ACTA HISTRIAE • 24 • 2016 • 1 Received: 2016-1-12 DOI 10.19233/AH.2016.2 Original scientific article IL PATRIZIATO TRA VENDETTA, RITUALITÀ PROCESSUALE E AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA. VENEZIA, INIZIO XVI SECOLO Andrew VIDALI via Borgo Checchin, 16, Torre di Mosto, Venezia, Italia e-mail: andrew.vidali91@gmail.com SINTESI Il patriziato veneziano è stato da Jungo tempo considerato come un ceto nobiliare differente da tutti gli altri sulla base dell'assunto storiografico che lo considerava come non propenso alla pratica della faida e della vendetta. Questa ricerca si pone l 'obiettivo di confutare tale posizione analizzando alcuni episodi di conflittualità patrizia di inizio XVIsecolo attraverso 1'integrazione di fonti narrative e processuali. Tale scopo è stato raggiunto grazie alla disanima del rapporto tra manifestazioni della conflittualità, ritua-lità processuale adottata dai tribunali della Dominante e modalité con cui le istituzioni politico-giudiziarie veneziane amministravano la giustizia. Parole chiave: Venezia, patriziato, vendetta, XVIsecolo, ritualità processuale, giustizia THE PATRICIATE BETWEEN REVENGE, TRIAL RITUALITY AND JUSTICE IN VENICE, THE BEGINNING OF 16th CENTURY ABSTRACT The venetian patriciate has been considered, so far, as a nobility that was different from the other on the base of the historiographical assumption which regarded it as not used to resort to feud and vengeance. The present research aims to refute this statement by analysing some episodes of patrician conflicts in the early 16h century through the integration of narrative and trial sources. This purpose has been achieved thanks to the examination of the relationship between conflict's manifestation, trial rites adopted by Venice's courts and modalities through which political-judicial Venetian institutions administrated justice. Keywords: Venice, patricians, vengeance, 16 century, trial rites, justice 43 ACTA HISTRIAE • 24 • 2016 • 1 Andrew VIDALI: IL PATRIZIATO TRA VENDETTA, RITUALITÀ PROCESSUALE E AMMINISTRAZIONE ..., 43-62 INTRODUZIONE: IL MITO DEL PATRIZIATO La ricerca storica che si dedica alio studio della faida, all'interno della storia europea, rappresenta un campo di studi da tempo consolidate: molteplici analisi hanno infatti esa-minato il manifestarsi di tale fenomeno in un'ampia gamma di differenti realtà storiche e geografiche1. Indubbiamente, ci sono ancora molti contesti da indagare e questioni relative alla stessa pratica della vendetta da approfondire. La storiografia ha perô da vari anni decretato come una ben specifica realtà non fosse in alcun modo affetta da tale forma di conflittualità, vale a dire quella del patriziato veneziano. Un risultato raggiunto tramite il controllo e la repressione delle fazioni in seguito a cambiamenti introdotti dalla Serrata del Maggior Consiglio (Lane, 1978, 129-131). Questa affermazione, insieme ad altre considerazioni precedentemente espresse (Chojnacki, 1972), rappresenta il nocciolo di quello che potremmo definire come un assunto storiografico che si rafforzó nei decenni successivi e raggiunse il proprio culmine negli anni '90. Infatti, l'opera di analisi storica più rappresentativa di questa tendenza è, forse paradossalmente, Mad Blood Stirring (Muir, 1993), una brillante disamina delle vicende della Cruel Zobia Grassa e della vendetta nell'Italia settentrionale rinascimentale. Nelle pagine dedicate al dominio veneziano sulla provincia friulana si afferma che l'o-biettivo principale era il seguente: «almost exclusively to control and even to obliterate the inconvenient aspects of another culture, which emphasized male aggressiveness and obligations of honorable revenge» (Muir, 1993, 50). La distanza qualitativa che intercorre tra le due realtà, quella della dominante e quella della società soggetta, assume qui rilievo antropologico, dato che il patriziato veneziano è ritratto come portatore di una cultura diversa e costretto a confrontarsi con una società che si connota per l'aderenza a valori avulsi, alieni, non intellegibili. Le pagine successive dell'opera spiegano come si sia formato questo vero e proprio gap culturale e quali ne fossero le conseguenze. Per la verità, lo storico americano ha formulato le sue osservazioni sulla scorta di una, già all'epoca, ampia bibliografia che stabiliva con fermezza la separatezza antropologica della nobiltà veneziana rispetto al mondo socio-culturale in cui essa era calata2. Non ci interessa in questa sede esaminare in profondità tali argomentazioni a sostegno della disuguaglianza del ceto patrizio veneziano, quanto più confutare tale posizione attraverso l'analisi di alcuni episodi che rivelano le modalità con cui tale forma di conflittualità venne gestita all'interno della città lagunare. VIOLENZA, PACIFICAZIONE E AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA Questo lavoro si vuole inserire infatti all'interno di un recente indirizzo di studi che affronta la tematica della faida e della vendetta ricorrendo ad un approccio più globale. 1 Questo articolo e una prima rielaborazione ed approfondimento della tesi di laurea Vendetta e parentela patrizia. Venezia, XVIsecolo. Colgo l'occasione per ringraziare Claudio Povolo per il costante supporto ed incoraggiamento. Per una rassegna si veda Netterstram, Poulsen, 2007. 2 I principali riferimenti segnalati dallo storico a supporto di questa distinzione sono il gia citato lavoro di Chojnacki; Ruggiero, 1980, 125-137, 138-155, e 1985, 89-108; Queller, 1986, 75-84, 234-239; Crouzet-Pavan, 1992; ma si veda anche Finlay, 1982, 145, e Dean, 1997, 35. 44 ACTA HISTRIAE • 24 • 2016 • 1 Andrew VIDALI: IL PATRIZIATO TRA VENDETTA, RITUALITÀ PROCESSUALE E AMMINISTRAZIONE ..., 43-62 La presente analisi si propone di considerare non solo gli episodi di violenza e di pacifica-zione che si verificarono, ma anche il sistema posto in essere per contrallare tale conflit-tualità nobiliare. Condurre e guidare la faida patrizia entro binari socialmente accettabili era un compito che sia la compagine governativa che gli stessi soggetti partecipanti, le parentele, si erano assunti. In quest'ottica si rende necessario esaminare perciô il rapporto instauratosi tra le dinamiche della violenza nobiliare e l'amministrazione della giustizia veneziana: all'interno di questa relazione trova spazio anche l'azione dei gruppi paren-tali. In sintesi, questa ricerca vuole evidenziare l'importante ruolo svolto dalla ritualità processuale nell'incanalare questa forma di violenza, sulla scorta di quanto suggerito dal saggio Feud and vendetta: customs and trial rites in Medieval and Modem Europe?, dove viene compiutamente dimostrata, nel lungo periodo, la relazione tra vendetta, giustizia e procedura. Un quesito che è necessario porsi subito è il