received: 2008-03-18 UDC 343.222.7:159.9.072.43(450)"18/19" original scientific article IL GIUDICE, GLIAVVOCATIE LA FOLLA. IL TUMULTO POPOLARE PER LA FESTA DI S. MICHELE A GRAVINA (1886) NELLA SENTENZA DEL TRIBUNALE DI BARI (1887) Angela DE BENEDICTE Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, Dipartimento di discipline storiche, IT-40124 Bologna, Piazza San Giovanni in Monte, 2 e-mail: angela.debenedictis@unibo.it SINTESI Un giudice (la sentenza del Tribunale di Barí) e due avvocati (G. A. Pugliese e C. Ricco) interpretano uno specifico 'fatto' 'tumulto' all'interno della 'questione sociale'. La loro rilevanza sta non solo nell'aver impostato il problema del 'delitto collettivo ' in relazione al problema del 'diritto di resistenza ' in un epoca cruciale per le discussioni su Dissenso politico e diritto penale in Italia tra Otto e Novecento (Sbriccoli), ma anche nell'aver fornito materiali decisivi per la elaborazione delle teorie sulla "folla criminale" da parte di una altra tipologia di interpreti: gli psicologi della folla. Il fatto, la sentenza del giudice e gli scritti degli avvocati costituirono, infatti, uno spunto fondamentale per il "Saggio di psicologia collettiva " di Scipio Sighele, La folla delinquente (1891).1 Parole chiave: tumulto, delitto collettivo, folla delinquente, diritto penale, psicologia collettiva 1 Ricordo con piacere che il tema e le fonti qui utilizzate sono state da me presentati ai frequentanti il 4° EMD - CIDRI in "Storia e comparazione degli ordinamenti giuridici e politici dei paesi dell'Europa mediterranea" (diretto da Andrea Romano presso l'Universitá di Messina) nei giorni 13-14 maggio 2004, sotto il titolo Delitto di ribellione e diritto di resistenza nel primo periodo post-uni-tario: "dottrina e giureprudenza storico-critica" all'interno del ciclo di lezioni tenute da Livio Antonielli, Codici penali, difesa dei diritti fondamentali e repressione del dissenso (10-14 maggio 2004). Sia il tema sia le fonti richiederebbero una trattazione molto piu approfondita di quella che qui offro, limitandomi unicamente a presentarle all'attenzione degli studiosi interessati. Il dott. Pietro Ficarra ha da poco iniziato a lavorarvi per la tesi di dottorato su Dalla "Ribellione" al "delitto della Folla". Lotte sociali e diritto penale in Italia durante la crisi di fine Ottocento (Dottorato inter-nazionale Comunicazione politica dall'antichitá al XX secolo: Frankfurt am Main, Innsbruck, Trento, Bologna). 561 Angela DE BENEDICTIS: IL GIUDICE, GLI AVVOCATI E LA FOLLA ..., 561-576 THE JUDGE, THE LAWYERS AND THE CROWD. PUBLIC UPROAR IN GRAVINA ON MICHAELMAS (1886) IN A SENTENCE PASSED BY THE COURT OF BARI (1887) ABSTRACT A judge (the sentence of the Court of Ban) and two lawyers (G. A. Pugliese and C. Ricco) interpret one specific 'deed, a 'riot' within the framework of the 'social issue '. Their importance is not only in having laid out the problem of 'collective crime ' in relation to the problem of the 'right to resistance " at a time that was crucial for discussions on political disagreement and criminal law in Italy from the late l9h to the early 20th centuries (Sbriccoli), but also in having supplied decisive materials for the elaboration of theories on the "delinquent crowd" by another type of interpreter: the crowd psychologists. The deed, the judge's sentence and the lawyers' writings formed in fact a fundamental starting point for the "Essay on Collective Psychology" in the work The Delinquent Crowd by Scipio Sighele (1891). Key words: riot, collective crime, delinquent crowd, criminal law, collective psychology SENSUALI PASSIONI "Nei tumulti popolari è da ricercarsi se le masse si mossero, si agitarono, e si spinsero a violenze e vie di fatto per prestabilito concetto, oppure per impulso di sensuali passioni. Siccome in tali reati è l'ente collettivo, che insorge, e nel suo irrompere viene invaso da forme deliranti e viene animato dall'odio, dall'ira, dall'af-fetto, dalla passione, e forse anche da un fanatismo religioso, se trascende in azioni abbastanza deplorevoli, non puô affermarsi la completa responsabilité, poiché la mente di coloro, che agivano, era viziata da quella specie di ebbrezza, che nasce dal tumultuare e dal gridio e dagli strepiti dei tumultutanti. Compete quindi in tali casi il benefizio dell'articolo 95 codice penale"2 (Tribunale di Bari, 1887, 204). 