre navate; ha l'abside, non ha il trono vescovile, nè crediamo l'abbia mai avuto; ha il coro, ha i pasto-fori laterali, con nicchie, chiuso il coro ed i pastofori da septi marmorei, e sovrapposto colonnato che può facilmente chiudersi con tende agli occhi del popolo ; ha le tre porte che mettono nel santuario, ha gli amboni, ha il martirio sotterraneo; ha portico che circonda la facciata della chiesa ed i due lati fino alla traversata delle braccia della croce; ma non aveva battistero; l'odierno non è originario, ed
in luogo manifestamente scelto in difetto di altro adatto-il ciborio esagono, che oggidì è baldacchino d'altare poo-J giato a pilastro nella navata mediana a sinistra di chi en-t a, è ciborio di battistero, e sontuoso per isquisitezza di marmi, ma non è quello, sito originario, nè conveniente
nè ivi fu collocato per uso di battesimo, udimmo che stessè
altravolta fuor della chiesa, ad uso di semplice nicchia • indicazione a noi che il ciborio venne d' altrove senza destinazione ad uso suo naturale.
La chiesa non aveva in origine più di un altare, il maggiore, i due collocati col dorsale a levante nello braccia laterali della croce sono aggiunti; il martirio sotterraneo, ora ingombrato da aqua marina, non era il solo depositorio di santi corpi, alla fronte delle braccia traversali della croce ve ne erano altri, che il timore di patir furto suggerì fare presso che nascosti agli occhi dei fedeli; uno è ancora aperto, l'altro in parte occupato da una cella del tesoro della chiesa; chè la chiesa di San Marco fu chiesa precipuamente destinata a martirio. Dell' esterno non manifesteremo più che il desiderio di conoscere da dove e per quali occasioni siano venuti tanti materiali eterogenei, chè in ciò troveremmo ragione di vedere quasi nascosta la primitiva distribuzione; 1'esterno dell' abside maggiore sembra a noi opera dettata nel tempo di costruzione della chiesa. Non preteriremo fra le mille cose che dir si potrebbero di S. Marco la distribuzione della luce. Le antiche basiliche erano tutte lucidissime, perchè ampii i vani delle finestre, le. quali collocavansi, e nelle navate laterali e nella mediana, una per ogni arcata, così che se dieci vani di arcate stavano in un lato, quaranta erano le finestre, venti al pian terra nelle navate laterali, venti nel piano alto della navata mediana; ed oltre queste ve ne erano nella facciata, e nell' abside. Le chiese dei monaci erano a luce più parca; i martirii costrutti sopraterra ave-vano luce ancor più scarsa e dall' alto, e se coperti da trulla, da finestrelle in giro della trulla; perchè la luce scarsa e dall'alto facesse pensare di trovarsi in sotterraneo; le faci erano la luce propria dei martirii. In S. Marco la luce era sì scarsa, che i due grandi occhi si manifestano aperti ben più tardi, il che notiamo a rinforzo del nostro giudizio, non essere basilica S. Marco, ma piuttosto martirio.
Noi siamo tratti a credere che la chiesa di S. Marco cominciata nel IX secolo, portata a tetto e ad uso dopo continuata costruzione, venisse nella serie di X secoli di sua esistenza continuamente accresciuta di decorazioni di ogni" genere; e che non tutti i ricchi materiali adoperativi venissero da lontano, da Grecia p. e., da Sicilia, da Costantinopoli e da Soria, ma che buona parte se ne togliesse da edilizi abbandonati, o di pubblica ragione nel-1'estuario veneto, nei lidi prossimi, nell'Istria; anzi nemmeno tutti tolti, ma in parte dati per devozione, od al Santo od al Principe. Di che abbiamo scienza nella chiesa della B. V. della salute, alla quale la città di Pola fé' dono di quattro bellissime- grandi colonne di marmo greco; di che si hanno testimonianze nei descrittori e cro-nacisti che ricordano (a mo'-d'esempio) Pola ricca d'ogni sorta di marmi, e pregevoli colonne, ed altri edifizi antichi usati siccome cave di pietre.
L'altare maggiore diS. Marco stà sotto ciborio sostenuto da quattro colonne di alabastro orientale scoi-
pite a storie dell* antico e nuovo testamento, la di cui provenienza non è nota, nè il tempo in cui vennero ivi collocate, e che si suppose del secolo XIV, nel quale l'altare venne o rifatto o ristaurato. Vi ha chi sospetta essere state quelle colonne tratte dall' abbaziale di Canedo, nè sarebbe ciò in contraddizione all' anonimo autore dei dialoghi su Pola, stampati in appendice alla guida di quella città; il quale narrando come tutte le colonne e-rano state portate a Venezia a decorare S. Marco, le nuove Procuratie ed altri luoghi, e dicendo così la chiesa spogliata, e come pensiamo noi anche scoperta, dove parla dell' altare maggiore, non intende della Mensa e del ciborio che la copriva, ma dell' abside e della volta del soffitto. Però noi dubitando della provenienza polense delle quattro colonne del ciborio dell' altare, propendiamo a credere che la pilad'aqua lustrale che ha piedestallo decorato a tridenti e dolfini sia la polense di cui parla l'anonimo autore dei.dialoghi, imperciocché quel tridente è simbolo di marina della quale Pola fu stazione, nè farebbe meraviglia che sul luogo ove alzavasi il tempio di Nettuno, s'alzasse da S. Massimiano il "tempio magnifico di Canedo.
Nel tesoro della chiesa vedemmo tavola la quale copre la mensa dell'altare delle reliquie, bianca, trasparente così, che ponendovi lume al di là, si vede attraverso il marmo largo chiarore. Della quale pietra, lasciando a suo luogo, se sia o no venuta da Pola, diremo, sovvenirci di altrettanto narrato da Marin Sanuto dell' aitar maggiore che a' suoi tempi (secolo XV) stava nel Duomo di Capodistria, mentre era ancora in forma di basilica e ricca di marmi. Ad esempio di ciò che facilmente avvenne in Istria di marmi antichi, quando le condizioni erano depresse, e troppi gli edilìzi suntuosi degli antichi, ricorderemo ciò che avvenne in Capodistria cent'anni or sono, quando rifacevasi il nuovo duomo, mentre la città, sede allora del governo, aveva fama per belli studii. Il nuovo venne rifatto ad opere in malta, con decorazioni posticcie; le colonne di marmo greco, alcune venate per traverso, ciò che ne accresce e pregio e grezzo, andarono disperse, quattro sono nel campanile di Monfalcone, quattro sorreggono la cantoria; le altre e le decorazioni sparirono così che nemmeno un capitello, un septo, una base, restò a testimonianza dell' antico stato.
Ma prima di lasciare la chiesa di S. Marco, uno ancor rileveremo, le pitture cioè a mosaico nella vòlta del braccio a mezzogiorno della croce, raffiguranti le quattro vergini aquilejesi Eufemia, Dorotea, Tecla ed E-rasma, indicazione che in quello slessero loro reliquie, e quei mosaici sono dei più antichi nel tempio. Testimonianza questa insieme a tante altre che il principe veneto non dimenticava le origini di quello stato, e nelle comunioni di chiesa, aveva cullo speciale come all'Evangelista che primo bandì il Vangelo in Aquileja, così ai primi che per la fede diedero in testimonianza il loro sangue.
Nel tesoro vedemmo la cattedra marmorea che si vuole donata da Eraclio imperatore nel 630 al patriarca di Grado pritnogenio; superiore per dimensioni, infeiiore d' assai per materia ed arte all' eburnea di S. Massimiano in Ravenna.
La biblioteca imperiale che ha nome di Marciana,
instituita dal principe veneto, contiene parecchi materiali per le cose dell' Istria, di stampati e di manoscritti, dei quali avendo altravolta dato indicazione di quelli che e-sclusivamente sono dell' Istria, ci dispenseremo da ripetizioni, rivolgendo 1' occhio piuttosto a manoscritti da noi
0	veduti alla sfuggita o non curali. Invano abbiamo chiesto dell' opera laboriosa e certamente bellissima sull' Istria, del vescovo di Parenzo, Negri; i pochi fogli stracciati che abbiamo ci avvertono pur troppo che il lavoro di quel dotto prelato, compilato in Istria, mentre i materiali non erano sì scarsi, mentre sifTatti studii erano in generale estimazione, è perduto. Inutilmente abbiamo chiesto dell'altro lavoro sull'Istria di Prospero Petronio, il quale a giudicare dal brandello favorito al giornale dal nob. marchese Francesco de Polesini, deve essere stata preziosa raccolta di materiali : però di questo lavoro abbiamo ancor speranza che sia latitante, e che un giorno possa ricomparire.
