■ . «6 iW S Floriani Cabasfii S ^ ISt 3 Carpen. 17^ B ■JG» / LETTERE DEL MVTIO IV STINOJPOLITANO. Diuifc in quattro libri, de' quali il quarto vien nuouamente publicato. Dedicate al Signor Lodovico Capponi. CON LICENZIA DE’ SVPE RI ORI. IN FIRENZE, Nella Stamperia di Bartolommeo Sermartelli. M D L XX X X. k !P >. n * - , i. 0'. ■non o ni ' : - ir o : 'I n c :: ri: ■:v oc j D R 76 H / 10VÒ0Z97. 7 *H T .T ^ tCL .. mmr 'T r, *vr " ‘y y v' -C 1 , A L MOLTO 1LLVSTRE SIG- IL Sia LODOVICO C A P P O N I. OI che il Signor Mutio di F. M. quafi prefàgo della Morte iua haueua poco innanzi all’vltima infermità fatta la lettera dedicatoria al Libro delle lue lettere, con indirizzarle a V. S. la quale egli amò tanto, che niun’altro fu mai da lui ne amato, ne riamato altrettanto, eflendo viuuto nel cuor di V. S. coli caramente, 6c mortole in Caia, & fi può dire in braccio, Io che fono tenuto alPoflèruanza di que (lo ilio concetto per l’affetto,&riuerenzaporta- * j tale tale mentre era in vita ; Se per la molta feru itu-, che tengo con V.S. volentieri ho prefo carico di effettuare in quella parte l'vltima iua volontà, procurando che le dette lettere racquiftino vita in cotefta nobiliisima Patri a, oue egli finì la futa. Et quello ho fatto come prima per alcune mie occupationi mi é fiato conceduto^ bene non co si toftojcome la memoria di lui, Se volontà di ho norar V. S pareua che richiedefìe. Accetti adun que amoreuolmente il dono del caro amico mor to conlèruandone con tal mezo viua lempre nel-l’animo firn la memoria, Se me riconofca per fedele, Se affettionato feruitore di ambeduoi. Et . con quello Je-bacio le mani, pregandole felicità * fecondo i molti meriti fìioi. Di Roma alli zz. di Luglio 1589. Di V. S. molto Illuftre Affettionatiìs. & Oblig.Seruitore Gio. Francefco Lacchi. „*jì cr .. i„:: - vCjl ì n :h c Dine • AL AL MOLTO MAGNIFICO SIG- IL SIGNOR LODOVICO CAPPONI. Hi evonimo Alutio Iufi in alitano. 'ANNO cinquantefimo oL tra 1500 dal nafcimento del noftroSaluatore andai a Venetia per dare alle Lampe di uerfe opere mie, hauendo Enarriti i Tuoi piccioli figliuoli, andana di loro cercando, & domandandone chiunque gli veniua veduto; Et domandata da alcuno còni5 follerò latti, rifipofie, E fono i piu belli vccelletti che vadano da torno. Legge di natura c quella Virtupfa Madonna, che ciafcuno ami la Tua generatione. Non voglio già dire, che quelle mie figliuole ne fiano,nè à me fiembrino eller piu belle , che altre che fi veggano : che pur tanto di gradami ha fatto Dio,che a gli occhi del mio intelletto ha egli piu lu me donato,che non ha fatto à quelli della Ciuetta ; ma non pollo perciò negare, che non mi piacciano, & che non mi piacciano perauuentura piu di quello, che a men palli oliato giudicio douerebbono piacere. Ma chi è colui,che non fi abbagli nel giudicio di le Ile fio, & delle cole lue ? Quello è vn errore, nel quale & huomini, & donne generalmente inciampano : colui in darli à vedere di eller tra gli altri il piu letterato. Quegli in prefu mere di eller fióu ra gli altri prode di Tua perfona. Vno nel fonare,vno altro nel cantare. Et coligli altri di mano in mano. Et fi come gli huomini per li loro diuerfi fiudii in diuerfie maniere fi ingannano, coli le donne comunalmente in vna fi trouano edere abbagliate : Et quella è in credere di edere belle. Egli non ce nen ha niuna, per Inarata che ella fi fra,che coli bella non fi tenga, come DEL MVTIO LIB. I. ir come qualunque s’è la piu vaga,& la piu leggiadra della Tua contrada. Et quantunque Io ipecchio dimoftri loro in con trario , non vogliono che quello, che elle medefime fcor-gono, fia il vero : ne fopra le loro fattezze, ma fopra lo fpec eh io gittano il difetto : & dicono che non rende la figura na turale. Etdannofi à credere le fciocche, che gli altri creda' no il medefimo, come fe piu folle da dar fede alla teftimo-nianza delle loro lingue, chea quella de’proprii occhi di ciafeuno. Etfe io voglio dire quello,che io Tento di quella colà, io auuilo che fi come le brutte fi tengono e (Ter belle, le belle prefumano di effer belliffime : & ifilmo che poche,ò ninne fiano quelle, che in quella cofi fatta credenza non tra feorrano. Ma auuenga ch’io parli di tutte, non perciò mi è tolto di trarne fuori voi, che ogni regola patifee eccettio-ne : che io lo che non minore e la beltà dell’intelletto vo-ftro, che fi fia quella del corpo : ne dee la bellezza della voli ra parte immortale fàrfimen bella per compiacerfi nella forma corporale. Anzi da che io ho alquanto meglio pen-lato, non mi par che fi conuenga al bello ingegno voltro, donna elìendo voi, non volere eller donna,& vìcir dalla prò pria vollra natura. Et vi conforto io à volerui con le altre mettere in ballo prima che flarui fola da parte a guardarla fella. Fate pur come già fece quel valente huomo, il quale piouendo vn giorno quanto piu porca fi ritenne in cafa in-fin che quella pioua durò, hauendo ferma openione, che quella acqua hauelìe virtù di far diuenir pazzo qualunque perlona ella alleile tocco. Apprefio rellato di piouere,veden do egli il il popolo qual’andare, & qual venire tutti molli, non piaccia a Dio diffe, che io lolo fra tanti voglia eller fillio , & ad vno doglio andatofi, il quale era pieno di quella medefima acqua, che egli pur dianzi hauea fuggita, & che da gli embrici della fua cala cadendo in quello era Hata raccolta , dentro vi s’attufo. Cofi dico io, che voi infieme con le altre donne, & con gli huomini ancora, vi debbiare ben beneattufarenel pelago 4i vn cofi dilettatole errore. Et B 3 non 22 rD g l L TE"; L E T T E R E ;. non prendiate à noia dapoichc io ho' detto liberamente di pie, cheió mi ingà.nno nelle cóld mie,che io dicaanchor quello, cheto fento di-ivoi t Et ciq è che Con tu tto, che voi fiate tra io belle bella , pure alcuna volta vi perdete nel .piacere à voi medefu-na olirà il douere.' Ma io fcherzo perau-iicntura troppo acerbamente. Et voi hauete in mano da farne la vendetta : che potete dire,che à me fembra di hauer detto di;belle cofe in cucita lettera, & che pon fo quello, che mi habbia detto, compiacendomi troppo in' me mede-fimo . Et iorie cofi dicendo, bene vi apporrete. Et tórnan « do alle mie Egloghe, per ogni ragióne voi le mi douete man dare : che fe elle fono punto belle, io di difiderarle ne ho doppia cagione : Et quando elle fumo di altra tormaxiiicon-ueneuole cola è, che apprelfo donna cof bella, & cofi gentile dimorino cofe deformi, & meglio è, che elle fi tornino a\ fuo non piu di loro graziofo padre,che in luogo di icher-zi, & di piaceiiolez'/e via di rimprouerare alle belle donne le lor bellezze eli ere mciì belle, che i loro giudici! di quelle non fono. Ma che ? Biiogna pur dire alcuna volta alcuna colà, &i dire le menzogne non ifta bene. Vi bacio le mani. AL S. MINESTRO CENTÒREÒ, >hup! ohi 5 - - . .r ORA iipoilonbenconofcerglihuoini-jsk ni,quelli dicroiche fanno i fatti,e quelli che . M bllEl | dicono le parole. Quella quarefima pallata M m tutto Vercelli fonaua, che doueuate.veni- . p tó reA Roma. IlMimftro vaà Roma, egli va a Roma ll Mu tio vi era preferite, & vdiua quello chef diceua: vedeua fare ap premunenti di panni, di valigie, & di calmili, & non diceua di volere andare ne a Roma", ne in Romagna: ht fe pu r par, lana di alcun viaggio da douer fare, egli ragionami nonfo diedi Càpodilfria : quella dileguando egli' che folle la fuJt R oma j la fu a coite, & il fu o regno. Poi ìlMinifcro non jb venuto DEL M V T I O L I B. I. i? Venuto à Roma, fe forfè non c’è venuto in fogno, Et il Mu tio ci è venuto » Qual vorrem noi dire, che (tata fa di que-ita contrarietà la cagione ? Io non mi faprei che dire altro, fenon quello, che detto ho nel cominciar di quello mio (criuere. So bene io che da quel tempo in qua ilMutio e flato in Sai uzzo, in Piemonte, & in Monterrato, à Milano , à Pania, à Cremona, & à Mantoua. Taccio Bologna, Firenze, & le altre, che fono infui camino a chi viene a Roma . Anche il Miniftro e flato in fine in Halle, che vi fono da Vercelli delle giornate predò chevna. Ma torniamo à nenfare alquanto della cagione di quella fu a non venuta. Mi da quafi il cuore di douerla ritrouare. Dolce e lo amore della patria : E prouerbio è ; che chi Ha bene non fi muo-ua 5 Et dolce e la patria del Miniltro, & commoda, & abon-dante città : Et egli vi e bene agiato, che vuole egli andare con difàgio trauerlando campagne, & monti per dilungarli dalla patria fua ? Ma per andare a Roma l’huom non fi parte dalla patria, anzi vi va 5 che quella e patria comunc.Si, ma fe io dicellì di eflèr Romano, i Romani ne farebbono le rifarne perciò mi farebbono della loro congregatione in Cam pidoglio poltra che fe ben Roma e patria comune, i beni no vi fono comuni, & il Minillro ha i ftioi beni a Vercelli, & non a Roma. Ma vegniamo ancora ad alcuno particolare delle cofc al viuer neccdàrie. Se Roma ha buon pane,Vercelli non lo ha trillo : Et fe Roma bee bene, Vercelli bee al pari di quale altra città habbia Italia. Poi Vercelli ha pozzi di acque fre felli Ili me & ottime, la doue Reorna fe non fa ben bene purgare l’acqua torbididìma del Tenere, non ha donde inacquare il vino. E la dalle volte arrecano i vini fred di non che frefehi, & qui fe non fi fanno calar ne’pozzi, & quiui tenere dalla mattina alla fera,&dalla fera alla mattina, ficonuiene bergli tiepidi. [Etquelle carni ancora quelle auanzano, che fé qui ci fono le vaccine in perfettione , à Vercelli infino tra il popolo minuto non fi conofce carne piu grofla che di vitelli tolti dalle poppe delle madri. Et chi B 4 non 2+ delle lettere non là che i capponi Vercellefi tengono il primo nome ? Ne di failiaggine e minor copia à Vercelli che à Roma, ancor che ella ne fia abondantiffima. Hor che direm noi de frutti ì che fe Roma ne ha molti & buoni, altrettanti ne ha Vercel-li 5 pofcia al gufto cofi fono buoni quelli,come quefti : & ah lafalute.per lo piu quefci fono nocini, il clic di quelli non auuiene. Ne è da paflar con filentio quefta altra cofà, che del tutto è buoniflhno mercato à Vercelli,& à Roma e il contrario. Aggiungafi ancora a quefto,che l’aere di colà, e fàni filmo, quello peftilentiofo. Or fe noi cofi andremo difcorrendo, perauuentura potremo comprendere qual cagionehabbia la venuta delMiniftro à Roma ritardata. Vna altra cofi ancor ci refla,la qual fola può torfe non meno che tutte quelle.altre,delle quali s’è fitta mentione. V o-glianla noi dire, ò pur lafdare ? Deh dicianla pure. 11 Mi-mflro non faprebbe viuere lènza la dolciàrima conuerfatio-nc delle donne. Et à Vercelli,& per tutto il Piemonte è lecito a chi che ila ò pachino, ò tlranicro parlare con qualunque donna piu gli aggrada , andare a vederle alle caie loro , ldlo diuifir di ciò,che piu gli cape nello animo con eff e fole, accompagnarle perla città, & fuori a braccio a-braccio, Et in fu le teff e federe loro a lato. In Roma fe vuoi parlar con donne, ti è di meftiero andare a vifi tare alcuna lupa, la quale ò ti votala borfa , ò ti empie di altro che di fola fcab bia. Le matrone Romane vogliono hauer nome di caftif-fime, de di feuereffime, quafi come non iiano elle femmine come le altre. Et fi vede vna h auere il batticulo, Dio ti guar di da farle motto : ella è Romana, non ifcherzare. Or fi, fi, qpefa è ben la cagione,che ci ritiene il Miniftro, & che non lo iafeia venire in qua. Horaho io ben toccato il legno, lo ho coll non fo in che modo fatto quefto difeorfo del vo-Ero non effer venuto in qua,al quale ho da aggiunger, che quelle cole, le quali dette ho,ancorché elle con p erfone di-licate pollano valere alcuna cofà, non debbono perciò hauer tanca forza in voi, che vi tengano cofi rinchiufo tra con DEL M V T I O L I B. ! . z$ fini della patria, che non vi debbiamo Iaiciare pattar mai di qua da Setta. Infili chel lmomo può {ottenerlafatica, egli dee in fi fatta maniera difpenftrla vita fua, che poi quando egli è nella età di ri polare,non fi penta di hauer otioiamen-te Ipefo il tempo , il quale non può ritornare in dietro. Et férmamente frale altre humane operationi non in vltimo luogo di vtilità,&di piacere dee etter pofto lo andar dattor no vifitaydo diuertt luoghi. Et fe pur ne’viaggi fi fente alcun difàgio, il tattidio fene va, & la fodistàrtione dell'animo, & il diletto ne rimali perpetuo. Homero poeta Eccel lénciilìmo cópole due opere nobilifnme, & in vna di quelle fi prefe per iuggetto di celebrare Achille,& nell'altra Vlitté, colui dalle forze del corpo commendando,& coftui da quel le dell’animo. Et nel proporre di douer dir di Vlitté, con piu honorato titolo non lo feppe circolifcriuere, che chia-màdolo huomo il quale hatiea vedute le città,& i coftumidi molti huomini.volendoci quafi con quefto mezzo fignitìca re, che qLietta c la principal via da tar gli huomini prudenti. Di che voglio io dire a voi,che debbiate veniruene.Venitc, Venite, a Roma,& peniate di (penderci due, ò tre mefi. Il camino e di dieci giornate : attrauerferete la Lombardia, & la Tofcana 5 Vedrete Bologna & Firenze citta nobiiiflìme, potrete itamene qui alcun giorno a veder quette corti, & la grandezza della fedi i Apoftolica : non dico Roma, che Rollìi non lì vede in pochi mefi. Et nel ritorno volendo vederla Marca,& la Romagna,potrete far quel camino, & veder Ferrara, & Mantoua, & delle altre citta, fecondo clic piu & meno vi data l’animo di andar vagando. Et cottiti pochittìmo tempo ballerete veduta buona parte di Italia. Et hauendo voi già veduta Vincgia, non vi rimarra de’luo-o-hi piu notabili altro che Napoli, & Genomi : Et le Napoli vorrete vedere in quello tempo, di qui vi fi va in quattro o-iornate, & vi andremo inficine,che io non penio di douer tornare in Bombar dia, che non ardui infin la. Monttgnor d’Aumatta Ambafciador del Signor Duca voftro vi attende, ° & dicen- 36 DELLE LETTERE ì & dicendogli io che io vi vo fcriuere che debbiate venire, mi ha detto che io ve ne prieghi anche per parteTua, che appreflo ritornerete in fido con elio lui. Ma io non voglio fpender piu parole in perfuaderin, & pregami di vnacofà tale ; che fe altri haueffe fòrza di ritenerui dourefte pregar- lo,& pagarlo,che vi lafciafle venire. Mi vi raccomando, A M. OTHONELLO VIDA. O non (o quello, che io mi debba dire di quella mia nimica fortuna , che a tutti i mieidifegni va attrauerfmdo nucui impedimenti , acciò che cola alcuna non mi porta venir fatta fecondo i miei auuirt. Egli è già tanto & tanto tempo, che io mi fono diliberato d i venire alia patria, & di hoggi in domane furgono nuoue occafioni, per le quali mi par quafi di neceflìtà erter cofixetto ad interporre nuoui ter mini, fe io voglio che da tutte le parti fillio ne rimanga l’of fido mio. Hora dee erter partato vno anno che di Bologna fcriuendoui io penfaua aliantil’vfcita del preterito autunno di douere ert'ere con erto voi 5 ma quando io mi credeua di douerci venire tutto intero, non ce ne venne fe nonvna parte di me,& ciò fu il penfiero, Il quale Dritto per l'aure al fio defirfeconde. fc ne volò a gl’amati liti della patria,& a'dolcirtìmi amici j Et io me nandai à Milano. V da man manca, e’ tenne il camin dritto $ lo tratto a forza, f ei da amore fcorto : Egli in Hierufalem, f io in Egitto. Et ciò porto lo dire piu propriamente, che l’iffeflò autore delle medefimc rime, fe vero è che5! nome di Hierufalem prometta pace, & quello di Egitto affanni,chedefiderando iodi godermi alquanto della tranquillità della quietiffima noftra patria, mi è conuenuto mettermi in vn tempertofo pelago DEL M V T I O L I B. I. 27 pelago di traviagli. A Milano adunque ho io fatto il verno, & la primauera, & parte della Arate, 5< poi nuoui iailidi mi hannoi bai citrato a Roma, la doue venendo ho caualcato per Soli ardenti (fimi, & ci fono arriuato gli virimi giorni di Luglio al tempo che quello aere è peftilentiofiSmo : Et per giunta ho trouato il Papa, à cui io era venuto per ifporre alcune cofc, oppreiTo di infirmiti grauiflìiria 5 fi che la mia dimora lara per auuentura qui aliai piu lunga, che alla mia partita di Lombardia non hi il mio auuilo. Et fe bene la ragione torle vorrebbe chelo ilare vn tempo in Roma non mi doueife granare, non eflendoci altra volta maritato, pur non la veggo io con quella affettione, che alla fila grandezza fi con.uerrebbe, non ci elìendo venuto con la inclinatione dell'animo mio. Oltre che non ci ho trouato alcuno de no Ceri, come hauerei tatto, fe ad altro tempo ci fóffi venuto-, Voi ve ne andaite abhorrendo la miferia di qlicite corti. M Hannibale non potè foitenerla grauezza di qiieito cielo, Il Protonota rio Vergerlo felle andò Nunzio Apo-itolico al Re de’Romani : M. Aurelio tuo fratello te ne mori : & prima era morto Antonio mio fratello , Et quanto io perdei in Antonio, tato in M. Aurelio poiflatn diredi haiier perduto tutti. Mio fratello di età di venticinque anni iat-to.fcome iapete) caiteilano di Bencucnto.non contentò di quel luogo tornato a Roma per hauerne il gouerno, da in-uidioia morte ci fu tolto.Et M. Aurelio nel bore della fua virile età, & nel principio