2 "Art. 95. Allorché la pazzia, l'imbecillita, il furore o la forza non si riconoscessero a tal grado da rendere non imputabile affatto l'azione, i giudici applicheranno all'imputato, secondo le circostanze de' casi, la pena del carcere estensibile anche ad anni dieci, o quella della custodia estensibile anche ad anni venti. Allorché il reato é commesso nello stato di piena ubbriachezza, contratta senza deliberato proposito da colui che non é solito ubbriacarsi, i giudici applicheranno al colpevole la pena del carcere estensibile, secondo le circostanze de' casi, anche ad anni dieci. Ne' casi tuttavia in cui la legge infligge pel reato o pene correzionali diverse dal carcere o dalla 562 Angela DE BENEDICTIS: IL GIUDICE, GLI AVVOCATI E LA FOLLA ..., 561-576 Il 17 febbraio 1887 il Tribunale di Bari emetteva la sentenza sul tumulto popolare accaduto a Gravina il giorno 8 maggio 1886, in occasione della festa di S. Michele. A norma dell'art. 247 del codice penale3 il "fatto" costituiva "ribellione a mano armata". Gli autori del tumulto, "armati di mazza o d'altro e gridando "Abbasso il Sindaco, Viva il Re, Viva la Regina"", "colle parole e cogli atti" avevano cercato "di non fare eseguire un ordine dell'autorità municipale, che per misure sanitarie [aveva] proibita la cele-brazione di una festa popolare". Se tutti gli autori del tumulto erano accusati di ribellione, non tutti dovevano peró egualmente rispondere di "danno dato" per i danni cau-sati nel corso del tumulto, ma solo coloro che erano "raggiunti dall'evidenza della prova". Nel determinare in quale misura dovessero essere puniti gli autori di un tumulto, era necessario esaminare "la natura del reato e le circostanze" che lo avevano causato. Le circostanze, infatti, "attenuando la gravezza del reato", diminuivano "la responsabilità individuale degli imputati". In tal modo "nel reato di ribellione" poteva provarsi "con testimoni e presunzioni" che i tumultuanti avevano agito "in istato di ebbrezza per attenuare la loro responsabilità" (Tribunale di Bari, 1887, 203-204). Alla sentenza sulla "ribellione di Gravina" la "Rivista di giureprudenza"4 del 1887 dava spazio non solo pubblicandola nella sezione di "Giureprudenza contemporanea", ma anche ritornando poi ampiamente sul principio stabilito nella sentenza riguardo la "ebbrezza morale, che invade i singoli individui nei reati d'indole collettiva". Lo faceva lo stesso direttore della rivista, Giuseppe Alberto Pugliese, nella sezione "Dottrina e giureprudenza storico-critica", con una articolata riflessione sul tema del 'delitto collettivo' (Pugliese, 1887a). Pugliese salutava la sentenza come "la prima" che avesse gettato "le prime linee di una giusta dottrina: la dottrina della responsabilità dei delitti collettivi, la responsabilità dei fenomeni criminosi delle custodia o pene di polizia, i giudici applicheranno la pena prescritta dalla legge colla diminuzione da uno a tre gradi" (Abbamonte, 1863, 67-77). 3 "Art. 247. E reato di ribellione: 1 Qualunque attacco e qualunque resistenza con violenze o vie di fatto contro la forza pubblica, contro gli uscieri o servienti di giustizia, le guardie campestri o forestali, gl'incaricati dell'esazione delle tasse e delle contribuzioni, o coloro che portano per essi gli atti esecutivi, - contro gli uffiziali ed agenti addetti al servizio dei telegrafi e delle strade ferrate nominati e approvati dal Governo -contro i preposti delle dogane o gabelle, - contro i sequestratari, gli uffiziali od agenti della polizia giudiziaria o amministrativa, - quando agisconoper lesecuzione delle leggi, degli ordini dellautoritá pubblica, dei mandati di giustizia, e delle sentenze; 2°. Ogni violenza o via di fatto usata per isciogliere l'unione di un corpo legittimemente deliberante, - o per impedire l'esecuzione di una legge, di una decisione, o di una sentenza, o di qualunque ordine di una podestá legittima, - o per ottenere una determinazione od un provvedimento qualunque dalla legittima autoritá, - o per sottrarsi dall'adempimento di un dovere imposto dalla medesima" (Abbamonte, 1863, 185). 4 La rivista mensile, diretta da Giuseppe Alberto Pugliese, venne pubblicata a Trani tra il gennaio 1876 e il maggio-giugno 1914. Cfr. Mansuino, 1994, 245-246. Su Pugliese, in relazione alla sentenza, si veda di recente Palano, 2002, 260-261. Su Pugliese, in relazione alla sentenza, si veda di recente Palano, 2002, 260-261. 563 Angela DE BENEDICTIS: IL GIUDICE, GLI AVVOCATI E LA FOLLA ..., 561-576 masse" (Pugliese, 1887a, 215). Richiamava l'attenzione degli studiosi su una "grave questione, palpitante di attualità" e dichiarava di aver contribuito a provocare quella sentenza sollecitando l'applicazione di una "dottrina nuova, ma giusta". Senza quella dottrina il delitto collettivo, "il fenomeno criminoso delle masse" non poteva essere punito "se non con immensa ingiustizia e spargendo sangue e danno" che avrebbero generato "nuovo sangue e nuovi danni" (Pugliese, 1887a, 226). Non poteva applicarsi alla massa di Gravina quella dottrina del "diritto di resistenza" all'opera illegittima della pubblica autorità cui Pugliese aveva dedicato un articolo sempre nello stesso anno 1SS? (Pugliese, 1SS?b).5 