Nella Marciana si custodisce il Codice Trevisani, dal quale molti documenti furono tratti dalli scrittori delle cose d'Istria e d'Italia, per cui venne in grande autorità e reverenza. L'esemplare che è alla Marciana, non sembra a noi l'unico, poiché desso è copia assai recente, intendiamo del secolo passato, certamente di altra copia. Il codice stesso non è che raccolta del testo di carte fossero poi originali o copie autentiche, o copie semplici, tratte dai libri dell'Archivio dello Stato, da carte degli archivi patriarcali di Grado, o da carte in mano privata; però la raccolta non ha caratteristica alcuna e-sterna di autorità, rimanendovi soltanto quelle che sono interne. Cercammo inutilmente nella copia che ò alla Marciana il testo di diploma cho abbiamo da altra parte edito dal Verci che era possessore del codice, o come intendiamo noi, d'una copia di questo; ma vi trovammo il testo di quel placito istriano dell'804; e con grande nostra consolazione ; ben migliore di quei testi scorrettissimi e non completi che corrono per le slampe dal-l'Ughellio impoi. Il quale documento è di grandissima importanza per F Istria e per altrove, imperciocché non soltanto vedesi come si componessero quelle radunanze che dicevano parlamenti o placiti, e quali argomenti fossero di attribuzione di quel congresso; ma si vede altresì come al sistema romano di imposizioni e di pubblica amministrazione, si volesse sostituire il sistema franco, che durò in parte fino all'anno 1848 in cui seguì la così detta affrancazione del suolo. Tale certezza storica si ha da quella carta da non andare errati nelle origini delle così dette percezioni urbarinlì, e nel giudicare il sistema baronale, durato in Istria, allato al sistema municipale.
Non possiamo resistere al bisogno e desiderio di dire qualche parola su quel memorabile documento.
Il Congresso si componeva dei legati imperiali, presidenti insieme e giudici delle querimonie, del patriarca di Grado metropolitano, dei vescovi della provincia, i giudici cioè a dire i magistrati delle municipalità che e-rano insieme amministratori e giudici per le cose minori;
1	primati delle curie municipali, cioè a dire il primo in rango del consiglio municipale (non il cap0 perchè i consigli erano presieduti dai giudici), i censiti (homines ca-pitanei). Caput dicevano quell' unità di corpo da assoggettarsi ad imposta; non fondiaria, ma di rendila qua-
lunque il quale formavasi dalle facoltà di più contribuenti se uno solo non giungeva a possedere per sò l'importo tassabile. Se l'Istria fosse stata allora tutta quanta è, in potere di Carlomagno, si avrebbe il numero preciso delle capita; ma così non essendo e mancando al placito Ca-podistria, Pirano e come sembra anche Umago, non si ha che il numero delle capita, le quali erano in dominio dei Franchi, e che sembrano essere state centosettantadue, pagandosi per ogni caput due zecchini d' oro, ossia soldi manucussi, o mancosi. Le persone che concorrendo colle loro fortune alla formazione di un caput, dovevano rappresentare il caput, erano scelte dai legati, certamente secondo norma prestabilita, e secondo quei registri d'imposta Cbreves) i quali si producono nel placito medesimo in comprovazione che i laici soli avevano sopportato certe pubbliche gravezze. Questa imposta che aveva vera indole di censo su tutta la facoltà sia stabile sia mobile, pensiamo che la dicessero i soldi, i zecchini, i maticosi, | per quell'uso che ha il popolo di chiamare le imposte dalla moneta nella quale primamente vengono calcolate (nella campagna anche oggidì dicono franchi la fondiaria, perchè introdotta dal governo francese) e pensiamo che questo censo si dicesso nel medio tempo marche, e che sotto questo nome si pagarono nell'Istria Veneta fino al governo italico, ripristinate nel 1813, abolite nel 1814, non però così che in qualche parte non durassero fino al 1848; pagate costantemente nella contea d'Istria fino a' nostri giorni.
Il congresso non era già chiamato per dettare leggi provinciali o locali, per dettare provvedimenti di amministrazione provinciale, ma unicamente per esporre le querimonie contro l'uso eccedente od illegittimo dei poteri pubblici; così che il placito era piuttosto un tribunale dinanzi al quale i censiti esponevano i reclami contro gli amministratori, ai legati imperiali, i quali decidevano; genere di congresso che nella base durò lungamente anche quando in luogo dei censiti vi presero posto i baroni ; anche quando il marchese chiedeva ai baroni quale fosse il loro consulto.
Dalle querimonie dei comuni che fino allora erano li unici corpi amministranti in prima istanza, si vede quale cangiamento fosse seguito nel patrimonio, e nelle giurisdizioni dei comuni, nelle cariche municipali e negli onori, negli ordinamenti per la milizia, nella condizione personale dei cittadini. Imperciocché ai comuni dominanti vennero tolte le giurisdizioni sui comuni soggetti ; la giurisdizione dei comuni tolta dalla sfera di comune reale, limitata a quella di comune consorziale; questo consorzio non esteso ad ogni classe di persone, così che somigliava a fraterna, tolti i giudici comunali, sostituiti i Centarchi, tolti gli onori, tolto il dominio dei comuni su terre vacanti, tolto loro il godimento di boschi e prati, tolta la pesca nel mare, la milizia tolta ai liberi limitata ai servi, introdotte imposte non usate, incerte, arbitrarie; la decima ecclesiastica applicata ad altro; accresciute le giurisdizioni laiche del clero. Questo cangiamento- di sistema era agli Istriani tanto mal gradito che dicevano voler piuttosto morire.
Le quali querimonie altre si veggono ammesse dallo stesso duca, altre ammesse dai legati imperiali, altre ammesse dal clero; di altre non risolte si rimetteva la de-
cisione a decisione di giudici, e se no fissavano le pène ai contravventori. Carlomagno confermava agli Istriani l'antica forma di amministrazione, in diploma che desideriamo; Lodovico faceva altrettanto più tardi. Ma il pri_ mitivo sistema non venne in tutto ristabilito, ed insieme alla pianta municipale, surse alcun che del baronale ■ causa poi di sì grandi incertezze, non nei secoli precedenti all' attuale, ma in questo, che oscillò fra 1' abolizione di ogni traccia di baronia, fra la restituzione di queste coi principii di altri paesi, fra comuni aperti e comuni chiusi, reali e consortivi; nè crediamo troncata ogni questione colle nuove leggi dell'impero.
Noi ci proponiamo di dare altravolta il testo corretto e completo di quel placito, contro la di cui autenticità non può muoversi dubbio e che per sincero venne da valentissimi giudicato.
La gentilezza del bibliotecario della Marciana sig. D. Giuseppe Valentinelli ci fe' conoscere un codice manoscritto contenente varie cose sul Friuli, e nel quale è registrato per intero l'atto di ultima volontà di certa Maru da Trieste col quale fa dono di olivi all'abbazia di Sesto presso Concordia; carta che era stata veduta, e fu citata dal Liruti; il testo è accompagnato da facsimile dei caratteri originali. Noi lo diamo alle stampe, non tanto perchè secondo quanto giunse a nostra notizia è inedito, sibbene perchè di tempi dei quali i diplomi non giunsero in numero abbondante lino a noi, e perchè contiene indicazioni non indifferenti per le cose triestine.
Maru, o piuttosto Maria, la quale si dice anelila Dei (secondo nostro avviso donna che si diede tutta al servizio di Dio per solenne promissione), consegna in quella carta la sua volontà pel caso morisse, e ritenuti eredi i prossimi suol parenti, lega all'abbazia insigne di Sesto presso Concordia cento quaranta olivi, un oliveto cioè di 140 alberi, certamente sito in Trieste, dacché nei dintorni di Concordia quella pianta non alligna. La testa-trice non aveva discendenti, bensì un fratello abbate, di chiesa taciuta, ma che non dovrebbe dirsi lontana da Trieste se fu presente al testamento; aveva nipoti dell'uno e dell' altro sesso, dai quali volle l'assentimento al legato, nella tema che potessero impugnare quella sua ultima volontà; questi parenti che aderirono sono il fratello germano Giovanni abbate, il nipote Pietro, il pronipote Giovanni figlio di questo Pietro medesimo, secondo che sembra.