del corfo della fua grandezza, quan do egli cominciauaa diftribuir le mitre fra tuoi, finì la vita. Mi come pa-fiafte la morte fua non credo che voi lo hab-biate ancora intelo: Et percioche a me è Acato per buona via fitto fapcre,voglio darne notizia ancora a voi,accioche non fólàmente della morte fua vi habbiate a dolere, ma ancora della qualità di quella, conuenendofi a! danno, che in perdendo lui fu riceimto: da noi, che mai non fi me tra fine a tal dolore. Voi conofcefte il Sanga, & fapete la amicizia, che era fra M. Aurelio,,. &lui.l 1 Sanga haueua vna femmina,alla. quale U4 2$ delle lettere quale egli voleua tutto il fuo bene : & per amor di colei egli viueua dalla propria madre feparato, di che quella buona donna ne fentiua ineltimabile dolore : & hauea ella percolante che quella giouene hauefie con malie recato il figliuolo a cofi feruentementeamarla. Ne potendo lungamen te quella cofafopportare, fi deliberò di voler tor la vita a lei,che le foglietta il figliuolo. Et del tutto con lei infìngen. dofi, & tutta amoreuole a lei dimoftrandofi, vn dì dopo de finare Ipiato che il figliuolo non vi folle, lotto lpetie di vili* tatione ( fecondo che ella alcuna volta era vlàta di fare ) andò alci, &portolle da fare vna inlàlatuzzalapiu bella, che fi potefìe vedere : Hauendola la giouine veduta, & elfendo-le piaciuta aliai, la vecchia le dille, figliuola mia io la ho colta con le mie mani,& portatalati accioche tu te ne merendi. Et la giovane dille, che fatto l’baurebbe di voglia. La vecchia quiui poco dimoratali fe ne andò, Et la giovane Lenza dappoi mettervi molto indugio fi diede ad accodare quella fua infilata. Eteccoapenadifpoflelecolè per quella infelice merenda,fopragiungere il Sanga, & il Vergerlo, & tro-uato quello appreftamentoje cominciarono ridendo a dire. A quello modo ? voi vi creda nate farla fenza noi ? Ma ella non vi andrà fatta quella volta, anche noi ci vogliamola parte noftra di quella cofi bella infilata : & cofi fcherzando & motteggiando con colei, infieme con lei cominciarono a mangiai e la infilata piu bella che buona. ne di quella altro ne rimale che vn pocolin di aceto, nel quale vn ragazzo in-tilde del pane. Et la infilata che prima dalla vecchia era fiata lalata di altro che di file acconcio coloro in maniera, che in pochiffimi giorni, il Vergerlo, il Sanga, la giouane, & il ragazzo fenza intenderti quale folle il loro male fe ne morirono . Hor con quelle amare rammemorationi qui folo trovandomi, qual conlolation debbo poter lentire nelle ro uine di quella città, degne anche elle di tanta compadrone, quanta ti può da quelle comprenderebbe ella già trionfante metteffe ne i cuori altrui inuidia, & ammiratione. Ma DEL M V T I O L I B. I. 29 Ma & quedo medefuno a puntò è quello, che piu che al-* tra cola mi con (ola : che (e le nobililThne Città , oC (e i Regni, & gli Imperii hanno anche ellì il loro fine non è di che ci habluamo a dolere mancando quelli corpi nodn,de quali niuna cofa piu propriamente fi può dire, fé non che frano mortali. Altro non ho che dirui. ho voluto con que fta lettera mandami nouella di me,&mi raccomando a voi, A M. GIO V ANBATIST A A N G H I A R I. ONO già paflati tanti giorni, che noi riueduti non ci fumo , che fe la domefti-chezza nolirà del pailato verno folle (lata delle volgari , ageuolmente il tempo ci haucrebbe po tato leuar dell’animo a cia-feuno di noi la memoria dell'altro, non ef (endofi ella mafiìmamente rinfrefeata in quello mezzo di tépo con alcune lettere; Ma ella fu tale clic ( la Dio merce ) io ho (peranza che dileguar non fi debba co fi di leggieri ; il che ancora accioche non auuenga, ottimamente mi pare doti ere a (Ter (atto, che col mezzo della penna alcuna volta ragioniamo inficine. Et io al prefente vi voglio contare, come ancora in alcuna mia infelicità io habbia hauuto ricordanza di voi. Io venni quella (late a Roma, doue per la grauezza del cielo non durai molto, che io infermai ; Et in vn tempo medefuno con meco ammalò il Rof fo. Nella infermità mi feruirono alcune buone (emine della cafa ; doue io era alloggiato. Et di quei giorni hauea io tolto per feruigio de’caualli vn giouane detto Difiderio, del paefe di Lorena. Poi e flendo leuato di letto,& illRolìo pur tardando à guarire,codili mi feriiì ancora forfè vn mefe alla perdona : Etferuimmi egli di maniera,che non pafsò mai vn giorno, che non mi delie molti dime volte cagione di ricordarmi del Vcfcouo da voitanto nominato, & benedetto, il 3t> DELL E L ETTE RE quale lietamente afpettaua la morte, da che ella trarre net doueua delle mani ae’feruidori. I modi adunque tenuti d* coftui nel féruire ho penlato io di fcriuerui in parte. In par te dico, percioche à volergli ridir tutti, farebbe Arato biib» gno di hauergli raccolti in vn regiftro nel tempo, che egli era con me. Et nel vero fé ne farebbe fatto vii gran volume. Ma da vna particella, che ho pur ritenuta nella memoria, po treteaflai ben fare argomento delfuo valore. Egli primieramente per cominciar da quefto capo, la mattina innan zi che andati "e a ftregghiarc i caualli fi lauaua le mani,& il vi-fo, & apprcllo come a quelli haucua dato ordine,cofi (uccido, & {porco, lènza altramente ncttarfi veniua ad aiutarmi a veftire. Se veramente prima veniua alla camera, che fiiflc andato alla Italia, non fi lauaua fé prima nonhauea finito di (bruirmi. Et (e efiendo io ancora nel letto gli diceria che nettafìe i miei panni, egli incominciaua dalla berretta, o dal cappello. Alle (carpe non ballerebbe egli mai leuato il fango, fe non dalla parte dinanzi, non prendendo penderò di quello,che penfiua che io non doueflì vedere. Come io era vfcito di letto cofi incontanente prendeua in manol'afciu-gatoio, & fenza di altro feruirmi alpettaua come in atto di cirimonia, che io mi haueffi a lauare. Ne era meno acco-ftumato in ifpogliarmi la (era, percioche fuo coftume era diportare il candelliere in guifa ,4che egli teneua nel pugno la piu alta parte di quello,& la piu balìa della candela, & come Io hauea pofto giufo, mi metteua addofìò quelle mani vnte, & puzzolenti : & hauendolo io (gridato,«Se dettogli clic nella fua mal’hora non mi toccafl'e con quelle mani cofi lorde , la fera feguente alpettò che io cominciarsi ad ifpogliarmi, & viAo che io hauea gettato il fazzoletto fopra la tauola,incon tanente quello fi prefe, & con efiò fi nettò le mani. Che vi pare di quefio cameriere ; non è egli (accente ? Se trouar nc volete di piu gentili, andate a cercarne apprefiò i Re, & ap-preflò gli Imperadori. Ma prima che io mi parta di camera, io ho ancor da aggiungere alcune cofe notabili afiài. Eflò DEL 'MVTIO L I B. 1. mal volentieri la fpazzaua, pur te panni lini non bcneafciut ti, o cappa bagnata per pioua vi era ite fa, la fpazzaua all bora. Et poi che di panni lini ho fatto mentione mi torna a mente, che vifitando io vn giorno le cofe per camera,trottai infìeme auuiluppati miei & tuoi panni netti,& {porcili, di lino, Sedi lana, di doflo, di gambe, & di piedi, che non piu confuto pento io che douefle edere l’antico chaos. Poi ha-uendo io tatto ogni cota feparare & riporre al luogo fuo,mi vennero veduti in vn canto in terra fproni infangati, & dilli a lui, che quindi gli douefle leuare : & egli non cofi tofto gli hebbe tolti in mano, che gli hehbe ri podi tra le mie cami-teie bianche. Voi crederrete che io vada torte colorando le cofe ; maio chiamo in teflimonio Dio, che quanto vi ho detto, & quanto vi dirò in quella materia, è flato tutte cote vere. Mora vfeiamo homai alquanto di cala. Se io andana fuorfa piedi, egli mi fi metterla a paro , & il piu delle volte voleua il luogo tra me, & il muro. Se io mi metteua a federe, & egli ne faceua altrettanto. Se io caualcaua volendo andare in luogo alcuno , del quale io non hauefll hauuta altra contezza,che del nome, ne domandaua a luffe vi fapeua andare, & fe rifpondeua di fi, io gli diceria che fi mettefle in. nanzi, 3c andafle a quella volta. Égli prenderla il camino, & fenza pentàr piu oltre mi guidarla là , doue i piedi nel mena-uano. Poi fe io gli diceria è quefta buona via, ò guarda che non talli la drada, ò cofe Amili : mi domandaua doue io volerla andare 5 Et volta fu che egli era già vfeito del buon camino , & che ci bifognò tornare a dietro. Mandandolo poi in alcun luogo, detto che io gli hauea vattene ( come tareb be à dire) in banchi,egli non attendeua piu altra commidio ne, ma di predente s’auuiaua : & chi richiamato non l’hauef-fè fe ne farebbe andato come vno vccello accecato. Appref to mandato da me a far che che fìa, no mai riportaua ritpoda di quello, che egli fatto fi hauefie.Io gli comandaua tal’hora ehe tacefle alcun feruigio, quindi il domandaua come per cfempio , hai tu data la biada a’caualli, & egli mi rifponde- jz delle lettere ua, Io vo a comperar della infoiata . Ne fu vna fòla volta quella, che domandandolo iodi due cofe, fe edi vna nc ha-uefl’e fatta, ò quale egli fatta hauefle, mi rifpole, Mefler fi. Pofcia nello fpendere egli era il piu fciocco huomo,che inai fi vedcfle:& tempre portaua a cala di quel piu reo, cheli vendeua alla piazza, ne mai rendeua nc ragione dello fpefo, ne il danaio che gli auanzaua, chi non gliene domandaua. Ma non vi increfca, che vegnamo anche alla tauola.il coftu-me fuo era di portar prima le viuande, che hanno da venir dalla cucina, & poi arrecaua il pane. Vero è che la fera Eviti-: mo luogo ferbaua alla infilata. Mentre che io mangiaua fi mctteua à federe in capo di tauola : Et fe mi portaua vn cuc-chiaro, veniua fregandolofi tra le mani. Se io alcuna cofi gli daua à ferbar per mefeome fi la) la mattina per la fera, ò la fera per la mattina, egli fempre ne voleua prima la fua parte : & la parte fua era molte volte il tutto: Età lui non farebbe paruto mangiare,fe dei mio touagliolino no fi fufle fcruito a nettarfi le mani, & il mufo. Ma che dirò, che fi vantaua di clìer buon cuoco ? Poi hauendogli ordinato, che mi iaccflc vna fera infalata di cipolle cotte,me le portò dauanti piu cru de che cotte : Et hauendo da cuocere oua in butiro, venne a domandar da me quanto butiro vi bifognaua. Horfegui-tiamo ancora a dir alcuna altra cola bella 5 chiamandomi la fera a cena, daua vna voce, ne farebbe venuto egli a pigliar, il lume, ne a chiuder la camera, ne ad accompagnarmi. Vc-ro è, che in quella colà del lume egli era molto difcreto,che fé io andaua per cafi col lume in mano, ò fe io era a menfà, òleggeua, òfcritieUa, hauendoneegli bifogno,amelo to-glieua di mano, ò me’l leuaua dinanzi, & andaua à far i fitti fuoi, lafciando me al buio. Et piu di vna volta mi auuen-ne ancora, che eli endomi io coricato per dormire, & dandomi noia vna candela polla fopra vna tauola, che era dirim petto al letto, gli dilli, che ne la Ieuafle, & egli mi rifpofe, che prima volenafare altro. Poi fe egli haueua da fpegnerc candela, fiate ficuro che profumato la llanza. Et fc eli endo al fine DEL M V T I O L I B. I. » al fine peruenuta vna candela, ne hauea da riporre vna altra, verfàua Io doppino col lego didrutto in mezzo a fida, ò camera ouunque fi abbatteua. Ma percioche io ho di (opra detto, che toltolo haueua per li caualli, non vorrei perciò che voi auuifede, che egli meglio fi gouernafle in dalla che altroue. Se ci era da comperar fieno, ò biada, & da far ferrare non me ne facetia mai motto : ma bifbgnaua che io pen fedi quello, di che ci poterte erter medierò, Et come gli di-cea poi, c’c fieno, & egli mi rifpondeua bifogna comperarne, & cofi delle altre cofe. Se metteua in ordine vncaual-lo,vedeuate cignie, & fopraccignie auuiluppate, & hora la briglia poda coi barbazzale in bocca, &hor col morfò fuori: Ma badaua dirgli, metti il cauallo in ordine, ma mi conue-niua di mano in mano dire, pettinagli i crini,lauagli la coda, & cofi, & cofi delle altre cofe. Et haucrebbe egli ben potu to vedere fango, & poluere per tutti i fornimenti, che mai nettati non gh haurebbe, fe non gli forte dato ricordato. Et fe bene i caualli haueuano le felle,egli gli legaua alla mangiatoia lafciando le cauezze lunghe con pericolo non (blamente di romper le felle, ma di affocarle bedie. Et Dio volle vn giorno che io mi abbattei andare alla dalla in tempo, che fe non era predo à tagliar fune, io perdeua vn cauallo. Que-de cofe fono vna poca parte delle eccellenze di quel miodi-fiderabilDifiderio, il qual haueua poi queda virtù per giun ta ; che riprefo non mutaua mai viio. ne coduine. Et tanto mi badi di haueruihora feritto in quedo fuggetto, il qua le fe forfè vi parrà poco honoreuole, vi potrebbe anche ef* fere vtile rimedio a fàrui con alcuna pazienza comportare la dapocaggine di que’feruidori, che non faranno cofi da poco; come era cedui. Et m i vi raccomando. Di Roma. C AL AL SIGNOR MARCHESE DEL VASTO. - *5=6 jt Me ^ L tempo che voi flato lète da quelle par ti lontano Eccellentilìimo Signor mio mi è caduta nell’animo vna confideratione,& ^ 1'con mi è mcdefimaménte nato pen fiero di douerlaui comunicare. Et ciò c , che fra le molte conditioni detinor tali,noti fo fé maggi or fimiglianza di vna ad altra fì polla ritrouare,dj quella de gli innamorati, & di coloro,che leruono alcun Signore.Che primieraméte per cominciar da quello capo,Coft è feruitu quella di amore, come quella del le corti,& già è introdotto fra’cortefi (piriti, che de gli amati ti fi dice, che effi leruono le loro donne. Poi come alcuna fi lente accefo il cuore del piaceuol fuoco di alcuna rara bel lezza, ò fi è pollo a ferii ir valorofò Signóre, cofi incontanente iti lui fi delta vn difiderio di poter in alcun modo piacere à quella Donna, ò a quel Principe ,'a cui egli è diircnu-to {oggetto. Et appreiìb fecondo che cialcuno lerue ò vir-tuofa Donna, ò Magnanimo Signore, coti con òpere di ho nore ti fatica di acqui Ilare la grazia di lei, ò di lui, quale ar-mcggi^mdo, quale vlàndo cortei!e, quale con leggiadri com ponimenti, & quale in altra gitila, fecondo che di ogniuno fono varii, & diu erti gli lludii, & gli etercizii. Poficia nello adoperare le loro virtù i cortigiani di amore, & quegli de gli altri Signori ninna coft piu ditiderano, che di ha iter '{portato ri , & alcoltatori le loro donne & i Principi loro ; & lenza la loro prelenza ogni frequentiilìmo Theatro par loro vn luogo defèrto, & lolitario : &ogni deferto, & lolitario luo go co la loro fola prelenza è loro piu pieno di ogni frequen tiltimo Theatro. Et fi come alPhonoratamcnte operare non hanno alcuno piu acuto llimolo de gli amati, & honorati .afpetti> cofi dall’altra parte non hanno altro oggetto, che dalle DEL MVTIO L I B. I. 35 dalle opere vili, & vergognofè ila loro di piu rattenimento. Non mi rimarrò di dire, che quanta e la confolation di colui , che fi fente amar donna frale altre lodata, & honorata, tanta eia contentezza di chi fi troua Cernire Principeoltra gli altri chiaro, & fàinofo. Et à quelle cofe fi aggiunga,che mnigliante e il dolor di colui, che vedelafua donna, &di quel che vede il fuo Signore, che con lieto occhio altrui rimirando , & benignamente a’ tuoi falliti rifondendo, à lui torce il capo, & ilchiia di guardarlo. Et quello, che detto ho del dolore ; dico ancor del piacere, che fi fente quando da quelli, ò da quelli fi coglie alcun gratiolo fàuore. Et per non dir tutto quello,che in quella materia fi potrebbe dire, Vengo ad vna volgare openione, che fi ha della maniera, la quat fi dee tenere in vna, St in altra qualità di vita & quella è, che con le Donne, & co’Signori fi voglia effere arditi, & prefontuofi. Quella cotale openione fi come ho detto,che ella è volgare, colTauuifb che ella Ila nata da huomini di vul go : Et può per auuentura ella elfere altrui profìtteuole, ma io fon ben lì curo, eh e coloro ne veramente amano,ne fince-rainente feruono. Conciofia cofa che non elfendo amore altro che difideno di quella luce, che dal fem pi terno Sole della diuinirà rif lende in quelle balìe cole ; Et non elìendo i Principi altro, che luogotenenti di Dio nel gouerno di que fio fuo regno terrellre,non veggo perche non piu tollo con humiltà,& con riuerenza, che con ardire,& con prefonzio-ne nell’vna, & nell’altra feruitù procedere fi conuenga. Et hfeiando il dir de gli altri, lo & in quella, & in quella manie radi vita ho fempre Pentito neU’animo mio tale affettione, che ho {limato il douer mio edere non che di amare, & di feruire, ma di riuerire, & dirò cofi, di adorare le mie donne & i miei Signori, intanto che in vna & in altra fpezie di fer-uitù, uiuna cola ho io fitto con piu malageuolezza, che il parlar loro di cofe, donde io habbia temuto di dar loro ah cuna noia. Et quante volte à fare alcuna tale opera forza di martiri mi ha condotto dinanzi al colpetto di quella,per cui C 2 fono 56 DELLE LETTERE fono flato feriio di amore, tante mi ho fentito (non fo co-me ) abbagliar l’animo, annodarmi!! la lingua : & morirmi in bocca le parole, la onde aff ai fouente ho tolto per vltimo rimedio di ricorrere alla penna, & col mezzo di quella ho gridato Con carta, rf con inchiostro Non fon mio no, s’io moro il danno e