ANNO II. Capodistria 46 Gennajo 4868. N. 2. GIORNALE DEGLI INTERESSI CIVILI, ECONOMICI ED AMMINISTRATIVI DELL'ISTRIA. Esce il 1 ed il 16 d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno f.ni 5; semestre e quadrimestre in proporzione. — Gli abbonamenti si ricevono presso la Redazione. Articoli comunicati d'interesse generale si stampano gratuitamente; gli altri, e nell'ottava pagina soltanto, asoldi fi per linea. — Lettere e denaro [ranno alla Redazione. — Pagamenti antecipati. del gius municipale d istria. L'Istria è corpo di provincia che ha autoreggi-mento nella Dieta, ed in parte anche autogoverno nella tutela dei comuni e degli istituii provinciali e nell'economia del patrimonio. Nel resto sta sotto il governo della Luogotenenza, unica per tutto il Litorale. Il Litorale medesimo, dichiarato parte del regno d'II-Jiria nel 4816, nel momento in cui questo regno, che era nominale, doveva prendere forma propria e propria rappresentanza, fu ristretto nel 4849 al solo Litorale, ne' suoi confini attuali, essendosi staccati il Carnio e la Carinlia, che vollero essere slati da corona e principati cadauno per se. Allora, nel 4849, il Litorale ebbe forma in unica Dieta, che doveva risiedere in Gorizia, dalla quale fu falta esente, e, come a dire, autocefala Trieste, pegli antichi privilegi di Re Lotario II, del 948. Nel 4861 j data forma all'Impero ed ai principati di che si compone, l'Istria fu da se per la forma e per 1' azienda di principato provinciale, di che altre Provincie danno esempio, le quali senza squarciare in più parti il corpo politico a cui appartengono, si ripartiscono per il reggimento. E eosì Gorizia fu da se. La marca peraltro d'Istria e la contea di Gorizia, assimilate per la forma provinciale, non sono identificate per la forma ed azienda dei comuni, siccome saremo a dimostrare. Il territorio, corrispondente a questo corpo provinciale, fissato nel 1814 colla legge Lalterman, fu cangiato nel 4825. Aquileja, Monfalcone, Duino, Sesana furono staccati e dati a Gorizia; si diedero invece all'Istria Castelnuovo, Volosca, Albona, Pisino, le isole del Carnero, già parte del circolo di Fiume, che nel 4825 fu ripartilo tra Ungheria e Litorale. Questo territorio non subì poscia cangiamento alcuno, ancorché i tempi moderni ponessero a galla velleità di altre combinazioni, neppur giunte invero a maturità di progetto. Da oltre quarant'anni il territorio dell'Istria dura qual'è. L'Istria non ha ripreso i confini del tempo antico, quando era provincia romana, poi bizantina, nè del medio evo, quando era marca ed ebbe proprio marchese. In luogo di regioni montane, quali Duino e Sesana, ebbe il litorale liburnico e le isole, omogenei e propizi a penisola. Di tal modo la marca ebbe benefizio anziché no. Di questo territorio non si ha anco- ra geografia scritta, chè geografia non è soltanto la recitazione dei nomi di città, di terre, di monti e di fiumi: essa vuol essere ragionata, completa; e sarebbe ormai tempo. Le carte geografiche sono mute e pegli occhi corporei soltanto. La forma provinciale, che ha l'Istria, non -è la bizantina, che si sviluppò dalla romana; non è la medioevale, nò l'altra che dicevano a stali provinciali, che si svolse da quella del medio evo, e che non prese radice neppure in quella parte d'Istria che fu la contea. La forma è quale si adottò nel 1861 in tutte le parli dell' Impero che non erano ungariche o non erano rette a congregazioni provinciali. 1 vescovati, i latifondi, le industrie, i comuni sono gli elementi per dar forma alla provincia: i soli vescovi sono deputali nali, gli altri sono eletti. Varia la Marca dalla Contea di Gorizia nella forma e nella gradazione gerarchica dei comuni. 1 Romani, il medio evo, nello sviluppo delle municipalità, usarono la gradazione dei comuni, ammettendo che l'uno fosse soggetto ad altro, ricevesse dall'altro magistrati, leggi ed ordinamenti, ed il soggetto desse armi e tributi. Nelle parli di Rezia, in luogo della soggezione, composero leghe o diete per cose comuni. In Francia all'incontro ed in quelli che la imitarono, si volle abolita la dipendenza di uno ad altro comune, ed essa fu a-bolita anche in Austria dalla legge parlamentare del 7 settembre 4848. L'ordinanza 4 marzo 4849 vi sostituiva, a modo retico, il comune distrettuale, il comune pagense, il comune circolare: comuni a cerchie concentriche, che la legge parlamentare 5 marzo 4852 non imperò, ma lasciò facoltativi, come lasciò facoltativi i latifondi, che surrogavansi alle antiche baronie. Quanto a comuni con gradazione gerarchica, Vienna ne dà l'esempio, dacché l'intera città, colle borgate, forma un unico comune, ma ripartito in olio distretti, cadauno de' quali lia propria rappresentanza, propria magistratura e propria azienda di interessi locali, subordinata all' azienda del comune complessivo. Il che è, od è lecito che sia, di allre città. Anche lo statuto di Trieste ammette che ad agevolare 1' amministrazione, così la virtuale come la materiale, sia suddiviso il comune in distretti, o come altro si voglia chiamarli. La legge Latterman del 4844, togliendo la forma dei comuni a modo di Francia, aveva creali i così del- ti sotto-comuni, ai quali voleva fosse restituito 1' antico loro patrimonio speciale, che erasi fuso nel patrimonio dei comuni alla francese. E così fu, non senza qualche equivoco, derivato dalla dimenticanza dell' indole dei comuni, com'erano prima dei francesi. Il regolamento comunale per la contea di Gorizia (1865) ammette l'esistenza di comuni censuarì o frazioni di comuni, capaci di patrimonio speciale, pubblico e privato, capaci di autopolizia, con organi e rappresentanza subordinati al comune locale. Così fu il regolamento comunale per la Dalmazia. Di modo che i comuni così delli locali sono bensì l'infimo corpo politico al di sotto della Dieta, ma al di sotto dei comuni vi sono altri corpi e consorzi di sfera inferiore, sì chò là potrebbero distinguersi, come si distinguono di fatto, il (jran comune e il piccolo comune. La marca d'Istria non ha che puri comuni locali; non altri al disopra, non altri al di sotto, dacché la Dieta non può considerarsi consiglio comunale, nè la provincia considerarsi comune. Il principio a comuni concentrici non è adottato. Gli agenti locali di polizia comunale sono organi della Potestà, la quale, nell'ampiezza o nelle difficoltà del territorio, agisce mediante persona incaricala. La forma della provincia deve attingersi alla legge 26 febbrajo 4861; ma la azienda deve