Alla carta di ultima volontà intervengono due Lo-ciservatores di Trieste, due magistrati che erano in luogo dei Duumviri, e che più tardi ebbero nome di Consules : e furono questi hociservatores Giovanni figlio di Cino da Aquilina (Aquileja?) e Martino Cabrisiano (Caprisano da Capri o Capodistria?). Segnarono la carta altri tre testimoni, così che compresi i magistrali furono cinque oltre il prete Benedetto, il di cui intervento crediamo sia in assistenza dell' Ancilla Dei ; rogò l'atto il chierico della santa chiesa triestina e nodaro, Domenico.
La presenza di cinque testimoni in luogo dei sette voluti dalle leggi romane che allora vigevano e in Trieste e in Concordia, ci fa certi che la legge di Leone imperatore (dell' VIII secolo), che riduceva a cinque il numero indispensabile dei testimoni nelle città, a tre
nella campagna, fosse operativa; come difatti la si vede nei secoli successivi mantenuta nelle leggi che dicono statutarie. L'intervento dei due lociservatores non lo pensiamo casuale, ma in esecuzione a leggi che volevano, negli atti civili intervenissero i magistrati municipali.
L' atto venne rogato in Trieste, essendo imperatori Lottario ed il figliuolo suo Lodovico, nell'anno trentesimo dell'impero del primo, sesto del secondo, il dì 26 aprile
correndo l'indizione decima......L'anno trentesimo
dell' impero di Lottario correva nelF 849, nel quale anno l'indizione era la decima seconda, e quest'anno era il primo del regno di Lodovico suo figliuolo; ma noi non entreremo oggi nelle discussioni sulla data del documento.
Nella Marciana due opere preziose per le storie istriane si conservano manoscritte, l'una le aggiunte all'ultima edizione dell' Italia Sacra dell' Ughelli, fatte dal Coletti, e che saranno poste a profitto dal bell'ingegno dell'abbate Cappelletti occupato appunto della provincia sacra del Litorale; l'altra le aggiunte che il P. G. M. de Rubeis faceva all'insigne sua opera Monumenta Ecclesiae Aqulejensi; o piuttosto sette volumi di materiali che servirono a lui per dettare quell'opera, insieme a quelli a-vuti dopo pubblicata. E l'una e 1' altra opera manoscritta sono di bel sussidio alle cose istriane, quella perchè scritta da Sacerdote veneziano in Venezia medesima sì prossima all'Istria, della quale buona parte era suddita; questa perchè scritta da Friulano, in argomenti della provincia ecclesiastica di Aquileja, alla quale erano soggetti i vescovati istriani, abbracciante anche tempi nei quali il Patriarca era insieme principe del Friuli e dell' Istria ; le cose dei Conti di Gorizia, insieme Conti d'Istria, sì incerte, sì oscure, sì dimenticate vi sono toccate, come speriamo, non di volo.
L' Archivio generale veneto ha preziosi monumenti nei dodici milioni di volumi o fascicoli; ma le carte sono tante che un uomo non ha vita sì lunga da scorrerle. Abbiamo motivo di credere che le carte provenienti dai conventi soppressi sieno ancora inesplorate, di che abbiamo dolore, perchè assai conventi dell'Istria tutta erano affiliati ai conventi di Venezia, e le carte dei conventi istriani mai potemmo sapere ove sieno andate, purtroppo forse a finire. Pensiamo che l'Archivio di Venezia non custodisca gli antichi statuti delle città istriane, che in verità non sarebbero di competenza di quell'Archivio; alcuni forse dei recenti figurano siccome allegati in qualche posizione di atti. Dubitiamo che esista l'Archivio mar-chesale d'Istria, che si dice levato da Capodistria per ordine del Governo veneto. Belle carte devono esistervi del medio tempo che riguardano le città istriane e la provincia, tali da chiarire assai cose e da svelarne altre; vi si custodiscono i Libri l'actorum sì spesso citati da storici, u nei quali certamente si comprendono materiali certi ed abbondanti di storia istriana. Abbiamo udito che il degnissimo direttore di queir Archivio cav. Fabio Mulinelli provveda alla pubblicazione di documenti, e speriamo vedervi figurare anche nelle prime pubblicazioni, documenti giovevoli all'Istria. La gentilezza del sig. direttore e del S1g. Focard, e della quale rendiamo grazie, ci portò a conoscenza di cosa da noi ignorata, e che non vogliamo tacere a quelli che al paro di noi non ne ebbero cono-
scenza. Cioè a dire che l'officio di paysnatico era dapprima doppio, l'uno per le terre di là del Quieto, ed era fidalo al Podestà di S. Lorenzo fino dal 1281 ; l'altro per le terre di quà del Quieto, ed era fidato al Podestà di Gri-signana come pensiamo dal 1358 in poi; cessati poi questi uffici nel 1431 (come crediamo), e concentrati nel Capitano di Raspo, che era allora il presidio militare dell' Istria, o, come lo dicevano, la chiave e la fortezza dell'Istria; la carica di Pasenadego passava nel 1595 al Podestà di Capodistria. Per tale, a noi, scoperta, sono tolte le incertezze derivanti dal sapere ora il podestà d'un luogo o dell'altro in carica di pasenadego, due pasena-tici nello stesso tempo. Sulla quale voce, ricredendo ciò che abbiamo pensato venire cioè da pase, dal mantenere la pace pubblica per entro i comuni, e fra comune e comune; e sull' osservazione fattasi dal sig. Focard, scriversi costantemente in latino paysnalicum-, noi propendiamo a credere si indicasse con questa voce l'autorità provinciale. La quale essendo del patriarca e dei provinciali (che dicevansi paysani, cioè uomini chiamati a sedere ^ nella convocazione del paese, con che intendevano la provincia) , e non volendo che i comuni sudditi al principe veneto, stessero ai comandi di corpo non suddito; nè potendo fare convocazione di paesani perchè pressoché tutti sudditi del patriarca, ed alieni dal ciò fare, il Principe veneto per la pienezza di sua autorità, provide alle cose provinciali mediante officio suppletorio, e questo dissero paysnalicum, che poi venne poggiato al podestà di Capodistria, primo e superiore agli altri.
Abbiamo visitato la collezione Correr, nella quale poche cose si accolsero che riguardino l'Istria, all'infuori di alcune istruzioni date ai podestà all'atto di assumere le cariche, le quali poi sono abbondanti e nelle pubbliche raccolte e nelle mani private. Bensì vidimo medaglia coniata dal Comune di Parenzo nel 1797, ultimo del Governo veneto in onore di un podestà. La quale medaglia, di modulo medio, semplice affatto, porta da un Iato in mezzo a corona
HIERON BADUARIO
PRAET OPT • MER
e dall'altro
CIVITA S
PARENTII 1797
Vedemmo pure la medaglia coniata in Roma nel 1756 in memoria della consacrazione del duomo di Rovigno, ed in onore del vescovo Negri di Parenzo.
Grande si fu il desiderio di vedere Torcetto, il duomo del quale, ci era noto per fama, e vivissimo in noi il desiderio per farne confronto colle basiliche d'Istria , di Grado e di Ravenna; e ne diremo le ragioni. Cessata la dominazione degli imperatori romani, e ricuperata dai bizantini l'Italia sui Goti, Istria, Venezia seconda, Ravenna non caddero in potere dei Longobardi, i quali se non lotal-*""
mente schiantarono, scossero e capovolsero le antiche in-stituzioni e gli elementi sociali, così che ne sortirono di conseguenza condizioni poco felici delle scienze e delle arti, delle quali quel popolo era ignaro. Ciò che rimase 'ai bizantini continuò in quella condizione che era al cadere dell'Impero, e facendo capo in Costantinopoli, gli imperatori del quale si dicevano romani, e mantenevano le condizioni antiche; evitarono questi paesi ciò che per altri fu il così detto Medio Eco. Le condizioni di Chiesa furono appunto nel durare dell' Impero di Giustiniano, sviluppate ampiamente, ed a questo periodo vanno a-scritte le costruzioni di moltissimi edifizi sacri improntati nella massima parte su canoni architettonici precedenti, edilìzi che in buon numero giunsero ai nostri tempi.