vafro, Et ciò che con le Donne mi ha fatto protiare amore, coTrin cipi mi ha fatto prouar la riuerenza. Et fe la riuerenza di altro Principe ha mai pollo freno allo ardirmi© , tanto maggiormente il mi ha pollo quella, che io porto a voi, quanto è piu riguardeuole la prefenza voflra di quella di altro Principe , che da me infino ad fiora fia flato conofcitito. Perche ancora chela benignità voflra ver me fia troppo piu grande , che ad alcun merito mio fi riehiegga, pur vorrei io anzi che per altra cagione, che per interefie mio apprefen-tarmi al voftro coietto. Et ftringendomi neceffità a douer-Io fare , à bello fludio ho ritardata la mia venuta, per fcrlo col mezzo di quella carta, & di quello inchioflro, i quali non fapendo ne arroffire, ne sbigottirfi, fono molto* piu atti di me ; & della lingua mia in vn fimigliante officio.. Ho io adunque Signor da dirui in fornirla,che a quello ordine, il qual da voi fi diede per me al partir voflro ver lo Gc. noua ne mancò l’effetto, & che gli ha buon tempo che io vino dello aiuto.de gli amici : di che fono debitor del paflato, & ho bifogno per l’auuenire. Et tanto balta à me di hauer detto fupplicando, che non mi habbiate per importunaci’/ poucrel digiuno Viene ad atto tal'hor, che in miglior f ato Hauria in altrui biafmato . Bacioni la mano à Phebo, & à Marte confécrata-Di Milano à X- di Marzo del X LI- 57 DEL MVTIO LIB. L A M. FEDELE FEDELI. E gli antichi huomini ricorreuano alcuna Volta alla Si bilia, ò ad Apolline per hall er delle loro rifpofte , ciò facemmo erti ne’loro cafi dubbiofi per alcuna cofa par ticolare, & di non leggiere interefi'e : Et voi per piacere altrui,& per follazzo man date à me in vna fiata tante quiftioni da ri {oluere, che afidi farebbe fiato fe la Sibilla,ò Apolline in quat tordici di vi hauefi'e rifpofto.Di che fono quafi per mandar-u'i à Cuma, ò a Delphi : hauendo martìmamente lafciato già gran tempo il trattar della materia di amore. Et pure hoVo luto che vi habbiateanzi da dolere del mio piu non fapere, che della mia poca amoreuolezza. Orperefierle propofte voftre tali, che ciafcuna di efie vii volume richiederebbe chi feri nere ne volefie quello, che dir fi potrebbe per Vvna parte, & per l’altra , io per fuggire la fouerchia lunghezza vi rifponderò non per via di dilputatione, ma di conclufione, le quiftioni proponendo,& à ciafcuna foggiungendo quello, che io ne fento. I. Jfttale e piu màlagcuole a fare, b fìnger di tinnire non amando, b amando nafeondere il fuo amorem . Aquefto rifpondo, che chi non ama può con molto minor fatica moftrare di amare, che il contrario far non fi può eonciofiacofa che Limonio, il quale non è da affetto alcuno Signoreggiato , può afidi meglio dar colore alle opere fue, che colui, il quale dallo impeto delle partioni viene trafpor-t-ato. Et efiendo amore partione impetuofirtima, importàbile è che chi à quella è fottopofto libero fene porta dimoftrare. II. Jfgal Donna e piti da amare b la bella di corpo non accorta , b la i . non bella, & accorta-». Qm dico io, che le cofe tanto piu fi debbono amare, & piu fi tiebbono heuer care. quanto è la loro nobiltà maggio C J 1C # .3 8 D. E L I H; LETTERE re. La accortezza è bellezza dell’animo, & è tanto piu nobile di quella del corpo, quanto e da meno il corpo, che l’animo . Et per tanto illimo io la accorta douere edere alla altra anteporla in amore 5 & ciò tanto maggiormente,che della accortezza in piu maniere adai fi gode) che della corporei bellezza; oltra che la beltà del corpo tollo latia, Se tofto inali ca, la do u e quella dell animo e Tempre nuoua, & Tempre fi fa maggiore. III. Amore può egli effere fenica, gelofiu.? In quello mi riloluò di nò 5 percioché dicendo lo Tcrittor dell’arte dell amare, che Amore è cofi piena di Jp attento ; -, Et dimollrandoci il gran Poeta Manto uà no ; che cola propria di amore è il temere ancora delle cole delire Et impof-libile edendo, che altro da deuro, che la perfóna amata hab bia a eder Tempre Tua, & col corpo,& con l’animo, à me pare impedìbile ancora, che amando non fi Tentano gli Itimeli della timorata geloda. Et à quello coniente Plutarco nei libro del profitto de’coflumi. Et il Boccaccio dicendo in vna ballata Tua; r : .r ri S'amor •vent(fefenztigelofi, moltra di hauer quella openione per ferma determinatione IIII. Jpuale è maggior for\a di amore, 0 il far i’huomo dtjauiopaz- ,0 di pazzo futi 0 ? Per riloluer quella domanda è da làpere, che Platone determina , che amore da alienation di ménte, & alienation di mente è mededmamente la pazzia. Di che è da concludere . che maggior miracolo da, che amor ritorni la mente altrui, che prillamelo, da che l’vna è cola propria di lui, & l’altra è fuor di Tua natura. Et ciò par che bene intendedelo lcrittor Certaldele, percioche egli non deride per cola ammirabile , che alcuno per amore,perdeife lo intelletto,ma di Cimone, che di infenlàto amando diuenne làido, come di cola mare u-igli olà ci là Tei ò egli vna belliilìma nouelia : V. Puìo morire alcuna perjona per. troppo amorem 5 DEL 'MVTIO Li B. L 39 Di quello io tengo cii snEt per lanciar da pai te Gii olamo, & la Salti citra,& coli loro Giachetto gènero del Con te d’An Pileria, ciò fi prona con lo argomento della hifloria di Seieu co,& di Antiocho,& di Stratonica : la quale per eiler diuul-. gata non la racconterò con piu parole. VI. 4W’è naturalmente piu cóftànte l'huomofo la donna ? A quetto rifponderò con piu clic con vna fola conclufio-ne. Et dico che Phuomo per eiìerc di corpo,& di animo piu robufro in ogni opera rione,naturalmente è di piu colla nza: & in amore per quella ragione médefima è piu perfeueran-te. La donna veramente come piu fragile1., ama con piu impeto di ardore 5 Poi amando è piu collante in non maculare f’amor fuo, che Phuomo non è, fi per amare ella piu affé trio natam ère, coni e ancora percioche in lei piu può il treno dello honore, che non può nelPhuomo il rattenimcnto della fermezza naturale - YII.Sarebbe eglimeglio,o peggio al mondo che non cifojje amorem ? Qui voglio che Platone ci rifponda. Egli diffluendo amore dice,che non è altro che difi derio di partorire in cola bel la: Et che eiìendo l’huomo di corpo,&di anima comporto, diftdera di partorir col corpo, & con l’anima ; & che i pa iti dell’anima fono le opere virtuofe , & quelli del corpo fono la generatione della humana fpecie. Or non ci eiìendo amo re, non ci tarebbono quelli di fiderii ; & quelli non ci eflen-do , non ci farebbono le creature. Concluda hor chi vuole fe farebbe meglio, ò peggio che non ci forte amore. V III. Si vorrebbefapere fe altri per famafìpoffa innamorarci . ' Sopra quella proporta rifpondendo primieramente dico, clic gli occhi,& le orecchie no lire fono come porte dell’anima per le quali raccogliendo ella quelle cofc, che cadono •lotto i Pentimenti,fa di quelle giudicio,le elle fumo ò buone, ò ree;ò belle,ò fozze.Et quelle che ella ha per buone, ò per belle naturalmente le aggradano, & le altre le difpiacciono. Et fi come ella le Pozze,& le ree abborrifee, coli di quelle altre entra in difiderio. Or fe per la porta de gli occhi amore . . „ C 4 entra 40 DELLE LETTERE entra nelle anime noftre, io non veggo per qual cagione dì quella delle orecchie gli debba elìer (errata la ftrada:anzi mi par che di neceifità fi a da confeflare, che vdendo altri ragionar di alcuna rara bellezza polla elìer preio del piacerdi quel la,& del difi derio di quella polla edere accedo ; il che altro non c, che innamorarfene. Ne è da credere, che i due coli gran madiri di amore,come furono il Petrarcha, & il Bocc. hauefierq in quefta fentcnza conlentito,fe e (fi per vera non la hauefiero giudicata. L’vno de'quali ci lafoiò le nouelle di Lo do uì co, & di Gerbino,- Et l’altro dille in vnalua canzone; Se non corne per fama huorn s’ innamora-). A quello fi aggiunga, che di Gianfirc Rudel, il quale fu Signor di Blaia,& tamofq dicitore in rima,fi legge,che egli per (ama fi innamorò della Contelìà di Tripoli : ,& quella lungamente amò,& celebrò Lenza haucria veduta. Et alla fine non potendo il gran difiderio piu comportare 'uso la vela, e'I remo In cercar la Ina morte. IX. Jfiale e maggiore incitamento à virtù, o l’amore, o l'honorem Per rifoluermi in quefta quiftion rifpondo, che a me non pare che gli antichi Romani hauefiero mai quefta dubitatio ne ; i quali (fe vero è quello, che altri ne ferine) lubricando tempii alla virtù, & allo honore gli lubricarono inficine,& fi fattamente congiunti, che in quello dello honore entrar no fi poteua,fe non per quello della virtù, dimoftrando che la vera via di perùenire allo honore è la virtù. Ne fio fe io mi debba dire,che quegli follerò edificati per due tempii,fo pur per vno,efìcndo la loia virtù il vero honor delfini omo.Non voglio tacer,che per elìer la virtù cofa per fe difiderabile,nó ha bifogno di altri incitamenti : & chi per altro, che per la propria eccellenza di lei la difidera,nó la conseguirà giamai. La onde non è da dire, che amore fia poilente incitamento alla virtù-, facendo egli che Ih uomo la difiden per altro fine che per lo folo godimento di lei. X. chifi'perfuade piti di leggieri di effer c amato l'huomo, o la donna ? Sopra D F L MVTTO L I B. I- 4^ Sopra quella domanda io non mi ali!curo A parlar di quei lo, che alcuno lenta nell’animo, ma per quanto ai inori li può vedere, mi par di poter dire che i piu de gli ì .uomini al lai piu leggiermente fi danno à credere di elici" amati, che le donne non tanno, che elle per lunga fcrui tinche venga loro latra, per molte cole,che loro fumo donate,& per molto el-ter celebrate,& magnificate,non perciò inoltrano di credere di elle re amate : anzi 1 prezzano coloro, che le feruono,& dicono, che ehi dicendo di amarle non dicono da douero, 3t che cofi fingono,&che ciò tanno per loro diporto, & delle altre cole tali : la dotte gli huomini molte volte per vna paro la detta petauuentura ad altro fine, ò per varilo torfe venuto à calo, entrano in fui farnetico della perfuafione di elle-re amati,&cianciano,& fi vantano, & dicono le inaratiiglie. Le quali cofe cofi itami, non fo come la perfuafione de gli huomini non debba effer reputata maggior di quella delle donne,& maggior la loro leggerezza. XI. Jhale c maggiorfègno ad vna donna di ejfcre amata altra la perfeueran%n~>. Qui rii pondo che le donne debbono hauer per fegno celti filmo di amore la gcloiìa. Et quale è di loro gelofo,iiano fi-cure che egli le ama,& che quale gelofia non lente, non fen-te puntura di amore. XII- Jd^ale è piu pojfntcpufdone l'amore, o l'odio. Sapendoti che molti per amore fi fono ammazzati, & fiati en do di lopra concitilo,che per louerchio amor li può mo rire ne fouuenendomi di hauer mai letto,ne fentito, clic alcuno per odio habbia in fe riuolto ferro, ne altramente fia morto, mi par di poter concludere,che la pallion dello amo re fia di gran lunga piu potente di quella dell'odio. XI II .Per arte magicaJlpuò egli piegar la durezza de gl animi altrui ? In quello gli lcrittori naturali tengono di fi 5 i Theologi Chriftiani credo dichino di nò. XIIII. Epopbite che vno auaro ami ? Quella può ellere Hata propolta di alcuna donna aliata, la 42 delle lettere la quale vorrebbe che gli amanti Tuoi foffero ben bene liberali 5 Et io à confolation fua rifpondo, che vno auaro può in minorarti, per efler molto piu poderolele forze di amore, che non fono quelle della auaritia in tutte quelle cofe, che egli conofceri potergli fare acquiilar la gratia della fua ama ta donna : intanto che non cheliberale, ma prodigo iftimo io che egli habbia à diuenire : percioche chi non ha mi fura nel ritenere, non la ha ne anche nel dare. Et fi come I’auaro non ha milura nello acquiflare.non la haura nello {pendere, lòlo che egli cominci à {pendere. Et per tanto coteifa madonna non dee per modo alcuno ricufir di lafciarfi amare dallo auaro, potendone trar ila vno forfè piu di vtilità, che ella non potrebbe da molti,che per coiteti fono conofciuti. Quello mi baili di hau em i fcritto co quella brciiità mag giore che a me è flato poti!bile, contuttoché tanta non ne habbia faputo v{are,che vna lunga lettera non ne firn riufeita. Hor per non ritardar piu lungamente i votiti piaceri, non vi dirò altro. Andateuene alle votire belle donne, che con quella ritoltitione di dubbii hauerete occatione di intrattenerti i buona pezza con effe loro.. Di Milano i XXV11I. di Ottobre del X LI. Riuedendo quella lettera mi è occorfo di aggiungenti due cofette 5 L’vna fopra la quifeione X L Et ciò è che le donne potrebbonohauere per gran fegno di amore, che loro fofle donato atiai. L altra è fopra la ritinta,della quale vi dico che debbiate domandare alle donne fe efle s’innamorano : Et di cencio elle di fidate cóclutione, che le perfone auare amano. AL MEDESIMO. OI vi crederete che io debba rifondere alla lettera voflra‘& rimarrete ingannato,percioche piu alla mia, che alla votila farò rifpoila : che il rifpondere àvoftriringratiamenti, & alle voflre offerte coti farebbe iouerchioin me, come l’hauerle fatte in voi.Et le ad alcuna donna è {lato di noia DEL MVTIO 1 IR- I- +»• di noia lo feriuer mio, non ho io da dirne altro, fe non che fe ella colpeuole non fi fendile,le parole mie non coli la pre merebbono : che altre volte ho io parlato di donne in generale^ prelènti delle donne vulorofe : le quali macchiate no fentendofi della colpa, di che io le donne biafimaua, con ridettoli motti paflàuano le mie parole. Quelle cole adunque da parte falciando, vi torno a dire, che alla lettera mia inten do di far rifpofta. Et notate come. Io dipendo quanto Ge nona fia adornata di belle, & leggiadre Madonne, & inten dendo che doue le donne fono tali,non è da credere, che fra gli huotnini non vi forno di nobilitimi intelletti, per dar ma teria ad alcuno bello Ipirito di dire alcuna colà bella contro la mia openione, milt in quella lettera cole, che implicaua-no contraditione. Che le egli vi ricorda, facendo la comparatione dell’honord> & dello amore qual folle maggiore incitamento a, virtù, io diceua che amore nonèpoifente ftimolo à quella, come quello, che non la difideraua per fe fola. Poi ragionando (opra la quiftione : Se folle meglio ò peggio che non ci folle amore, dilli come per codi propria di amore, che amando fi defidera di fare opere virtuofe. Le quali fono fentenze.chel’vna all'altra contradicono. Et per tanto dapoi che la mia openione è pallata per buona, non mi par di douer piu tenere la verità nafeòlfa; Et ad amo re intendo di rendere quella teftimonianza, che gli lì colimene. Doucte adunque fiperc, che à voler parlar dirittamente di amore è necellàrio di dirne inficine con Platone vna diftintione,la quale,raccogliendola in breuità, e quella : che due fono gli amori, l’vno è celelle, & l’altro volgare. 11 cclefte e quello,il quale s’è detto nell’altra lettera, che c diti— derio di partorire in colà bella. Et è egli medefimamente di-fiderio di immortalità. Che difiderando di perpetuar la ge neratione, & con l’animo di far le cole virtuofe, difidera, dirò codi,la immortalità del corpo, & dell’anima. 11 volgare ad altro non intende, che à terreftri, & carnali piaceri, ne col corqo,ne con lamino da quelli fi lena giamai. 11 primo amo- re adunque è gvandiffimo incitamento alla virtù.come quello,che e propriamente vn difiderio di quella. 