seguente: in quale misura il sistema dell'amministrazione della giustizia veneziana, la cui peculiarità era data dall'assenza di tecnici del diritto e dal conseguente monopolio esercitato dalla nobiltà lagunare (Cozzi, 1982, 219-221; Povolo, 2004a, 349), poteva perseguire i medesimi obiettivi di conteni-mento della conflittualità basata su faida e vendetta? Una domanda che evidenzia come non sia possibile trascurare un accurato studio delle istituzioni legali e delle loro inte-razioni con le pratiche socio - culturali, qualora si voglia comprendere fino in fondo la complessità di tali conflitti. Eppure questo stretto rapporto è stato a lungo tralasciato o minimizzato: ora si presta invece come utile metodo d'analisi di un fenomeno, la faida patrizia, di cui finora non è stata riconosciuta l'esistenza4. Gli episodi presentati nelle pagine successive saranno pertanto esaminati alla luce di due aspetti: la funzione della riconciliazione tra parti antagoniste all'interno della risolu-zione processuale del conflitto ed il ruolo dei gruppi parentali in seno a tali vicende. Per quanto concerne la prima tematica, la storiografia ha più spesso rivolto attenzione a forme e manifestazioni della violenza5, ma recentemente ha rivalutato l'importanza della pacifi-cazione all'interno delle dinamiche della conflittualità, cogliendone i nessi con l'apparato della giustizia6. Il ruolo delle parentele nella gestione dei conflitti è invece già da tempo oggetto d'analisi degli antropologici (Beattie, 1982) e si è posto al centro di una recente ridefinizione di faida e vendetta (Resta, 2015). Scarsa attenzione pera è stata diretta dagli storici verso i gruppi famigliari veneziani ed il ruolo da quest'ultimi interpretato nella gestione della faida patrizia, una probabile conseguenza del mito del patriziato come ceto civile e concorde. È infine necessaria un'ultima premessa inerente alle fonti utilizzate, vale a dire, i Diari di Marin Sanudo e le carte processuali prodotte dalle principali magistrature giudi- 3 Povolo, 2015. 4 In Muir, 2013, 492, lo stesso autore ribadisce il profondo distacco che caratterizza Venezia dalla societa friulana, quest'ultima fondata su di una cultura della vendetta e dell'onore che non sarebbe affatto penetrata all'interno della laguna. 5 Sull'ampia produzione storiografica incentrata sulla violenza si rinvia limitatamente ai recenti Body-Gendrot, Spierenburg, 2008 e Davies, 2013. 6 Oltre a Bellabarba, 2001, si segnala anche Broggio, Paoli, 2011. 45 ACTA HISTRIAE • 24 • 2016 • 1 Andrew VIDALI: IL PATRIZIATO TRA VENDETTA, RITUALITÀ PROCESSUALE E AMMINISTRAZIONE ..., 43-62 ziarie veneziane, l'Avogaria di Comun e il Consiglio di Dieci. Dall'incrocio di queste due diverse fonti si è potuto ricavare una notevole quantità di dati, ma non solo, l'integrazione di queste differenti forme di narrazione è risultata efficace nella misura in cui una spesso arricchisce l'altra: il celebre patrizio, i cui Diari sono contraddistinti da una «onnivora narratività» (Aricó, 2009, 389), fornisce spesso dettagli che non sono riportati nei registri ufficiali7; viceversa, quest'ultimi contengono il punto di vista governativo, necessario per comprendere le scelte operate nella gestione dei conflitti. In aggiunta, le suppliche8 inviate al Consiglio di Dieci dai protagonisti delle vicende mettono a volte in luce taluni aspetti che sono sottintesi dal diarista. IL PERDONO DI ALVISE D'ARMER Il 17 febbraio 1521 - more veneto - in Quarantia Criminal si conclusero le vicende processuali che coinvolsero due fratelli, Lorenzo e Francesco Sanudo, figli di Angelo, e Giovanni di Nicoló Soranzo, loro cugino: essi erano accusati di aver aggredito e ferito un altro patrizio, Giacomo di Alvise d'Armer. L'analisi di questa vicenda prende avvio dalla registrazione dei rispettivi processi nelle Raspe dell'Avogaria (ASV, AC, 3664, 68 v.-69 r.). Il procedimento giudiziario che essi affrontarono presentava una ritualità processuale speculare a quella riscontata nei centri maggiori dell'Italia centro-settentrionale: dal Basso Medioevo fino alla seconda metà del XVI secolo, la procedura penale si componeva generalmente di tre fasi: processo informativo, offensivo e difensivo (Povolo, 2004b, 62, 87-88). Le prime due erano gestite, all'interno del panorama giudiziario veneziano, dagli avogadori, che avviavano il procedimento e raccoglievano testimonianze e confessioni insieme ad un preposto collegio, mentre nella terza si verificava il confronto tra difesa, rappresentata dagli avvocati dell'accusato, e accusa, ruolo ricoperto ugualmente dagli avogadori (Cozzi, 1982, 103). La narrazione processuale presenta dunque inizialmente i risultati dell' inquisitio degli avogadori: Lorenzo Sanudo, in compagnia del fratello Francesco e del cugino Giovanni Soranzo, nelle vicinanze del Banco di Ca' Capello a Rialto, aveva aggredito, il giorno 8 agosto 1521, il nobile Giacomo di Alvise d'Armer. Non si fa accenno ad eventuali moventi, ma c'è una precisa descrizione dei danni fisici subiti dal patrizio (ASV, AC, 3664, 68 v.). Si procede quindi al piano processuale e alla fase del processo offensivo: per il reato di aggressione, Lorenzo si presentó spontaneamente alle prigioni, dove fu interrogato de plano, cioè fu preso il suo costituto. Questa forma di interrogatorio era generalmente blanda e con essa si chiedeva all'accusato se volesse confessare i crimini a lui imputati (Povolo, 2004b, 87-91). Egli rispose affermativamente, riconoscendo le sue azioni e non adducendo alcuna giustificazione. Ebbe dunque inizio l'ultima fase, quella difensiva, dinnanzi al tribunale della Quarantia Criminale. Nel frattempo, i tre imputati rimasero in prigione, come si evince da quanto scritto dal diarista al termine del proces- 7 Su tale figura e le sue opere si rimanda anche a Finlay, 1982, 318-353; Cozzi, 1997, 87-108. 8 Su tale forma narrativa si rinvia a Nubola, Würgler, 2002; Biasolo, De Luca, Povolo, 2015. 46 ACTA HISTRIAE • 24 • 2016 • 1 Andrew VIDALI: IL PATRIZIATO TRA VENDETTA, RITUALITÀ PROCESSUALE E AMMINISTRAZIONE ..., 43-62 so9. Nelle sedute della Quarantia furono lette le scritture di ambo le parti e presentate le accusationes degli Avogadori e le defensiones degli avvocati (ASV, AC, 3664, 68 v.) - di cui non abbiamo tracce. Terminato il confronto tra le parti, la corte composta dai nobili veneziani doveva stabilire l'innocenza o la colpevolezza di Lorenzo Sanudo. Dei trentanove votanti, ci furono sei astenuti, cinque a favore dell'assoluzione e ventotto a sfavore. Delle varie proposte -non registrate - venne scelta la seguente pena da infliggere: un anno di bando da Venezia e distretto e il pagamento di medici e medicine per la vittima dell'aggressione (ASV, AC, 3664, 68 v.). Un dato merita di essere segnalato: la mitezza della pena, se paragonata alle altre condanne solitamente inflitte per questa categoría di crimine10. Sicuramente essersi presentato spontaneamente alle prigioni e aver confessato il delitto ha influito sulla deter-minazione della pena, ma questa comunque rimane troppo blanda. Gli altri due imputati furono invece assolti dalla medesima accuse. Anch'essi si presentarono volontariamente alle carceri e confessarono di aver sguainato le armi in difesa di Lorenzo Sanudo, mentre quest'ultimo feriva Giacomo d'Armer. Entrambi non giustificarono le proprie azioni ed, introdotti in Quarantia Criminale e seguito lo stesso iter processuale, essi furono, come detto, dichiarati innocenti (ASV, AC, 3664, 68 v.