11 duomo di Tornello e vera basilica, il corpo complessivo ha in pianta la proporzione fra la larghezza della facciata e la lunghezza dell' edifizio, come quindici passi romani o pressoché venlinove, compreso l'abside; la larghezza sta all'altezza delle muraglie della navata mediana come quindici a dieci, nell'esterno mostra la spartizione in tre navate, la mediana delle quali s' alza sulle laterali. In fondo a ciascuna navata vi sono absidi, sporgenti al di fuori a tutto semicerchio, pressoché sopra una linea ; all' abside mediano ,si attacca altro nicchione, più basso in altezza, ma più che per metà minore dell'abside, quasi escrescenza, della quale non vi ha altra ragione, che posteriore costruzione addiettizia. Tre porte sulla facciata corrispondono alle tre navi, vi hanno porte laterali. Da ogni lato vi sono finestre, quali nelle basiliche cristiane del secolo VI, nelle navate inferiori e nella mediana, una per ogni arcata dell' interno. Sulla fronte della chiesa vi ha porticato il quale si protende per alcun tratto lungo le navate laterali ai fianchi della basilica, continua poi per congiungersi al porticato che gira all' intorno della prossima chiesa di S. Fosca. Dinanzi alla porta maggiore sta umile battistero di forma ottagona, così che occupa una parte del porticato, e sembra non essere a luogo conveniente. La basilica non ha cortile chiuso, dinanzi tutto cinto da portici, sembra all'invece che stesse su piazza, certamente la più nobile dell'antica Torcello, parte della quale quasi sacrato della chiesa, si direbbe decorata dalla facciata della basilica coi portici, a sinistra di questa colla chiesa di S. Fosca e coi portici di questa in continuazione di quelli della basilica; a diritta con altro edifizio sacro, forse il battistero; aperto il quarto lato del sacrato parallelo alla fronte della basilica. Forse il battistero che certamente corrispondeva all' ampiezza della basilica fu tolto, e surrogata dall' umile dinanzi alla porta. A lato destro di chi guarda la fronte della basilica stava l'episcopio; in quei dintorni deve collocarsi la canonica.
L'edilìzio tutto costrutto a mattoni è semplice nella decorazione: indarno abbiamo cercato sulla facciata trac-cie di pitture a. mosaico.
Nell'interno la distribuzione è come dissimo a tre navi, la mediana larga passi romani 6°. 2'. 5'', lunga fino alla corda dell' abside, 24° 2' 5», alta 10. — le laterali larghe passi 3° 2' separate da muraglie sostenute cadauna da nove colonne formanti dieci archi. Le nicchie delle navate laterali non sono sull'asse di queste,
ma più prossimo alla mediana; il suolo è allo stesso li vello nella mediana e nelle laterali.
Il sacrato s'avanza nella navala mediana fino al|0 terze colonne dall'abside, però il coro abbraccia du0 arcate, e vi sono traccie che lungo le arcate stessero i sedili; il coro è chiuso ai lati da septi marmorei, dinanzi dai septi, i quali nel mezzo lasciano ampio in»res-so ; sul dinanzi, sovra i septi stanno sei colonne" alte duo passi, le quali separano il coro dalla chiesa, e sostenendo architrave che corre pel traverso della navata mediana, con panni od altro può impedirsi la vista dalla chiesa nel sacrario. Il coro s'alza sul pavimento per duo gradini. Il santuario comincia all' ultima colonna prossima all' abside ed abbraccia tutte e tre le navate e le absidi cosi che 1' una nicchia laterale serviva a ripositorio dì sacri arredi, l'altro dei sacri libri; chiuso il sacrario nelle navate laterali da septi, però con accesso; così clic tre porte vi erano, una per ciascheduna navata, le quali secondo i momenti delle sacre funzioni si aprivano e si chiudevano.
L' altare maggiore, unico nella primitiva basilica è rifatto in foggie moderne; se sta al sito primitivo, ilcho è a credersi, non s'alzava sul suolo del coro che perla solita predella, nò indizio alcuno ebbimo che il suolo fosse altra volta più alto, chè altrettanto alto avrebbe dovuto essere il suolo delle nicchielaterali o dei pastoforii, destinati ad immediato servigio dell'altare. L'altare è collocato fuori delle arcate nello spazio fra queste e l'abside, ed era certamente a mensa doppia, come dicono, fra quattro colonne che sostenevano baldacchino marmoreo. La depressione del suolo del sacrario e della base dell' altare ci "fa credere, secondochè abbiamo veduto in altre basiliche, che non vi fosse martirio o confessione sotterranea, la quale non solo si manifesta per l'altezza del terreno, ma per le aperture che permettono la vista nel-1' abside inferiore, e per le scale collocate nel sacrario medesimo.
All'angolo del coro da lato dell'Evangelo vi ha un ambone doppio, non così dall'altro lato, ma questo non è il primitivo, né pel sito, né per la forma, il quale simile all'ambone di Grado, accenna a tempi posteriori; la disposizione dell'ambone è quale si conviene.
Le numerose finestre che dànno abbondantissima luce nell'interno, non sono chiuse da tavole marmoree traforate a vari disegni, fisse nel muro, in vece di vetrate, siccome abbiamo veduto in parecchie altre chiese ; ma in vece erano difese, con una tavola semplice di marmo formante un solo battente, collocata al di fuori, girante a piacimento in modo da poter chiudere il vano della finestra e lasciarlo aperto; modo di chiusura non ignoto ai tempi più antichi anche per porte, veduto da noi in qualche umile edifizio sacro. Questi battenti di marmo non sembrano essere stati applicati che alle finestre delle navate laterali, e durano ancora nella navata di mezzogiorno del duomo, sebbene non più usati.
Strana comparsa fa nella basilica Torcellana,l' abside maggiore, il quale in un diametro di soli sei pass iro-manì, in una profondità di ^re passi (intendiamo della pianta) ha i sedili pel clero ineguali per altezza e larghezza disposti in modo di teatro, sei di numero, ed in mezzo ai gradi lunga scala di undici gradini che porta alla
cattedra vescovile, collocata assai alta. L' aspetto di questa abside sì diversa dalle altre solile pel numero degli scaglioni, per la forma teatrale, a primo aspetto trasporta la mente ai vari gradi del clero, ma non vi si ferma, ricorrendo tosto a stranezza di sedere in coro in forma teatrale, la difficoltà di montare su quegl scaglioni, la mancanza di gradinate per salirvi, di ambulacri pnr muoversi nello stesso scaglione, la deficienza di riparo contro pericolo od almeno limoredi caduta dal lato ove l'emiciclo è troncato; la scalea al trono vescovile troppo pericolosa a vescovo progredito nell' età; insufficientenella larghezza a quelli che devono tar comitiva ai lati del prelato. L'opera delle gradinate è a mattoni, irregolare, rozza senza osservanza di costanti proporzioni, senza alcun di quegli emblemi nel troncato dell' emiciclo che sono sempre nei cori. Noi siamo stali tratti a rifiutare onninamente tutta questa disposizione (pressoché impraticabile) di trono e di sedili, e di considerarla come cosa di semplice appariscertza, non di uso, straniera alla primitiva disposizione della basilica.
Noi dubitiamo che la basilica secondo primitivo piano, avesse la confessione, la cripta sotterranea ; la basilica è su terreno non gran fatto più alto della media marea, in isola circondata d'aqua marina, su suolo che è argilloso; la costruzione di cripta non sarebbe stala opera impossibile, ma ardua, e di non lunga durata, come avvenne alla cripta della Marciana, che oggidì e da lungo è piscina anzi che confessione. Altre basiliche furono senza confessione in queste regioni intorno l'intimo seno dell'Adriatico; I'Eliana di S. Eufemia in Grado, l'Eufra-siana di S. Maria e S. Mauro in Parenzo, la Mariana di Trieste, la Massimiana della B. V. di Caneto in Pola, il duomo stesso di Pola. Le quali chiese ebbero in vece di confessione altro sacello o martirio sopraterra o'd in contiguità alla basilica per modo da esservi congiunta; così la basilica di Trieste col sacello di S. Giusto, così la basilica cattedrale di Pola colla chiesa di S.Tomaso Apostolo ; così la B. Vergine di Caneto con due sacelli allato quasi mausolei; così la basilica Eufrasiana di Parenzo ; nei quali sacelli riposavano le reliquie dei santi Martiri patroni. Non fa quindi meraviglia che la basilica di Torcello fosse senza martirio setterraneo, e noi pensiamo che la chiesa di S. Fosca, la quale é prossima alla basilica, e vi è unita anzi per porticato, fosse alzata per accogliere i corpi dei Santi Martiri trasportati dalla derelitta Aitino; la forma di quella chiesa è piuttosto di sacello, destinato ad accogliere più arche di santi. In tempi posteriori alla costruzione della basilica torcellana, e quando il tempio di S. Fosca, per cause che ignoriamo, ebbe altra destinazione che non la primitiva, trasportando altrove le reliquie dei santi martiri postevi originariamente, si volle costrutto|nellabasilicauno scurolo o martirio sotterraneo, in quel modo che era possibile. Quindi abbassato nell'abside il suolo per non più che due piedi e sette once romane lungo la parete esterna, si aprì nicchia profonda 7 piedi e 2 once, larga 8 piedi quattro once, la quale ebbe "eli'esterno l'aspetto di escrescenza bruttissima dell'abside maggiore, mostruosità che certamente non vollero i dispositori della primitiva basilica. Questa nicchia divenne nicchia di altare, nel quale si collocarono sante reli-•Jiie. All' ambulacro semicircolare si aprirono due accessi
nel muro stesso dell'abside, uno per ogni lato, l'ambulacro venne coperto di vòlta, di volta la nicchia dell'altare sotterraneo alta per ciò non meno di piedi 17 e 5 once, cosi che per quindici piedi veniva ad alzarsi nel presbitero dell' abside, l'ambulacro, alquanto di meno, non calcolala Io spessore della vòlta ; la vòlta dell' ambulacro poggiava-nel centro dell'abside su muro semicircolare, che sembra pilone ; grosso pressoché 18 piedi.