L'ordine con il quale l'autorità municipale di Gravina aveva proibito la celebrazione della festa popolare per misure sanitarie (per arginare la diffusione della epidemia di colera) era legittimo, cosi come lo era stato il modo della sua esecuzione. Durante il processo la difesa aveva tentato di dimostrare il contrario, ma senza successo (Tribunale di Bari, 1887, 210). La dimostrazione della irresponsabilità (o semi-responsabilità) della folla costi-tuiva l'unica linea di difesa possibile per evitare che tutti gli autori del tumulto risultassero ugualmente rei di ribellione a mano armata. Il Tribunale di Bari (il giudice), Giuseppe Alberto Pugliese (uno degli avvocati) e Cesare Ricco (l'altro avvocato, anche professore) individuarono le circostanze che avevano causato il tumulto nel fatto che le autorità municipali avessero impedito al popolo di Gravina di praticare le antiche consuetudini e tradizioni in occasione della festa di san Michele. Ció che vale la pena di essere sottolineato è che il Tribunale presentava il 'fatto' costruendolo in modo tale da farlo risultare come la conseguenza di quelle "sensuali passioni" che rendevano irresponsabili. Ecco il fatto. IL FATTO "Sta in fatto. Che nella città di Gravina, per antica consuetudine, giammai interrotta, nel di S maggio di ciascun anno, si solennizza la festività di S. Michele in un santuario privato, che prende nome dal Santo, con l'appellativo delle Grotte, e che trovasi all'estrema parte dell'abitato, fiancheggiato esso da un burrone. Che dopo le funzioni ecclesiastiche, tutto il basso popolo, o quasi, conviene in su quel luogo; e seguendo le antiche tradizioni, si abbandona alle gozzovoglie, inaffiate dalle solite bevande alcooliche; e cosi in ogni anno si poneva termine a quella baccanaglia, sicome del resto va ripetuta nella maggior parte delle università delle provincie nel mezzogiorno. 5 In quegli anni la dottrina era trattata e discussa, tra gli altri anche da Masucci, 1884 e Orlando, 1885, nonché nello stesso anno 1887 da Borciani, 1887, su cui Sbriccoli, 1973, soprattutto 645-650. Cfr. Anche De Benedictis, 2002, 309-321 e De Benedictis, 2003, 31-44. 564 Angela DE BENEDICTIS: IL GIUDICE, GLI AVVOCATI E LA FOLLA ..., 561-576 Che il sindaco di quella città, giustamente preoccupato dal ferale morbo asiatico, che infestava le Puglie, e che, serpeggiando, era penetrato financo nel Capoluogo della Provincia, ove maggiore era il rigore delle Autorité; per garentire la pubblica igiene, credé suo dovere permettere la celebrazione delle funzioni religiose in quel di; ma finite queste, vietare la continuazione di quella festività, onde non dar luogo a quegli eccessi, cui la popolazione negli anni innanzi davasi, scongiurando cosi le tristi conseguenze, che avrebbero potuto verificarsi, per una mal consigliata tolleranza. Che, a tal uopo e sempre col proposito di giovare e provvedere al benessere di quella cittadinanza, prese a garentirsi opportunamente; imperocché, rassegnate le ana-loghe disposizioni ai preposti per l'ordine pubblico, a quei carabinieri cioè ed alle guar-die municipali, si estese financo a renderne informati i deputati della festa Giovanni Locaccio e Domenico Di Maggio, nonché l'istesso proprietario del Santuario, Giuseppe Serino. Che, in effetti, quegli agenti ottemperavano agli ordini ricevuti; e le porte del Santuario vennero chiuse nelle ore pomeridiane, dopo cioè le funzioni religiose, senza la minima difficoltà dei deputati della festa e del proprietario della Cappella, comunque dolenti per dover rinunziare ad un guadagno certo, sul quale facevano assegnamento. Che il popolino, dispiaciuto di un tal divieto, considerando non il movente, che consigliava il Sindaco a quelle provvidenze, sivvero il baratto che avrebbe dovuto fare, rinunziando alle ulteriori gozzoviglie ed agli stravizzi, ai quali erasi preparato, e che formavano per esso l'obiettivo della festa, cominció a tumultuare. Ond'è che, gridando "abbasso il Sindaco, vogliamo la festa" abbattute le porte del Santuario, vi penetrarono, e diedero il segno dell'allarme, suonando a distesa le campane. Che queste richiamarono in su quel luogo ancora più gente; e non potendo quelle guardie né impedire gli eccessi, né opporsi a quelle violenze, tornando inutile ogni sforzo, si limitarono a marcare i promotori di quel tumulto, pur tollerando le ingiurie e gli oltraggi, ai quali venivano fatti segno. Che, giunta presso il Santuario la banda musicale, venne questa obbligata dalla turba, sempre più crescente, a seguirla; ed appena nell'abitato, ingrossata da maggior popolo, inconscia forse degli atti propri, irrefrenato proruppe contro il Sindaco, gridando "Abbasso" legittimando tali grida sediziose con quelle di "Viva il re, viva la Regina, vogliamo la festa". Che impotente si mostró l'opera