attingersi ad altre leggi parziali. Il gius provinciale non è ancora sviluppalo. L'istituzione, come osservammo, non attaccandosi alle antiche provinciali, ne è prova. Lo stesso gius provinciale, a cui non di rado si provoca il codice, avendo cangiato d'indole, come tutto il gius pubblico e di stato, toccato nel codice, e basato sui concetti feudalislici, non più è norma. I tribunali provinciali hanno conservalo soltanto il nome di provinciali. Lo stesso gius provinciale moderno non è ben certo ne'suoi cardini. Per riconoscere il gius provinciale, per riconoscere l'azienda, conviene ricorrere ad altre leggi, delle quali esso è emanazione, cioè al diploma 20 ottobre 4860, alla forma ed azienda assegnata al Consiglio dell'Impero coli'ordinanza 26 febbrajo 48G1, al regolamento comunale del 4865, al corpo del gius comunale, alle leggi recenti provinciali in oggetti particolari, ed alle ordinanze imperiali 14 settembre 1852, che, segnando l'azienda delle potestà pretorili circolari e luogotenenziali, segnano così l'azienda della Dieta e della Giunta, tanto nel deliberativo (autorità) quanto nell'esecutivo (potestà). Imperciocché la rappresentanza provinciale ha autorità ed ha potestà, quella affidata alla Dieta in sessione, questa affidata alla Giunta, prendente dell'autorità come della potestà il capitano provinciale. Al di sotto del capitano le due aziende si dividono nei vicecapitani: uno perla Dieta, nominato dall'Imperatore, l'altro per la Giunta, nominato dal Capitano. Lè\Diete seguono il canone che è dei comuni; il corpo che esercita la potestà è scello fra i membri medesimi che esercitano la autorità; nè perchè esercitante la potestà, cessa di partecipare all'esercizio della autorità. Il che non è del Consiglio dell'Impero, nel quale i ministri non partecipano all'autorità, se non sono accidentalmente deputali, nè vengono eletti dal Parlamento, nè l'Imperatore li nomina fra i parlamentari. Così la forma di Trieste diversifica dalla forma provinciale, imperciocché la potestà è poggiata al ca po del comu- ne (podestà); ma desso deve agire col magistrato, il quale non partecipa all'autorità, come i due consigli non partecipano alla potestà. Ed i membri del magistrato sono eletti dal consiglio, non però entro il consiglio: devono sempre essere esterni. L'indicativo di superiorità, dato al collegio che ha titolo gerarchico di Presidenza, sembra voler fare della Presidenza un corpo partecipante alla potestà; ma non è in azione, nè in consiglio nè in delegazione; e lo statuto lascia al gius naturale le attribuzioni della superiorità, delle quali la legge esplicitamente assegna soltanto quella di Vicari del Podestà nelle sedute. Però i membri della superiorità di Trieste hanno le slesse eccezioni clic i membri dei corpi esecutivi, ed hanno indennità, vietata ai collegi che esercitano la autorità. La forma del comune di Trieste è di comune a magistrato, non a municipio. L'autorità della Dieta è di concorrere alla formazione di leggi provinciali, ordinanze di polizia provinciale, vigilanza, amministrazione virtuale del patrimonio provinciale, finanza provinciale, tutela dei comuni, prosperità provinciale, consultazione. La Dieta non è dicastero esecutivo, ed è perciò che non ha peuna, cala-majo, suggello, nò può tenere corrispondenza alcuna, nè fare proclami: il che appartiene alla potestà. La potestà è poggiata alla Giunta, la quale amministra il patrimonio materialmente, governa ed eseguisce le deliberazioni della Dieta, la rappresenta all'esterno anche nelle pubbliche comparse, ed ascolta in appellazione i reclami contro l'amministrazione dei comuni nella loro azienda interna o privata, non nella azienda pubblica, veglia sui comuni, ed esercita la potestà tutoria sui medesimi. Ma la Giunta non è la sola potestà provinciale; questa è ripartita fra Giunta e Luogotenenza, secondo il canone: incombere alla Giunta quanto dalle leggi è esplicitamente a lei assegnato e dal gius che emana dalla legge naturalmente. Queste cose accenniamo sulla forma ed azienda provinciale. A queste faremo seguire altre sulla forma, sulla azienda, sulla autorità e sulla potestà dei comuni detti locali, che preferiremmo dirli per eccellenza comuni, e di questi intendiamo parlare ogni qualvolta usiamo questa voce. DISPOSIZIONI PROVOCATE RIGUARDO AL SALE MARDO. Ben di buon grado pubblichiamo il seguente atto, diretto al Consiglio dell' Impero dalia onorevole Presidenza del Consorzio delle saline di Pirano, e a cui dichiarò di associarsi anche il Consorzio di Capodislria, riguardando esso un grave argomento economico di specialissimo nostro interesse. Fra tulle le riforme che oggidì si propongono in ogni ramo di pubblica amministrazione, quelle che maggiormente interessano il complesso della cittadinanza, qualunque sia il suo partito o il colore politico, sono le riforme d'indole economica, specialmente qualora coli' effettuazione loro non solo si tenda a un vantaggio per il pubblico, ma nel tempo medesimo si aspiri ad un aumento nelle risorse finanziarie dello Stato. Di quest'indole è indubbiamente il monopolio del sale, tenuto da secoli dallo Stato, e condotto in questi ultimi tempi, per false vedute economiche di chi dirigeva la pubblica azienda delle finanze, ad una condizione di languore senza esempio, ugualmente rovinosa ai produttori, ai consumatori e all'erario monopolista. Noi, lasciando da parte quanto riflette gì' interessi generali dello Stato in questo argomento, toccheremo soltanto il bisogno di una radicale riforma in ciò che concerne la produzione ed il commercio del sale marino, fonte principalissima di benessere della costa istriana. L'associarsi nel caso nostro alle vedute di quei radicali riformatori che vorrebbero d'un colpo atterrati tutti i monopolii, ne sembrerebbe troppo arrischiato partito, e non conducente, al certo, a quella pronta soluzione che è richiesta dal bisogno generale. Quand'anche le finanze dello Stato potessero attendersi, in un più lontano avvenire, dei compensi adeguati alla perdila che risentirebbero momentaneamente colla rinunzia a questa rendita cospicua, il danno per alcuni anni ne sarebbe cosi ingente da dover essere coperto con qualche straordinaria risorsa, più dannosa forse, pel pubblico, del monopolio stesso che si sarebbe abbandonato. Però, come corrono in questo ramo di pubblica e-conomia le cose in questo momento, non può trovarsi amministratore avveduto e coscienzio'so, il quale non confessi che questo andamento offre un tristo quadro