Per queste costruzioni il presbitero nell' abside cangiò interamente di forma; in luogo di area alzala per due al più tre piedi sul suolo del coro, aperta tutta, con una sola serie di scaglioni marmorei al muro dell'abside, ne risultò una vòlta che all' ingiro dell' abside si alzava dal suolo per dieci piedi, per più chejquindici nel sito corrispondente alla nicchia dell'altare inferiore. Per nascondere siffatta sconcezza si alzò nell' abside il suolo, nel centro per tre piedi e mezzo; si nascose la vòlta all' ingiro dell' ambulacro con sei scaglioni quasi sedili, si nascose la vòlta prominente della nicchia dell' altare inferiore con gradinata e trono vescovile; non però siffattamente che ai lati di questo, ove dovrebbe congiungersi alli scaglioni del coro non si vegga parte della muratura della vòlta. E ne riuscì presbitero del tutto inetto agli usi di chiesa, ma che all' occhio nascondeva lo sconcio della novella costruzione dello scurolo; lo scurolo medesimo riuscì meschina ed imperfettissima imitazione dei marti.rii ; imperciocché la tomba del S. Martire non sarebbesi collocata nel sito che corrisponde nella parte superiore all'altare maggiore; ma al trono del vescovo, così che questi sarebbe seduto sopra la tomba del martire, il che appena potrebbe credersi. Lo scurolo ha li scaglioni bassissimi di discesa di marmo greco, che si manifesta antico materiale, ma a tanto sfarzo di pavimento non corrispondono le povere decorazioni delle pareti altre volte a pitture. Nell'abside poi vedemmo, come sopra i sedili mancasse interamente quella decorazione ad intarsiature di marmi preziosi che nelle antiche basiliche si veggono, e che il pavimento sontuoso della basilica esige.
La basilica Torcellana è come mostrammo, perfettissima basilica alla quale, mancando il martirio sotterraneo, che il terreno troppo depresso ed aquoso noi concede, appartiene il sacello che dicono di S. Fosca, e che a noi si presenta distribuito ad accogliere le tombe di più martiri. Noi attribuiamo alla basilica ed al martirio Io stesso tempo di costruzione, la stessa specie di costruzione con materiali antichi tratti da allrove. E S. Fosca ci addita il tempo al di là del quale non dovreb-besi andare. Imperciocché gli edifizi sacri che nelle spiaggie superiori dell'Adriatico sursero dopo data la pace alla chiesa^ e fino ai tempi in cui la chiesa fu rialzata nel suo splendore di edilìzi da Giustiniano che ricuperò l'Italia, il più dei templi furono a basilica, e nel periodo di Giustiniano insieme alla forma di basiliche, vidersi alzate chiese di forma libera del tulto, così che in Costantinopoli sorse quella della divina sapienza; in Ravenna quella oltremodo bizzarra di S. Vitale, la quale alzavasi da quello stesso S. Massimiano che in Pola aliava in forma di basilica la magnifica della B. Vergine di Caneto, sebbene chiesa di monaci, non però sì esattamente che qualche parte non discostasse dai rigori delle basiliche. Due chiese rimangono in Grado dei tempi Giuslinianei, la B. "
V. delle Grazie, il Duomo, una rimane in Parenzo, che è completo, altra più antica vi ha in S. Lorenzo, e tutte sono a perfetta basilica senza nave traversale, senza trulle; la prima chiesa a trulla ed a croce di dimensioni maggiori, è il martirio di S. Giusto in Trieste; di S. Caterina di Pola mancano indicazioni certe di tempo, sebbene vi fossero (non esiste più) indizi di collocarla ad epoca posteriore presso prossima a Giustiniano. La basilica di Torcello, e il martirio oggi detto di S. Fosca non precedono in tempo l'epoca Giustinianea.
Indizio di tempo si ha, però a nostro avviso non bene certo, dai nicchioni in fondo alle navate laterali, i quali seppure in breve profondità praticati nell' interno dell' edifizio, non avevano sporgenza nell' esterno ; così che la sola abside dell' altare sporgeva a semicerchio. Di due basiliche prossime abbiamo certezza che non avessero i nicchioni laterali, quella di Trieste e la B. V. di Grado che era la chiesa plebanale di quel castello, anteriore in tempo alla basilica che fu poi patriarcale; però ambedue chiudevansi nella parte postica con muro retto, così che perfino la vista dell' abside era tolta, e v' era passaggio fra il muro dell'abside e quello esterno; nel-l'interno della chiesa v' erano due porte in muro diritto che chiudeva le navate laterali, e per quelle due porte si aveva passaggio dietro 1' abside ; i pastoforii sembrano essere stati collocati internamente; le basiliche avevano forma quadrilatera. La basilica Eufrasiana di Parenzo di data certa, non ha i nicchioni sporgenti, ma incavo nel muro, dal lato interno della chiesa, che appena potrebbe dirsi nicchia; S. Maria di Caneto ha i nicchioni sporgenti, non li ha l'Eliana di Grado, e dubitiamo li avesse avuti il martirio di S. Giusto in Trieste. Ma la pratica prevalse, e la sporgenza di questi, noi l'abbiamo ad indizio di opere del secolo VII e più tarde.
Ignari delle particolarità storiche di quel litorale a cui stà dirimpetto Torcello, nè avendo materiali da consultare, non siamo in grado di porre a confronto i nostri giudizi di induzione colle peculiarità storiche di quei luoghi. Sennonché la identità di condizioni e di vicende fra Aitino e Aquileja, la similitudine fra Torcello e Grado, ci persuadono a dire qualcosa. Ed in prima che l'estuario Altinate, il quale dal canale fra l'odierna Venezia e Murano s' estendeva fino alla Piave, era di giurisdizione della città romana di Aitino, e lo crediamo abitato nell'epoca della romana dominazioni come villa di piacere, ed ingresso di: mare. Noi pensiamo che gli Al-tinati non avessero atteso nelle loro case ed entro le mura 1' esercito di Attila, ina avessero abbandonata nel 452 la città riparando nelle isole, ' e che passato T uragano fossero ritornati alle loro case; le quali abbandonarono poi del tutto al fissarsi delle dominazione longobardica, non però repentinamente quadi .fosse emigrazione in corpo. Pensiamo che il vescovo cattolico abbandonasse la sede di Aitino, meno per derelizione dell'antica sede affatto vuota di popolo, di quello che per evitare il contatto cogli Ariani longobardi, che in ogni città avevano posto vescovi eretici. I materiali di marmo, le colonne, i capitelli non hanno segno di Tovine sofferte, eppure dee dirsi che fossero trasportati da Aitino. La basilica, il sacello non possono collocarsi per loro d;s-'tribuzione e forma a tempo immediatamente prossimo
alla scorreria di Attila; nè di altra chiesa anteriore al secolo VII, nè di residenza vescovile in Torcello vi ha traccia anteriore al secolo VII; di Grado non fu così che vi sono chiese anteriori alla calata dei Longobardi-e la residenza dei patriarchi fu sì frequente in" Grado' che questa verainfcnte può dirsi loro sede, dopo la sovversione d'Aquileja, temporanee, interpolate essendolo dimore .loro in Aquileja*
Neil'assegnare il tempo alla basilica torcellana non escludiamo che nella lunga decorrenza di secoli non abbia patito ristauri e rifazioni; ed oltre quel posticcio scu-rolo, e la gradinata altri indizi ci apparvero, ma furono opere di ristauro e di fortificazione che non alterarono 1' antica distribuzione, nè la costruzione antica delle parti principali, che sono caratteristiche, e che ci parvero, se non intatte, certamente ristaurate nella forma ^primitiva. A noi sembrano quei due edilìzi degni di bel posto nelle storia dell' arte edificatoria, e degni di esame migliore, che cogli occhi soltanto, ed all'infretta abbiamo potuto fare.