11 fecondo non la difidera fe non in quanto col mezzo di quella egli fpera di douere i Tuoi appetiti confeguire . La onde fi può dir veramente, che non che egli nella grande incitamento, inache la difonori facendola miniftra di difoneftà. Et di quello do liete intender che Ila da me flato concilialo,che egli non fia (limolo alla virtù,& non del celefìeal quale è Temenza di lei, di cui il frutto è l’honore. Con la medefima diftinzione li ha ancor da riloluere la quiftione del far i’huomo di fillio pazzo, & di pazzo fàbio ,• che Pam or edefle con La alienatione fila di mente leua l’huomo foura di fé", & tutto 1 empie di di nino f pirico : Etl’amor volgare il tra e fu ori dello intelletto, & a bruti animali ilfàfimigliante... '.Et quanto quello lo-ura di noi ci inalza, tanto quello ci abballa,& di noi ci fa minori . Bora intendete che l’effetto di far lati io, & pazzo non è opera rii vn folo amore, ma di due 5 & eiìcndo quelle cole loro proprie, non è da dire che fiano miracoli. Può ben for fe parere colà piu marauigliofa quella, che opera l’amor diurno , che l’altra, per ellèr cofi rari i legnaci di lui, come infiniti fono quelli dello amor volgare. Del quale non voglio lafciar di dire, che io vidi già alcune rime di M. Nicolo Ama nio, nelle quali parlando della dipintura di Amore, diceua che fi dee dipingere in forma di pallore, per efiere non altro che pecore coloro,che à lui fono obedienti. Or che direb-bono le donne, fe elle quello intendelfero ? Et che direbbo-no elle chi dicelfe loro,che elle del primo amore non hanno contezza, ma che (blamente vanno apprelfo il volgare f Di quello,che elle tollero per dire non voglio bora fpendere'al tre parole : ma ben dirò di me,eh e io ho da ringratiare quel la madonna ; la quale ha fatto di me giudicio ,‘che io Ila degno di ogni cola honoreuole,ma non di amar donne, che fe elle vanno annouerate fra le pecore del pecoraro amore-, io non mi curo di effer della loro greggia. Vna cola voglio ag giungere, da clic mi è occorfo di far mentione dellu dipin- DEL M V TIO L I B. L 45 tura di Amore, che egli fi dipinge cieco : il che per openion mia all'amore volgare ottimamente fi conuiene ; ma del colette fi dee dire,che egli ha gli occhi piu che il Sole rifpleliti enti , eflendo con quelli atto à contemplare la (empiterna bellezza della diuinità, Et ciò mi baiti di hauer detto à voi in rifpofta, ò vogliami dire in dichiaratione della lettera mia, della quale ho voluto toccar queite cole principali, Voi hora con quella diitintione potrete accommodar le altre lo-lutioni à quale amore ciafcuna di elle fi appartenga, Et con quello vi dico à Dio » Di Milano à X. di Nouembre del X LI. A MONSIG. M. PIETROPAOLO VER CERIO VESCOVO DI CAPO-DI- STRIA* E APERTA quella lettera hauerete Monfignormio voltigli occhi à veder il luogo,& il tempo, ne’quali ella è Hata fcrit ta, vi iarà parure cola llraha di hauerui tro uatoNizza, ma hauetedafàpere, cheda poi che vltimamente vi fcriffi da Milano ; al mio Signor Marchefe è piaciuto di man darmi à Ilare predo al Signor Duca di Sauoia : Et quegli al prelente dimora in Nizza di Prouenza, detta cofi non per» che ella veramente fra in Prouenza ( ch’ella è in Italia di qua dal Varo ben tre miglia) ma per la vicinanza di quelpaele. Saluo fe non voleilìmo dire,che ella cofi fr chiamaflc, per effere (larada Protienzali edificata, trottandolifcritto, diedi Marfiglia vennero coloro, che la fondarono. Alla qual co-fa Nizzardi non conferirono -$ Anzi con Marfiglia vogliono-di antichità andare a paro,allegando la origine loro efier venuta da Troiani, & di gran tempo guanti che Troia folle disfatta. Aggiungendoui nondimeno, che elfendo poi quella città (lata rouinata,da quegli di Marfiglia ella fu riedifica» te* 4 o vogliamo dire la harmonia : Et la terza è nelle virtù. La prima con gli occhi j La feconda con le orecchie ; Et la terza con la mente fi comprende. Et coti mirando,afcoltando,St penfimdo della intera bellezza fi viene a godere. Ne fuori dell’animo, de due fentimenti, che ho detto, altra parte dell’huomo fi può dire, che di bellezza Tenta alcun godimento. Et per tanto ogni volta che altri penta di tirare quello difiderio ad altro oggetto, che di intendere, di vedere, & di vdire, dee efler ficuro, che quello non è vero amore 5 ne fi può dire, che egli ami,ne egli innamorato dirittamente fi può chiamare : anzi è quel tale affetto ad amore in tutto contrario ; che eden do amore ( come detto se difiderio di bellezza, & eflendo bella la virtù,&con Tegnentemente Tazze le cote à lei contrarie, & q 11 e’tali falfi amanti altro eh e cote vitio fa - & vergognofe non difuìcran-do cote contrarie ad amore vengono à dif derare. Et che vitiofi £< vergogno^ fiano gli appetiti di coloro, ch’efcono de termini', i quali il fono detti, è troppo piu chiaro, chefia meftiero di dirne molte parole; Non è adunque veramente amore quel tale affetto, ancora che il vulgo ignorante per amore l’appelli» Ette pur anche da fauii viene chiamato amore, lo chiamano amore volgare ; Et terreno amor viene egli ancor detto da loro , come quello, che a ninna cofa degna di htiomo ci la Tei a innalzar gli animi,anzi tanto negli ab baila, che ci conduce ad edere di vna medefuna natura con gli animali bruti : il che intefèro di fignificarci i Poeti veramente diurni fc ritto rii quali di Circe tauoleggiando,ch’ella n fiere, & in inoftri trasformadc co’ Tuoi incanti coloro , che 50 DELLE LETTERE che con lei fi dimorauano, altro non ci vollero dimoftrare, fe non che ella con lufinghc fuegli riteneua in lafciuia, & in vita ad animali rationali non conuenientc.Or quale ila il di-fiderio voftro ò di bellezza, ò di bruttura, fenza altro dirne Iafcicrò determinarlo a voi. Solamente dirò io,che fe il voftro non è vero amore, & fe egli è volgare, & terreno appetito , la fola conofcenza di ciò fenza altro da cotal difiderio vidouerrebberimuouerc incontanente. Et quefto aggina gerò, che fe il voftro fofle veramente amore, voi fenza alcuna pena fentire godereftedella amata bellezza, conciofia-cofà, che del godimento di quella alcuno non ne può efi'er priuato. Etilbramarcole, che cofi ad ogni noftra voglia non fi poiìono hauere, è quello, che mille noie,& mille paf fioni ci arreca. Et che il godimento della bellezza ad altrui non polla efler tolto, è cola troppo piu che manifefta. Che a tutte le hore noi polliamo vedere, vdire, & penfàre cole belle : & quando vdire, & vedere non le polliamo, fe noi in noi ftclii ci vorremo raccòrrò con la mente noftra vedere-mo ,■ vdiremo ; & intenderemo tanta beltà , che oggetto alcuno di fuori ne maggiore, ne pari non la ci potrà appre-fentare. Quieto, & pieno di molta pace è il d ih derio della bellezza, percioche egli cofa corporale non difidera ; il che di quell’altro non auuiene per eller egli tutto riuolto intorno alle cofe terrene, nelle quali non ha tranquillità , ne fermezza veruna. Et per tanto coloro, che I amor volgare di-pinfero, gli diedero le faevte, St il fuoco, per dimoìtrare le trafitte, & gli ardori delle fue paffioni : & le ale gli aggiun-fero,perifcoprirci cofi la incoftanzade’fuoi fcguac'ii &la volubilità de’lor penfieri. Che ad ogni nuouo accidente di vedere, ò di non vedere la perfona amata,ad ogni feuardo, ad ogni parola, ad ogni atto di lei, & il piu delle vòlte à cofe fatte a calo battono l’ale deloro penfieri; & bora godono, bora s’attriftano ; bora vogliono amare: borapenfanodi difàmare j bora fperano 5 bora fi mettono in difperatione $ bora entrano fui farnetico della gelofia : bora per amica tura DEL M V T I O L I B. I. fff tura quando piu douerebbono temere,} effi s affamano ; Et per ogni minima colà, che loro auuenga non fecondo 1 ani-» mo loro, vogliono morire ; quali come non fiano piu morti ftando in cotal guifà, che fe le anime loro del career terreno follerò liberate. Or fc de’cofi fatti auuenimenti à voi fia-no alcuna volta occorfi, ò ancora vi occorrano, vorrei io (aperto da voi contuttoché io fia vie piu che ficuro di ogni voftra mifèria, come colui che altre volte impaniato ellen-do flato in quel non meno peftilentiofò, che tenace vifeo, ne fono informato troppo piu, che io non ha urei hauuto medierò. Ma da quelle cole, che io allhora apparai mi afli-curo di poterne al prefente con voi liberamente parlare. Et dico, che fe inconftante vi fa quella paffionc, non mene marauiglio 5 conciofiacofi che ella vi dee hauer tornato ancora ad* elfer fanciullo ; che di quella età è propria la incon-ftanza, Scia volubilità. Et voi nell’animo voftro altro che cofe leggiere, vane, 8c puerili non douete trattare. Et fe nel la decrepita età , auando altri è piu fuor di fenno, per eftre-mo biadino fi fuol dire, che egli è rimbabito, quanto dee in crefcere a voi in quella,che è piu atta a configli, & alle opere honoreuoli, di trouarui efìer rifatto fanciullo ì Ricordini , ricordini quali foleuano edere i voftri penfieri, (k quali i voftri ragionamenti. Non mai fi vdiua dalla bocca voftra fenon parola notabile . Voi ragionauate delle molte cole da voi vedute, & fatte : recitauategli altrui memorabili efeni pii, diuifàuate delle maniere di conducere a fine delle honorate imprefè : ne di altro che di opere cauallerefche, & di goti erni di flati da voi fi fentiua ragionare. Hor que’ voftri belli difeorfi fono tramutati in fofpiri, & in parlar di lettere amorofe, di fiori, & di tauori,& in cantar rime. Et io vorrei che voi vna volta vna ne cantaftc da douero inficine col Petrarcha, &che dell’error voftrorauuedendoui dicefte. Laffo, che fon ? che fui ? Ma voi vi credete forfè che quelle cofe di fuori nó fi rifappiano. E t pur ricordar vi doeete,che quello amore è dipinto ancora ignudo, che ignude, & Scoperte 6d DELLE LETTERE perte fono tutte le operationi di tal i innamorati. Et anco? che e ili non iftimino che cofi fia, egli è pur cefi. Et fi come fe fi vedeffevno ignudo andare attorno ogniuno ne farebbe le rifa, non altramente fi fà di quelli poueri mefehini. Et io in quanto a voi hauerei molto caro, che potcfle in alcun voltro nimico vedere di quelle cole, che fi veggono in voi : che io fono certo, che non fàprefte difuìerarne vendet ta maggiore,fe non che egli in cotaì vita hauelìè à continua re. Ne perche voi non vediate, che altri vegga tali cofe in voi, douete perciò peniate, che non fi veggano, che voi ciò veder non potete, per edere amor cicco. E quello accidente a quella fua dipintura foprasd ogn’ahro a me pare, che fi conuenga, conciofiacola che gii amanti con tutti i fentimenti, è con tutta l’anima {lamio alla amata colà intenti, fuori di quella niente veggono, utente odono, niente intendono, fi che non follmente ciechi,ma Tordi ancora a me fembra,che non fenza ragione dipinger fi potreb-bono,quado anche i Tordi có pennello fi potdìero figurare. Ciechi de gli occhi del corpo , & di quelli della méte fono i miferi innamorati.E per Dio qual può eli er maggior cecità, ch’amar donna, la qual fi penti, che non polla llar contenta di vno amore? Quale è in cofi latta pei fona maggiore, la beltà? òla deformità ? Et di che c ella piu degna? òdi amore ? ò di odio ? Aggiungali che la qualità della donna è tale, chefenzaeuidente pericolo vna tale imprelanonfi può feguitare ? Et che pericolo ? non altro che deliavita, quando vn tale effetto fi vènifle à difeoprire Et quando pur la vita ne andaffe faina, quello per lo meno nefeguitereb be,che perpetua nimiftà vaierebbe tra la voftra, &ìe Tue famiglie.Et pare à voi che quella colamenti tanto pregio?per cófeguire vn brieue,& vano diletto no differente da quello, che fi polla auer da qualuque viliflìma femina metter la vita. Se Tonore, dirò cofi; in cópromefiò, con trauaglio di tutta la voftra pofrerità?0 tolga Dio dell’animo voftra vn cofi fatto penfiero. Et ciò dico io non tanto per quello, che detto s’è » quanto DEL M V T I O LI B. I. et quanto percioche ancora quado il tutto pad'ad'e lenza alcun romore,la cola è in (èaccompagnata da tanta difoneilà, che per minore gli huomini di infamia vegono ad elìer notati. Si che quedo iolo dee badar per aprir gli occhi dell’animo vo-Uro ad indirizzare i Tuoi péderi à piu (al li ti fero camino.Tor niui alla memoria la cófidenza,che'ha inoltrato di auer tutta quella cala in voi,E ricordini che nó potete venire al line de* Voltri difegni fenza corromper con doni damigelle;ò ferui-dori di quella famiglia.Or quale c quel flato,che nó vi paref fe vile douendolo co fi male arti acquiltare ? violado le leggi della Tanta amicitia?& maculando la purità della voltra fede? Voi per venire ad opera cofi biafimeuole vorrete inducere i feruidori ad edere traditori al Tuo Signore?!o nó credo, che fe penferete pure vn poco à quella parte.fiate per fermare vn minimo volito penfieruzzo in quefto appctitoiche eden do la’mprefa tale,che ne vtile,ne honore,ne vero piacere nó ve ne può feguitare,& danno,& difonore, è mille noie ve ne potrebbono ageuolmente riufcire,non fo perche piu lungamente intorno à quella vi debbiate trauagliare. Anzi douete voi rimuóueruene incontanente,li per ifchifare tanti perico li,& tante diloneflà, come ancora perleuarui difofpetto, che in voi da dato da douero vn tal penderò, che in quedo modo verrete à dimodrare,che quello,che tin qua adoperato hauetc, da dato piu per accommodarui comehuomodi corte al luogo, &al tempo, che perche nell’animo vodro fode alcuno cattino penfamento. La fede che hauete modrato di hauere in me, & l’amore di che mi late continua dimodratione,mi hanno modo a do uerui fcriuere quetie poche parole : le quali io vi prego che voi riceuer le debbiate da quell’animo,col quale io le vi man do. Et fe per auuentura nel primo gudo vi parranno amareni donerete ricordare, che lenza amaritudine non ci viene qua d mai faìutifera medicina. Et mi vi raccomando. Di Milano a' X V. di Gennaio del X L111. lifne delprimo Libro. DELLE DELLE LETTERE DEL MVTIO JVSTINQ POL1TANO. LIBRO SECONDO. Sfi AL SIGNOR MARCHESE DEL VASTO. G L I è veramente da dire Signore Eccellentiffimo , che i Prencipi, quelli dico , i quali fono Prencipi virtuofi, fi come fono fopra gli altri huomini efaltatfi cofi in tutte le maniere piu fiano à Dio vicini, & per confeguente piu partecipi de configli della diuinità. Quello di ------- co io,percioche in quella imprela di Nizza a me par che non humano, ma diuino fia flato il veltro configlio. Nella partita vollra di qui io confideraua di quanta perdita di tempo vi folle fiata cagione la difficoltà del danaio, & quanto quel tempo vernile in concio a’nimici in ripararli, & in prouederfi delle cofe necefiàrie, Vedeua la Prouenza fi vicina, che di la fi poteuano dall’vn giorno all’altro proueder di ogni loccorfo. Sapeua, che ae'fudditi del Duca ne fono di cofi nimicati, che fono anzi per perder la vita, che per tornar lotto la fu a Signoria, Era fi curo che 1 niinici di artiglieria ne haueuano infinita copia. Etvedeua quegli dière Signori del mare, & che voi per la qualità del camino non ne poteuate far conducer per terra : & per que Iti medefnni rifpetti non ifcorgeua donde potette hauer vet touaglie tcMdiFpemoUi^ioym7 Conofceujwprlm dejuefi. Africa riceuuto, Etvlmnamente mi perhiadeua io che la perdita di quel luogo to He anzi fiata per giudico di U i o> che per opera humana. Et intorno à quelle cole con la men te riuolo-cndomi, a me doleua infinitamente che voi prendere quel camino. Et ciò doleua à me, come à colui,il qua le con difeorfo humano mi gou emana. Ma poi che io veg go il vofiero eficre (tato configlio diuino : & che conofco il vèltro valore bu fi ageuole ogni malageuolezza. Et che quel la fu piu ammonitimi di Dio, che diihnitiua fentenza; Col cor leuando al cielo ambe le ™ani Rin°ratio la fu perna bontà che vi ilpirò guelfo buono fpi-rito 3i andare a quella fantiffima imprefa, dalla quale non {blamente ne è feguita la liberation di que’ poueri paefi, & la conferuatione in iltato deloro legittimi Signori,ma il beneficio ancora di tutta Italia,& il feruigio di tutti quelli,che veramente fono ferui di Icfu Chrilto. Or da cobi fidu tiferà operatione quanto di vera gloria fi aggiunga alle immortali laudi voltre io non ne dirò altro, fc non che fe altri fi riputò honoreuoluTimo il lu o tri orafo per hauerui portato, Io venni, vidi, & vinfi , io non lo come quello al titolo veltro fi polla agguagliare, che voi folamente mofio,& non ancor veduto col folo nome haue-tc vinte due nationi inficine vnite, & vincitrici. Ne fia lodato il Signore, dal quale vengono tutte le grafie. Mando-ui Signore 111 ultri ili mo vnn Egloga del fuggetto, che per quella intenderete. Et vi bacio, & ribacio con riuerenza le valorofifiìmemani. Di Milano à XVII. di Settembre del X L111. AL SIGNOR D VC A DI ferrandina; 1 (ermo Valorofo Signor mio non per altro, fe non per ifcufarmi con elio voi,fe alcuna volta non vi ferino . Io dopo la partita voftra ho continuamente hauuto in animo quello penficro,&pure flauo alpet tando la occalione di alcun fuggetto, col quale io potelfi piaceuolmcnte ricreare la nimovoftro nelle btichedi cotefti affari cammini; Etnetra-uagli, i quali fuole Marte apportare a'fuoi legnaci. Ma lòr (é noterete voi quello parlar mio per temerario,quafi come toltimi; che ritrouandoui col Principe de caualieri in honorate imprcle, voi di ricrea rione debbiate uccelli rii fen tire; o ancora che io mi tenga atto , quando voi bilegno ne hauefle, di potertiene porgere alcuna. Di che vi prego io, che voi il mio dir prendiate piu per tcltimonio di affé trione che di temerità :-che le bene io lo, che voi la militia eletta vi hauete per ricreatione, lo ctiandio, che colà alcuna non ci ha cofi diletteuole, della quale l’animo humano non deli deri alcuna volta relaffatione. Et fe bene io non fono atto ad vna opera tale, pur defideraua io, che vn tal fuggetto mi fi folle offerto dal quale vn co fi latto effetto fi lolle potuto Ipcrare. Et quello non mi efléndo infino ad hora oc-corfo , non fono voluto tardar piu lungamente di lare almeno la Icula del mio non ileriuere : il che facendo fili trouo far non lo come operation contraria alla mia intentione, che in ifculàndomi di non vi fcriuere vi fcriuo. Ma come che fia;&ifcriuendoui,& nò,douete eflcr fteuro, che io vi fono feruidore affettionatilfimo. Di Milano a’X VII. di Settembre del X L111 • del m v t i o lib. n. AL SIGNOR MARCHESE DEL VASTO. O rifpofi i paftati giorni al leggiadrifiìmo VO* ftro Sonetto,& rifpofi non per le parole me-defune, ma per le inedefune rime con parole dinerfè. Et quella maniera di fcriuere tenni io, percioche io trono, che da Dante, da M. Cino,da Guido Caualcanti,dal Petrarcha,5C . da tutti i piu antichi & migliori fcrittori coli fu vfito di fare. Et come che à noftri di fi metta in vfo di dar rifpofta per le parole i iteli e, pur da que’buoni noftri inaeftri fu tenuto altro modo, intanto che di loro fi leggono infino à tre o quattro Sonetti continuati di nfpofte, & di repliche tut ti fatti fotto le rime mede fune, & con altre parole. Etque-ftaviafi come ella fu da gli antichi vniueifdmente tenuta, cofi è ella ancora à tener piu malageuole : 5da malageuolez-za fua à me è ftata cagione di vial e vna dittione di Dante, & quella è ftata il verbo di grada, la quale ancora ché fia voce di buon fuono, pur da coloro, i quali fuor de'confini del Petr. non intendono di mettere il piede, potrebbe non edere rico-nofeiuta per cittadina di quefta lingua, ma non percio debbono incontanente darle il bando: chefe della autorità di Dante non fi contentano, la trouerranno ancor dal Boccaccio vfata nelle prole delle fue migliori fcritture. 