di rovinose condizioni per lutti gl'interessati, produttori, consumatori e monopolisti, col vantaggio esclusivo di una piccola casta di speculatori, la quale, facendo passare questo genere, di uso indispensabile per ogni classe di persone, per una serie d'imbarazzanti transazio-nij lo riduce infine a divenire un articolo di lusso, non accessibile al popolo minuto, pel quale è pure oggetto principajissimo di consumo. Prima che in Ausilia sorgessero gli ormai palesi imbarazzi finanziarli, vogliamo dire prima del 1848, non si conosceva che una sola qualità di sale marino, per uso di cucina, cioè il sale bianco, quale lo somministrano i nostri fondi, che lo Stato commetteva a questi consorzii dell' Istria, corrispondendo loro, per la fabbricazione del medesimo e per la sua collocazione nei magazzini, 26 carantani per centinajo, pari a soldi 45lA valuta austriaca in argento: prezzo però ch'era mollo ristretto in confronto di quello, generosissimo, pagato al principio di questo secolo dalla cessata dominazione francese, di soldi 91 in v„ a. Per eccezione soltanto si commettevano piccole quantità di sale grigio, adulterato con frammischiamento di terra, e ciò pei bisogni della Dalmazia, dove lo si vendeva a vantaggio di quelle popolazioni, ad un prezzo minore, per facilitare in ispecie la salagione del pesce. Il prezzo di vendita, praticato dall'erario in quel tempo, era di circa f. 4 al centinajo della valuta attuale. Coli'accrescersi dei bisogni dello Stalo si credette dover ricorrere al facile, ma falso espediente dell'aumento del prezzo, che gradualmente salendo arrivò in oggi a f. 7: 78 al centinajo. I lagni che da ogni parte sorsero contro questo aggravio, e per voce delle camere di commercio e per mezzo del giornalismo, non vennero ascoltati. Il consumo diminuì sensibilmente; il contrabbando, sorretto dall'alto valore del genere, si fece strada in mille guise; e per trovare un temperamento a tanto disordine, lo Sialo mise in vendita un sale a buon prezzo, per u-so del bestiame,, facendolo in prima mescolare con genziana c carbone, e da alcuni anni a questa parte sosti- tuendo alla genziana l'ossido di ferro, e adoperando a quest'uso un sale grigio di seconda qualità, reluilo ai produttori con soldi 51 Vìo per cenlinajo, e posto in vendita nei magazzini erariali a f. 1:12 al centinajo: prezzo anche altuaimenle in vigore. Poco dopo la sua introduzione, questo genere divenne popolare, GÌ' industrianti, profittando di quella libertà che lo Stato accordò pel relativo commercio, Io diffusero nelle più lontane provincie; la chimica addimostrò, come con facile processo d'ebuilizione esso poteva ritornare alla primitiva purezza, assumendo anzi nella nuova forma quella minuta cristallizzazione, che lo rende somigliantissimo al sale raffinalo di miniera; la grande disianza del prezzo in confronto del bianco invogliò ciascuno, di maniera che oggidì si a-dopera quello quasi esclusivamente. Lo Stato peròj ad ovviare la diffusione di un genere, sul quale, diffalcale tante spese di manipolazione, il suo guadagno è non soltanto moderato, ma anzi potrebbe dirsi eccessivamente meschino, nella falsa idea di obbligare indirettamente il pubblico a far uso del sale bianco da f'. 7: 78, restrinse la vendita del sale rosso, limitandola a poco più di 1000 centinaja al giorno,, ripartite fra i magazzini di Trieste e di Pirano. Ciò non fece che accrescere i! desiderio della cosa vietata, in maniera che, appena sortito questo sale dai pubblici magazzini a f. i: 12 al centinajo, viene pagalo al fortunato possessore a f. 1: 70 e più, e così passando di mano in mano arriva fino ai mercati delle provincie settentrionali dell'Austria, per terminare coli'essere consumalo a circa f. 4 a! cent. Egli è troppo evidente che a questo prezzo elevato il sale rosso non si presta più per usi agricoli ed industriali, e che non fa che sostituire il saie bianco, che nell' uso generale è quasi dimenticato. Che siffatto maltrattamento economico potesse reggere anni addietro, lo si comprende; ma non si dubita che esso sia per cessare ora che l'ordinamento costituzionale sarà per poggiare sui consigli e sulle decisioni dei rappresentanti delle provincie, e che questi troveranno di loro primo dovere studiare l'importante questione del come favorire 1' economia nazionale, migliorando cotemporaneamente le finanze. A questo intento, premesso che la diffusione del sale in genere, siccome di articolo tanto necessario alla vita dell'uomo, all'agricoltura, alla pastorizia, alla pesca, e ad altre svariate industrie, debba essere con ogni mezzo possibile facilitata, - premesso che deve prendersi di mira, in ogni innovazione economica, u-gualmente e il benessere delle popolazioni e il miglioramento delle condizioni finanziarie dello Stato, - e consideralo che ogni sana dottrina di economia insegna, per primo, che devono evitarsi, possibilmente, tutte le imbarazzanti e costose operazioni, che si addimostrino inutili, - il Consorzio delle saline di Pirano, a mezzo della sua Presidenza, inoltra la presente domanda, affinchè l'Eccelso Consiglio si compiaccia sottoporla alla trattazione costituzionale, deliberando : 1. Che venga, quanto prima è possibile, ribassato il prezzo di vendita del sale marino da cucina, portandolo ad una cifra di convenienza per il popolo, in nessun caso maggiore di f. 4 al cenlinajo. 2. Che si mantenga, come finora, l'uso di un sale grigio, però naturale e senza miste di sorta, il quale potrebbe essere portato al prezzo di f. i : 50 per centinajo, ma senza restrizioni nella quantità, e seu- za destinarlo ad un uso speciale, si invece indistintamente per ogni classe di persone e per ogni ramo di privala economia. 5. Che si favorisca il commercio del sale in genere nell' interno della monarchia, accordando, tolte tutte l'eccezioni, ad ogni qualità il trattamento praticato oggidì col sale pel bestiame. 