Non è sì facile il pronunciare giudizio del tempo di costruzione. Imperciocché i capitelli, le basi, le colonne, i marmi adoperati si manifestano opere dei tempi di decadenza dell'arte romana, cose intorno il principio del IV secolo, basi attiche, capitelli che, serbato il tipo di corinti, degenerano in bizzarri ornamenti ed intagliature, imitando in qualche parte i jonici; il materiale di marmo di pregiata qualità del genere che dicono greco, ha belle venature, però i rocchi di colonne con limbelli alti e di poco rilievo alle estremità. Nessun capitello ci accadde di vedere di quelle forme e di quegli intagli che vedonsi introdursi in istria ed in Italia ai tempi di Giustiniano, a tutta bizzarra composizione, di nessuno degli ordini usati dai Romani ; nel Duomo nessun ornamento che sia di questa specie, all' infuori di una custodia marmorea, all'intutto simile nella distribuzione e nelle forme a quella preziosa della Basilica Eufrasiana di Parenzo; se non che l'educazione artistica si mostra assai inferiore per arte, a segno di doversi dire posteriore in tempo, quando le arti belle scendevano ancor più al basso. È certa la data della custodia Eufrasiana, perchè la leggenda postavi ricorda il vescovo Eufrasio, gli anni di suo vescovato, e papa Giovanni, siccome altra volta abbiamo mostrato in questo foglietto, illustrandola. La custodia torcellana dovrebbe dirsi, secondo ogni plausibile ragione, non trasportata e murata come è nel pastoforio o nicchione a mano sinistra dell' abside, dovrebbe dirsi a sito competente fino dal primo suo collocamento; non può dirsi della custodia torcellana che sia stata parte di edifizio antico di altro genere che non cristiano;,così che persuade essere stato eseguito appositamente per la Basilica nel tempo di sua primitiva costruzione. Ed essendo la custodia pa-rentina della prima metà del secolo VI, questa torcellana deve dirsi posteriore.
I materiali da muro sono mattoni tutti, ma, corno avvenne in Aquileja ed in Grado, di. antica coltura, tratti, come pare, da antichi edifizi diroccati.
A noi che consideriamo la chiesa di S. Fosca, parte integrante della Basilica torcellana e contemporanea a questa; non fanno sgomento le decorazioni esterne dell'abside maggiore e delle nicchie laterali di S. Fosca, le
le quali insieme alle distribuzioni manifestano il secolo X. Imperciocché siffatte decorazioni non in altre parti del tempio si veggono, fuorché in questa parte postica, la quale sembra che in origine non venisse a collocarsi, come più tardi avvenne, supra strada che di fianco mette alla Basilica; per cui venne desiderio di decorare l'abside che in tutti gli edifizi è semplice, perchè non osservata; ma ad onta della fretta che il tempo misurato ci concedeva, parve a noi di vedere in una parte gli indizi manifesti di indossatura d' opera addiettizia. Ad ogni modo non può giudicarsi un edifizio da una frazione che tanto discorda dal più dell' edifizio stesso, da una parziale decorazione esterna, tanto diversa dalla decorazione dell'interno e dalla massima parte dell'esterno.
A giudicare del tempo dell'edifizio mancando le indicazioni materiali, dobbiamo ricorrere a quelle caratteristiche che sono di disposizione architettonica, ponendole in confronto alle generali vicende dei luoghi.
Noi distingueremo dapprima gli edifizi destinati al culto pieno dagli edifizi destinati a singoli atti di devozione ; le chiese vescovili o plebanali nelle quali ammi-nistravansi i sacramenti, dalle chiese nelle quali altrettanto non facevasi: le basiliche dalle cappelle; le chiese pubbliche dalle private, fra le quali ultime dobbiamo collocare anche quelle dei monaci. Le chiese pubbliche, fossero di primo rango o vescovili, di secondo rango o baptismaii, esigevano per 1' esercizio degli atti di cullo, secondo rito antico, certa distribuzione la quale era di canone indispensabile; sito pel clero che sempre era in numero di più, pei cantori dinanzi l'altare, pei sacerdoti dietro l'altare, pastoforii o sacristie; separazione di questo corpo di chiesa dal rimanente, in modo che il laico non potesse porvi piede; così che buona parte di chiesa veniva riservata al clero ; poi sito distinto e separato per le vergini sacre a Dio, per le matrone, per le donne ; sito distinto e separato per monaci, pei senatori, per gli uomini; poi sito pei fanciulli, per le varie categorie dei fedeli non completamente ammessi alla comunicazione dei fedeli, sito pei vari ordini di penitenti.
A queste esigenze del culto nessuna forma meglio si prestava che quella di basilica, e la vediamo ad onta di cangiamento nel rito, sì costantemente osservata, che in tutti i tempi e fino ai nostri è la forma più frequente. La quale nel decorso dei tempi variò dalla solita primitiva in ciò solo che si aprirono navate traversali per darvi in pianta la forma di croce, e che nel centro della croce si alzarono trulle e cupole, per vaghezza di forme, o se si vuole per maggiore onorificenza.
Siffatte esigenze mancavano del tutto nelle chiese | private, nelle quali appena nel IX secolo si concesse 1' uso degli offici divini, non però di tutte come tutto-giorno si pratica dalla chiesa ; ed essendo piuttosto mar-i Urti permessi su privato suolo da Teodosio nel 386; gli artisti avevano campo più libero e per distribuzione e Per decorazione; unico precetto a loro di fare ambiente cne sia atto a contenere i sarcofaghi di martiri. Ed è jn tali edifizi che il genio degli architetti spaziò più libero, fino al bizzarro, prendendo norma dal dispendio i c'ie voleva fare l'ordinatore dell'opera. Ed è perciò che
in siffatti edifizi, quand' anche più tardi divenuti pubblici o di pieno culto, mancano le parti in che é distribuita una chiesa pubblica, spesso anzi riesce del tutto impossibile* il designarle, o perchè manca lo spazio, o perchè la disposizione materiale dell'edifizio noi concede; così che divenute plebanali o vescovili, manifestano nelle surrogazioni talvolta improprie, la primitiva ben diversa destinazione.
Noi siamo indotti dal complesso delle cose a ritenere la Basilica di Torcello ed il Martirio di S. Fosca o-pera del secolo VII.
Altra chiesa memorabile vedemmo nell'Estuario veneto, quella di S. Donato di Murano, la quale era pleba-nale di Torcello, disposta pur questa a mo' di basilica con braccia laterali per averne forma di croce, con materiali tratti certamente da altra basilica. Della quale diremo soltanto che ebbe porticato dinanzi a sé, or tolto, e seppimo avesse avuto sul dinanzi battistero, del quale la vasca si conserva nell'odierna sacristia; ed è monumento di gente romana, incavato per farne recipiente di aqua, di forma quadrilatera. E ci ricorse tosto alla mente la vasca battesimale del battistero di Pirano che è antica, quadrilatera pur questa, e pur questa, pietra che già era monumento funebre romano. Le vasche delle chiese vescovili erano esagone; abbiamo fatto ricerca dei frammenti di quella di Torcello, e ci fu mostrato un catino grande, del quale abbiamo tanto dubitato, da rifiutarlo vasca battesimale. La forma quadrata ritroviamo in due chiese che erano battesimali, plebanali soltanto; la forma quadrata della vasca sarebbe mai propria soltanto di queste chiese; riservata 1' esagona alle vescovili? Noi propendiamo a ciò credere tanto più facilmente quan-tochè la frequenza delle battesimali cade in tempi nei quali ammettevansi i bambini al santo lavacro.
Ma abbiamo troppo detto e di Torcello e di S. Marco, per non sentire debito di dare tregua alla noia dei lettori; prendiamo quindi congedo dagli edifizi sacri dell'Estuario veneto, sebbene con malincuore, e con mente soverchiata dall'aspetto di tanti e sì belli monumenti cristiani.
Chiarissimo Dr. Pietro Kandler
Trieste, li 26 Agosto 1852.