dei Carabinieri e delle Guardie Municipali; conciossiaché, quella sdegnata turba di popolo, fattasi più audace dall'ingente numero cresciuto, e sdegnando ogni freno, prese la volta dell'uffizio della polizia urbana e quindi presso il circolo dell'Unione, ove si trovava il Sindaco, contro cui imprese a profferire ingiurie e minaccie, mentre si lanciavano con tale veemenza pietre contro quel locale da frantumare vetri, lumi ed altri oggetti ivi esistenti. Che, in quel rincontro, le guardie municipali Creanza e Guida, temerari più che audaci, procurarono con ogni sforzo assodare la folla tumultuante, ma inutile riesciva 565 Angela DE BENEDICTIS: IL GIUDICE, GLI AVVOCATI E LA FOLLA ..., 561-576 l'opera loro, quando invece il primo fa ferito alla testa a colpi di pietra e l'altro, ghermito per la gola, riporto delle escoriazioni. Che sempre più esaltata quella moltitudine, irruppe contro l'uffizio del Dazio di Consumo, scagliandovi sassi da infrangere quelle invetriate; e trascinandosi fino alla villa, vi spezzó vari alberi, dei quali si armó, ed incoraggiata dal numero, sempre ancora crescente, prese la via del Palazzo del Sindaco, scagliandovi pietre, che rup-pero dei vetri, ed una delle quali andó a colpire il braccio sinistro dell'Assessore Raguso, gridandosi poscia abbasso il Sindaco. Che i tumultuanti non si arrestavano a quegli eccessi, ed in balia dell'impeto, al quale si erano dati, poco o nulla valutando le conseguenze del proprio operare, si recarono al Circolo Industriale Agricolo ed ivi maggiori guasti perpetrarono; imperciocché, scagliando sempre pietre, ottennero la rottura dei mobili, vetri e lumi che bruciavano sui tavoli; ed infranto un armadio, vi fu sottratta la bandiera, con la quale l'accusato Tarantino si fece sempre più a fomentare quella dimostrazione che, divagando, imprese a devastare i fanali della Città. Che, alla vista di quel vessillo Nazionale, la turba si rese ancora più ardimentosa; e comunque i Reali Carabinieri si adoperassero a scongiurare danni maggiori, pure non vi riuscivano. Che anzi, un tal Di Gesi esplose contro loro due colpi di rivoltella, di cui era armato; ed uno dei proiettili foró il mantello del Carabiniere Malacrida, contro cui sorse ancora un tal Costanzo, il quale, vibrando un colpo di palo sul capo, gli fece cadere il cappello, che raccolto fu messo in cima all'asta della bandiera, come preda del loro trionfo. Ma tempestosa e forsennata divenne quella moltitudine al grido "alla Caserma, alla Caserma", perlocché il Maresciallo dei Carabinieri, con alcuni dei suoi dipen-denti, visto l'imminente pericolo, corse a difenderla; ed appena ivi, questa fu aggredita, e contro della stessa una grandinata di pietre venne scagliata, le quali infransero i vetri di quelle finestre. E quando i tumultuosi, senz'arrestarsi ai primi fatti, tentarono abbattere il portone a colpi di palo, fu allora che il Maresciallo ordinó ai suoi dipendenti di esplodere in aria dei colpi di rivoltella, nella speranza di poter vincere cosi l'accanimento ostinato di quella turba. Ma questa, resasi a dismisura baldanzosa ed incoraggiata dalle parole "Avanti, avanti, che i Carabinieri non possono offendere il popolo" irrompeva sempre più per invadere quella Caserma. Che, stretta dalla necessità delle cose, poiché gli avvenimenti incalzavano, il Maresciallo ordinó far fuoco sulla folla e vari ne rimasero feriti; un tal Patierno più gravemente, che al sesto giorno vi soccumbea. Che, comunque deplorevole, ma necessitate l'ordine del Maresciallo, fu salutare; imperocché, intimidita quella turba, tosto si diradó, e continuando ancora a percor-rere per la città, rompendo e devastando i fanali, si disperse. 566 Angela DE BENEDICTIS: IL GIUDICE, GLI AVVOCATI E LA FOLLA ..., 561-576 Che arrivato in su quel luogo un nucleo di forza, richiesto da quel Sindaco al Capoluogo del Circondario, si cominció con l'aiuto della stessa a procedere agli ar-resti delle persone, che più si erano distinte nei fatti, di che sopra. Che genericamente si accertarono i molteplici danni consumati dai tumultuosi in pregiudizio del Municipio di Gravina, della Caserma dei Carabinieri e dei privati. Che con analoghe perizie si acclararono altresi le lesioni riportate dalle guardie Creanza e Guida, con impedimento al lavoro in fra i 5 giorni. Che oltre a ció, si constató parimenti il foro nel mantello del Carabiniere Malacrida, causato da proiettile d'arma da fuoco; e che sul terrazzo della Caserma fu rinvenuto un proiettile schiacciato, esploso da rivoltella, oltre delle pietre ivi scaglia-te. Finalmente furono raccolti trentaquattro pali avanti la Caserma stessa, dei quali erano armati i tumultuanti ..." (Tribunale di Bari, 1SS7, 204-208).6 LA TESI Considerata la natura del reato e le circostanze che lo avevano causato, il Tribunale