-69 r.). In questo caso, l'assoluzione sembra essere ricondotta ad un ruolo più passivo dei due rispetto a quello di Lorenzo Sanudo, autore materiale delle ferite. Tuttavia, stupisce comunque registrare che la loro complicità, in uno scontro dove del sangue era stato versato - sangue nobile, per di più -, non fosse affatto punita, anche se presentata nei termini più accettabili della difesa del parente. La narrazione processuale di questa vicenda presenta, quindi, alcuni elementi ambigui, che non sono decifrabili se ci limitiamo ad analizzare le Raspe: esaminiamo perciô quanto il diarista scrisse in merito a questo episodio. Nelle pagine dei Diari reperiamo una descrizione dello scontro armato simile a quella presentata, ma con una determinante differenza: il diarista afferma che ció avvenne «per cazon di certa femena mojer di Zuan Paolo di Bechesta a San Jacomo di Orio in certa corte» (Diari, XXXI, 183). Marin Sanudo addusse come motivo che diede scoppio alla contesa la gelosia, la quale si configura come una forma di competizione maschile sul piano dell'onore sessuale11, rivalité che si trasferisce sul piano dello scontro armato. Alcuni mesi più tardi, a inizio gennaio 1522, il diarista avvisa che Giacomo d'Armer è guarito dalle ferite riportate e ha dato «una querela contro di loro e di uno sier Zuan Soranzo di sier Nicoló a li Avogadori, li quali voleano andar in Quarantia e meter di retenirli» (Diari, XXXII, 340). Il giorno 11 febbraio ebbe inizio il processo in Quarantia Criminale a carico dei tre patrizi (Diari, XXXII, 450) e prosegui nei giorni successivi, per giungere infine alla seduta del 17 febbraio, nella quale vennero emanati i verdetti. In questa sessione avvenne peró un fatto non menzionato nelle Raspe e che influenzó profondamente l'esito 9 «et cussi tutti tre veneno a disnar a caxa, che fin hora e stati in prexon.» (Diari, XXXII, 246) 10 Si veda l'analisi per il periodo precedente in Ruggiero, 1980, 138-155. 11 Per la tematica dell'onore maschile e femminile declinato sul piano sessuale si rinvia a Pitt-Rivers, 1977; non e comunque un caso isolato: sono motivati dalla gelosia anche gli omicidi perpetrati da Vettor Pisani (Diari, IV, 345), e Angelo Bragadin (Diari, XX, 367-368, 511). 47 ACTA HISTRIAE • 24 • 2016 • 1 Andrew VIDALI: IL PATRIZIATO TRA VENDETTA, RITUALITÀ PROCESSUALE E AMMINISTRAZIONE ..., 43-62 del processo: Alvise d'Armer, padre di Giacomo, si presentó in tribunale per parlare, no-nostante gli avvocati difensori si opponessero, temendo che il patrizio avrebbe perorato la causa del figlio. Accadde l'esatto contrario: Disse: non dirá cossa che vi dispiaqua; et cussi a pe ' di la renga disse era venuto l1 a dir che li à dolesto assai dil caso di so ' fiol, ma è cossa che intravien fra zoveni. So fiol sta ben et è varito et ex nunc feva ogni paxe, pregando li XL havesseno questi per ricomandati; et altre parole usando, che commosse tutti a lacrimar. Et vene da sier Marin Sanudo qu. sier Francesco et lo abrazoe, et cussi sier Nicolá e sier Alvise Soranzo; poi a sier Francesco e Lorenzo Sanudo qu. sier Anzolo, e sier Zuan Soranzo di sier Nicold li abrazó perdonandoli ogni ofesa et feva larga paxe per lui e suo fiol, ch 'è in caxa. Li quali tre se butono in zenochioni chiedendoli perdono, adeo indolzl tutti li XL; et poi parlá sier Alvise Badoer avochato in suo favor-. (Diari, XXXII, 466) Il linguaggio qui impiegato da Alvise d'Armer è quello della rinuncia della querela, del perdono e della pacificazione (Bellabarba, 2001; Niccoli, 2007), la quale sarebbe stata in seguito perfezionata al di fuori dell'aula del tribunale. Comprendiamo ora come si giunse all'esito registrato nelle Raspe: il processo venne con-dizionato sensibilmente dalle parole e dai gesti di Alvise d'Armer. Il diarista ci offre ulteriori preziose informazioni anche in merito alle pene proposte per Lorenzo Sanudo. Infatti, oltre alla risoluzione già presentata, avanzata da alcuni consiglieri e dai Vicecapi della Quarantia e accettata a larga maggioranza, gli avogadori proposero un'altra parte: cinque anni di bando, oltre al pagamento di una multa. Una pena ben più dura, ma in linea con le norme giuridiche vigenti nei tribunali della città. Tuttavia, come detto, quest'ultima venne respinta e fu scelta l'altra proposta, molto più blanda. La divergenza tra le due non si colloca nella differenza quantitativa, bensi nei principi di fondo: da una parte, la pena degli Avogadori esprimeva una concezione di retributivejustice, focalizzata sulla punizione del crimine, inteso come una tra-sgressione della legge, mentre quella dei consiglieri e dei Vicecapi faceva proprie le istanze della restorative justice, che pone l'accento sulla vittima e le sue richieste12. In questo caso, nella misura in cui la riconciliazione tra le famiglie avvenne sotto gli occhi dei giudici - politici, vennero a mancare le necessità di infliggere una punizione significativa che fungesse da deterrente o che imponesse la concordia tra le parti, poi-ché questa era già stata autonomamente raggiunta. Le assoluzioni adottate e la condanna imposta riflettono perció una concezione di giustizia che ammette la commistione tra pratiche della giustizia comunitaria e negoziata, basata su faide, accordi e pacificazioni13, e la ritualità processuale del centro Dominante, che si caratterizza per azione del giudice, procedure formali e pena. Difatti solamente Lorenzo Sanudo, che inflisse il colpo grave ma non mortale, fu punito, tuttavia solo a un anno di bando ed a un risarcimento. I Diari, che si sono rivelati essenziali per la comprensione della vicenda, ce ne forniscono an- 12 Su retributive e restorative justice c'e un'amplia bibliografia: ci limitiamo a segnalare Cantarella, 2007; Johnstone, Van Ness, 2007; Aladjem, 2008. 13 Su tale tema, e anche quello della giustizia egemonica, si rinvia a Lenman, Parker, 1980; Sbriccoli, 2001. 