4. Che del prodotto sovrabbondante, ed eventualmente eccedente i bisogni dello Stalo, si accordi definitivamente la libera esportazione, sia per mare che per terra, rendendo possibili le operazioni di transito olire il territorio dello Stato. Da queste riforme, eseguite coraggiosamente e radicalmente e non col dannoso sistema degli esperimenti provvisorii o delle piccole riduzioni nei prezzi, le quali non portano che inceppamenti e danni, il pubblico non avrebbe da attendersi che un miglior avvenire economico, lo Stato un rilevante aumento ne' suoi redditi, ed i produttori quel maggior sviluppo della loro attività, a cui anelano. Pirano, luglio 1867. Capodistria, gennajo. (J.C.) Tanto sono le bizzarrie che si vedono al dì d'oggi che, per semplice ch'uno sia, non si meraviglia più di cosa al mondo. Per cui 10 penso che anche questa di scrivere su d' un giornale che si stampa qui una corrispoudenza del luogo me la passerete. Caso poi vi fosse qualche curioso che volesse saperlo proprio il perchè io assuma la vesticciuola leggera del corrispondente invece della giornea dottorale, direi che il parlare ex cathedra mi mette paura, e però dieo le cose come mi vengono. Non sono passati molti giorni che, trovandomi io allo spedale non so per che faccende, mi venne fatto di vedere in un corridojo due artigiani, i quali, guardando ai restauri fatti, dicevano tra loro : Vedi ve, come hanno riattato bene la nostra casa. Meglio così, rispondeva il compagno, ci staremo con minor rincrescimento. Noi poverini si lavora fino a rompersi le braccia, poi si viene qui a finire i nostri giorni. — Non vi dico la gran voglia che m'era saltata iu corpo d'entrare in discorso con loro, udite ch'ebbi queste parole. Ma come farvi ? Se non che mi levò d'imbarazzo uno dei due, 11 quale, vòlto a me, disse: — Non è egli bello il nostro spedale? — Sì, risposi, ma mi fa male quella vostra facile rassegnazione di venir a starvi. — Dio buono, crede lei che noi si venga volentieri ? tull'altro; ma come si fa egli? di risparmi non c' è da discorrere, non li si ponno fare, perchè, ecco, i lavori sono pochi e i guadagni iu proporzione, sicché mettiamo, che ci capiti addosso qualche disgrazia, e allora come la si mangia? Non resta che l'ospitale. — Voi non parlereste a questo modo, se vi fosse noto il secreto di causarlo lo spedale. Esso è: i braccianti facciano dei risparmi. Non v'impennate per questo ; intanto fate una cosa; via tutte le spese superflue, inutili o nocive. Fra queste metto il sigaro, il lotto, la mezzetta. Cominciamo dal sigaro. A Capodistria l'aria è eccellente, pura che meglio non si può desiderare, ragione per cui il sigaro torna inutile ed in certi casi nocivo, e se non volete credere a me, informatevi dai medici. Adesso viene il lotto. Ognuno sa come questa sia una tassa che pesa tutta sul povero e l'opprime, senza ch'ei se n'avveda. Calcoli dal primo terno giuocato Duo al dì d'oggi e ne vado certo che esclamerà: Oh! li avess'io posti in serbo quei denari! Lasciamo stare che questo è un gioco immorale, come quello eli" empie il giuocatore di vana speranza, sì d'abituarlo a campare dell'altrui ; e fra il desiderio di vivere a ufo e il furto non è quella distanza che un crede. Persuadiamoci, il lavoro è il custode della moralità. S'avvezzi l'uomo a viver come può, ma del suo. Egli dee farsi dar da mangiare o dalle braccia o dall'ingegno ; così acquista coscienza e dignità di se, e allora non mette mano a' mezzi turpi. « Vino tempera te, disse Catone, Perchè si dee berne a modo e a verso; E no come fa colà qualche trincone Che giorno e notte sempre fa un verso. » Non dico con questo che voi abbiate a bere acqua e poi acqua, chè, a ragione, mi potreste gettare in faccia il proverbio : l' acqua fa marcir i pali; bensì dico che dall'uso all'abuso si corre. Eh! via, diciamolo netto, non è forse vero che le domeniche se ne beve un bicchiere di più ? All' osteria ci sono i buoni compagni, con loro si discorre, si chiacchera, un po' si gioca, un po' si canta, e fra una parola e l'altra il vino corre giù, e più di quanto occorre. Poi, quando Dio vuole, si va a casa, e lì vengono le' picchiate alla moglie, lo strillare dei figliuolini, e che so io. Nel domani si va a bottega, sì o no; ma strascinandovisi anche, che giova? il lavoro cade di mano: insomma un disordine ne chiama un altro, e non è raro il caso dell'ammalarsi. Invece, bevendo il suo bicchiere in famiglia, oltre che fa più buon prò, si sta meglio a salute, meglio a denari, e poi s' è fuori dal pericolo di risse, di busse, di ferite e d' altrettanti inconvenienti. A star a casa si guadagna un tanto, e la miglior medicina che si conosca è la temperanza. Sopprimendo dunque certe spesucce e badando più a' fatti propri, traendo maggior profitto dal tempo, che è prezioso, o, come dicono gl'inglesi, è denaro, si può fare qualche risparmio. Guardate: mettendo da parte anche due soldi al giorno, ad una disgrazia, voi trovate alla cassa di risparmio una sommarella pronta a prestarvi i suoi servizi, che la vi sarà una manna. Sicuro, da scialare non ci sarà; ma non è di questo che si tratta, si tratta di prevenire la miseria, di far fronte alle disgrazie, d'assicurarsi il pane per l'impossente vecchiaja, di morire in pace in casa sua, e a questo si riesce coi buoni costumi, colla previdenza, col risparmio. Che se poi la disgrazia non viene, tanto meglio, col frutto delle vostre contribuzioni voi andate mano mano migliorando il vostro stato, che non è poco. Ma le easse di risparmio, benché tanto giovevoli, non bastano a tutto; perchè può accadere che uno si ammali mentre ha in serbo pochi soldi. Bene, sapete come ci si rimedia? col mezzo delle Società di mutuo soccorso. Si uniscono p. e. 250 tra artegiaui e campagnuoli, e mettono insieme nelle mani d'un onesto cassiere, diamo, due soldi per cadauno. In capo al mese questa società di 250 soci ha in casa 150 fiorini. Adesso supponiamo che su questo numero di operai, per casi imprevisti, mancanza di lavoro, veochiaja, malattie che vengono per disgrazia (chè se causate da stravizi, il socio viene escluso dalla società, e restituitogli il contributo col rispettivo frutto), abbisognino di sussidio 10 o 12 (ciò che non avviene mai o quasi), questi potranno ricevere 15 e più fiorini al mese di pensione, la quale dura finché sussiste l'impedimento a guadagnare. Se poi i bisognosi son pochi, poco ci si spende, e allora il resto del denaro va messo a frutto, e così si va formando un capitale che torna in aumento delle pensioni, dei sussidi ecc. La società poi fa uno statuto che tuteli i doveri e i diritti d'ogni socio, sceglie dal suo gremio i capi, e dispone come gli torna meglio. Vedete quindi che un operajo, ammesso nella società, anche con pochi soldi, qualora proprio non possa continuare a contribuire, gode il diritto di percepire un tanto al giorno, così da passarsela senza ricorrere allo spedale. Nè v'immaginate che questa istituzione sia difficile l'attuarla; anzi nulla di più facile, e i fatti lo comprovano. Ogni città d'Italia ne conta di queste utili società; così la