non riteneva "strano, né azzardato lo assumere in esame una tesi, comunque nuova, pure accennata da insigni penalisti". Ecco la tesi. "Il divieto della festa e la chiusura del Santuario mossero un gruppo di quel popolo a delle dispiacenze; e queste, che in sulle prime, ebbero a manifestarsi colle grida di "Viva il Re, Viva la Regina, abbasso il Sindaco, vogliamo la festa" si ac-centuarono pel sopravvenire in su quel luogo della banda musicale e pel suono delle campane a stormo, le quali conclamarono altra gente ancora che, unita ai primi dimostranti, formarono la folla. Che questa, senza alcun concerto, senza disegno preordinato e senza programma, abbandona quella località; e prendendo la città, la percorre, ingrossandosi sempre più; e la gente, che alla folla si univa, vi si associa senza concetto noto e senza prevederne le conseguenze, pur ripetendo le medesime grida, pur chiedendo la me-desima cosa. Che, divenuta quella turba di popolo, già allarmata, molto imponente; e divagando dall'ufficio della Polizia Urbana, al Circolo dell'unione ed all'uffizio del dazio di consumo alla villa; da questa al palazzo del Sindaco ed al circolo industriale 6 Allo stato attuale delle ricerche non conosco altra narrazione del 'fatto' se non quella fornita tramite la sentenza del Tribunale di Bari: il che, naturalmente, deve indurre a porsi tutti quei problemi su cui da tempo si interroga la storiografia e che ha recentemente riproposto Povolo, 2007. Vale forse la pena di sottolineare che il 'fatto' è totalmente assente nelle storie su Gravina e nella memoria di Gravina, come ho avuto modo di constatare personalmente nello scorso giugno 2007 durante ricerche presso la Biblioteca della Fondazione "Ettore Pomarici Santomasi" e presso l'Archivio Vescovile. Colgo l'occasione per ringraziare direzione, bibliotecari e personale di entrambe le istituzioni per l'aiuto che hanno voluto cortesemente prestarmi. 567 Angela DE BENEDICTIS: IL GIUDICE, GLI AVVOCATI E LA FOLLA ..., 561-5?6 agricolo; e dovunque si gridava, si scagliavano sassi, si frantumavano vetri, si rom-pevano lumi; porte, armadii; si divellevano pali, devastavano alberi, e la folla di-vampava. Che questa, accesa sempre più dall'ira, dalla passione, protetta ancora meglio dal coraggio, fornito dall'ingente numero dei tumultuanti, trascese di più e sensibilmente s'infatuô. Imperocché una voce sorge: alla Caserma, alla Caserma; e quella moltitudine, quel popolo che tutto consumava nel tumulto dell'ira e nella vertigine dell'ub-briachezza, preso dalla furente passione, da cui era spinto, senz'altro la Caserma aggredi. E quivi le maggiori conseguenze ebbero a deplorarsi; conciossiaché, impegnatasi una lotta fra popolo e forza pubblica; questa, non avendo potuto riescire ad imporsi con i mezzi adoperati, stretta dalla necessità, sbarrô le porte della Caserma: ma, divenuta furente l'ira popolare ed esaurito ogni mezzo di refrenarla, fu mestieri far ricorso all'uso delle armi e senza il coraggio e l'abnegazione del Maresciallo, che si consigliô ordinare ai suoi dipendenti far fuoco contro la folla, questa non si sarebbe dispersa; ed il battesimo di sangue, che dai tumultuanti si osservô, comunque de-plorevole e deplorato, fu proficuo e salutare; mentre la folla si dileguô, i tumultuanti si dispersero, tutto fini" (Tribunale di Bari, 1SS?, 212-213). Non era stato quindi l'uomo ad aggredire, ma "l'ente collettivo, la folla che, divampando, insorge, invade, irrompe, trascende". Come si poteva "pretendere la piena responsabilità del delitto consumato, quando la mente trovavasi annebbiata, viziata, e la coscienza perturbata e da mille passioni compulsata"? (Tribunale di Bari, 1SS?, 213-214). Il "delitto colettivo" doveva indubbiamente "essere raggiunto dalla pena, per riaffermarsi il diritto niegato". Ma la giustizia esigeva che "gl'imputati, che in minima frazione, formante una parte di quella [turba]" erano chiamati a rispondere degli avvenimenti, avessero diritto "a reclamare quella scusa" ipotizzata nell'art. 95 del codice penale. L'ANIMA E IL CORPO DELLA FOLLA "Nei reati collettivi devesi innanzitutto studiare un curioso fenomeno. Al principio di una ribellione nessuno pensa a far male; tutti gridano abbasso il sindaco, ed abbasso il governo, come nelle dimostrazioni africane si è gridato abbasso Depretis. Ma il mutuo gridare, la compagnia, il contatto, il coraggio che viene dal sentirsi insieme scalda a poco a poco gli animi, ubbriaca moralmente, fa perdere la testa senza volerlo, senza saperlo; si va avanti perché si è portati, si fa quel che gli altri fanno; la coscienza individuale si smarrisce, il sentimento della individuale responsabilità si perde; ed è l'anima della folla che pensa e comanda, è il corpo della folla che ubbidisce ed esegue" (Pugliese, 1SS?a, 21S). 