48 ACTA HISTRIAE • 24 • 2016 • 1 Andrew VIDALI: IL PATRIZIATO TRA VENDETTA, RITUALITÄ PROCESSUALE E AMMINISTRAZIONE ..., 43-62 che l'epilogo. Nel marzo 1522 Marin Sañudo avvisto Giacomo d'Armer, completamente ripresosi (Diari, XXXIII, 92). Infine, nel marzo 1525, la riconciliazione tra le famiglie approdo alla fase conclusiva, quando avvenne la pubblica pacificazione: In questa sera,, in chiexia di San Zuminian a San Marco, fo fato la paxe tra sier Ja-como d 'Armer di sier Alvise, qual fu ferito in su la testa in Rialto da sier Francesco Sanudo qu. sier Anzolo, sier Lorenzo suo fratello et sier Zuan Soranzo qu. sier Nicolo, per la qual ferita fono retenuti e assolti per Quarantia ; li pagano di miedegi e mede-sine ducati ... et cussi si hanno abrazadi insieme. Dove erano multiparenti de una parte et l 'altra, et etiam Io Marin Sanudo vi fui. (Diari, XXXVIII, 45) L'ODIO DI MARCANTONIO LOREDAN Il 31 ottobre 1513 fu letta una supplica dal Consiglio di Dieci riunito con la Zonta in materia pecuniaria, inoltrata da Matteo di Francesco da Priuli. L' incipit descriveva la situazione della famiglia: lui e i suoi fratelli, Giovanni Francesco e Marco, erano rimasti orfani e con i figli a carico. La strategia familiare aveva destinato uno di questi giovani patrizi a partecipare alla muda per Alessandria del 1511, cioe Antonio, figlio di Marco. Nello stesso viaggio verso il Levante era presente anche Giorgio di Marcantonio Loredan, figlio di un importante patrizio che in quel momento era membro del Consiglio di Dieci. Il convoglio raggiunse l'isola di Candia, dove ebbe luogo uno scon-tro tra i due ragazzi, la cui causa e imputata, secondo quanto affermato nella supplica, dal fatto che il nipote fu «da lui (Giorgio Loredan) a piu modi inzuriato» (ASV, CX, MR, 36, 95 r.-95 v.). I giovani passarono allo scontro armato e Antonio feri Giorgio sul braccio e sulla testa. Danni che pero, Matteo da Priuli sottolineo, non erano stati rite-nuti mortali dai medici che curarono il giovane, infatti quindici giorni dopo lo scontro quest'ultimo era ritenuto fuori pericolo. La ragione che ne causo la sua morte era da imputare non alla lotta armata, ma ad altro: [...] e fidandose lui de tal pronostico, volendo contentar a li sui appetiti, ussite de ogni obbedientia a li sui medici, per modo che li soprazonse la freve granda: et in capo de xxiii (giorni) morite, come el tuto se puo provar chiaramente. (ASV, CX, MR, 36, 95 r.-95 v.) In realtá, la percezione dell'evento a Venezia fu diametralmente opposta: varie lettere giunte in cittá indicarono Antonio da Priuli come colpevole della morte di Giorgio Loredan (Diari, XII, 427, 432). La supplica proseguiva spiegando perché il nipote venne bandito in contumacia: fu ini-zialmente denunciato al Reggimento di Candia da un balestriere della muda, che lo accuso di premeditazione. L'imputazione di omicidio pensado - cioe premeditato - venne tutta-via dismessa dal Reggimento, quindi Antonio venne chiamato a difendersi dall'accusa di omicidio puro, al cui processo pero non si presento. I motivi addotti dallo zio paterno sono - comprensibilmente - fragili e difatti quest'ultimo richiamo l'attenzione ancora una volta 49 ACTA HISTRIAE • 24 • 2016 • 1 Andrew VIDALI: IL PATRIZIATO TRA VENDETTA, RITUALITÀ PROCESSUALE E AMMINISTRAZIONE ..., 43-62 sull'effettiva causa della morte di Giorgio Loredan14. A questo punto è opportuno eviden-ziare come la possibilità di presentarsi prima per rispondere dell'accusa di premeditazione e poi per quella di omicidio puro fosse uno dei vari istituti giuridici, come la difesa per pa-trem, la difesa per procuratore e la piezaria, adottati dalla ritualità processuale bassomedie-vale di matrice dotta, che si fonda cioè sul diritto comune, per canalizzare i conflitti (Povolo, 2004b, 50-51). L'utilizzo da parte del Reggimento di Candia di tale procedura potrebbe indicare che anche nei tribunali della Dominante l'istituto fosse impiegato: quest'ipotesi è confermata dal processo del patrizio Giorgio di Vittorio Duodo, che uccise per un'offesa verbale Marco di Donato Tiepolo (Diari, LIV, 279). Convocato dagli avogadori, il patrizio si presentó in carcere per difendersi dall'accusa di omicidio pensado, venne esaminato de plano e presentó le sue difese e giustificazioni. Ci furono due votazioni in Quarantia Criminale per stabilire il grado premeditato o puro del delitto, ma non ci fu una netta maggioranza. Venuto a sapere dell'esito incerto delle due ballotazioni, probabilmente temendo di venire imputato per la premeditazione, Giorgio Duodo fuggi dal carcere. Egli venne quindi bandito perpetuamente da Venezia e distretto, da terre e luoghi della Repubblica e da navigli armati e disarmati (Diari, LIV, 456-457; ASV, AC, 3666, 185 r.-185 v.). Possiamo ora procedere con il resto della supplica di Matteo di Priuli: egli propose un salvacondotto per il nipote di centouno anni in cambio di mille ducati. Lo zio paterno pose peró alcune ben chiare condizioni: egli chiese l'oblio processuale per quanto com-messo da Antonio e domandó che, durante il periodo del salvacondotto, il processo svolto a Candia non venisse impazado, cioè intromesso dagli Avogadori o da altri magistrature e quindi riaperto. Matteo proponeva anche di posticipare l'inizio del salvacondotto e il ritorno a Venezia del nipote di due anni, nell'ottobre 1515. La ragione di tale consiglio trovava fondamento nel netto rifiuto opposto fino a quel momento - cioè nei due anni trascorsi dalla morte di Giorgio fino all'invio della supplica - da Marcantonio Loredan nel perdonare Antonio da Priuli, nonostante i ripetuti tentativi di pacificazione promossi dai parenti dell'offensore: [...] azid che in questo tempo la Mag[nificen]tia de Mis[sier]MarcoAntonio Loredan a la M[agnificen]tia del qual siamo stadi a casa sua a domandarli mille perdonanze: aziô che in questo tempo le si apra le viscere a la misericordia che cussi come el nos-tro signor Dio ne perdona i nostri peccadi simelmente la Mag[nificen]tia sua perdoni a sto povero puto quale è tanto dolente de la offesa a la Mag[gnificen]tia sua quale lei che l'ha ricevuta. (ASV/, CX, MR, 36, 95r.-95 v.) Una ferrea volontà che venne registrata anche da Marin Sanudo nel momento in cui la supplica venne presentata (Diari, XVII, 271). Nonostante il rifiuto di Marcantonio, a indicare che la pacificazione non avvenne, il salvacondotto fu garantito dal Consiglio di Dieci, a condizione che, oltre alla cifra di mille ducati, Antonio - o chi per lui - fornisse un contingente armato di cinquanta uomini o pagasse la quantità necessaria di denaro per arruolarli. Ció indica come la cattiva situazione finanziaria in cui versava la Serenissima 14 «[...] era morto per li sui desordini come l'è notorio a tuta Candia» (ASV, CX, MR, 36, 95 r.