Tolgo a sdebitarmi della mia promessa lattale di fornire al suo Foglio 1* Istria alcune delle Ducali da me conservate, attinte agli archivi patrii e riferibili a cose i-striane.
Comincio anzi tutto dal rimetterle copia della Ducale 15 aprile 1424 del Doge Francesco Foscari, la quale merita per me qualche riflesso, avvegnaché valga a chiarire una mia opinione altra volta esternata intorno lo scopo precipuo del castello Leone di Giustinopoli o Capo-d'Istria, e persuadere cui altrimenti credesse appigliarsi, come quella rocca venisse costruita siccome baluardo contro le straniere invasioni, non solo per la città di Capo d'Istria, ma per molte terre ancora dell' Istria.
"Franciscus Foscari Deigratia Dux Ve-
„netiarum Nobilibus et Sapientibus Viris Pelro „ Zaccaria de suo mandato Potestati et Cap.o Justinopolis, „ et successoribus suis fidelibus dilectis salutem et dilec-„ tionis affectum.
„ Significamus Yobis quod in nostris Consiliis Ro-„ gatorum cum et additione, die X. mensis Aprilis ind.e „ 2-da 1424, capta fuit pars tenoris infrascripti. — Cum , fortificatio Castri Leonis per terram sit conservatio non „ solum civitatis praedictae Justinopolis, immo etiam più-„ rium Terrarum Istriae et ad conservationem et fortifi-„ cationem ipsius sit salubriter providendum.
„ . . .Ita tamen quod in dictis paludibus existentibus „ circa dictum Castrum Leonem et Terram firmam in ali-„ qua parte sive loco, Rectores Nostri Justinopolis qui „ erunt prò tempore, nullo modo vel ingenio possint et _ valeant sine mandato Nostri Dominii alicui de novo con-
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, cedere quod construant aliquas salinas tam a parte Le-, vantis quam a parte Ponentis; nec etiam concedere vel „ dare de Territoriis nostris in feudum, vel livellum, vel „ per quemcumque alium modum sub poena Librarum Mille „ parvorum per Rectores contrafacientes in suis propriis ,bonis solvenda nostro Comuni; et illi qui construxe-„rant salinas vel habuerunt de dictis Territoriis, perdant , ea quae habuerunt a dictis Nostris Rectoribus, et deve-„ niant in nostrum Commune, declarando quod si tempore „ regiminis Nob. Viri Alexandri Giorgio et a dicto suo re-„ gimine citra usque in diem presentem concessum fue-„ rit alicui quod construat de dictis salinis vel datum „ fuerit do dictis Territoriis nostris sine mandato Nostri
„ Dominii qui prò tempore erunt omnia suprascripta te-„ neantur executioni mandare sub poena Librarum mille „ parvorum in suis propriis bonis, et Advocatores Ci-„ vitatis debeant excutere a contrafacientibus habentes „ partes de dictis suis officiis. Quare mandamus Yobis cum „ dictis Conciliis quat. d.am partem et contenta in ea de-„ beatis observare et facere inviolabiliter observari fa-„ cientes has nostras Litteras in Actis Cancellarne Ve-„ strae deinde ad futuram memoriam regislrari„.
Dat. in Nos. D.li Palatio die 15 Aprilis Ind.e 2.da 1424.
Rimpetto a tanta evidenza non saprei sino a qual punto si possa ora sostenere che quella rocca, toltasi alla memoria dei monumenti istriani in tempi non troppo felici e favorevoli ai pacifici studi, fosse stata costruita dai Yeneti per infrenare la città di Capodistria, non contenta gran fatto di obbedire al governo di Venezia.
Rifletto di più che se tale fosse la istituzione, gli abitanti di Capodistria avrebbero dovuto agognare alla distruzione di quel castello; ma invece riportarci la tradizione uno zelo distinto dei giustinopolitani in volendo gelosamente conservato, temendo sempre che dal di fuori calassero le solite orde a manomettere la città, a toglierle le sue libere istituzioni, insieme arrecandole sterminio degli averi e delle persone.
In documento maggiore di questa verità Le trascrivo qui appresso la Parte presa dal Consiglio maggiore di Capodistria nel 24 Giugno del 1580.
a Congregato majori Cons.o more et loco solitis in „ quo interfuerunt Conciliarij N. 56 et illieo per supra-„ dictos Sp.les D.nos Sindicos in eodem Cons.o posita fuit „ altera pars ut infra.
" Essendoché nei giorni passati da noi Pietro Dr. „ Vergerio Favonio et Giovanni Vittorio Sindici rappre-„ sentanti questo maggior Conseggio siano state prontate „ al Claris. Sig. Marin de Cà Pesaro Deg1. Proveditor al „ Sai esistente in questa città e patria nostra di Capodi-„ stria le scritture lette nel med. o Conseggio per le quali „ si supplicava sua M.za Claris.a che atteso le cose in „ quelle esposte, non volesse per giustizia procedere nè „ all'incanto, nè ad altra deliberazione della palude situata „ tra la strada di terra ferma et il Castel Leone dalla „ banda verso ponente, dove appunto dal Marsaro del „ sale ovvero figlioli di quello chiamati Santorii altrevolte „ si tentava di costruire N. 40 Cavedini di Saline; perché „ in tale sito e banda della lacuna si trovava in tutto e „ per tutto proibita ogni costruzione che si dice per di-„ versi ordini di Sua Serenità signaliter autem per la
Parte 1562 dell'Eccelso Conseggio de Pregadi, cons'an-do siccome consta con effetto, che tra pretendenti detta Costruzione da una banda e questa Comunità dall'altra sia stato lungamente litigato, la qual lite tuttavia pende indecisa, essendo etiam che il terreno contenzioso del quale si tratta è specialmente compreso nel spazio che si intende d' escavare per conservatione di questa prin~ cipale e sola fortezza di tutta questa regione, nè a-vendo sopra ciò detto Clarissimo Sig. Proveditor voluto per ancora determinare più in un modo che in un altro.
„ L'anderà Parte che con 1' autorità di questo Conseggio sia deliberato et preso che ai Sindici prò tempore, così presenti come futuri sia data spettabile autorità et facoltà di potere occorrendo difendere, far difendere e mandar difendere contra qualunque in questa città, quanto nell' inclita Città di Venezia nom.no pub.co usque ad expeditionem inclusive, che non sieno costrutte Saline nè fabbricate in modo alcuno, o quelle delle quali si parla o altre in pregiudicio e danno di questa fortezza, dovendo noi essere sicurissimi che Sua Serenità per l'innata Sua giustizia e clemenza insieme, sia sempre per anteporre il consueto generale ad universa! beneficio de'suoi fedelissimi al proprio innusitato e dannosissimo comodo de' particolari,,.
Propere balle 52 „„„„ „ .. »,.. Contro	4 J caPta fuit-
Avverta qui, chiarissimo Dottore, che la città di Capodistria ha preferito all' interesse delle saline la conservazione del castello Leone; ciò che prova che con ogni sacrificio lo volea mantenuto a difesa propria e della regione istriana contro qualunque invasione sia di terra come di mare.
Verrò in appresso a somministrarle gli atti corsi intorno la pacificazione dell'Istria con Trieste per interposizione di Papa Giulio II; i quali atti, a mia conoscenza, non vennero ancora pubblicati nel loro testo, e in ogni modo sempre opportuni da registrarsi nel Codice diplomatico che per di Lei zelo viene mano mano a istituirsi.
Mi tenga intanto di stima perfetta
Suo Umilissime Nazario Gallo.
Chiarissimo Signor'Vr. Pietro Kandler.
Continuando a svolgere l'argomento da me in precedenza trattato intorno lo scopo principale del castello Leone di Capodistria, tolleri che Le trascriva qui appresso un' altra Ducale non meno importante di quella già rimessagli; mentre gli è utilissimo pelle storie patrie di tener conto di questi documenti, in tanta confusione, o se pur voglia chiamarla oscurità delle cose istriane.