Francia, l'Inghilterra ed altri paesi ancora. Basta mettersi, miei cari, e chi efficacemente -vuole, fa. Chi s'ajuta il ciel l'ajuta. Credetemi, i mezzi da campare non mancano, manca la previdenza, l'economia. Noi, che si fa egli ? si vive, direi quasi, come gli animali, senza badare al domani. Qual meraviglia se spesso ci troviamo nelle strette della miseria ? Il vero comunismo è la carità evangelica, il mutuo soccorso. Se pare alla Provìncia, che questa mia esortazione estemporanea meriti di essere ripetuta, le dia un cantuccio, e creda al mio buon volere. Gratz, gennajo. Lessi con piacere nei n. 1 e 8 della Provincia l'articolo intitolato Due urgenti bisogni, perche vidi da esso, come anche ncl-l'Istria sia chi sappia indicare ciò che manca alla nostra provincia. Lessi pure con molto mio contento l'appello del nostro giornale a quanti amano la patria, perchè vogliano concorrere ad un' opera che sparga chiara luce sulle vere condizioni della nostra provincia (statistica), e faccia conoscere al nostro popolo chi fummo e quale avvenire ci aspetti (storia). E questo appello mi suonò tanto più gradito, che noi studenti abbiamo spesso da udirci rimproverare, non aver 1' I-stria una storia. E perchè essa non avrebbe una storia ? Forse non conta ne' suoi fasti avvenimenti degni di memoria? Forse nessuno mai s'occupò dei medesimi ? Nè l'uno, nè l'altro. Basta prendere in mano il Saggio di Bibliografia Istriana, per vedere quanti, sì direttamente che indirettamente, s'occuparono della storia dell'Istria. Tutti però o non uscirono dalla cerchia del loro comune, o si restrinsero a periodi non larghi di tempo. Eppure molti di questi singoli lavori furono dettati da persone che figurano tra le prime intelligenze della nostra provincia, e che possedevano bastanti cognizioni e capacità per scrivere una storia intera. Perchè non la scrissero? Il motivo credo stia nella mancanza d'unità del materiale storico che deve servire di base alla storia dell' Istria. Infatti, se uno volesse ora accingersi a scrivere una storia dell'Istria, dovrebbe cominciare dal recarsi nei singoli luoghi della provincia, visitarne gli archivi dei magistrati, delle chiese, dei conventi, rivangare in tante cronache d'ogni età e di differente luogo e lingua, e dopo avere speso buoni anni della sua vita nel raccogliere e copiare i documenti, dovrebbe confrontarli fra loro, investigarli col lume della critica, accertarsi della loro veridicità, ed appena allora metter mano a scrivere la storia. Ecco quanto dovrebbe fare lino storico coscienzioso. Ma la vita d'un uomo è breve a tanto lavoro: la Iena d'un solo individuo verrebbe meno, ed egli, naturalmente disanimato dalle prime difficoltà, o tralascierebbe del tutto il lavoro, o ne imprenderebbe solo una parte. Da ciò si vede quanto noi distiamo ancora dalla possibilità di avere una buona storia di tutta la provincia, dai primi tempi fino ai giorni nostri, una storia che s'adatti alle ben fondate esigenze d' una società progredita, una storia tolta tutta dalle sue fonti. 11 lavoro preparatorio ad una storia, impossibile ad un individuo solo, può divenire possibile eperfino facile quando fosse diviso fra molti. E nell' Istria non pochi volonterosamente li presterebbero a tale lavoro, cioè a trascrivere accuratamente (ciascuno secondo la sua posizione e secondo la sua individuale coltura) i documenti che si trovano sparsi, e le non poche cronache che debbono esistere ancora. E più di tutte queste mani, pronte alla fatica, occorre un capo, al quale esse vogliano obbedire, e che dia unità e perfezione al tutto, dopo avere, con sana critica, segregato il vero dal falso, l'originale dall'intruso, ed essersi fatto securo della vera cronologia, mercè l'applicazione della storia universale al documento speciale. Compito questo lungo, faticoso, ed in parte nojoso lavoro, allora appena gl' Istriani potrebbero dire d'avere posto la base, su cui j innalzare la loro storia patria. Quanto siano necessarie queste raccolte e quanto giovino, lo dimostra l'età presente, in cui i dotti, con a lato la critica, si posero a studiare le dimenticate pergamene, a trarle dalla oscurità, a pubblicarle per esteso o in compen-dio, sì da metterle sotto gli occhi di tutti gli amatori di coteste applicazioni. E vorremo noi Istriani essere gli ultimi ad intraprendere un tale lavoro eh' è unico principio ad una vera storia ? (*) 0 aspetteremo che gente a noi straniera si faccia bella di opere che non devono sorgere che da amor patrio ? Lascieremo che un nome non nostro comparisca a capo d'un'opera che forse direbbesi «Monumenta Istriae historica?» Chi si sentirà avere tanto coraggio e tanta coltura da porsi alla direzione d'un simile lavoro, sarà veramente l'autore della storia istriana, ed oltre un posto d'affetto nel cuore d'ogni patriot-ta, si meriterà un posto distinto accanto a quegli illustri che si chiamano Muratori, Mommsen, Boehmer, l'erlz, Rubeis ecc. Se l'opera rimanesse per un qualche tempo manoscritta, non importa: basta eh' esista. Conchiudo : fino a che non avremo questa raccolta di fonti e documenti, depurati dalla critica ed accessibili a chiunque, è inutile, a parer mio. ogni tentativo di scrivere una storia patria ; e se pure uscisse alla luce, ella non risponderebbe alle esigenze dei tempi presenti, e la sua vita si conterebbe a giorni. Prego la Redazione di perdonarmi, se mi permisi di esprimere così francamente l'animo mio, in grazia al molto affetto per la provincia nativa che mi dettò questa lettera. Uno Studente. Portole, gennajo. (T.) Incoraggiato dalla benevola accoglienza ch'ebbe la mia proposta per l'istituzione di uua scuola di metodo per le tre Provincie sorelle, passo ad un secondo argomento, al pari di vitale interesse. Voglio dire dei libri di testo che si adoperano nelle scuole elementari. E qui mi sia lecito di accennare ad una recente disposizione ministeriale, la quale, mantenendone il monopolio all'amministrazione centrale in Vienna, dichiara di lasciar libero alle corporazioni scolastiche di proporre in via ordinaria anche altri libri di testo che potrebbero eventualmente essere di maggior profitto alle singole provincie dello Impero. Anche questo è un primo passo innanzi ; il secondo, quello cioè di abolirne anche il monopolio, spetta essenzialme®te alle diete provinciali. Un'energica, ben motivata ed identica petizione troverebbe senz' altro favorevole ascolto presso i nuovi ministri. Essi, cinti presentemente di un' aureola popolare e quindi