-95 v.) 50 ACTA HISTRIAE • 24 • 2016 • 1 Andrew VIDALI: IL PATRIZIATO TRA VENDETTA, RITUALITÁ PROCESSUALE E AMMINISTRAZIONE ..., 43-62 a causa della guerra15 influi sulla scelta dei membri di tale consiglio, decisione che inelut-tabilmente sconvolgeva le normali modalitá di gestione del conflitto patrizio. Nel giugno 1516, quasi tre anni dopo l'accettazione della supplica, Antonio da Priuli fu designato come candidato per la carica di Camerlengo di Comun. Egli non fu tuttavia eletto e, da quanto riportato da Sanudo, ció e da imputare al persistente odio di Marcantonio Loredan: «Et come ozi el fo nominato, dito sier Marco Antonio si levó e andó fuora per non balotarlo, et molti se ne acorse di questo, et cazete» (Diari, XXII, 307). Un senti-mento che non si manifestó in concrete forme di ritorsione al di lá della pura opposizione politica. Forse questa forte emozione venne nutrita anche dalla difesa retorica esposta dai familiari di Antonio da Priuli, i quali indicavano la morte di Giorgio Loredan come conse-guenza della sregolatezza del giovane e non dello scontro armato provocato da questioni d'onore. L'odio di Marcantonio non scemó con gli anni: la carriera politica di Antonio da Priuli decolló grazie a un matrimonio con una figlia del potente banchiere Alvise Pisani (Diari, XXVIII, 432, 456). Di li a pochi anni dopo, egli entró nel Senato dietro pagamento di un prestito di quattrocento ducati (Diari, XXXII, col. 112), per poi divenire, con l'aiuto del suocero, banchiere assieme ai fratelli. Al momento dell'apertura del nuovo bancho, il giorno 15 dicembre 1522, erano presenti i patrizi di piu alto rango, con una prevedibile eccezione. Un'assenza che il diarista ritenne degna d'essere segnalata: [...] li Procuratori quasi tutti excepto sier Zacaria Gabriel, ch'e impotente, e tutto il Colegio, da sier Marco Antonio Loredan consier in fuora,, pero che 'l dito sier Antonio di Prioli al viazo de Alexandria amazd sier Zorzi Loredan suo fiol, fu posto in exilio, et poi in sta guerra con danari asolto. (Diari, XXXIII, 545) Marcantonio mori poco dopo, nella primavera del 1524, mentre copriva l'ufficio di In-quisitore del defunto doge (Diari, XXXII, 182). Due anni dopo Antonio da Priuli divenne un membro del Consiglio di Dieci (Diari, XLII, 589). L'apice della sua ascesa politica fu raggiunta con l'elezione a Procuratore nel maggio 1528 (Diari, XLVII, 427-428). L'odio di Marcantonio Loredan spari insieme a lui, lasciando spazio ad Antonio da Priuli per raggiungere le vette del governo veneziano. Un episodio che attesta che i patrizi piu giovani potevano permettersi d'indulgere in comportamenti violenti e turbolenti, che li ponevano anche al di fuori della legalitá, come giá evidenziato (Chojnacki, 2000). Essi avevano comunque la possibilitá di essere sostenuti dalla loro rete parentale per ottenere aiuto politico e anche per gestire i conflitti in cui essi erano parte attiva, come le azioni di Matteo da Priuli dimostrano. Un patrizio adulto e impegnato nella sfera pubblica, come Marcantonio Loredan, non avrebbe avuto lo stesso spazio di manovra e le medesime attenuanti. Dobbiamo perció ritenere che Marcantonio - o un membro del gruppo familiare - non avrebbe potuto compiere la vendetta? No, egli fece una precisa scelta. Si oppose con altri mezzi ad Antonio da Priuli, con azioni evidentemente non violente: una decisione che potrebbe avallare la visione di un patrizia-to non dedito alla faida e alla vendetta. Tuttavia, risulta difficile non ritenere che l'odio 15 Si veda, in generale, Pellegrini, 2009. Per il punto di vista veneziano Cozzi, Knapton, 1986; Mallett, 1996. 51 ACTA HISTRIAE • 24 • 2016 • 1 Andrew VIDALI: IL PATRIZIATO TRA VENDETTA, RITUALITÄ PROCESSUALE E AMMINISTRAZIONE ..., 43-62 sviscerale e duraturo di Marcantonio non coincida con quello stato di reciproca ostilitá che alcuni autori, come abbiamo visto, hanno indicato come caratteristica della faida. La mancata ritorsione e il perdurante rancore sono dunque il riflesso di una giá accennata ambiguitá da cui il patriziato veneziano non poté liberarsi: ceto chiamato a dirigere la res publica, e quindi oggetto a pressioni disciplinanti, e al tempo stesso ceto aristocratico, che condivideva l'idioma culturale dell'onore e in competizione - anche violenta - per 10 status (Chojnacki, 1972, 192). Le emozioni e le decisioni di Marcantonio Loredan, per essere comprese, non possono essere scisse da questa dualitá. IL PRODITORIO ECCESSO DI MARCO MICHIEL Fu posto et preso una gratia, che a sier Marco Michiel qu. sier Alvise, bandito per la morte di sier Vicenzo da Molin di sier Alvise procurator, al qual fu fato salvoconduto dapoter star in le nostre terreper anni..., che se intendi in vita, e cussi navilii armadi e disarmadi etc. (Diari, LTV, 596) L'amnistia accordata dal Consiglio di Dieci era stata presa a larga maggioranza (ASV, CX, CR, 4, 184 v.) e preceduta due anni prima, nel settembre 1529, dalla concessione, da parte dello stesso organo, di un salvacondotto della durata di cinque anni, per essersi «portato ben in Puia» (Diari, LI, 593), per dodici voti a favore e quattro contro (ASV, CX, CR, 4, 138 v.). Due provvedimenti che avevano posto fine ad un lungo periodo di bando, che durava da circa quindici anni, e che permettevano a Marco di Alvise Michiel di rientrare nello stato veneto. La causa di questo lungo esilio era riposta in una forte passione, ritenuta innaturale e quindi condannata, che si trasformo in sete di vendetta. L'incipit delle vicende che ebbero per protagonista Marco Michiel si colloca nel giorno 11 febbraio 1515 m.v., quando il Consiglio di Dieci convoco Marco per difendersi dalle accuse. Le imputazioni erano gravi: tentato adescamento e aggressione armata a danni di alcuni giovani «causa sodomitii» (ASV, CX, CR, 2, 162 r.). Marin Sanudo ci fornisce alcune indicazioni precise che permettono di comprendere meglio gli sviluppi successivi: Questo fu fato intervenendo sier Zuan Malipiero qu. sier Hironimo, dito Fixolo, al qual, é pochi zorni, sul campo di Santa Maria Formosa (Marco Michiel) li tajo la vesta, e questo per certo amor e zelozia di sier Domenego da Molin di sier Alvise per il qual dito sier Marco Michiel, é morto; e fece ditto atto. (Diari, XXI, 514) Il motivo dell'assalto di Marco Michiel ai danni di Giovanni di Girolamo Malipiero si riconduce percio al sentimento della gelosia, che si e detto nascondere al proprio interno la competizione maschile sul piano dell'onore sessuale, aggravata in questo caso dalla com-binazione con il piu grave reato di sodomia. Marco di Alvise Michiel non si presento e fu conseguentemente condannato, in absentia, il giorno 23 febbraio a quindici anni di bando da Venezia e dal distretto e venne scartata la proposta di una condanna piu mite, di sei anni di bando (ASV, CX, CR, 2, 163 v.). Si profilava percio un lungo periodo di esilio per Marco Michiel, il quale non avrebbe dovuto arrischiare il ritorno a Venezia o nel Dogado, in quanto 52 ACTA HISTRIAE • 24 • 2016 • 1 Andrew VIDALI: IL