11 rifponder per le parole veramente par che fia di minor fatica affai. che nelle Sedine replicarfi veggiamo & fei & dodici volte le dit-tioni propofte ne’primi fei verfi. Et fi è trouato chi ha fatto il Petr. di innamorato diuenire fpirituale,formando i cofnpo nimenti fopra Ievlrime parole di lui ; che à rifondergli in rima con altre voci non fò come fi potefiefare. Oltrache Dante già fece vna Canzone, à cui fanno le rime cinque paro le replicate per tutte le danze: la quale fèguitando io, mi ricorda già di hauerui dato vn mio Sonetto, il quale haueua E tutte 66 DELLE LETTERE tutte le fue rime di penne,&di pene. Or da poi che iofcome detto ho; in quella rifpofta per la via erta andai predo à gli antichi, ho voluto ancor per la piana mettermi fra moderni : htvi mando vno altro Sonetto fabricato (òpra il fondamento delle vltime parole del voftro. Et vi bacio le gloriofiiume mani, nipplicando che in quefta mia lontananza di corpo non mi vogliate tener lontano dal voftro animo. Di Milano a’ XXIII. di Settemb. del XLIII. A M. FRANCESCO CALVO. liete) penfò di non ne douere edere io lontano.Si che in ogni modo faremo inficine. Io mi godo aliai di quefta venuta ma in Italia, non tanto per quello affetto che hai’vno di veder l’altro amico, quanto per vna fperanza,la quale ò concepiita nell'animo, che egli fi habbia anche da fermar tra noi. Et ac-cioche voi meco ne polliate fentire confolatione, douete fa-pere che dal partir noftro di Vigeuano, infoi che fiamo arri nati qui al luogo delle faccende, il Signor Marchefè ha fem pre hauute le Mule in compagnia : & ha fatto infino a dodici Sonetti,& vna lettera di ben cento verfi in rime fciolte per rifpofta di vna mia:Et ha coftretto me à fare ogni giorno alcuna colà. In caualcando faceuamo come a gara : che egli,& io ci rimoueuamo dalla compagniaiEt comedo haueua fatto vn Sonetto, cofi andaua alla volta fu a a recitargliele : & il mede-fimo faceua egli con me facendomi chiamare. Poi come era-uamo giunti la fera allo alloggiamento,io fcriueua ciò che io haueacompofto il giorno, & gliele portaua: Et egli di fua mano fcriueua le cofe.fue, & ò me le mandaua,ò le mi daua, come DEL M V T I O L I B. IL <$7 come io andana à lui. Or vn giorno ira gli altri mi venne tatto yn Sonetto, il quale comincia 5 Aura che moni le veloci permea Verfo colei, che mone le miepenLA . Et cofi tu tti i verfi finifeono in penne & pene. Quello adunque ha uendogli io dato,&hauendo erto prima notata la forma della compofitione f egli era tolo & otiofo, & io era folo in camera con\w '\) mi di fi e,Tu dai le ale aVenti, 5t i dipintori gli dipingono, Se qui gonfiò le gote. Al che io rifpofi, che i di pintori non tanno molte volte che ti facciano , & che i Poeti gli diteriuono con le ale,& recitagli de' luoghi de’ Poeti antichi ; & gli raccontai la fiuola di Zcto, & di Calai figliuoli di Borea,& di Orithiia : & finalmente gli allegai ilSalmo.E volò (opra le penne de’venti. Delie quali cofe etìendo egli rimato fatis fatto a il ai, foggi unte, Tu dei hauere letto di molte cofea’ tuoi di.Et io a lui.Poco ho potuto io leggere, ò ftudiare, che infino da’primi anni mi è tempre conuenuto andare attorno guadagnandomi il pane fe ho voluto viti ere. Et egli, non Loda quale fpirito motto mi nipote ; Giulio Camillo dee hauer letto atfai ( Giulio Camillo non vide egli mai : ne di lui era accaduto far mentione ) Perche io gli ditti. Di Giulio Camillo potete ben dire , che egli habbia letto aitai : che non ha mai fatto altro che ftudiare, & ha tempre ha-uuto chi lo ha pagato,acciò ch’egli ftudii. Da q netto entrò il March e fe à parlar del tuo Theatro : & tra le molte cofe, che fra noi pattarono,mi difìe.Io non tono Re, ne porto donarle entrate delie migliaia de gli feudi : ma fe egli voletfe infegna-re à me tal lecretofio gli donerei vna entrata perpetua di trecento feudi. Et appretto mi domandò te io pentàua che Giulio Camillo hauetìe accettato quefto partito. Alla qual domanda io rii poti, Che già Giulio Camillo mi inoltrò vn pezzo di vna Apologia, la quale egli fcriueua difendendofi da co loro,che dannali ano il tuo Theatro,& pregaua il Re;che fof-fe contento,che egli lo man da (le in luce; perche fi patena,che fenza licenza del Re non lo hauerebbe communicato altrui. E z Ma 6$ DELLE LETTERE Ma che quello è già gran tempo : & che non fo in qual termine fiano borale cofe. Et che da Giulio Camillo egli può cflcr certo,che pochi huomini vinone,i quali polfanò trarne la fu a intentione meglio di me. Balìa mi dille egli. Tu mi hai intefo. Bora hauuta nouella della fua venuta, Io fono andato fubito à corte,& ho detto al Marchefe, che Giulio Camillo è in Italia,& che fra vn mele egli farà a Milano,la fua prima rifpolta è data. Bene; Et quella cofa.al che io ho rifpofto, che non polio promettergli altro,che di douergli effere buon ruf fiano. Et egli à me? fa tu.Si che voi intendete & la mia fperan-za,& il fondamento di quella. Sopra il quale prego il Signor noftrp Dio,che mi dia gratia di poter fabricare vn edificio di eternità,& che fia a fuo honore & gloria. Mi vi raccomando. Di Monreale detto il Mondeui l’vìtimo di Ottob. delXLIII. A M. FRANCESCO CALVO. OSO che voi fiate con difiderio di interi dere come fiano pallate le cofe noftre di qua tra il S. Marchefe,& Giulio Camillo.Et io farò che le intenderete. Et prima che io venga a quelli particolari vi ho da dire anche alcune cole,che fi trattarono à Milano, delle quali non hebbi tempo di faruerne parte. Io diedi notitia al Marchefe della venuta fua,& del ragionamento,che io haueua hauuto con lui : Et che la rifpofta ina era fiata, che già grà tempo il difiderio fuo,& il mio era di douer viuere infieme. Et che a lui pareua che Dio folle benigno a’noftri voti.La onde egli fi rimetteua à me del tuttoché ordinaflì quello, che bene mi pareua. Ma che prima che altra cofa fi trattalle,egli voleua far chiaro elio S. Marchefe di quel lo, di che ira letterati fi fanno tanti romori. Il Marchefe mi ri-fpofe, che anche egli rimetteua in me tutta quella faccenda : Et che non hauciia eia dire altro particolare, le non che defi-derauaxhc io le delle pretta ifpeditione. Hauuta la lettera fua io DEL MVTIO L I B. II. 69 id hiueua pollo con Giulio Camillo,che doueffimo il fegiien te giorno andare a Veghieuano. Et ecco quella (era venirci a vibrare vno, che ne veniua di la : Il quale gli dille, che il Gio-uio vi era,& che egli haueua publicamente con torta tpjl Sig. Marchefe a tarlo andar la a render ragione di quel fuo Theatro , Come Giulio hebbe ciò ititelo, lapendo che il Giouio haueua altra volta di lui parlato men che honoreuolmente, cominciò a dolerfi meco ; & a dire, che egli non voleua in publico Theatro andare a ragionare del luo Theatro.Et che egli fi contentarla di Icoprire ogni colà liberamente al S.Mar chete, il quale hauendo quel belio intelletto, di che effii ne haueua molte tehimonianze, doueua poter giudicare dì que fia verità-, & che egli volentieri fi farebbe fottomertb algiu-diciofuo ; iliache non intendeua di dare à cani le cole fin-te, & voleua anzi andartene. loloacquetai con lodarla fua intentione , pregandolo che anche di quello affare Jafciatfe a me il penfiero. Et che egli pur dicctìe quale lòffie l’animo filo, che io al tutto ballerei prefo conucniente partito. Or eglifirifolfe , che non voleua à que’ragionamenti, i quali egli intendeua di douer far col Marchefe, che da me in fuori vi toffe pertona. Perche io il giorno appretio venni a Ve-ghieuano ) doue hauendo ogni cobi cipolla al Marchefe, ne prefi la parola di lui, che altri non vi farebbe (tato introdotto ; Età Milano tornato, in qua me ne ritornai inficine con Giulio Camillo, il quale prima che io apprefenraffi al Signo-1 e, me gli apprclentai 10 :al le quali rifpondendo il Marchefe aperie la il:rada à lui da dire aitino a quattro altre parole. Quindi fumo licentiati, con ordine che la mattina feguente alianti giorno don dii" mo eli ere alla camera fua. il che facem o noi : & iftandof il Signoi e in letto lenza altri teftimonii, (errata la camera per m mo mia di dentro, Giulio Camillo cominciò a render ragione delle fu e inuentioni. Et per vna bora & meza ragionò con tanta felicità di lingua, con tanta abondanza di cofe, & con tanto ordine,eh e il Marchefe nerimafe intronato.A me non parue co fa nuoua,che altra volta lo ho io vdito a (ar co me fole alcuni ragionamenti,che mi leuauano fuor di me fcef fo.Et vi vo dir tanto bora,che mi fono frollato da me a lui a metterlo intuì parlare: 5c lo ho villo andarfi in modo (caldaia do, che a poco a poco mi pare uà vederlo vfeir di fe, & efìer rapito in ifpirito fi fattamente,che nel vifo di hii,& ne gli occhi fuoi mi fi rapprefentaua vna tale fpetie di furore,quale di fcrmono i Poeti della Sibilla, ò della Profeteffa de’tripodi d'ApolIine. il che io non poteuà fofferire Lenza fpauentò. Si che ( come ho detto; cu dìa à me non fu cofa nuoua : & poflo io dire , ch’egli habbia rimefìò alquanto di quello impeto,& di quello ai doi e.11 che illimo che fa auuenu to per la età : la quale in lui comincia homai ad edere aliai grane. Or per cinque giorni continuati ogni mattina noi amiamo alla medefima hora ; & ogni mattina egli parlò per ifpatio di vna hora, & mèza con tanca foddisfattiòne di quello Signore , che egli piu d’vna volta mi è tornato a dire, che mai non veli huomo di tanta dottrina, ne di tanta eloquenza, & foe-tialmente che cof chiaramente efprimefle in parole i fuoi concetti. Etnei vero egli con ragioni, & con eleni pii naturali dimoftrò coli chiara la inuention fila, che non ci lafciò cóla da dubitare. Et poi nc fece la prona col far latino il folletto, DEL M V T I O LIB. H. 7/ netto, che già fende il Marcirete a me gii andò egli andò a Nizza : Et lo lece egli con quella tua difìolutione fatta delle cofe di Cicerone, inoltrando di temenza in temenza, & di parola in parola i luoghi in tal maniera,che fece chiaro il Mar chete della verità della fua promeflà. Quale fia la openione che di lui ha conceputa quefto Principe lo comprenderete ha quello, che io hora vi dirò . La fera feguente alla terza mattina, che Giulio hauea parlato. Io era in camera fua con molti altri gentilhuomini, & mi era tirato dall* vno de’ canti per leggere vna letrera venutami da Milano: il Signore era in piedi al tuoco,& io à lui hauea volte le tpalle,& il vifo ad vna finefera. Di che egli mofio pian piano venne a me, & mi fi fece fopra in modo, che egli fu prima vitto che fentito da me. Et nella prima giunta con vifo allegro mi dille. Or bene che farem noi ? Di qual colà ? dilli io Signore.Et egli a me,di Giu lio Camillo : Io voglio hauerlo ad ogni partito.EtiOjlo haue rete Signore : ma egli prima vuol farui chiaro di quetta colà fua.Et egli, Non voglio guardare a quefto io:ò fia, ò non fia vero,Io lo voglio.Si che rifoluila pure.Et fa tu,ch’io te ne do piena autorità.Vedéndomi io tiretto a cotal patio,gli ritpofì. Signore, Et voi mi comandate che io faccia ; Et egli in me fi rimette. Per tanto io la ritoluerò hor hora.Mi dicefte i giorni palpati,che a Giulio Camillo haurefte data vna entrata per petua di trecento feudi l’anno, ogni volta che egli comunica tovi hauefie quefto fuo fecreto; Etquefta offerta fàceftc fenza hauerlo mai vdito,ò veduto.Hora io fo che voi lo ha-uete ritrouato da piu che non era la openione voftra di lui ; Et hauerete il fecreto,& l’huomo: & perciò firete contento, che la entrata fia di quattrocento feudi. Et egli fenza punto indugiar dille,Io tono contento, Dapoi foggiuufi io. Vi ricordo Signore,che egli non fi può fermare ora qui,per con-uenirgli andare a Vinegia: Et pertanto farete contento di dargliene licenza,che in poco piu di vn mefe egli tari di ritorno. Cotefto è giufto difle egli.Ma non vogliam noi auan-ti la partita fua donargli alcuna cofa ? Se voi parlato nonne E 4 hauefte, 72 DELLE LETTERE hauefte,diffi io, ve ne volevi a dire vna parola: che egli ha bifò gno di aiuto . Che ti par, mi tornò a dire egli, che gli habbia-mo a dare? Batteranno cinquecento feudi? Che dovieua io rifondere ? A me parvi e no tabile lamagnanimità del Marche-fé. Francefco Re di Francia alla età noitra è fiato celebrato f & è,per Principe liberaliiiimo. Et la prima volta, che Giulio; Camillo andò in Francia,egli & io facemmo quel viàggio infreme col Conte Claudio Rahgtìm: & in Geni e ftemmo a quel la corte per molti meli. Vi andò Giulio Camillo domandato dal Re, hi rattenuto parecchi iiiéfi amanti die potè ile render ragion delle cofe fu e : & alla fine la refe preferite il Cardinale; di Lorena, & il Gran Maeftro di Francia, che fu poi fatto» Gran Conteftabile. Haucua Giulio Camillo da tornare à Viri egia per ritornar poi a fermava in Francia 5 Et quel Re coft grande, & cofi liberale gli fece dare feicento feudi. Et il Mar chele,che comparato a lui fi può dir vn ponevo caualicro, ab medefuno Giulio, che è capitato qui a calo, che non ci li è: fermato quindici giorni,per andar a Milano a Vinegia gliene; badato cinquecento : Gliene hà dato dico, che non vorrei che penfafte,che vi fu fiato pollo tempo in mezo.Voi do liete bene efl'er certo, che quanto è fiata commendabile quella-magnificenza, tanto c ella doluta allo hiìforico nollro, che a lui pare di perdere quanto egli vede, che ila donato altrui Poi fi è trouato cófufo per rio efiei'è potuto entrare in Thea-tro.Et vorrebbe dire & mordere,& non fa che. Et il-Marche-fe gli da in fu la voce approuado,& cclebràdo le cofe di Giulio Camillo per dotte, & eccellenti in maniera che io penfo, che gli farebbe care aliai non fi effer tremato qui a quello tempo.Hora paflàndo a delle altre cofe, che qui fono paliate. Don endo anda viene Giulio Camillo a Vinegia, hauendo egli in que’fuoi ragionamenti de’quali ho parlato,fatto mentione delle imagini del futi Theatro, che fono luoghi di memoria . Et coniprendendo io, che vi doueuano elìer di belle cofe,confortai il S. Marchefe a douer farò opera ch’egli glie-ne iafeiafié alcuna memoria in ifcrittura. il che egli fece. Et Giulio DEL MVTIO LIB. II. tt Giulio Camillo non Teppe come negargliene. Poi meco fi doleua,eh e egli haueua poco tempo,& che non poteua coiti portar la fatica dello feria ere: & che non hau crebbe voluto comunicarle ad altre perfone . Perche io gii dilli, che fi di Ipo nelle pure'à (bruire il Marchcfe,che dello Tcriuere hauerei io prela la Litica . Cofi adunque ne è feguito.che dormendo noi in vna m ed eli ma camera in due letti vicini, per fette mattine ad bora di mattino fuegliandoci, & dettando cgli,& fcriuen-dodo infino al di chiaro, habbiamo ridotta la opera à componimento . Et quale ella ila la vederete alla mia venuta a Mi lano ; che ella ha da rimaner nelle mie mani. Altro non ho che dirui. Giulio Camillo le n’è andato per ritornare ad ogni modo quella qu archili a.. Di Vigliicueno a’ V. di Febbraio del X L1111. AL SIGNOR M ARCHESE DEL VASTO. IE R mattina mi venne fatto vn Sonetto, §x & voleua io incontanente mandarloui', fé-non che bau endolo inoltrato al Fedeli, 5c || egli dettomi non auer molti giorni, che ve n’crallato dato vno di (entenza cótraria, & àiiwfeèlS 3PPred'° bttolomi vedere,mi foftenni, dubitando non peraLinentura lo feriuer mio doridie eh e re Rimato a gara . Ma poi mi fono io riloluto di mandarlo con ferma fede, che pur mi prederete tanto di fede, che crederrete che io Labbia prima fatto quello , che veduto quello. Benché quando ancora io hauelìi prima quello veduto,non credèrrei percio di fare errore. Anzi doureb be efler quella haurita per vna ho nella, & piaceri ole contela. Vero è,cheogniuno non è come ogni uno . E che di neri e fono le openioni non meno che gli a (petti degli huomini. Ma l’hauer lentito, che altri Tenta in contrario di quello, chea me è venuto fentto, mi da ben materia di douere ancora alcuna. 74 DELLE LETTERE cuna colà {criuere. Et ciò è, che io fono di parer molto di-tierfo, che le memorie delle mani di alcuno (cultore, ó di alcuno architetto a quelle de gli fcrittori debbiano edere ante-polle; che lafciamo Ilare; che quelle non fi veggono le no da coloro, che vengono à capitar colà, doue elle fono ; là doue quelle fi Ipargono per l’vniuerfo;ma quelle ancora fono mol to piu atte à perire,che co vna fola roiiina fe ne vanno a mor te. Et à voler trar del mondo opera di chiaro fcrittorenonfa prei di leggieri imaginare come fi porche fare.Poi le llatue,5C gli edificii tato fi là,che piu per collui, che per colui fiano Ita ti latti,quanto per le lettere fe ne fa alcuna mantione:& lenza lettere quelli ninna colà da fe potrebbono operare.