56S Angela DE BENEDICTIS: IL GIUDICE, GLI AVVOCATI E LA FOLLA ..., 561-576 La "verità" che uno "stato di ebbrezza morale, d'ipnotizzazione scambievole, di corrente materiale ed emozionale" potesse portare "cento mani" a essere "strumenti incoscienti", Pugliese la trovava "scolpita" nella "stupenda descrizione della rivolta degli affamati" di Alessandro Manzoni (Pugliese, 1887a, 218).7 La rivolta delle masse mostrava "una specie d'irresponsabilità". "Il delitto appare follia; quello che uno solo non avrebbe pensato ed osato di compiere, la folla lo ha fatto, la folla non puó essere punita, lo individuo neppure" (Pugliese, 1887a, 219).8 Pugliese affrontava il problema della "comunicazione epidemica di idee, di sentimenti" che si verifica quotidianamente nella folla sulla scorta dei più influenti studi del tempo (quelli di Albert Eberhard Friedrich Schäffle e di Gustav Theodor Fechner, di Enrico Morselli e di Pietro Petrazzani) (Pugliese, 1887a, 219-22Q). Ma la maggiore capacità di descrizione di quella complessa e sfuggente realtà, dell'anima e del corpo della folla, Pugliese la osservava ancora una volta nel romanzo. E non solo in chi descriveva "la vita delle miniere e dei suoi fenomeni criminosi", come lo Zola di Germinal (Pugliese, 1887a, 222); ma anche in chi, come di nuovo Manzoni, riusciva a cogliere nella folla di qualche secolo prima la "verità" delle "due anime" che si combattevano (Pugliese, 1887a, 223).9 Nell'inziare l'articolo su Il delitto collettivo Pugliese aveva segnalato come un "libro sul reato collettivo, sul reato della folla, della massa" non fosse ancora stato scritto. Auspicava, quindi, che "chi avesse tempo e polso adatto al grave tema sociale si affettasse a farlo" (Pugliese, 1887a, 216). LA FOLLA DELINQUENTE (PRIMA DI SIGHELE) "Non l'uomo; - la folla. - é un tipo tutto nuovo di delinquente, e certamente molto più complesso del tipo-uomo. È la folla che delinque come tale; é la massa inorganica di bipedi pensanti, che delinque, non come numero d'individui, ma proprio come massa ed appunto perché massa. Vi sono insomma certi reati proprii delle collettività incomposte, proprii dell'ente turba, i quali occorre vedere se e come bisogna giudicarli e reprimerli" (Ricco, 1887, 3). La sollecitazione di Pugliese veniva consapevolmente raccolta, nello stesso anno 1887, da un giovane avvocato di Trani, collaboratore e redattore della "Rivista di Giureprudenza", Cesare Ricco. Allievo di Pessina a Napoli negli anni degli studi universitari, autore di numerosi contributi agli studi filosofici e giuridici, Ricco era 7 Pugliese cita il passo da Manzoni, 2002, cap. XII, 252; 52-53. 8 Per questo problema, cfr. il recente saggio di Miletti, 2007. 9 Qui Pugliese cita un lungo passo da Manzoni, 2002, cap. XIII, 258-259; 22-26. 569 Angela DE BENEDICTIS: IL GIUDICE, GLI AVVOCATI E LA FOLLA ..., 561-576 noto e apprezzato nell'ambiente forense e in quello della scienza giuridica.10 Come Pugliese aveva scritto su Il delitto collettivo a proposito della ribellione di Gravina, anche Ricco scriveva "per occasione": oltre che su Gravina, sulla rivolta di Con-versano,11 "ben più grave e disastrosa che non fu quella di Gravina" (Ricco, 1887, 4). Ma il discorso era generale, sorretto da profonde letture letterarie, filosofiche, giuridiche. "[...] se la coscienza della folla importa incoscienza totale, e quindi anche involontarietà nei singoli, e se la folla non si puó punire che nei singoli, poichè singulorum proprium est maleficium et noxa tantum caput sequatur, ne consegue che gl'individui facienti parte d'una folla devono ritenersi irresponsabili, allorquando, senza previo disegno, la folla siasi determinata a delinquere spontaneamente, ossia spinta soltanto dalla propria natura, dalla propria forza di massa, e non da iniziative individuali discernibili. Come vedesi, noi non facciamo che trasportare ed estendere al nostro argomento la dottrina comune dei penalisti circa la universitas delinquent12 (Ricco, 1887, 6). Il criterio "giuridico" punitivo, "d'accordo con la ragione e con l'esperienza" non poteva che essere: " Non si deve punire la folla, ossia gl'individui tutti, sol perché parti della folla. Ma debbonsi soltanto punire coloro che principalmente qualche cosa commisero, e solo per quello che commisero, e punirli con pena quanto più mite è possibile, a causa della quantité di determinazione dolosa, che si dee presumere derivata in gran parte dall'influenza del numero" (Ricco 1887, 8). Il criterio giuridico doveva essere diverso da quello politico: "[...] la politica è cieca, rappresenta il diritto della forza; ed i popoli voglion esser governati dalla forza del dritto. E quella coscienza giuridica, che, prima di dettar leggi e dottrine, è intuito spontaneo, è logica volgare, è senso comune, ha sempre sanzionato in