PATRIZIATO TRA VENDETTA, RITUALITÄ PROCESSUALE E AMMINISTRAZIONE ..., 43-62 ció avrebbe peggiorato la sua condizione, giá compromessa. Tuttavia, le sue successive gesta dimostrarono che simili considerazioni passarono in secondo piano rispetto alla volontá di compiere vendetta. Questa si concretizzó lunedi 25 gennaio 1517 m.v:. E da saper: in questa matina, a hore zercha 18, sequite un caxo, che volendo andar a disnar sier Vicenzo da Molin di sier Alvixe procurator e sier Domenego da Molin qu. sier Marin suo zerman cuxin, partidi di San Marco, a San Zulian apresso la chiesia, uno stravestito da maschara da schiavon si volto contra di loro e ferite el dito sier Domenego da Molin, et sier Vicenzo da Molin volendo corer via cazete, et lui li meno una bota mortalissima su la testa di una arma candida chiamata cazona, curta e larga. (Diari, XXV, col. 217) Girolamo da Molin, fratello di Domenico, anch'egli presente, riusci a fuggire. Segui un combattimento con alcuni famigli da ca' Molino, ma l'individuo mascherato si difese con grande abilitá e riusci a scappare e nascondersi. Segui una frenetica caccia all'uomo, durante la quale Marino e Nicoló Michiel, figli di Alvise, furono informati del fatto che gli ufficiali erano alla ricerca del loro fratello Marco, di cui erano certi fosse a Venezia, nonostante il bando. I due infatti si erano recati armati nel luogo dell'ultimo avvistamento dell'assalitore dando «segnali grandissimi sapesseno chi era la maschara ; qual con effeto era suo fradelo Marco predito» (Diari, XXV, 217). Mentre le ricerche continuavano, il Consiglio di Dieci non rimase inerte. venne an-nunciato «Che per la atrocitá del proditorio e detestando caso hozi commesso», di cui «per evidentissimi indicii si intende esser stato perpetratore Marco Michiel q[uonda]m Alvise q[uonda]m Maphio se fa asaper a tutti [...]» (ASV, CX, CR, 2, 212 v.) che si po-neva una taglia di tremila lire e si annunciavano dure sanzioni per chi lo nascondesse in casa o lo aiutasse in alcun modo. Si concedeva l'impunitá a chi, nel tentativo di catturarlo, lo avesse ucciso in caso di resistenza all'arresto. Marin Sanudo ci offre nuovamente rifles-sioni che nella documentazione ufficiale non si reperiscono. Et azio il tutto se intendi, questo sier Marco Michiel [...] era imbertonato in dito sier Domenego da Molin, et per zelosia di sier Zuan Malipiero qu. sier Hironimo qual al presente é Provedador a le biave, ferite zoé volse ferir l 'anno passato ilprefato sier Zuan Malipiero, per il che per il Consejo di X fu bandito per anni 6 di Veniexia e dil destreto. Et par che ditto sier Vicenzo da Molin solicitasse suo padre a farlo bandir, per il che si ha voluto vendicar. Altri dice volea ammazar dito sier Alvixe da Molin procurator perché l 'havia promesso di aiutarlo con prestar danari a la Signoria e cavarlo dil bando, e tamen nulla havia fato. (Diari, XXV, 219) Comprendiamo ora che Marco Michiel volle colpire Domenico da Molin perché questi spinse suo padre a punire con un pesante bando colui che molestava il cugino oppure decise di vendicarsi per le colpe di Alvise da Molin, procuratore, dunque membro piu prestigioso del lignaggio, il quale aveva rotto gli accordi stretti con i parenti di Marco per il raggiungi-mento di una pacificazione. Entrambe le ipotesi presentate dal diarista offrono una valida chiave di lettura dell'azione premeditata di Marco Michiel, che gli costó un'ulteriore ri- 53 ACTA HISTRIAE • 24 • 2016 • 1 Andrew VIDALI: IL PATRIZIATO TRA VENDETTA, RITUALITÄ PROCESSUALE E AMMINISTRAZIONE ..., 43-62 chiesta di comparire innanzi al Consiglio di Dieci. Il giorno 26 gennaio, in quanto egli era «maxime indiciatus perpetrasse proditorium excessum» (ASV, CX, CR, 2, 212 v.) ai danni di Domenico e Vincenzo da Molin, venne convocato per difendersi dalle accuse. Nel frattempo le ricerche proseguirono, mentre Domenico da Molin mori (Diari, XXV, 230). Le pagine dei Diari esprimono in maniera molto puntuale il senso dello shock causato dall'azione violenta di Marco Michiel e la frenesia generale che colpi la cittä nella caccia all'uomo. Ció e comprensibile nella misura in cui la sua vendetta era stata perseguita con modalitä che superavano fin troppo le soglie della tolleranza, anche informale, che si riserbava alla violenza patrizia. Un gesto ritenuto eccessivo perché com-piuto mentre Marco scontava giä una dura pena inflittagli dal Consiglio di Dieci per un altro grave crimine e per le modalitä del delitto: l'essersi mascherato e la premeditazione comportarono una reazione perentoria da parte dello stesso Consiglio di Dieci. Fermezza che si esplicó nella severitä della pena: la condanna, stabilita in contumacia a inizio feb-braio 1517 m.v., prevedeva il bando perpetuo non solo da Venezia e distretto, ma anche da tutti i domini veneti sia di terra che di mare e anche da tutti i navigli armati e disarmati. Se avesse infranto il bando e fosse stato catturato, Marco Michiel sarebbe stato condotto a coda di cavallo da Santa Croce fino a San Giuliano, dove ebbe luogo il suo proditorio assalto e dove gli sarebbe stata mozzata la mano destra, per essere poi condotto tra le due colonne a San Marco. Qui sarebbe stato descopato, cioe ucciso con un forte colpo alla nuca, e poi squartato in quattro parti (ASV, CX, CR, 2, 213 r.). Alla fine degli anni '20, in coincidenza con il nuovo tentativo veneziano d'impadro-nirsi dei porti pugliesi (Cozzi, Knapton, Scarabello, 1992, 12-14), le capacitä del patrizio in esilio gli fecero guadagnare l'appoggio di varie figure militari, sia straniere che patri-zie, le quali intercedettero presso la Signoria affinché fosse concesso un salvacondotto a Marco Michiel (ASV, CX, CF, 6, cc. non numerate né intitolate16). Nelle Filze sono allegate le molte attestazioni comprovanti il valore del patrizio esiliato che aveva continuato a servire la sua patria. Piu importante e peró segnalare come, prima di prendere qualunque decisione, il giorno 12 agosto 1529 vennero Chiamati alla p[rese]ntia delli ex.mi s.ori Capi dello Ill.mo Consiglio x li N[obeli] ho-mini s[ier] Marco da molin procurator et s[ier] andrea da molin q[uondam] s[ier] marin, et dimandati se hanno fatta la pace, et remessa ogni iniuria al N[obile] homo s[ier] Marco Michiel s[opradi]tto. Risposero de si, et esse[r] molto contenti ch[e]l sia exaudito della gra[tia] ch[e]l dimanda, et cosi esta notato p[er] ordine, e com[m] andame[n]to dellip[re]fati ex.ml s.orl capi. (ASV, CX, CF, 6, 1° allegato al fascicoletto su Marco Michiel) Tre mesi dopo venne concesso quanto richiesto. Due anni dopo, nel 1531, ulteriori testimonianze del valore di Marco Michiel si unirono ad una nuova supplica richiedente 16 Tale registro raccoglie le carte in fascicoli numerati per anno secondo il more veneto. La supplica inviata a nome di Marco Michiel e inserita nel fascicolo dell'anno 1529 alla data 23 settembre, quando venne concesso il salvacondotto alla terza votazione. 