liberale, difficilmente s'opporrebbero ad una domanda tanto utile e tanto giusta. I libri di testo «he s'adoperano nello scuole popolari sono ormai condannati da tutti i maestri intelligenti e dalle stesse autorità scolastiche. Negli ultimi anni furono compilati dei nuovi libri di lettura, ma anche questi non sostennero la prova, perchè cattiva la disposizione delle materie, e peggiore il contenuto. A queste compilazioni è il caso di adattare il giudizio d' un celebre pedagogo, il quale, chiesto del parere d'un certo libro di lettura ebbe a dire : Questo libro, mio caro, è scritto fanciullesca- (*) L'egregio corrispondente ignora forse il Codice diplomatico del D.r Kandler ? Nota della Redazione. mente, ma non per , fanciulli. E sì che stimatissimi esempi ci offre tanto l'Italia quanto la Germania! Basterehbe ricorrere ai libri scolastici che si pubblicano nella prima, per offrire ai nostri giovanetti ampia e ben regolata materia di educazione e di sviluppo. Ma o! è il ma framn iez;so ! Per cui, a parer mio, si dovrebbe affidarne la compilazione ai maestri del paese, i quali, conoscendo le nostre condizioni ed i nostri bisogni, saprebbero ben empire questa importante lacuna. Anche qui mi permetto di chiamare a giudizio le diete provinciali e le loro rispettive giunte. Seguano l'esempio di quanto si fa altrove; aprano un concorso con premio pel miglior libro di lettura, e l'avranno. È comune sentenza che anche dal peggiore dei libri un buon maestro sa trarre utili insegnamenti. Ma, e torno sempre a questo benedetto ma, e i buoni maestri son tutti quelli che ne portano il nome? Procuriamo adunque di avere dei buoai libri, i quali invogleranno allo studio quelli che sono men forniti di sapere, scuoteranno qualche indifferenti}-, e forse trarranno dall' inerzia qualche neghittoso. Un buon libro di lettura dovrebbe essere scritto in isti le faci-cile (sul fare delle pubblicazioni della Biblioteca Utile e del Museo popolare di Milano) e dovrebbe trattare elementarissimamente di antropologia (conosci te stesso anche dal lato fisico), di igiene, di geografia, di storia patria, di biografie di uomini che resero segnalati servigi all' umanità, di storia naturale applicata alle arti ed ai mestieri, di economia domestica e popolare, dei doveri e dei diritti dei cittadini, e sovra tutte queste materie dovrebbe dominare sovrana la morale. Di agricoltura, di enologia, di pastorizia, di api e sericoltura dovrebbe trattare un libro speciale, adattato alle condizioni peculiari della provincia. Ciò sarebbe in quanto alla lettura; la grammatica poi vorrei assolutamente bandire dalle classi inferiori; ed anche nelle classi superiori un buon libro di lettura, un metodo pratico e razionale farebbero ben altro effetto che la ragionata del P. Soave (tutt'altro che soave pei poveri bimbi che devono impararla.) Quanto esposi non è che una parte di quello che dovrebbe farsi per elevare le nostre scuole all'altezza dei tempi. A ciò sono chiamati specialmente i comuni e le diete per dovere, ed ogni singolo individuo per debito di umanità. Non è lontano il momento in cui le istituzioni popolari saranno liberate da certa pressione, ed allora ridonate a sè stesse ed a chi per natura deve avervi influenza, risorgeranno a nuova vita e produranno quei frutti che con diritto attendono da esse i sacrifizi del popolo e la progredita civiltà. BÌ3LI0GRAFIA. Natura e Cuore. Scrini educativi di Angelo Me-negazzi. Trieste, tip. Coen., 1868.— Come avverte l'autore nella breve prefazione al libro, questi scritti educativi videro già in gran parte la luce nel periodico di Genova « La donna e la famiglia. » É un sistema oggi assai adottato dagli scrittori cotesto di raccogliere in volume lavori fatti pubblici a mezzo della stampa giornaliera, a procacciare loro qualche cosa di più duraturo della vita effimera ricevuta per primo. Ma se tale desiderio degli autori è compatibile per il naturale amore che ogni uomo porta alle proprie fatiche ed al proprio nome, non si può d'altra parte dire che la cosa vada esente da forli inconvenienti. Si sa: generalmente, quanto si mette sui periodici, non è condotto con quello studio lungo ed amorosoj con quel limae labor et mora, senza dei quali non è dato di ottenere opera di polso e meritevole di vivere. Riposando sull' indulgenza del pubblico, che non è troppo esigente con simile genere di stampati, e talora incalzati dalla necessità e dalla furia della slampa giornalistica che mai non cessa, gli scrittori non si mettono a cuore di approfondire e di esaurire l'argomento preso a trattare, appunto nella fidanza che le lacune e le negligenze verranno assolte per la considerazione ch'eglino si presentano a'lettori senza pretesa di fare opera letteraria, ma intendono di dare quasi un ritaglio delle loro ore di riposo. Pertanto fa ristampa che si faccia di tali scrini in un volume a sè, nel mentre non sempre è domandata anche dall'importanza dell'argomento e dalle proporzioni ad esso date, presenta poi una contraddizione degli autori, che, dimenticandosi di avere misurata la loro cura intorno agli scritti stessi alla vita breve a cui erano destinati, li credono poscia degni di ottenerne una più lunga. Ed altro difètto quasi inseparabile da siffalle ristampe è l'aspetto frammentario e sconnesso del libro che ne risulta, e la poca omogeneità delle sue parli, non solo per la varietà degli argomenti, ma si pure per le differenti epoche di loro nascere, che produce negli scrittori vario stile e vario ordine di idee. Abbiamo creduto bene di premettere queste considerazioni generali, per dire ora che la loro verità viene confermata dall'operetta di cui vogliamo tenere parola, e per scusare in parte il signor JVIenegazzi se non gli riuscì di scansarvi inconvenienti che, come osservammo, erano inevitabile conseguenza di simile ristampa. Però, per quanto riguardo si voglia avere al generoso scopo propostosi dall' autore con questa pubblicazione, che è di diffondere nella famiglia e nella scuola un raggio eli quella benefica luce che è la buona educazione, non si può tacere ch'egli avrebbe pur potuto e dovuto adoperare maggiore severità e scrupolosità nella scelta de' suoi scritti, e maggiore diligenza nella loro ricorrezione. Ce ne sono infatti di quelli (p. e. i paralelli infantili;-della caparbietà in fanciullo ;- della mitologia fatta oggetto di studio in certi collegi femminili) che non hanno maggior valore di esercizi scolastici, e se passano a riempiere le colonne di un giornale, sono