suo linguaggio che il sentimento della individuale responsabilité si perde, o almeno si oblitera, dove i molti delin-quono" (Ricco, 1887, 9). Nella ribellione di Gravina "si voleva gridar sindaco un monello cencioso"; nella rivolta di Conversano si gridava, "da uno: oggi è liberta per tutti, da un altro: voglio far io il sindaco, da un terzo: voglio essere io il re in questo giorno" (Ricco, 1887, 13). Quale poteva essere la responsabilité individuale? Come già Pugliese, anche Ricco era consapevole di sostenere una "teorica" che, per quanto nuova, poteva contare sul "sussidio di autorité competenti". In tempi re-centi era stata intuita da magistrati e collegi giudicanti. "Primi fra tutti, il Procuratore 10 Procuratore presso la Corte d'Appello di Trani, fu vicepretore del mandamento di Trani fino al 1887. L'anno successivo mori inaspettatamente e prematuramente, a soli 29 anni. Traggo le notizie bio-grafiche dai necrologi e discorsi stampati in occasione della morte: Aa. Vv., 1888. 11 II 20 maggio 1886 nel corso di una violentissima rivolta era stato incendiato e completamente distrutto il municipio. 12 Su quella dottrina tra medioevo ed età moderna, cfr. Quaglioni, 2002. 570 Angela DE BENEDICTIS: IL GIUDICE, GLI AVVOCATI E LA FOLLA ..., 561-576 del Re presso il Tribunale di Bari, ed il Procuratore Generale presso la Corte di Trani, nelle loro relazioni statistiche del 1SS6, ricordando appunto le rivolte di Gravina e di Conversano, accennarono troppo chiaramente alla vera natura di simili reati" (Ricco, 1SS7, 15-16). I DELITTI DELLA FOLLA Nel 1891 usciva la prima edizione italiana de La folla delinquente di Scipio Sighele, saggio di "psicologia collettiva".13 Rivendicando a se stesso il ruolo di corifeo di una nuova teoria positivista in tema di reati commessi dalla folla, Sighele sosteneva di non doversi chiedere "se gli autori di un reato commesso nell'impeto di una folla sieno responsabili o semi-responsabili, formule vecchie di concetti errati; noi dobbiamo chiederci soltanto qual sia la forma speciale e adatta di reazione che a loro deve spettare" (Sighele, 1891, 17). Riconosceva peró intieramente il ruolo svolto dall'"avvocato Pugliese" nello svolgere per primo la dottrina della responsabilité penale nel delitto collettivo (Sighele, 1891, 16), dato "il nostro Codice, e dato un caso speciale" (Sighele, 1891, 17). Il caso speciale cui solo alludeva, in quel passo, Sighele, era appunto quello della ribellione di Gravina. Caso che, pur avendo provocato una teoria della semi-responsabilità che era, "scientificamente ... un assurdo", continuó ad attirare la sua attenzione sia nelle diverse edizioni de La folla delinquente, sia nelle diverse edizioni de I delitti della folla. Sighele riportó integralmente la sentenza del Tribunale di Bari del 1SS7, traendola dalla "Rivista di giureprudenza" diretta da Pugliese (in: Sighele, 1891, 109-123; Sighele, 1902, 200-213). Da Il delitto collettivo dello stesso Pugliese trasse, poi, le citazioni di Manzoni, utilizzandole ai suoi fini (Sighele, 1891, 38, 61). In Sighele non vi è mai menzione specifica, invece, de La folla delinquente di Cesare Ricco. Mancata conoscenza, oppure plagio (quello stesso di cui lui avrebbe ripetutamente accusato Le Bon)? Non si puó sapere. È forse ipotizzabile che la improvvisa e prematura morte di Ricco, avvenuta un anno dopo la stampa della 'sua' Folla delinquente, abbia bloccato la diffusione dell'opera.14 Di lui non parla il peraltro documentatissimo lavoro di un altro avvocato, Pio Viazzi, che nel 1901 pubblicava Il delitto di resistenza, la resistenza legittima e il rifiuto di obbedienza: commento alle disposizioni del codice penale.15 A Folla 13 Una delle più stimolanti letture del ruolo di Sighele nella cultura otto-novecentesca rimane sempre quella oferta da Mangoni, 1985. Cfr. anche la introduzione a Sighele in Gallini, 1985 e Gridelli Velicogna, 19S6. 14 Attualmente l'unica copia disponibile in una biblioteca pubblica è quella depositata presso la Biblioteca Provinciale di Foggia (ICCU). 15 Viazzi, 1901, la cui prima parte corrispose poi alla voce Resistenza all'autorità (Viazzi, 1906). Viazzi fu uno dei "giuristi "progressisti" che operarono a cavallo tra otto e novecento" la cui riflessione di "giuristi acuti, lucidi e combattivi, impegnati peró su di un terreno difficile" è stata analizzata da 571 Angela DE BENEDICTIS: IL GIUDICE, GLI AVVOCATI E LA FOLLA ..., 561-5?6 delinquente è comunque dedicato il paragrafo 33 del capitolo IV (sulle aggravanti della resistenza), che considerava fondamentali "le ragioni svolte magnificamente dal Sighele, sulle orme del Pugliese e del Ferri, intorno alla minore imputabilità ai singoli del delitto collettivo, quando faccia capo a quella agglomerazione tumultuaria inorganica ed improvvisa di individui