- fi che dal le lettere vegono a riceuere fpirito,& vita,& le lettere di loro no hanno bilogno alcuno, per effer da fe ballanti a mantener fi chiare, & immortali. Troppo chiara è Signore llluftrilfimo la gloria delle Icritture : 5( ella è tanto piu chiara di ogni (cultura, & di ogni architettura, che dalle penne etiandio lono i principali'maellri di quelle arti ritenuti in vita : & piu per le mani de gli fcrittori, che per le proprie loro opere fono ehi celebrati.Ne voglio io lolamente parlare di vna llatua,di vno arco,o di vno Theatro.Non lono egli disfatte delle grandif-fnne città,delle quali rimanendone ancora i fondamenti, notitia non fi potrebbe hauere pur de’nomi !oro,fe ne’libri non fi fodero conferuati ì Ma iohaurei troppodafcriuere,fea pieno volefli trattar quello fuggetto,Poi la colà è troppo piu chiara,che dubitar fi debbia,che il belliflìmo vollro intelletto ne habbia a dubitare. Perche io tanto lolamente aggiungerò con la autorità del nollro gentili filmo Poeta : 0 Signor mìo qnefìe operefon fidi A lungo andar, mal nollrofiudio e quello C hefa per fama gli huomim immortali. Di Milano a gli XI. di Agofco, delXL1III- 75 del mvtio L I B. II. AL SEGRETARIO M. BERNARDINO MOGGIA. ffcp sg/q) 'ONNIPOTENTE Dio,fi come egli Mh è Rato Creator di tutte le creature vifibili mi & inuifibili, cofi ancora ha cura di tutte le C°E* create5 & quelle regge & {ottiene in fe&g maniera, che {è egli pure vn minimo mo- mento di tempo dal reggimento, & dal fo-ftenimentodi quelle fi rimanelìe, ellean-derebbono in diiìòlutione, & in rou in a. Et egli non folatnen te ha cura de'cieli & de'corpi de gli elementi,ma di ogni fpe-tie di creatura, & di ogni creatura particolare, co fi delle falliti u e , e delle vegetatine, come delle rationali : perche in quel medelìmo tempo che egli difpone i celetti co rii, & la varietà delle Itagioni 5 & quando egli crea i Pontelici,& gli Im-peradori ; Et quando egli ordina le guerre, & mette inficine po dar olì cferciti,& dittnbuilce le lue vittorie a chi piu gli aggrada : 5r quando egli ta di quelle altre cofe, che da noi fono filmate maggiori, in quel inedcfimo tempo ancora ha egli pernierò del calzolaio,^ del mendico, pafoe il bue, & Ialino, & la formica, & la germogliar le herbe perle campagne, & vette i fiori perii prati. Et qnette cole fi come con ammirabile potenza , con inenarrabile fipienza,& con incomprenfi-bilc amore da lui fono ordinate, coli fono e (equite da’ fiioi diletti mmittri, i quali noi intelligenze, o Angioli baino vlati di nominare : che quelli in lui mirando , & il fuo volere in-tendendo.quello diligentemente, & lietamente mandano ad decurione. Et per eli ere molta lontananza, & molta di proportione tra noi, & Dio ; Si come per mezzo de’ fuoi ccletti {piriti egli prouede a’noftri Infogni, co fi ancora per lo mini-fterio di quelli a lui fono portate le nottre orationi,& i nottvi voti. Or elfcndo tale il gouerno di Dio:& eflendo l’huomo imagine,& bmiglianza di lui,per non perder cofi nobile ima- gine, 76 delle lettere gine, & cefi nobil funiglianza, conueneuole cote è, che c(!o nel fuo gouerno imiti quanto piu può l’ordine, & il gouer-no di Dio. Et da che i Prencipi fono i Tuoi luogotenenti in terra, d loro fi richiede di regolare i Prencipati con quella re gola, che con lo efempio da Dio vien data a tutte le hore; Et per hauere effi alle mani alcuna maggiore imprefi da efpe-dire, non debbono perciò delle minori rimettere il penfie-ro. Et fi cornei miniftri di Dio incefiabilmente procurano le cole vniuerfali, & particolari, coli i miniftri de’Principi, i quali fono i terreftri Angioli, debbono continuamente effere intenti al loro officio", non lafciando la cura del tutto per la parte , ne fp re zzando la parte per intendere al tutto, Che & il Principe, & gli officiali fuoi ad imitation di Dio, & dell’Elefante, & della Mofoa egualmente debbono hauer cura . A che propofito mi direte voi quello Icriuer di Dio, de gli Angioli, de’Principi, & de’ loro miniftri ? Per lignificare che ne il Signor Marchefoper le occupatiori publichedee abbandonar le prillate : ne voi douete rimanerlii da procurar le. Et che egli per penfiero che egli habbia de groffi armenti non dee lafciar di pafeere la pecoreìla.Et voi a guifi di que’ finti {piriti anche fra le grande imprefe douete portare i preghi de'particolari. A voi è noto il calo, & il Infogno mio. Di che io lo vi ricordo, & à voi mi raccomando. Di Milano à gli XV. di Agofto, del X L1111. A M. GiOVAN PAOLO VBALDINI. A POI chela condition della naturano-^ra 11011 foftiene > che femprc habbiamo a fffl b rimanere in vno flato, buono c che hauen- P doci noi à mutare, ci fatichiamo di fare, che f lodeuole fi a la noftra mutatione.Et cofi con {"orto V01 a douer rare : & infino ad fiora lodo in quella la qual fitta hauete di pattare lai non fcriu ere allo fori nere, percioche la eterei tatione del-j forinere è ottima maeftra di fcriu ere. Che DEL M V T I O L I B. II. 77 Che habbiate trouato vn Signore cofi virtuofo ; come mi ferine te, & come io lo ho Tempre tenuto, ne Tento non poco piacere : ne pollo Te non'{ottimamente commendarei! proponimento voftro, nel qual non douete mancar di continuare per voftro bene, confiderando, che ne vtile, ne ho-noreuole c il cercare ogni giorno nuouo Signore, & nuo-ua ftanza. Quanto alla canzone, che mandata mi auete, fi come lodo lo ingegno dello autore, & la vena, coTi non lodo voi che feorgendoui alcuna cola, che vi offendefie non vi Tate sforzato di mandatami quanto piu netta per voi fi potei! e. ma voi vi riforbate dopo l’altrui parere à mettenti voi ( come fi dice ) la vi ti ma mano. Et i motti lafciando, io vene dirò qui alcuna colà in generale, & apprefiò lopra la canzon medefi-ma noterò le coTe particolari. Dico adunque primieramente (& quello potrà giouare al componimento quali di ogni canzone) che fi come regolato è il numero de’ verfi,de’ quali l’vna all’altra ftanza dee efiere eguale, cofi ordinati fono i luo ghi-nelle ftanze doue le Tentenze con alcun punto Ti debbiano fermare;come per eTempio,nella canzon di Italia del Petr. a cui imitatione è fatta quella noftra; il Poeta ne'primi tre ver fi fi prende tre rime diuerTe,alle quali ne’tre apprefiò Unguenti egli riTponde ; Et fi come di que’rre,& tre verfi i primi fono quali vna propofition di rime, & i Tecondi vna rilpofta, cofi come fra propella, & riTpofta tra i primi, & i Tecondi tre,vi fi fa alquanto di ripoftr: & dopo i Tecondi tre il medefimo fi ha ancor da lare : che quiui è vn cotal parlamento della ftanza, che ella prende diuerla forma da quelli della parte di Topra.E quelli due luoghi principali fi debbono Teruare,che Tenza alcun punto non fi trouino,ò fi propongano le rime con due, ò con tre, ò con quattro verfi,che di quelle tre maniere canzoni compofte fi trouano nel Petr. Et Te fra moderni noftri fcrittori quella legge non fi è molto Ternata,credo io che piu per poco auuedimento, che per giudicio ciò fia auuenuto : che nel Petrarcha, & ne’migliori antichi io ho trouato cofi feruarfi : 7$ DELLE LETTERE feruarfi : & cofi dee far eia felino che cerca di leggiadramente fcriucre. Et mi ricorda ch’io già in dieci mie canzoni, alle filali diedi nome di Bella Donna, tenni quello ordine dili-gentiffimamentefenza mai di quello dipartirmi. Diquefto ne parlo io anche nell’arte mia poetica, & ne dico piu di vna ragione, perche cofi fi debbia fare. Et voi douete pur fàper quefta regola,che io fo di haueruenegia ragionato vedendo vna canzon Platonica, della quale non fipeuamo chi fi folle l'au tore. Nella altra parte della llanza, mi direte voi, vi fi ha da fare alcuna diuifione, ò alcun punto ? A quello vi rilpon-do.-che non voglio darui hora regola per obligatione, come quelle, che ho dette di fopra. Ma ben vi dico, che fe ogni volta che vi abbatterete a metter due verfi vicini che liabbiano vna medefuna confonanza, fe dico, farete il punto tra l’vno & l’altro verfo, la compofition voftra. hauerà & leggiadria & perfettione. Vi ho ancora da aggiungere, che come altri ha vna volta in vna canzone vfita vna rima, dee guardarfi da piu tornare a quella. Et gli fori ttori 'quanto fono flati migliori, tanto piu da quello vitio fi fono guardati: Et il Petrarca da quefta legge fi è allontanato fi diradò, che quando in tutte le fue canzoni fi troni due volte che egli habbia fatto altramente, quello è quel tutto che vi fi polla trouare. Vero è, che vna volta lo ha fatto egli cofi celatamente, che di buono occhio, & di buona orecchia è di meltiero a chi ne vuole il luogo ri-trouare. lononfofe per alcun tempo mi fia accaduto di faruene alcun motto,ma le detto non ve l’ho,fate voi la pruo uà quanto fiano acuti gli occhi voltri, & quanto Piano le orecchie voftrc giudiciofè. Tanto ho hauuto da dirui hora. Quelli Signori vi rendono i falliti multiplicati.Et io mi vi rac comando, & al Signor Hannibale bacio le mani. Di Milano a’ X. di Gennaio, del X L V. DEL MVTIO LIB. IL 79 AL S. PROTHONOTARIO FEDELI GOVERNATORE DI NARNI ET D’AMER.IA. O SONO flato aliai dubbiofofeiodo■ ueffi allegrarmi ò nò, di quefto nuouo,debbo io dire honore, ò fatica fai quale da N.S# fete flato eletto . Dubbiofò dico fono flato* percioche in quanto io confideraua, che il Maeftrato è di honore, à me pareua che al legrarme nedoueffi : ma confiderato poi c he porta altrui non minor fatica, che honore, non pareua a me di douerne far molta allegrezza.il che dico io tanto maggiormente , quanto piu propria de’ maeftrati è la fatica, che rhonore 5 conciofia cofa che à fatica, & non ad honore furono primieramente ultimiti : percioche non per honorar coltili , ne colui furono ordinate le maggioranze,& le Signorie, ma accioche i popoli fotto quelle follerò con giuftitia gouer nati. La onde non poco mi foglio marauigliare vedendo,che altri per dare vn maeftrato altrui fi crede di honorarlo.Et pur douerebbono i Prencipi conofcere,chc fea perfona virtuofa danno officio,effi honorano le fteffi,& honorano quello officio^ fanno benefìcio à fòggetti : Là doue del contrario ne auuiene il contrario con vergogna di colui, il quale è flato à quel grado fcioccamente inalzato. Che il federe ne’ tribunali non è quello che honora gli huomini.ma il far cofe degne di tribunali ; il che fi può anche fare dalle perfone prillate, & delle prillate pofiòno effer molto piu honorate, che molti di coloro, i quali leggono nelle piu alte fedie, dicendo Platone, che non colui è Re,il quale i Regni poffede, ma chi per virtù è atto à gouernare i Regni. Le quali cole coli effendo, come elle veramente fono, l’honor voftro douete voi ftimare, che fia in voi, & la fatica nel maeftrato.perche di quello non fono io ftato ad allegrarmene infoio ad hora:è di quefta non ne ho da fare OS DELLE lettere da fare allegrezza, ma piu tolto da ferbare quello officio al tempo, che voi al fine di quella farete lionoratamente perue-nuto : il che, come habbiate à confeguire douete voi eflerne miglior maeftro, che hauer medierò, che altri ve ne dia regola alcuna,hauendo voi già hauuto de gli altri honoratifiìmi go-uerni. Ma pur poi che io ho detto, che il maellrato vi ha da effer principalmente di fatica,non debbo fuggii* fatica di feri-uerui di quella fatica. Et farà quello non per dare a voi alcuna ammollinone, che quella in me farebbe prefuntuofa ira* prefi;ma per fupplire al difetto del mio lungo filentio pallato con elio voi dopo la partita vollra da Milano. Quello gouerno voltro adunque non douete voi penfàre, che ha altra colà,le non vna fatica, la quale da Dio vi fia fiata data a fine che habbiate a fare l’officio fuo. Et in luogo’di Dio hauete voi da amminiltrare quella imprefà. Et fc à que Ita cola vorrete riuolgere il penfiero con quella intentione, che vi fi conuiene,ageuolmente vi potrete auuedere quanto giulle habbiano ad efiere le vollre operationi : & quanto lan ta, & quanto innocente debbia effere la vollra vita. 1 Pren-cipi, & i Maellrati, i maggiori, & i minori altro non fono, che luogotenenti di Dio in reggere, & in gouernare i popoli alla loro cura cominella : de’quali egli è folo il Signore. Or le dandoui vn terreno Signore alcuno officio, la principal vo-lira intentione è di guardami da far colà, che altri riportare gli polla,la quale gli habbia ad effere dilpiacere, quanto mag giore diligenza douete voi vlàre in regolarle operationi vo-ftre per non difpiacere à quel Principe, al qua! làpete che no {blamente quelle, ma i penfieri veltri,8c i prefenti, & i futuri già fono prefenti, & manifelli ? Et vi ho io da aggiungere à quello propofito, che richiedendoui,ò pregandoui chi che ha, per amico, & per grande che egli fi fia, di cofa men che giufta, o men che honelta, ne la altrui amicitia vi dee maile-uar dal diritto camino (che amico non douete {limar colui, anzi per nimico capitale il douete voi hauere, volendoui egli mettere in nimiftà con DioJ Ne dee potere efler alcuna per- DEL MVTIO'LIB. H% s/ fona coti grande; che per rifpetto di quella vogliate offender quella grandezza, dalla quale dependono tutte le grandezze. Etquantimquea quetio.che ióvi dico , paia che ogni conditura di perfone debbia etiér tenuta, pur con piu tiretto legame vi fono obligati coloro, i quali ne'publici oflìcii fono colli tu ittiche oltra quella vniuerfal legge,alla quale infieme con tutti gli huomini a Dio hanno ad eifere fottopotifhanno etiti quello al tro carico, che da lui fono ftati eletti per fedeli fuoi difpcfatori à douere in luogo di lui dar la legge fua fan-ta àgli altri huomini. La onde debbono non lolamente come imagini di lui conferuarfi immaculati, ma con gli elempii della loro vita ancora inuitar gli altri ad atti virtuofi. Quella quella è Signor mio vna fonti Alma regola di religionChri-ftiana, & naturale, che lluiomo polla non folamente bene adoperando meritare egli appretio Dio, ma allettare ancor retributione delle buone opere altrui: chela innocenza, la purità, & la caftità della vita de’fuperiori ne induce gli altri in amóre delle medefime virtù , fi cornei vitii de’maggiori molte volte fono cagion di macular le città, & i regni. La integrità della vita adunque dee eifere la prima voftra fatica, tra per quello, che detto ne ho, & percioche quello è ancora il principal mezzo di ammi'nitirar giutiitia : che come vorrò io gaftigare altrui di alcun difetto, fé io del medefnno, o ancor di vn maggiore mi fentirò etiér macchiato. Or quefta dico dee etiér la prima' voftra finca,ne tanto per fatica,quanto per principale ornamento votite la doitete abbracciare. Et il co me molti ftiidiano di adornarti di ricchi panni,<3cdi comparir con vna lunga compagnia di fcruidoriftate voi chele ncchcz 2e delfànimo vi tacciano rifplendente,& che le"virtù fiano le minitire voftre, & le voftre legastei, & che elle i! giorno,& la notte vi tengano compagnia . Et per-non itiare tutta via in fui generale, ad alcun particolare ancora del reggimento votivo venendo, douete voi ad imihition di quel Signore,di cui fete creatura & minitiro, non hauer conuderatìone, ne ri-iguardo di perfone 5 11 che far douendo, non hauete à tirili- F gemi 82 DELLE LETTERE gemi di molta famigliarità con veruno : anzi a voi fi conuie-nehauer tutti per amici, & non hauere amico alcuno : & l’a-micitia Voftra ha da efler tale con coloro,! quali piu domefti-camente vferanno con voi, che mai non ardifcano di fperar da voi cofa men che honefia. Et nello afpetto tale vi douete inoltrare yerfo ogni conditione di perfone, che alcuno non polla dubitare, che venendo à voi per honefia cagione-, egli u tutto non riabbia à confeguire. Porgete orecchie à tutti* P!?n credete a ninno : & meno che à gli altri credete a’vo-ltri ramigliaii, & a voftri officiali di quello, che lenza ferma teftimonianza del detto loro vi portano di altrui ; & quegli de gli errori loroffe alcuni ne faranno) fcueriffimamentedoti ere te caligare, fi perci oche maggiori fono i loro mancamenti, come ancora percioche i fimili elempii faranno, girai-tri migliori, leuando loro ogni fperanza di paflàre impuniti, vedendoci adoperar la giuftitia in cala voftra » Ma per efler la intention mia di ragionar fàmigliarmente con voi, & non di douere fcriuere delle leggi de’maeftrati>. quafi come a ha-ftanza infino ad hora non ne fia fiato fcritto,due fole colette vi voglio aggiungere,dalle quali à me fembra che neceflarif-funo fia à chi è prepofto ad alcuna città,che egli fo ne debbia guardare. Et quefie fono quelle, di cui laudabilmente fu dee to da I ericie. che a maeftrati fi conuienehauer non folamen tele mani, magli occhi ancora continenti. Et fe a gli occhi ne maefirati giudicò quel grande huomo necefiàriaìa continenza , polliamo intendere quello, che egli