Ella sa molto bene che il Biondo nella sua " Italia illustrata „ crede di poter affermare, discorrendo dell' I-sola Capraria:
che la prima città dell' Istria, è Justino-
„	poli, edificata da Justino figliuol di Justiniano primo
„	imperatore sopra l'Isola chiamata allhora Capraria, ma „ detta ne' tempi più a dietro Pullaria : e la cagione, „ perche egli edificò qui questa città; fu per assicurare
„	alquanto li popoli de l'Istria da gli insulti spessi di „ Barbari, per che ella fu in loco molto forte di sito na-„ turale edificata : e nondimeno congiunta questa isola,
„	dov'è Justinopoli, con terra ferma da un braccio di
„	muro, lungo un miglio e lato 10 passi: e nel mezzo
„	di questo spatio, villa una forte rocca chiamata Castel
„	Leonino, fattavi da quel popolo per guardarsi da bat-„ taglia di terra
Reputo impertanto necessario di chiarire questa opinione di uno storico antico col riportare que' documenti che valgano a confermarla, ovvero, se fosse del caso, rettificarla così che ne risulti una inconcussa verità , rimeltendomi del resto alla di Lei molta sapienza per tutto ciò che conoscesse di aggiungere su tale proposito.
Che al veneto Governo come al popolo di Capodistria interessasse la conservazione del castello Leone nello scopo da me dimostrato, spero di averlo provalo a sufficienza : tuttavolta La prego di leggere, a maggiore documento, la seguente Ducale :
" Marinus Grimano Dei gratia Dux Venetiarum No-
v	bilibus et sapientibus Viris Francisco Capello de suo
„	mandato Potestati et Cap.o Justinopolis fidelibus dilec-
„	tis salutem et dilectionis affectum.
„ Significamus Vobis hodie in Colleg.o nostro Salis
„	captam fuisse partem tenoris infrascripti, videl. — II
„	dilect. nob. nostro Marc'Antonio Lengo Proveditor al Sai,
„	mentre si trovava nell'Istria per l'occasione de'sali,
„	desideroso di prestar quel fruttuoso servizio, che ha
„	fatto sempre, et che si può promettere dalla diligente
„	opera sua in qualsivoglia maggior occasione, concesse
„	al fedele Rufael Tebaldi sotto li 21 D.mbre 1594 un
„	pezzo di Terreno paludo in Capodistria appresso Ca-
„ stel Leone nella Contrada di Semedella per far un fon-„ damento di Cavedini 30 in area di Saline la qual con-„ cessione, perchè sarebbe stata di utile et comodo pu-„ blico per l'obbligo a che esso Tebaldi si è sottoposto „ di fabbricar le dette 'saline a tutte sue spese senza „ sovventione alcuna di danaro pùblico e di dare tutti li „ suoi sali alla Sig.ria nostra al prezzo elio faranno quelli „ di Pirano, fu confermata per questo Collegio sotto li 3 13 Giugno p. p. — Ma ora essendo stato mandato da „ quella fedelis.a Comunità per suo Ambasciatore D.no „ Marco Antonio Pola, ha egli esposto alla Sig.ria nostra „ essere proibito il potersi innovar saline nel Terreno „ sud. per molti ordini del Senato nostro et in partico-„ lare per quello de dì 18 Luglio 1562, nel qual tempo „ fu mandato il dilect. Nob. Bernardo Sagredo all' ora „ Procurator alle Fortezze insieme all'Ili. Governator no-„ stro Generale e col fedel Ingegnerò ìlallacreda, li quali „ trasferitisi nel sud o Loco di Capod.a. rifferirono di „ quanto importante danno sarebbe il fabbricar in esso „ nove Saline, perchè senza dubbio causarebbero il total „ ammunimento della Laguna che circonda quella città „ nostra, della qual deliberatione non fu data notizia al-„ cuna ad esso [dilect. Nob. Nostro M. Ant. Lengo nel „ tempo dell? concessione.
„ Però non essendo conveniente con'ravenire ad un „ tal ordine del Senato in cosa che tanto importa a „ questa Fortezza nostra, l'andarà Parte che eseguendo , l'ordine sud.o di 18 Luglio 1562, la sopradelta con-„ cessione fatta dal dilect. Nob. nostro M. Antonio Lengo „ Proveditor al Sai al fedel Rafael Tebaldi, sia annullata „ et di niun valore, come se fatta non fosse, non dero-„ gancio però la presente in cosa alcuna alla solila an-„ tica libertà et autorità al Magistrato del Sai et q.to „ Collegio di poter far innovar altre saline, dove meglio „ li parerà esser di servizio et comodo pubblico, in luogo „ però non proibito dalle leggi. Quare auctoritate suprad.ti „ Excell.i Colleg. mandamus Vobis ut suprascriptam partem „ observetis et omnibus inviolabiliter obseryari ac prae-„ sent. restit. faciatis
I " V "
" Dat. in nostro D li P.tio die 20 D.mbris 1595 Ho l'onore di protestarmi.
Trieste li 2 Settembre 1852.
Suo Umilissimo Servitore Nazario Gallo.
Riempitura.
Al vedere 1' iscrizione recata dal n. 15 a. c. dell' Istria, nella Riempitura, mi son sorti parecchi dubbi e ad un tempo nati altrettanti desiderii. Ho dubitato di quella parola CIVES per CIVIS , in quanto che piuttosto civis per cives fu in uso, ai tempi di Augusto, come abbiamo in più rovesci di monete di quell' epoca. Ho sospettato che sia probabilmente uno sbaglio nella copia, e delibasi leggere cleves, o clives, alludendosi al luogo particolare tra i popoli menapii. Ho dubitato ancora del numero della Coorte, sospettando il II, invece dell'I ; perchè la l.a coorte Vanii, era stativa prope Ileliopolim, e la 2.a coorte Pannonior. stativa, invece, inter Padum ot A/pes. Tanto più, perchè nell'iscrizione e intieramente e-spressa, in luogo di abbreviazione o sigla. Avrei desiderato la parola centurione invece di capitano, l'indicazione dell' anno di servizio militare C Stipendi.... stipen-dium XI) a distinzion di quelli dell'età (Ann. XXXII), . la spiegazione, o lezione delle tre sigle finali: H. S. E hoc sepulcrum erexit, o elegit; oppure: hic silus est, o altrimenti; di che abbondano gli espositori. Ma il sig. Vincenzo Zandonati, ricercato a rettificare l'iscrizione, dichiarò di non conoscerne l'originale, che però pare a-quilejese.
G. B. Vatta.
Anno 849.
26 Aprile, Indizione XII, Trieste.
' i. \ Maru, ancella di Dio, dona all' Abbazia di Sesto, presso Concordia, cento olivi♦
(Da apografo della Marciana Class. XIV God. 150.)
In nomine Domini nostri Jesu Christi Imperante Domino
Hlothari a Deo coronato pacifico Magno Imperatore Anno XXX Hlodo-
vico Filio ejus anno VI die XXVI Mense Aprile per indictione X . . . Acto vero Tergeste. Ego itaque Maru ancilla Dei dum jacere in egritudinem cogitans prò remedio anime mee ubi omnes ambulaturi sumus in die tremendo judicii in bona commemorationem et sana habens mente in-tegroque Consilio appresentem die facio cartam de hereditatem de parentibus meis do ac offero vo&is domno Luponi Abbati a parte Marie semper Virginis qui vocatur ad Sextum de olivas numero centum XXXX.....et si quis contra istam cartam testamenti post meum transitum si frater meus Johannes aut Nepotes aut Nepotis aut unusquisque de parentibus meis aut summissas personas voluerit re-plequare aut causatione faGere voluerit ut componat libra auro vobis domno Luponi Abbati ad partem Ecclesie S. Virginis Marie seu ad successoribus veslris et habeat anathema de Patrem et Filio et Špiritu Sancto et incurrat in iram Dei omnipotens et in laquei diaboli et peccatum meum inseipsarc-cipiat et cartula ista testamente a me ... . ancilla Dei facta firma permaneat. die et anni et Impe-ratoribus Indict. suprascripta feliciter. Acto vero Tergeste.
f Signum manus Ancille Dei Maru qui ista carta testamenti fieri rogavit. f Signum manus Johannis Abb. Germanis ejus cui relictum est. f Signum manus Petro Nepote suo cui relictum est. f Signum manus Johanne de Petro; testibus infrascriptis. f Signum manus Johanne Cini de Aquelina loci sai. test, f Signum manus Martino Cabrisiano loci sai. test, f Signum manus Leoni de Claudio test, f Signum manus Anculo ut sup. test, f Signum manus Stefano ut sup. test.
+ Ego Benedictus Presbiter rogatus a Maru Ancilla Dei et a Johanne Germano suo in liane testamenti cartula manu propria subscripsi.
Ego Dominicus Clericus et Tabellio hujus Sancte Tergestine Ecclesie rogatus e Petrus et Maru Ancilla Dei qui istam cartam testamenti fieri rogati propria manu mea scripsi et subscripsi et compievi et absolvi.