troppo poca cosa per meritare 1' onore di un posto in un libro. La quale trascuratezza appare più manifesta e maggiormente spiace nelle molte ripetizioni degli stessi concetti e delle stesse frasi, ripetizioni spiegate dalla circostanza che si rinvengono in articoli stampati staccatamente e ad intervalli sul giornale, ma che dovevano venire levale ora che questi articoli furono raccolti ed avvicinali in un volume. Per non andare troppo alle lunghe ne daremo il solo esempio della frase falsa e gonfia che si legge a pag. 22 « soffocare colle dita di rosa le potenze dell anima, » e che si rilegge quasi con le stesse parole a pag. 56 « le donne soffocano colle dita di rosa i generosi estri del cuore. » Anzi, a questo proposito, una cosa che più va raccomandata all'autore è la temperanza nelle immagini e nello siile, giacche in nessun argomento, meglio che in quelli che sono destinati alla famiglia ed alla scuola, è obbligo e inerente necessità dello scrittore di dare mente all'aureo precetto d'Azeglio di « servirsi delle parole comuni secondo il loro scuso naturale, evitare ogni parolone, ogni equivoco benché minimo, evitare le trasposizioni, fare in modo, insomma, che il lettore capisca completamente subilo, ed anzi gli sia impossibile, anche per un attimo, di esitare sul vero senso di quello che legge. » E il signor Me-negazzi lo trasgredisce frequentemente. Non già che tulli gli scritti della raccolta pecchino per ampollosità di forma, e appunto quelli che vi si leggono di un fare piano e naturale, di uno stile tranquillo e misurato, mostrano che 1' autore, se vuole, sa scrivere come alla natura dei suoi lavori s'addice. Ma ci pare che, in generale, egli per amore di uno siile adorno e nerboruto cada nel ricercato e nel contorto, per a-more del nuovo cada nello strano, e perda di chiarezza, che deve essere prima dote d' ogni scrittore. E per verità riesce sorprendente come all' egregio autore, che possiede pure delicato senso del bello, siano scappate frasi del genere di queste: allo sfiorare delle sue ali (della storia) le porle del passato stridendo sui cardini delle umane generazioni, si spalancano :-(pag. 32), la moderna educazione rattrappita fra le strettoie della Francia moderna, : - interrogare le ossa di Benvenuto Cellini, per apprendere che la lingua materna non va imparata sulla grammatica (pag. 40), e via, via, altre che per brevità s'intralasciano I — Dopo di che ci affrettiamo a soggiungere che 1' autore signor Menegazzi è giovane, e che se questo suo libro non si sottrae agli appunti della critica, se ne cava però la piena convinzione che collo squisito sentire, colla sveglia intelligenza e colla molta lettura di cui in esso appare fornito l'autore, questi saprà raccogliere belle frutta nel campo educativo. Debile principium, melior fortuna sequclur. Ed è precisamente perciò ch'egli si mostra atto a cosa migliore, che noi credemmo buono il parlare della presente sua operetta, principalmente dopoché alcuno ebbe a farlo oggetto di altrettanto immeritati quanto sconvenienti attacchi, su un giornale umoristico di Trieste. Le accuse, in sè, non varrebbero riscontro; ma siccome l'arma del ridicolo è la più micidiale, e nella mente dei più basta che un autore sia slato tratto a supplizio sulle colonne di un giornale satirico, perchè egii sia ritenuto, senza appello, una nullità, così slimiamo nostro debito di contrapporvi alcune brevi osservazioni. Tra altro, si fece, dunque, accusa al signor Menegazzi di essere nella sua operetta troppo prelino, di averla inzuccherala, anzi incaramellata di quella santa unzione che farebbe credere l'abbia scritta inginocchio, al chiarore d'un moccolo ecc. ecc. Ora non è onesta cosa cotesta di sacrificare la verità, e la dignità e il nome letterario di una persona all'effetto di ottenere la risata dei lettori non informati. Imperciocché, il lato più lodevole che tutte menti spassionate troveranno nel libretto del signor Menegazzi, è appunto lo scopo eminentemente morale che vi domina dalla prima all'ultima pagina; e tanto mag- giormente degno di encomio in ciò l'anfore, quanto che non lutti, specialmente se, come lui,, giovani, hanno il coraggio di professare apertamente i propri con-V'i nei nienti religiosi. Nell'opuscolello non havvi parola che giustifichi l'affibbiare allo scrittore gli epiteli di troppo pretino e di pinzocchero. S'egli è persuaso che principio d'ogni sapienza è il timor di Dio (p. 7), se raccomanda quindi alle madri di esercitare i figli nelle preghiere della mattina e della sera, di condurli sovente in chiesa (p. 9), di preservare le figliuole, dalla lettura di quei li-bretlacci triviali che a mo'di torrente ci piovono d'oltremonte in Italia, e mettere loro in mano libri nostri, libri italiani che ci riguardino più davvicino, vuoti di ciancie e di deliri, non sudici, non corruttori, ma decenti, ma acconci alle nostre aspirazioni (p. 21 )_, se crede che il moderno materialismo snerva nella mollezza e nel dubbio, lorchè più chiedono anelanti le benefiche rugiade della fede e il vigore della carità anche le anime fanciulle (p. 57), se, insomma, il signor Menegazzi pensa non doversi scompagnare l'istruzione della mente dall'educazione del cuore e dall'ammae-sramenlo nella fede e nell'adempimento dei precelli della nostra religione, sono queste convinzioni che o-gni buon galantuomo è padrone di portare, senza cessare d'essere un buon galantuomo in faccia a chiunque, padrone un altro di dissentirne e di combatterlo urbanamente con argomenti, mai con calunnie. Troppo prelini e pinzoccheri a questa maniera siamo anche noi, e ce ne teniamo, che non è brutta compagnia quella dei due più illustri nostri scrittori viventi, Manzoni e Tommaseo, il quale ultimo, incredibile clictu, compone sino libri di preghiere. E in verità non si avrebbe creduto ai propri occhi quando si lesse dichiaralo colpevole l'autore anche per avere vegliato sul Kempis, sul San Francesco di Sales, sul Gioberti e sul Galnppi, vera bestemmia in bocca di qualunque, e più in bocca d'un italiano, presso del quale i nomi di Gioberti e di Galnppi devono essere dei più intemerati e dei più cari che l'Italia conti. Contro simili intemperanze di linguaggio corre tanto maggiore obbligo di protestare, quantochò esse approdano perfettamente ai nostri avversari, a cui danno presa di gridare ipocritamente che liberalismo e religione sono due termini incompatibili in una persona medesima, conciossiachè il primo conduca infallibilmen-le allo