che si chiama folla" (cito da Viazzi, 1906, 166). Rinviando per ulteriori considerazioni in tema a Ferrero, Tarde e Le Bon, Viazzi si soffermava perô sulla sentenza del Tribunale di Bari, con la quale chiudeva il punto su la Folla delinquente. "Qui mi limito a riportare qualche considerando della sentenza del Tribunale di Bari del 1? febbraio 1SS?, appunto in tema di ribellione, che fu quasi il punto di partenza da cui spiccarono tutti gli studi posteriori. Ecco. "Non fu l'uomo, affermava il tribunale di Bari, ma l'ente collettivo che ag-gredi, che, divampando, insorge, invade, irrompe, trascende. Or se l'attacco; le violenze e le vie di fatto non erano prestabilite, ne pensate; se quella moltitudine tumultuante, in preda di sensuali passioni, manifestava un fenomeno affatto nuovo, una impressionabilità sensitiva che l'uomo ha comune con tutti gli esseri animali; se per una progressione ascendentale, questo essere, quest'ente, irrompendo sempre ed invaso da forme deliranti, animato dall'ira, dall'odio, dall'affetto dalla passione e sia anche da un fanatismo religioso, trascese fino a quei fatti, che in quel giorno ebbero a deplorarsi; come pretendere la piena responsabilità del delitto consumato, quando la mente trovavasi annebbiata, viziata, e la coscienza perturbata e da mille passioni compulsata? Che se per tutte coteste circostanze, si è costretti ad affermare che l'uomo, quel popolo, in preda dell'ebbrezza, vuoi materiale, vuoi morale, non agiva nella pienezza del libero arbitrio; se non è da parlarsi che di un delitto collettivo, questo si dev'essere raggiunto dalla pena, per riaffermarsi il diritto niegato; ma è giustizia che la imputazione ne venga scemata; conciossiaché quella turba che agiva con dolo non determinate e gl'imputati, che in minima frazione, formante una parte di quella, e che sono chiamati a rispondere degli avvenimenti, han diritto a reclamare quella scusa, che il Legislatore ipotizza nell'art. 95 codice penale. In esso, in effetti, si toglie ad esame lo stato psichico dell'agente nella perpetra-zione del reato; e quando quegli lo si scorge viziato nella mente, o lo si vede spinto da altra forza alla consumazione di questo, da non rendere perô non imputabile l'azione, la imputazione debbe essere di conseguenza scemata"" (Viazzi, 1906, 166). Sbriccoli 1973 (citazioni: 666n e 667). L'intero problema 'ribellione di Gravina' va ovviamente affrontato all'interno di quei problemi e nel confronto con le impostazioni storiografiche che li hanno indagati. (Troppo) sinteticamente rinvio qui a Sbriccoli, 1973; Sbriccoli, 1974-1975a; Sbriccoli, 1974-1975b; Costa, 1974-1975; Colao, 1980; Mazzacane, 1986; Schiavone, 1990; Sbriccoli, 1998; Cappellini, 2007; Colao, 2007a; Colao, 2007b; Costa, 2007; Grossi, 2007; Lacchè, 2007a; Lacchè, 2007b. 5?2 Angela DE BENEDICTIS: IL GIUDICE, GLI AVVOCATI E LA FOLLA ..., 561-576 Quelle che Viazzi definiva "le ragioni svolte magnificamente dal Sighele, sulle orme del Pugliese e del Ferri, intorno alla minore imputabilità ai singoli del delitto collettivo" mostravano, peró, una diversa posizione rispetto il problema della responsabilità. L'interprete 'psicologo collettivo' Sighele aveva infatti sostenuto: "Noi non dobbiamo chiederci se gli autori di un reato commesso nell'impeto di una folla siano responsabili o semi-responsabili, formule vecchie di concetti errati; noi dobbiamo chiederci soltanto qual sia la forma speciale e adatta di reazione che a loro deve spettare" (Sighele, 1891, 17). SODNIK, ODVETNIKA IN MNOŽICA. LJUDSKI IZGREDI ZA PRAZNIK SV. MIHAELA V GRAVINI (1886) V OBSODBI SODIŠČA V BARIJU (1887) Angela DE BENEDICTIS Alma Mater Studiorum - Univerza v Bologni, Oddelek za zgodovinske vede, IT-40124 Bologna, Piazza San Giovanni in Monte, 2 e-mail: angela.debenedictis@unibo.it POVZETEK Sodnik (obsodba sodišča v Bariju) in odvetnika (G. A. Pugliese in C. Ricco) interpretirajo določen 'dogodek', 'izgred'v okviru 'družbenega vprašanja'. Njihova relevantnost ni le v tem, da so problem 'kolektivnega zločina' zastavili glede na problem 'pravice do upora' v obdobju, ki je bilo ključno za razprave o političnem nestrinjanju in kazenskem pravu v Italiji med 19. in 20. stoletjem (Sbriccoli), ampak tudi v tem, da so zagotovili ključna gradiva, da je lahko spet druga vrsta interpretov - strokovnjakov v psihologiji množic - oblikovala teorijo o 'zločinski množici'. Dogodek, sodnikova obsodba in spisi odvetnikov so dejansko predstavljali temeljno zasnovo za "Razpravo o kolektivni psihologiji" v delu Delinkventna množica (1891) Scipija Sigheleja. - lektivna psihologija 573 Angela DE BENEDICTIS: IL GIUDICE, GLI AVVOCATI E LA FOLLA ..., 561-576 FONTI E BIBLIOGRAFIA Aa. Vv. (1888): Cesare Ricco. Trani, Vecchi. Abbamonte, O. 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