intendefìé del rimanente . Or di quel vitiofil quale in quella fontenza col parlar de gli occhici e fiato lignificato, molte eflendone le maniere, da tutte vi couete voi inuiolabilmente guardare, con-ciofia cofa che oltre la bruttura di quello, & olmi Iodio, che da queho fogliono prendere i popoli contra i loro fu perfori, ne feguita ancora vno altro male,che egli fuole molte volte ef ler cagione di molte ingiufiitie, & di molte iniquità ; percioche altri non fa negare di piacere anche nelle colè difonefte a chi difoneftamente gli compiace.Et alla auaritia pa.fiàhdo, ne volendo DEL M V T I O L l B. IL f3 Volendo intorno a quella far lunghi difeorfi, (blamente dirò, che non bada non edere auaro, ma non fi vuole ne anche effere ne troppo liberale : percioche il fouerchio (pendere, ol-tra che egli è per (c vitiofo, induce (pelle voi te vna tal necef fità, che dapoi che altri ha (pelo il fuo,cerca di (pender quel- 10 di altrui : & per vie lecite,& non lecite in quella prodigalità vuol pur continouare. Ma percioche le (ouerchielpe-fe comunalmente in tre maniere li (ogliono fare : & dell’vna habbiamo già detto,che anche per altro guardar ve ne doue-te, à dir mi retta, che da conuiti, & dal giuoco debbiate dar lontano, fi per voftro honore, come per vodra vtilità : che primieramente quelle fono quelle 'due cofe, che fra gli huo-mini inducono ftrettihìma famigliarità, & la famigliarità induce difprezzo. Et quale è maggior pazzia,che andare a git-tare'il danaio, il tempo, & lo intelletto in vn punto in colè > donde profitto alcuno non (è ne pofià fperare ? & danno, 8c biafimo manifedo fe ne feorga? Alcuno non è di (ària mente, 11 quale a dir non habbia,che il giuoco non fia piu da auaro, o da prodigo,che da liberale : & che il far le ricche cene non fia colà in aiuerte maniere vitiofa,ina prefuppogniamo che anche in quelle cofe liberalità vi fia, non è già men laudabile virtù la frugalità,che la liberalità, & è piu propria quella,che queda,a per(ona,a cui s’appartenga di regolare i coftumi altrui^ la frugalità veramente propria di coloro, i quali inten donorche in loro habbia da confidere il loro honore.Et il fen tire che altri faccia fpefe fouerchie da a vedere altrui, che egli con quel mezzo fi vuole acquidargratia,&fauore,non fi (en tendo per altra via di poterlo acquidare: & cofi donde egli honóre fi penfa di confeguire,&la facultà, & l’honore ad vn tratto fi fente mancare. Et percioche fogliono molte volte occorrere de gli auuenimenti, che bifogna donare 5 Et i doni fi fogliono fare ò a pari, ò a maggiori, ò La minori, de pari medierò non è di parlare, che quello fi conuienea voi, che a loro, «Se quello a loro,che a voi,ma de’maggiori,& de’minori mi par bene, che la legge douerrebbe efièr prefcritta,che dar Fa fi douelfe «e D ELLE a. FTtT;£ R: E q; fi dduefle a'mmorifecóndo la qualità; eh colui ^a cui vien da-, tòv& iàJmag^'oié fecónda la conditione del donatori. Et io, fòglio:ttia le altre. pazzie di AleSudpO ailnouefar quella, che ; egli tède Re vno, il quale fòrcttifomamente viuer folca del-feruire altrui inacquando horti.liàue'ndo; egli apprcfìo di fe de gli huomini ,;a.ciii molto bene ft contieniiia. yn,coli fitta do ri o & dia neh dota colui aliai dileggi eri potuto di altrpjcou-; laencuolmente fodisfire ; & le benes non nego, cftb il grande; nel dare al picciolo dee anche haucr ri (guardo al grado fuo ,ì non perciò,dirò;che-;il picciolo debbia far do ni-af grande con ueneuolialla grandezza di lui : che il Re può,far-ricco il povero fénza fentivne egli alcun detrimento, la douc ilgenti-rimomo potrà prima distarli, che far dono che fra, degno di Re . Maio ho l'critto in tuiefca materia piu che non tu mia, intenzione di fenuere quando io prefi la. penna in mano, & potrei bora adducemi ih mezzo degli efempii di coloro, i quali hanno con laude amminiftrate le imprele a loro cominelle : ma a chi ha gli efempii domeftici no è neceflario rana memorare gli ftranieri. Et quali poflono efler piu domeftici, che quelli defratelii ?M, Màttheo in Vinegia tra gli ÉcccHen ti Annonari fgnoreggia .nel palagio.; Et ancora che, il fuo fia., efereirio naturalmente odialo, per non ft.poter fire.feuza of fendei] la pasr te,fon tra. la quale i’alrra fi difende,pur ftgouer-na egli in modo, che da quclla.nobiiiiftma città è vniuerlal-merite honoratò<& hauuto caro.Et qui M. Vincendo già tan ti anni foftcn.cndo la perfona di quella Signoria llluftniiima confanti luògo tenenti Cefarei,.& conqucftp Stato>^x tratta, biada 3le?cofc pubjiehe, 5t delle prillateancora non podi e:con tanta deltrezza,& con tanta "prudenza,,■ che malagevole,è.. a di-feernere fe a quelli,ò a quei Signori, egli maggiormente lodisficcia.Et quali vorremo noi dire, che fumo le ca-t gioiti,che loro acquiftano cotali fa ti ori ? certo non altro prin «cipalmente , che la foro ftneerità:, la modeftia de’loro coftlimi a Se la i'.oiìefta,delia vita.. Perche ft,potrebbe dire a voi in ¥U3 paiola,che honorato,& pregiato vc.neandrctefoftaL feg : : Coloro DEL M V T I O L I B. II. 8/ coloro, di cui per natura,& peramore Cete fratello,per opere ancora vi dimoftrerrete veramente elier fratello.La dolcezza che io lènto in ragionando con voi non vorrebbe che io met tefll ancor fine 5 Ètda altra parte il rifpetto di non vi attediar con troppe parole non mi lafoia andar piu auanti.Se io vi ho annoiato con la foucrchia lunghezza perdonatemi: &fevi fono paruto brieue, tornate a leggere, & a rileggere quella medefima lettera che quello farà vn modo datarla diuenir lunga quanto vorrete voi flelìò. Bacioni le mani. Di Milano à gli VI. di Agoilo, del X L V. AL SIGNOR MARCHESE DEL VASTO. E VOI Signore EccclientiiTìmo lodate le àttere mic^C come dite) & i miei pareri, ciò a me non può edere fe non di foinma confolatione. Che le altri vdendofi loda-re qua'ntunque humile, & ofeura con-dirioa di perfonc prender ne fu ole alcun piacere, quanta dee eifer quella contentcz za, la quale debbo fentire io lentendomi lodare da laudati (fimo Prencipe. Or benché grandamen te mi lenta di douerui elle! e obligato di vn cotanto honore, non perciò intendo io di affaticarmi per ringratiaruene in parole, percioche io non faprci trouar parole, che follerò a quello debito eguali. Ma fe voi Iodate le cote mie, quello è vn legnale,che elle vi piacciano,& eiìcndo via te per ordinario le cofe nuouè di aggradire alti ui, io non veggo perche le mie- habbiano ad efier di diletto,non vi eflendo in quelle nouita alcuna. Che io fem-pre mi fono ingegnato di caminar per la lira da comune,lenza vccellareai nome di alcuna lmgulantà,col firmi inuentore di nuoui lentieri. lo non cercai mai di aggiungere lettera nuoua ne Grecale Spagnuola,ne Tedefca" ne Arabica nelle mie forature 5 ne di mettere a quella,ò a quella parola nuoui F 3 accenti, DELLE LETTERE accenti, ne di feriuere voce alcuna in altra guifa, che nelì-bri la ho trouata feri tra : & di vfar niiotie di trioni quanto piu polio me ne guardo:& non cerco di far nuòua poefia,ne mio uè forme di rime, parendo a me che quelle nano cofe,le quali non ad vn folo huomo di farle fi apparten ni : ma che fc alcuna alterazione hanno da far le lingue, quella dalle età debbia efier portata,& non dal voler di per ion i particolare : che gli fludiofì di lettere non tanto hanno efli da cercar di in-troducer cofe nuoue, quanto di conformarli con la purità de gli antichi ferii tori, a quelli quanto piu pedono farli firn igiian ti . Che ne f iomero, ne Demoftene, ne Vergilio, ne Cicerone con nuòua forma di verfi ne di feri t tu re, ma con gli antichi verfi, & con la antica {frittura fi acquidarono pregio di immortalità. Et da poi che io fono, non fo come entrato in quello ragion amento, dirò ancora quello, che mi occorre con vna comparatione dell’arme, & delle lettere. Quelli inucntori di nuoue maniere di feriuere a me paiono eiler tra letterati quello,che fono fra cavalieri coloro, che ha uendo querela di {leccato, pari non fentendofi a’nunici, 5C & non hauendo ardimento di combattere con arme comuni, & vii tate fanno nuoue inuentioni per poter con quelle difen dendofi acquillare alcuno honore. Tali dico a me paiono coloro,! quali vanno le novità delle fcritture ricercando,qua fi come non fi adìcurino di auanzarfi coloro nomi feriuen-do come fi cofluma. In quello duello adunque di fcrittori Signore llluflrifììmo intendo iodi combattere non con arme nuove, & non piu vedute, ma con arme da cavalieri viste in fu la guerra. Et fi come in vno {leccato piu honoreuo-le dee efler giudicato il defenderThonor fuo con arme, che coni lilialmente fra cavalieri fi adoperino, che con quelle, a cui fimiglianti non ne fiano mai fiate vedute, cefi illimo io che piu degni di lode fiano quegli fcrittori,che perle pedate de’pafìàti caminando fi fanno conofcere atti a trattar que' ftiggetti,che loro detta la loro mente di douere fcriuere,che quegli altri i quali per nuoue ftradc trafuiandofi, vogliono DEL M V T I O L I B. IL t7 £ir mutare alle lingue natura, & forma. Or le per veder forfè voi Signore nello fcriuer mio quello itilo caitallereico, che io lodo,lodate le cofe mie, io non (blamente mi godo di cfler da voi lodato , ma iftimo ancora di hauere vna lentenza vo-• fera in fuior della mia openione, che nello fcriuere fi Labbia da prendere la forma da gii antichi ferì ero ri, & non trarla eia-feuno dal fuoceruello. Et ri u cren te in ente vi bacio, & ribacio le mani. Di Milano f vltimo di Aprile, del X L V. AL SIGNOR MARCHESE DEL VASTO. IERI mi venne alle mani la copia di quella lettera, che vltimamenre ferini a voi Eccclfo mio Signore intorno alla commendatione,che date alle lettere mie,& a’mici pareri. Et quella ciani mando mi auuidi,che hauendo quefta hono rata teiiimonianza di me due capi io haueua all’ vno rifpofto, & dell altro non ne haueua fatto mentionerche parlando della maniera del mio fcriuere,di quello,che piu fi richiedeua,io non anca fatto mentione alcuna, cioè delle lentenze'de'miei fcrittfper le quali principalmente debbono piacere i miei pa reni te per alcuna cofa poffono piacere. Et nel vero quel-Io, che al corpo è l anima, quello fono le fentenze alle fcrit-ture: percioche c!iealtro dobbiam dire, chefiano le parole, le non verte , & ornamenti de’ noftri concetti ? Et fe quelle fono i agire,& leggiadre, con vaghezza,5c con leggiadria fan no quelli comparire^ Et fe quelli da prudenza, ò da fapienza fono accompagnati,à quelle danno granita, & autorità. Ne frittura alcuna dir fi può, che Eia degna di vera lode, fe ella quelle due parti inficine non fi truo.ua hauer congiunte; & quando vna di quelle à IcnttoreLabbia da mancare, ogni E uomo di intelletto amerà meglio di fcriuere con rozzo Ili -le prudèntemente, che cofd {biocche lunatamente. Delle F 4 ferir- ss delle lettere {catture mie adunque parlando, dì Quello, che è di minor predio mi trono hauev ragionato,quello laudando, donde la lode (i ha da affettar maggiore.Pcr bora con quefta lettera al difetto di quella intédo di fupplire. Et dico,che le le opinioni mie intorno alle cofe di caualleria:& nel trattar materie di ho nere dal bel giudicio volito vengono commendate, altri per autientura potrebbe giudicare, che la non ita loro ne folle in; gran parte cagione,perciochc moke volte da quello, che comunalmente lì tiene allontanandomi,adduco in mezzo delle cole, che da gli huomini noftri non fono piu Hate vdite. Di che ne verrebbe a feguire che io tacciai il contrario di quello, che nella altra lettera mia ho detto di rare,che di cofe nuo ue non intendo di edere inuentore. Alla qual cola ho da ri-fpondere io, che le openioni mie non tanto hanno da diere {limate nuoue, che piu nuoue non fumo quelle, le quali altrui paiono elìere antiche : & che antiche fono quelle, che da moderni fono nuoue reputate. Anzi fi come le mie fono veramente antiche > cofi propriamente non mie, ma tolte da gli antichi fi debbon dire, percioche io nulla cofà ci reco,che {opra l'antico fondamento non habbia fermezza. Io danno il Duello, come cola da gli antichi non vfàta ; Danno il moderno Duello, come quello, che è tutto diuerfo da quello, che da gli antichi fu iftituito 5 Danno di molte maniere, che fra caualieri ne Duelli fi tengono, come contrarie ad ogni leg ge : Et danno di molte openioni de’moderni caualieri, come quelle,che dalla autorità de gli antichi fcrittori, & dalla ragio ne fono in tutto diuerfe. Pula caualleria ordinata percoli-feruationc, & per ditefa della giuftitia. Et fe io vedendo, che delle cofe ingiufte fra i caualieri fono fiate introdotte, quelle mi fatico di tor via,qual fi dee dire, che fia nuoua,ò la mia, ò la coloro openione ì Nuoua veramente dee effer detta che fia la loro,& antica la mia : che tanto è ella antica, che inficine con la ifeitution de’caualieri,& inficine con la iftefla giuftitia, ella nacque tra noi. Non ha l’huomo cofà alcuna propria, che piu antica fi debbia dire,che la ragione. Et fe io veggo dccoftmni.che foro dalla ragion lontani. & contra quelli ne dico quello, che io ne ferito, chi vorrà dire, che quelle cole che la ragion detta Ciano cofe nuoue, & che antiche nano tra eli h u orni ni quelle, dalle quali la natura dell’huomo fi difeor da ì io fi come nell'altra lettera mia delle lettere parlando feci vna comparatione dalle arme alle lettere, coll delle arme parlando, ne farò vna dalle lettere alle arme . Chiara cofa è, che fra letterati fi tiene,che nel lecolo di Cicerone fiorirono le belle lettere tra’latini ; Et che al tempo de’padri notivi, dc’noftri auoli intorno à quelle fi tenne diuerfi via, & chela età noftra è ritornata in fu la brada di quella età felice, che io ho di {opra nominata. Or vorrem noi dire, che la via deìno derni huomini ila antica, o nuotia ? Nuoua felinamente era quella de’noftri vecchi, inquanto ehi dalla antica partendoti ad vna altra fi erano riuolti: Et antica dee efler detta quella degli huomini piu nuoui,da che le orme de gli antichi fi fono dati à feguicare. E fimilmente dirò della caualleria : che parlandone io fecondo la ragione,fecondo la giuftitia,fecondo la iftitution di quella, & fecondo le fu e antiche leggi, non è da dire,che nuoue fumo le mie openioni. Nuoue iono le openioni di coloro,che da quella openione fi dilungano, alla quale io pur cerco di douermi auuicinare, Non debbono adunque a.voi Signor mio piacere i mici pareri per cofa nuo-ua che fia in quellfanzi penfo io,che elfi vi piacciano in quel la gitila,che fogliono effer care le fiatile, & le medaglie antiche, le quali lungamente fiate tra mine fepellite, venendo in luce, ancor che rofe, & monche, fono nondimeno tenute in pregio. Cofi, a me fembra di vedere, che à voi aggradino le mie openioni, che effondo già di molti anni fiata la degniti cauallerefca da molte tenebre di errori opprefla, vedendo voi nelle fcritture mie alcun lume di ragione,di diritto,& di verità,quelle fluorite, & abbracciate non come cofe intere, ma come quelle, alle quali eccellete ingegno aggiungendo quan do che fa piu dotta mano, da voi fi feorga, che le ne potrebbe rihaucre la fua antica perfettione. Cofi adunque & nelle Po DELLE LETTERE mie openioni,& nelle mie feri (ture, & le open ioni, & le fcrit ture de gli antichi mi affatico io di feguitare. Et quello, che delle (critture mie mi auuiene pollo io quafi dire ancoraché mi auuenga nello trattar delle materie cauallcrefche, che fi come quelle à non pochi fogliono efìer care,cofi non ci man cano di coloro,che piu con l’occhio della peruerfaaffettione, che con quello del diritto giudicio di mirarle fi ingegnano. Et nei trattar luggetti di arme, & di honore altri fono che lo Audio mio dannano;come balìa proferii one, quali vii fugget-to fiano le arme,&l'honore,& humile fia lo feriuere di quelle cole alle quali Prencipe alcuno per grande che egli fi fi a no rifiuta di mettertii mano. Altri veramente par che prefumano di honorarfi delle inuemioni mie, & delle mie fatiche per auanzarfi con quelle,& acquiftarfene gloria, & fattore. Ma fi come da que’primi io per me lìdio mi affiamo di edere atto aliai a potermi difedere,cofi córra i fecódi fupplico io, che la benignità voltra prenda la mia diffidi,che fi come le cofe che io lcriuo a voi, & per voi fono voficre, cofi quando fuori del nome volito altro nome non ne debbia hauere alcun titolo , non vogliate comportare, che nelle cole mie altri à ine debbia edere anteposto. Età voi Valorofo Signore baciando, con riuerenza le honorate mani, nella buona gratia volita mi raccomando . Di Milano a’ X. di Maggio,del X L V. A M. D. P. O hautito la lettera volita con la quiftione, la quale vorrei che voi propofla ha nelle a mi. glior maedro di amore, che non fono io: 11 che poteuate fardi leggieri trouandoui in Vinegia ricetto di pellegrini, & di amorofi in gegni. Ma voi volete forfè in vn medefimo fuggetto fare il fàggio di piu che di vno ingegno . Et fia con la buona venturàjiie io per ciò mi rimarrò di DEL MVTIO LIB, II. ? «?r dì compiacerui in diruenc quello, che mi occorre. Voi mi domandate adunque, fé a perfona che ama c