scetticismo. Tornando al signor Menegazzi, e per finire, noi portiamo intima convinzione che si avrebbe di che andare contenti se fossero molti i maestri che comprendessero, al pari di lui, la santità della loro missione, e la adempissero con apparecchio di studio continuo sui migliori nostri scrittori. Non abbiamo nascosto i difelli dell'operelta sua; ma, dopo tutto, vi si rinvengono pagine buone e sentile, e talune anche elevate, ed il complesso appalesa nello scrittore un patrimonio di cognizioni e di lingua, uno spirito d'osservazione, una gentilezza d'animo, un calore d' aflètto e di sentimento, ed un amore del buono, del bello e del vero, che non si riscontrano assai spesso nei suoi compagni di professione, in mano ai quali l'ufficio diventa presto un mestiere, da sbrigare alla buona ed il più spacciatamele possibile: imperciocché dice bene Tommaseo, con frase forse non af- fatto parlamentare, ma giustissima che « impiegati e ■maestri, se la virtù via via non li rinfreschi e rinno-velli, nella praticaccia invaghiscono. y> f Lunario pel popolo di capodistria. Con questo titolo usciva il 1.° Gennaro un librettino di 72 pagine, stampato dal Tondelli, che alcuni giovani volenterosi hanno voluto regalare a' proprj concittadini. Perchè il pensiero fu in essi un po' tardivo, non ci sono forse che sbozzature, ma ad ogni modo pregevoli, e pro-metlitrici di lavori più ampii e completi. La prefazion-cella mostra abbastanza eh* e' non vengono innanzi col fumo de' prosuntuosi, mentre dichiarano a bella prima che hanno poche cose ad offerire, e solo a segno di buona volontà, e come ricordo di amicizia. E ciò è detto con graziosa disinvoltura e buon garbo. Seguono alcune massime o proverbi per ciascun mese, attenenti all'agricoltura. Sono fra que'che corrono più comunemente nella bocca del nostro popolo; ma potevasi forse, giacché la messe non iscarseggia, farne più ricca raccolta, da comporre in certo modo un trattatello pratico che abbracciasse le regole più in uso in fatto di economia rurale. A larghi tratti si toccarono alcuni de' momenti più interessanti della patria storia, che desideriamo però siano rimpolpati con maggiore dovizia di fatti, affinchè il nostro popolo leggendo nel passato, sì pieno e vario di vicende e di glorie, non disperi dell' avvenire. Vediamo che chi dettò quel cenno fuggevole mostra ingegno sveglialo, ed amore alle pazienti ricerche per soddisfare a questo nostro desiderio. Fu pure un buon pensiero quello di rammentare i nostri grandi, che non appartengono a noi soltanto, ma a tutto il inondo civile, onde non servano a sterile ammirazione, ma rinfiammino l'animo ad opere degne ed onorate. Un articolo sulla vanità de'pronostici, nell'ottimo intendimento di svellere di mezzo al popolo la stupirla credenza nelle fole del famoso Casamia, del Girandolano, dello Schieson trevisano, e simili, è scritto, per quanto porta il severo ed irlo argomento, con proprietà e nitore, così da renderlo accessibile alle men colte intelligenze. Additando ad un ordine di forze modificatrici delle leggi, alle quali è sottomessa la terra, come pianeta, mostra chiaramente la impossibilità che 1' uomo spinga 1' occhio fra le dense nubi che avviluppano il futuro. Consideriamo il breve lavoro come proemio a più prossime dimostrazioni, quali ce le promette il suo autore, e confidiamo eh' elle abbiano a raddrizzare un po' il giudizio del nostro popolo, sciaguralamen-te sviato da una falsa educazione, che in lui alimenta la superstizione e il pregiudizio. Segue una poesia in vernacolo capodislriano « la fa-brica de pan senza farina » E facile e spontaneo il verso, sottile e amena la satira, belle le imagini, piena di vita la parte descrittiva. Il nostro poeta usò il pretto linguaggio del popolo, che è il veneziano, un po' misto, se vuoisi, a voci di dialetto italico più antico, ma ritraente del resto tutta la sua armoniosa leggiadria, e la sua amabilità. Vorremmo che il libricciuolo, di cui discorriamo, giugnesse in mano di quel cotale che scrisse in una sua lettera del 7 decembre 1867 alla Neue freije Presse, come dall' Isonzo in giù fino al Montenegro non esistano che qua e là alla costa città con elemento italiano prevalente, di guisa, che a parlare di noi, la popolazione sarebbe, secondo lui, poco più della metà italiana, e pel resto slava. E notisi che quel cotale ha avuto il muso di dire che è uomo che conosce a fondo le condizioni di questi paesi. Ecco i bei giudici che abbiamo delle nostre condizioni! Ma noi vorremmo che ciò che ha scritto lo dicesse a noi in faccia, perchè lo piglieremmo allora pe' suoi grandi orecchioni, e lo condurremmo un po' in giro a udire la parola che suona sulle labbra del nostro popolo; gli porremmo soli' occhio la Bibliografia dell'Istria, perchè imparasse di che razza sono gl'illustri nostri scrittori> gli faremmo aprire i nostri archivii perchè scovasse pure, se gli bastasse 1' animo, un documento', o uno straccio qualsiasi di carta, in quella lingua, in cui si stampano le leggi e le Ordinanze nell' Osservatore, a servigio de' nostri contadini, che giurano di non capirne una sillaba ; gli rammenteremmo le nostre origini, e le dominazioni sotto cui vivemmo per secoli; e poi, a sbarazzarcene, lo manderemmo a scrivere quante lettere vuole al compiacente suo Giornale. Siamo riusciti in una digressione, che avremmo voluto evitare, perchè ci pare indecoroso prendersi a euore certe sciocche falsità, e certi maligni appunti; ma poi che la ci è venuta in taglio, resli. Per concludere sul lunario diremmo che è interessante lo schizzo scematico della nostra città, e che lo sarebbe maggiormente se qua e là reso più completo. Ove le altre città della provincia seguissero il dato c-sempio, avremmo assai di leggieri un buon materiale statistico per ulili meditazioni. Il librettino insomma che ci fu dato a strenna del nuovo anno, è saggio di quel mollo di più che sapranno fare i suoi compilatori, e che noi staremo attendendo con desiderio.. (m.) Il giorno 10 alle ore b del pomeriggio cessava di vivere in Parenzo all'età di 84 anni BENEDETTO DEI MARCHESI POLESINI, di cui si ricorderanno lungamente le domestiche e sociali virtù, i forti e generosi pen&amenli, l'affetto grandissimo al suo paese. Rechiamo questa dolorosa notizia, per rendere il debito tributo di onore alla sua memoria, e per esprimere ad un tempo il desiderio, che abbiamo vivissimo, di vedere raccolte in apposita pubblicazione le lodi di una così intemerata e così nobile esistenza.