54 ACTA HISTRIAE • 24 • 2016 • 1 Andrew VIDALI: IL PATRIZIATO TRA VENDETTA, RITUALITÁ PROCESSUALE E AMMINISTRAZIONE ..., 43-62 un salvacondotto che durasse per il resto della vita del patrizio. Anche in questo caso i Capi del Consiglio di Dieci convocarono preventivamente Vincenzo e Andrea da Molin, a cui chiesero ancora conferma della pacificazione avvenuta: essi risposero positivamente (ASV, CX, CF, 7, 1° allegato al fascicoletto su Marco Michiel, nel fascicolo dell'anno 1531, inserito alla data 19 settembre, data della concessione del nuovo salvacondotto). Si concluse cosi la vicenda del proditorio eccesso di Marco Michiel. la veri la. El fo licenttato Pregad i a bore do e meza di nole, et li Savii si tolseno ¿oso di ineler la parle de (anjear ele. A di 18. La malina segui l'oribel caso ele., che credendo lo andar a San Marco justa il solilo, fui da quel Iradilor di Zuan Soranzo fo di sier Marco, con el qual ho lite z» anni 6 con lui, et e segurísimo di piü de ducali 100» et per resto di do sentenlie ducoti 47 pareva dovesse aver per conli vechii; el per farmi ollrazo, a San Cassan mi fece relenir, el audai a Sanio Marco da Zaneto Dándolo, licet tulle le senteutie erano suspese per sier Marchió Nadal auditor vecliio. líor el di drio uscii fuora, e quesla vendela non lasseró ad allri. Va Vicenta, fo letere di sier N icol o Paaqua-ligo podestá et capitanio, di eri. Come, havendo Fig.1: Diari, XXIII, col. 343. Il diarista racconta un episodio di cui fu protagonista. Come si evince dal testo, delle vecchie questioni di debiti irrisolti indussero Giovanni di Marco Soranzo a far arrestare Marin Sanudo. L 'imprigionamento di Marin Sanudo di per sé non avrebbe risolto la questione pendente: Giovanni Soranzo intendeva invece, e il diarista non ebbe dubbi a riguardo, macchiare l 'onore del suo debitore oltraggiandolo con questo gesto, infamandone la reputazione e colpendolo nello status. La manifes-tazione lampante dell'incapacita di estinguere un debito e l'incarcerazione avrebbero infatti arrecato vergogna al diarista e alla sua famiglia. Un danno che spinse il diarista a trascriverenei suoi Diaril'intenzione di vendicarsi. Tuttavia, nonostantel'annuncio, non ci sono altre prove che dimostrino che Marin Sanudo si sia effettivamente rivalso su di Giovanni Soranzo, quindi é plausibile che i dissidi siano stati ricomposti pacificamente. 55 ACTA HISTRIAE • 24 • 2016 • 1 Andrew VIDALI: IL PATRIZIATO TRA VENDETTA, RITUALITÁ PROCESSUALE E AMMINISTRAZIONE ..., 43-62 CARTA DELLA PACE OTTENUTA, IMPOSTA E IRRAGGIUNGIBILE L'ultimo argomento affrontato riguarda l'esistenza e l'interazione della charta pacis in seno all'amministrazione della giustizia veneziana. Il punto di partenza di quest'analisi e il processo intentato contro Domenico di Daniele Tron. Il giorno 3 gennaio 1524 m.v., in Quarantia Criminale, egli fu condannato per aver ferito Fantino di Vittorio Pisani e avergli mozzato il dito medio della mano destra. La pena scelta, molto simile a quella inflitta a Lorenzo Sanudo, fu quella di un anno di bando da Venezia e dal distretto e il versamento di cento ducati a Fantino, a pagamento di medici e medicine (ASV, AC, 3664, 261 r.-261 v.). Le analogie con il caso dei due fratelli Sanudo e del cugino Soranzo sono confermate dal fatto che, come si evince dai Diari, prima dello svolgimento del processo, era stata «fata pace insieme» (Diari, XXXVII, 401) tra le parentele. Con ogni probabilita, nei capitolari delle scritture difensive, se reperibili, avremmo trovato l'allegazione della charta pacis. L'attestazione dell'avvenuta riconciliazione e ancora una volta la ragione della mitezza della pena inflitta. In un episodio che implico alcuni patrizi di Ca' Nani ci sono indizi piu concreti della presenza della carta della pace e del suo valore a fini giudiziari17. Nel maggio 1514, mentre camminava in una calle a San Giovanni Nuovo, una grossa pietra cadde sulla testa di Vincenzo di Antonio Pisani, causandone la morte (Diari, XVIII, 186). I fratelli del defunto in seguito querelarono Giovanni Battista di Paolo Nani, accusandolo di aver gettato il masso «per caxon di zelosia di certe forestiere stava li apresso di la chiexia di San Zane Novo» (Diari, XVIII, 228). Venne formato percio il processo in Quarantia Criminale e anche Giacomo Nani, fratello di Giovanni Battista, fu convocato a difendersi dalla medesima accusa. Poiché Giovanni Battista si presento, mentre Giacomo preferi assentarsi, il primo venne assolto dalle accuse e il secondo condannato contumace (ASV, AC, 3662, 141 r.; 140 v.-141r.). Non ci interessa stabilire chi fu effettivamente il colpe-vole. E molto piu importante prendere in considerazione la supplica inviata dal padre, Paolo Nani, e letta nel Consiglio di Dieci circa un anno dopo, il giorno 16 maggio 1516. In questa richiesta il patrizio, dopo aver riassunto le vicende processuali che coinvolsero i suoi figli, prego umilmente che Giacomo venisse liberato dalla bando perpetuo a cui era stato condannato, in quanto quelli piatissimi et ver zentilho[meni] M[agnifi]co mis[sier] Antonio moresini, M[agnifi]co Vetor pisani cugnadi et altri parenti et fratelli del ditto defunto hanno come veri e catholici e christiani remosso ogni loro rancor e affanno e total[i]t[e]r perdonata ogni offesa imputatoli et publico instrumento facto e concessagli bona e vera pace. (ASV, CX, MR, 40, 74 r.-74v.) La vicende presa in analisi si risolse con la risposta positiva18 da parte del Consiglio di Dieci, dietro il versamento di trecento ducati, una cifra ben inferiore ai mille sborsati 17 Come gia affermato, a livello generale, in Bellabarba, 2001, 190-192. 18 Con diciassette voti a favore e otto a sfavore (ASV, CX, MR, 40, 74v.). 56 ACTA HISTRIAE • 24 • 2016 • 1 Andrew VIDALI: IL PATRIZIATO TRA VENDETTA, RITUALITÀ PROCESSUALE E AMMINISTRAZIONE ..., 43-62 da Antonio di Priuli, con ogni probabilità perché Giacomo Nani, a differenza dello stesso Antonio, ottenne la charta pacis dai parenti della vittima. Infine, l'ultima vicenda presa in considerazione ha come scenario iniziale l'isola di Candia, dove ebbe luogo uno scontro che coinvolse alcuni nobili di origine veneziana a da tempo insediatisi nell'isola19. Questo caso merita attenzione perché venne risolto all'in-terno dei tribunali della Dominante: in una supplica, Giorgio Dono descriva di aver ucciso per legittima difesa Giovanni Francesco Bon, il quale lo aveva attaccato senza apparente motivo mentre, insieme ad altri gentiluomini, cenavano nella casa del primo (ASV, CX, MF, 33, c. 208, 1° allegato r.; supplica ricevuta il giorno 17 maggio 1514). Fu perció bandito per omicidio puro e, durante gli anni più critici della Lega di Cambrai, partecipó alla difesa di Padova. Come ricompensa per i servigi chiese al Consiglio di Dieci d'essere assolto dal bando. La risposta che ricevette è significativa: sarebbe stato assolto havendo la carta de la pace da s[ier] nico bon fradello del q[uondam] s[ier] zuan francf: del che immediate scrisi a quatro mei fradelli di praticare tal pace. Et loro [...] con parenti amici religiosi homini hanno fato ogni experie[n]cia con el dito s[ier] nicf. (ASV, CX, MF, 33, c. 208, 1° allegato r.; supplica ricevuta il giorno 17 maggio 1514) Tuttavia, ogni sforzo si riveló vano: Nicoló Bon non intendeva riappacificarsi con Giorgio. Non solo, il primo si macchió di una colpa più grave, commettendo un omicidio premeditato mentre si trovava nella Dominante, per il quale fu convocato dagli avogadori e poi condannato. Giorgio denunciava perció come fosse impossibile per lui ottenere la pace da tale individuo e chiedeva che «sendo dito s[ier] nico renitente a p[er]donar, la mia absolutio[n] se intenda libera et sine aliq[uo] conditione pacis» (ASV, CX, MF, 33, c. 208, 1° allegato r.; supplica ricevuta il giorno 17 maggio 1514). Date le circostanze, il Consiglio di Dieci accolse la richiesta, concedendo un salvacondotto di cento anni (ASV, CX, MF, 33, 208 r.). CONCLUSIONI Le questioni emerse sono molteplici: la principale è di quella di aver restituito alla tematica della faida e delle vendetta uno spazio finora negato all'interno della realtà del patriziato veneziano. Tale ceto appare ora non più cosi diverso rispetto la nobiltà di Ter-raferma, con la quale condivide valori e pratiche socio - culturali che si declinano nelle forme di conflittualità sopra presentate. Tuttavia, come si è visto, queste contengono al proprio interno le soluzioni per raggiungere la pacificazione tra le parti. L'amministrazio-ne della giustizia veneziana ha posto in evidenza l'influenza che queste forme, consue-tudinarie, di risoluzione dei conflitti esercitarono nei confronti delle procedure formali e dotte. Un risultato che quindi avvalora quanto già espresso in sede storiografica: non c'è 19 Per un'introduzione sui rapporti non solo giuridici, ma anche politici, sociali ed economici tra Venezia e l'isola di Creta si rinvia a Ortalli, 1997. 57 ACTA HISTRIAE • 24 • 2016 • 1 Andrew VIDALI: IL PATRIZIATO TRA VENDETTA, RITUALITÁ PROCESSUALE E AMMINISTRAZIONE ..., 43-62 contrapposizione, bensi commistione tra i due livelli (Povolo, 2015). Un'altra osservazio-ne riguarda il grado di contenimento e la gestione della conflittualitá patrizia: il ruolo di protagonista e interpretato dalla Quarantia Crimínale. La sua ritualitá processuale, in linea con quella generalmente adottata nel resto della penisola dal Basso Medioevo, si presta al confronto tra le parti e concede il necessario spazio d'azione alla difesa. Il risultato e quello di favorire la ricomposizione attraverso l'inflizione di pene, come quella del bando, finalizzate a quest'obiettivo. Anche se generalmente era il Consiglio di Dieci a ratificare l'avvenuta ricomposizione, ad esempio mediante le suppliche inviate per richiedere la remissione della pena, quest'ultimo organo non poteva concedere alle parti, in sede giudiziaria, la stessa facoltá d'iniziativa della Quarantia. Quest'impossibilitá si radicava in quel peculiare rito processuale che lo con-traddistingueva e che prevedeva una procedura segreta, rapida e senza avvocati (Cozzi, 1982, 102-103). Conseguentemente, il Consiglio di Dieci interveniva attivamente all'in-terno dei meccanismi della vendetta e della faida solo quando l'aggressivitá superava i limiti della tolleranza. Un confine non basato tanto sulla violenza di per sé - ferimenti, assalti e omicidi erano generalmente discussi in Quarantia - quanto sulle modalitá con cui questa prendeva forma. Una situazione che si sarebbe modificata indelebilmente quando, nel 1571, lo stesso Consiglio di Dieci avrebbe avocato a sé la giurisdizione su qualunque fatto di sangue coinvolgente un patrizio veneziano, sia come offeso che offensore (Cozzi, 1982, 168-169). Una misura che, per il momento possiamo solo ipotizzare, avrebbe com-portato profonde conseguenze nella gestione della faida e della vendetta patrizia. 58 ACTA HISTRIAE • 24 • 2016 • 1 Andrew VIDALI: IL PATRIZIATO TRA VENDETTA, RITUALITA PROCESSUALE E AMMINISTRAZIONE ..., 43-62 PLEMSTVO MED MAŠČEVANJEM, PROCESNIMI RITUALI IN PRAVOSODJEM V BENETKAH, NA ZAČETKU 16. STOLETJA Andrew VIDALI via Borgo Checchin, 16, Torre di Mosto, Venezia, Italija e-mail: andrew.vidali91@gmail.com POVZETEK Zgodovinopisje je dolgo obravnavalo beneško plemstvo kot unikum, ker naj razred plemičev ne bi bil odvisen od praks fajde in maščevanja, za razliko od prevladujočih družbeno-kulturnih norm tistega časa. Avtorji so to prepričanje podprli z več dokazi. V nasprotju s temi je namen pričujoče raziskave ovreči to stališče na podlagi analize nekaj primerov konfliktov med plemstvom iz začetka 16. stoletja, in sicer z obravnavo dnevnikov Marina Sanuda in sodnih virov mestnih advokatov (Avogaria di Comunj ter Sveta desetih (Consiglio di Dieci/ Rezultati kažejo, da se je tudi beneško plemstvo ravnalo po načelu časti in maščevanja. Poleg tega je širši pristop, ki analizira odnos med konfliktom, procesnim ritualom in pravosodjem, omogočil preveriti prepletanje običajnih praks z reševanjem konfliktov, v skladu s tem kar je že bilo ugotovljeno za družbe, katerih pravosodni sistem je bil utemeljen na običajnem pravu, ki v Beneški republiki ni bilo prisotno. Ta pristop je osvetlil tudi vlogo protagonista Quarantie Criminale, organa, ki je zaradi svojih procesnih ritualov uspešno reševal plemiške fajde, medtem ko je Svet desetih posredoval na zahtevo strank z ratifikacijo uspešne sprave. V primeru, da do slednje ni prišlo, je za njegovo dosego poskrbel Svet desetih, kar je jasen dokaz ambicij takratnega pravosodja. Ključne besede: Benetke, plemstvo, maščevanje, 16. stoletje, procesni rituali, pravosodje 59 ACTA HISTRIAE • 24 • 2016 • 1 Andrew VIDALI: IL PATRIZIATO TRA VENDETTA, RITUALITÄ PROCESSUALE E AMMINISTRAZIONE ..., 43-62 FONTI E BIBLIOGRAFIA ASV, AC - Archivio di Stato di Venezia (ASV), Avogaria di Comun (AC). ASV, CX, MR - ASV, Consiglio di Dieci, Deliberazioni (CX), Miste, Registri (MR). ASV, CX, CF - ASV, CX, Criminali, Filze (CF). ASV, CX, CR - ASV, CX, Criminali, Registri (CR). ASV, CX, MF - ASV, CX, Miste, Filze (MF). Diari - I diari di Marino Sanudo. Fulin, R. et al. (eds.). Venezia, Visentini, 1879-1903. Aladjem, T. K. (2008): The Culture of Vengeance and the Fate of American Justice. Cambridge, Cambridge University Press. Arico, A. C. (2009): Marin Sanudo il Giovane: le opere e lo stile. Studi Veneziani, 55, Pisa, Roma, 351-390. Beattie, J. 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