lécito diletta rii di altra amorola conuerfittione, che di quella della perfona amata : la qual domanda in prima villa par da foluere aliai leg giera. Che fe amore ha virtù di bre, che io lenta tal vaghez za della altrui beltà, che per difi derio di quella l’anima mia da me partendofi vada ad habitare nel petto amato,come do nera ella poi andare a cercar di nuouo albergo fenza fare ingiuria , ò per dir meglio, fenza abbandonare lo amato albergo? Che le per lega ir lei abbandono me; per feguirealrra bi-iognerà che io abbandoni lei. il che lenza mancamento di amore non pare che in alcun modo fi polla fare. Ma io non voglio coi! tolto correre alla determinatione : che quella mi par materia da eia minar piu tortilmente, Ne fembra a me, che fc ne polla far diritto giudicio fenza alcuna diflintione. Che per mio parerli dee considerare, Se la perfona amata è prefente, ò lontana ; & fe donna ò huomo èia perfona che ama. Et alla prima parte venendo,dico,chiara cola dfere,che come altri è di alcuno amore accelò, coli incontanente egli incomincia portare affettione a tutte quelle cofe, che della amata prelenza gli rendono alcuna fnniglianza. Et le mute crea tu re, & le in leniate ama egli, & di vederle, & di toccarle ne lente conlblatione. Et Eliciamo Ilare i belliffimi ritratti delle dipinture, & delle fculcurelauorate da dotte mani, mai difetti ancora delle donne 11 olire amiamo in altrui, Et io ho già viiro chi per l’amore che egli portati a ad vna donna di pie ciola datura,fi dilettami di hauere tutte le cofe nel genere luo picciole: & vno altro ben gentiliinmo fpirito amando vna gentildonna, che era alquanto zoppa amati a i ca uall i zoppi > voleua bene a’ cani zoppi, & ogni cola, che renelle del zoppo gli aggradimi,intanto che mi ricorda alleilo veduto ad vn defìnare hatierfi eletto di bere con vn bicchiere, il quale non hauea il piede eguale, percioche in quello gli feorgeua non fo che di fimigliante alla donna fmi. Amiamo noi adunque quelle cofe che ci rapprefentano le figure,che amore ci ha ne cuori ti delle lettere cuori im prede. Eric amiamo noi come imagini dello amato bene, & non come cole principali; & di loro tentiamo alcun diletto quando la vera amata forma non ci è preferite : ma co me quella ci fi para dinanzi, a quella tutti ci riuoltiamo non altramente che fi tacciano i popoli, i quali honorando i minili ri di alcun Signore,come il Prendpe apparifce,cofi a lui ren dono tutta la veneratione. Voglio io dire adunque, che riiuomo amante non ellèndo dalla dolina fua lontano, ne fc-parato non fi dee dilettare ne tenere altra comierlatione,per via di amore,che di quella donnamella quale con la fua virtù lo ha trasformato amo re. Che quado egli lei per altra lafciaffe non farebbe da dire, fe non ch’egli colei amali e, alla quale egli alidade approdo, & non quella cui egli dicede di amare, ò che egli ne Evita,ne l’altra amade ; non tenendo ne nell vna, ne nell’altra fermi ifuoipenfi eri. Ma come egli è dalla de-fiata forma lontano-, allhora il dilettarli di quelle cofe, che a quella fi conformino è non fola mente da ioi venere, ma pare a me che fi a eludente fognale di amore : che non potendo 1’huomo il difiderio comportare cerca di andar fi di quello sfogando con quelle ricreazioni, che piu di riftoro gli polìo-no apportare. Et quando altri lenza altro conforto fi potef fe Ilare, direi io che egli poco amad e, da poi che cofi leggiermente nelle lontananze fi potè de pallare,Cofi naturale è,che col mezo di vna colà fimigliante fi venga ad alleggiare il difi-derio di vna altra. Ne’ fanciulli, che fono vagiti di arme, & di caualli con vna fpada di legno inargentata, & con vn canal io di legno dipinto acquietiamo le loro voglie. Et molti di gioie difiderofi non potendo far grande fpelà ne comperano di falfe. Et de’ caualieri ho villo io, che in luogo dicatene d’oro ne hanno portato delle dorate di rame. Ma che dirò, che i medici ancora conte nelle compofirioni delle loro medicine fi fentono mancare cofi veruna, vi pongono vna cola per vna altra ? Et Dionifio cacciato di Signoria fi diede ad infognai1 Grammatica, parendogli fra fanciulli di ritener pur forma di Signore.Et quello che nelle altre cofe fi vede icntefi ancora D E L MfV TU IO L I B. 11. 9* ancora rielleamorofe-paEonidicfie ce ne lafcio teftiinoniart zailgrà ma.eftro.di amore in vn fuo Sonetto quadri egli dille,' [■Cofikfjv tìil’hor no ccrcand'io -, ori •' Donna quanti Ifofibìtm dtfyi ::,i; > •' ,;i La difia ta voftraformo.ver tu*. . i; Il che detto non ballerebbe eg!i,& dettolo il parlare alla donna tua:volgendolequeftanon.hauefte conotciuta-efler colà v.cramcte propria dumiorc.Ne è da direbbe per quello Vani-ma fi part i dalla perfona afriata.&anii vita,altra,che perche io tu vnq (pece hi ri, vegga la imagine di alcuna donna,nonperciò il penfier mio partendoli dalladónadi;etri quella è la imagirie con la imagine fi rimane:anzi tanto à quella mira,qtiato la co nofee edere imagine della vera figura: e dalla imagirie.àlla ve-; ra figura pur fi ridette, c interini naia quella.Nòli parte adun que dico io lamina,la quale è il vero pegnoxiaimore. Auzinó 1 pnoqttefte dilettationi difimiglia’ze piaceri delle anime,. ina deboli adetti: del corpo-:qhe gii occhi viari di- vedere,‘le, ore£* :chi e vlàtedi vdire, & gli altri tenrinienri V fitti di godere del ? la beltà, che è la.tedia della loro anima,quella non ifeorgen. do vanno cercando cola, che quanto è pólli bile piu, à quella fraddndgl i; per aro u a re alcun rimedio adifiderii lorqi.Che 1 anima din ubhq>oggètóo non ha.mediere vedendo, Vden» dói & .battendo à .tutte J'hore pretente il .vìiìaaipefitOidella. amata, &. difiaratbellezza. Si clic concluderemo in quefta parte, che 1 Intorno,il quale ama, battendo la amata cola-preferite della vera forim i 1 dee dilettare , & non delle fimiglian-2,e,di quella : &- ciati priuàt.o feutendofené dèlie imagini di quella dee.cercar di prender confolatione, . -1 dirir da quefte fagioni mi potrà alcun rifondere che coti efiendo,.&dègli.liiiomirii,- &delledQn.de vnamedefima.dée tifler la conditione! & che quanto è fiato bene far la diftin-Ijipne dalla pretenda alia lontananza, tanto quella che fatta tS,dJda|l:lmonp;dti'dodna.deeefi"ei;e ributta,ta per fouerefiia. Allaquàlcofain .modo; alcuno, noriintèndodiiconfianrire, £,t.qUa.nttmu eid» quache iQjio.da dfi;efi;yènga.adiri^n-om dere M .DELLE LETTERE cicrc Qtidfìto fi3. eccellenza delle donne* che ^ucì« la de & il mio non piu làpere perilcula. Mi raccomando . Di Milano a’ XXI. di Maggio,del X L V. AL L A D E LL Ea E T T E R E u : i s d Don b :ltfi?; i : fc-'onj'??- otri alla signora lvcretia PICA DE R A N G O Nì. 0 M E è flato cari filmo intendere chela pòl-uere mia vi fia tanto piaciuta, quanto voi mi fcbiuete : il che lio io per Pegno nòli fan to di al cima - perfetti one di quella coletta, quanto della beri difpofta ménté voflra più Iellata allo (pirito- che inchinata alla carne. Et ancorché io conofca,che la feri mira mia mi condanni >- pur di tanto in me, mi foglio fodistare, che io conte fio la vita mia non efler conforme alle mie parole, non voglio col collo torto,riè co la faccia firi-tamèntepallida dare a veder e altrui che io fiàVno Hilarione, &>fqtto vna itìàfchè-ra di bontà coprire vn hnomo ditto di malitia . Ma donde c ' mi dite voi, che gli h no mini veggono il meglio, & al peggio re s’appigliàho ì Dalla noflra cecità, & dalla noflra fragilità. Le anime noffre Chiufe in quelli terreflri corpi per mezzo di quelli ordinariamenre veggono,& intendono tutte le cofe di fuori, 5t per quelli mirano quafi come per vetri variamente tinti, i quali ci fanno vedere le cofe di altro colore, che elle - non fono • & lotto il color verde, che ci aggrada , vediamo -Vnacofa rea : & Lotto il vermiglio, il quale ìiabbiamo à felli- lo ne vediamo vna buona : & noi piu il colore, che la verità ‘ della cofi (vguif.mdo, ci andiamo traftullandò ne'nofìri errò ri.E fè'l’anima--alcuna volta in fé raccolta difcertieil vero, pur - ribii pU o ella cèfi in vn momen to di tépo fpogliandofi del già iriueccniato habito prendere incontanente nuouo coftume. 1 preferiti oggetti,& le prèseti terrene vaghezze Signora-mia fono tutti lacci,che 1 egàti,& inuiluppa ti ci tengono.Et i corporali diletti-ci folio à fritte ledioro preseti, là tioue quelli dèi le anime ci fono iótanfè tanto li fono lótani che i noftri pen-fieri non vi arrinano. Di che ne’corpi viuendo malageuol-inerite polliamo viuere quafi fenza corpi. Se il corpo mio D E L M V T I O L I B. II. 97 farà carico di verte tanto grani, che io a fatica le porta reggere > come potrò far di meno,che non mi p e fi no ? che non mi ritardino ? & che non mi ritengano ? Se io vorrò andarmene {pedito,& leggiero mi farà, di meftieri gitemele. 1 cor pi noftri fono veftimenti deli’anime, e grauirtimi veftimen-ti fono erti. Et lòtto querta grauezza quale è quella anima che polla dire di non andartene come Valere carca ? Dicalo chi può, io non lo pollo dire : & portò con minor fatica dire, come l’anima mia fia dalla Toma oppreflà, che fare opera di alenarmene, & fe piu leggi ermente pollò dirlo , che farlo, non dee punto parer còla nuoua, che io non cofi viua,come io ferina. La poca fatica che ho nel fcriuere, fa che il mio liuto rende piaceuol fuono : la molta che lento nel ben viuere,mi fa parere vn liuto male accordato. Or chi fa che il maeftro,il quale lo fabricò, riuolgendo io a lui tutta la mia volontà non lo accordi a fare vn giorno dolcilrtma armonia ? Ma quello farà quando io hauerò l’anima tutta dimoila a riceuer la gvatia ina : & quando per grafia fua Vani-ma a riceuerla farà dilpofta.Ne io in quello mezzo debbo rimanermi per mio rimordirnéto, & per alcuni ammaeftramen ti di far fede co’miei fcritti di que’lucidi interualli, che ha alcuna volta l’anima mia;che quello farebbe vn feppellire il talento,che Dio mi hauelle dato. Ma quella non è materia da vna letterina.Del male di M. Cecchino ne fento dispiacere fe egli non fa comportarlo con patienzarma fe egli lo riconofcc per vifttatione del nortro Signore, io ne fento confolatione, antiuedendo la fua falute;che la virtù fi affina nelle infermità. Et nella patienza nollra polìederemo le anime no lire. Che Dio ogni di vi doni nuouegratie, io ne ringratio la Madia fua col cuore : & fono ficuro,che egli le vi ha da multiplicare in molti doppi,dapoi che voi da lui le riconofcete. Et del Conte Fulilio non dirò altro, fe non che fe egli fi dara allo Il lidio del bene fcriuere in ogni flato, & maniera di vita, gli potrà efler di piacere,di vtile,&di efaltatione.Bacio le mani. Di Milano l’vltimo di Maggio, del X L V. G AM. delle lettere a M. OTHONELLO VIDA. CCO VI che ho pur cominciato a met-tcrc in efecutione i volivi configli. La mia P°^uere è vfeita : & come poluere da diuer ^ ^ fi fo filamenti è ella fiata incontanente fotto } fopra riuoltata. Che primieramente fopra quello nome di poluere non vi fono mancati di quelli, che hanno voluto dire, che molto meglio farebbe flato, che io la hauefli chiamata cenere,percioch e la Gliela il primo di di quarefima dice, che noi fiaino cenere. Quafi come io non fappia quello, che dica la Chiefà : & non fappia che fe ben molti dicono cenere, non pochi fono coloro che dicono poluere. Ma io non ho voluto tanto hauere rifguardo a quelle parole, quanto alla vera noflra formatione,la quale effendo fiata di terra,piu propriamente fembra a me che venga detto poluere,che cenere, ol-tra che fe fi guarderà la doue fpeflò torniamo a dire, che noi fiamo poluere,e che in poluere habbiamo a ritornare,fi vedrà che non in ogni luogo verrebbe detto cofi bene cenere, come poluere.tr fe noi vorremo anche mirare a quel proemio, nel quale è quella operetta intitolata alla Jlluftriflxma Mar-chefàna, volendo appellarla cenere, tutto quello ci conuer-rebbe tor via. Delle quali cole a ninna penfo,che ne habbia-no hauuta confideratione coloro, che mi dannano in quella parte. Altri detto hanno, che io mi fono fi efo troppo in ad ducere in mezzo de gli efempii:& altri che io ne doueua met ter piu molti.Et fe in minor numero ne hauefli polli, piu ballerei dato che dire a chi di quelli,che vi fono nó fi contenta: & fe piu ne vlaua piu difpiaceua a coloro,che tanti non ne ha uerebbono volut.iMa dapoi che io abbattuto mi fono a pattar tra due cofi diuerfe openioni, non mi pento del giudicio mio,parendomi hauer tenuta la via di mezzo. Ad altrui è par ticolarmente {piaciuto che io habbia fatto mentione della fcioc- BEL MVTIO L I B. IL 99 fciocchezza di Carlo Re di Francia ; Et alcuno non ballerebbe voluto che io haueffi ricordata la auaritia di I ìetro Re di Caviglia. Il che a me pare che piu pofla effer teflimonianza dellaloro affettione, che del loro giu dicio. Et io quando a me foibe mancato l’vno efempio, forfè, anche l’altro liauerei lafciato fuori, per non parere come partiale voler notar IV-na,St non l’altra natione. Aggiungati a quefte cofe,che ci fono itati di quegli,che detto hanno,che io con quella mia ram memoratione di vitii, & di hiflorie infegno altrui di quelle cofe,che io danno. Alla qual cola non fiprei che altro dirmi in rifpofta:fe non che fe io in quello ho fatto errore, da dannar fono tutti gli ferirti di coloro, che fnnigliante maniera di fcriuere hanno tenuta: & che non meno alle facre,che alle no {acre hiftorie douerrebbe eller dato il bandojda che in quelle molte cofeamaramente fatte,molte libidinofamente, & molte crudelmente adoperate vi fi leggono. Non voglio lafciar di dire, che da alcuni altri è flato detto non piacergli la Poluere mia,percioche in quella vi è molta varietà di cofe,poefia, hiftorie, filofofia,& teologia, (come effi dicono)Et che loro piu dilettano le cofc femplici, che doue fono tanti mefcugli. Et a que’ tali non farò piu lunga rifpofla, che mi habbia fatta a gli altri. Solamente dirò, che fe hanno a menta quel gufto, che moflrano hauer nelle fcritture, potranno forfè hauer lunga, & fona vita.Et che per trouar lettura conueniente al loro appetito potranno leggere le fouole dilfopo, ole facezie del Piouano Arlotto, che quiui non trouerramio molta varietà di dottrine, che polla loro foflidire. Ma che dirò di alcuni altri,che piu mordacemente hanno voluto dire,che come videro quel titolo di poluere, in te fero di poluere da vendere da Cerretani? certo non altro,fe non che a loro incontanente tornò alla memoria il mefliero, che effi fono vfori di fare. Di quelle cofi fotte cofe fono fiate dette alla mia poluere 5 Et poi voi pur vi faticate a perfuadenni, che io debbia delle altre co-ft mandar fuori. Ma fe intorno ad vna cofa cofi leggiera, & cofi vile, come è la poluere, tanto fi fono efercitati gli altrui G 2 giudicii ioo DELLE lettere giudici!,che domeremo noi penfare che habbiano a fare ogni volta che efea in luce cola di maggior pefo,& di piu honorato titolo? Et pur fe nelle altre mie fritture non fono per trottar da dire cofe che pentir mi facciano di haiierle lafciate vedere piu che fin’hora mi fi a pentito di hauermi lafciata vfeir quella di mano, io non tono per mancar di compiacerti i in diuerfe altre cofe mie, con intentione di douer con lieto animo fentir quello,che fe ne hauerà a dire, efiendo ficuro, che quanto piu ogni cola da benigni lettori con lieta fronte farà accolta; tanto ella da maligni farà maggiormente lacerata,. Ma ne io debbo afpettar maggior priuiìegio., che fi habbiano hauuto i maggiori, & i migliori ferir tori, ne’ quali è poi celiata la inuidia, & la laude immortale è loro rimala. 11 Signor Marchefe mio dice pur di voler andare alla corte dello Imperadore, & vuole che io vada fèco. Se andra > al ritorno noltr'o con la gratia del Signore io manderò fuori buona parte delle cofe mie, Se non andra, farà aliai piu tolto. Et la. intentimi mia è di fare Itamparela Orecchia del Principe, 11 Duello, Tre libri di lettere in prola, & tre in rime fciolté, la arte Poetica, 5t trenta Egloghe. Di quelle cofe per quello anno vi donerete meco contentare. Poi fe Dio ci darà vita lafciaremo di mano in mano vedere anche delle altre, delle quali parte già ne fono nate, & parte concepiite:. Et prego il Signor Dio, che mi taccia gratia di vederui cofi contento, quando le cofe mie faranno vfeite nelle altrui mani, quanto io vi veggo difiderofo, che elle efeano : che fe elle con la te-Itimonianza della confolation voftra mi faranno appronate, fono ficuro che da’fani intelletti non potranno fé non elfer commendate. Et con quello mi vi raccomando. Di Milano a’ III. di Giugno, delX L V. DEL MVTIO LIB. II. A M. FRANCESCO CALVO. iOI OI afpcttate con difiderio che io vi ferina : & io vi fermerò di quello, che affettate,& difide rate. Ne comincerò a feri nere delle cole di Trento/come voi forfè auuilàte che io habbia a lare; ma ne dirò prima delle altre, dalle quali riufeiremo a ragionar di Trento. Noi in quello noitro viaggio fiamo capitati m Augnila : la qual città è il primo luogo, che trouato habbiamo,doue del Luteranelino li taccia publica profeluone:& quello mi par notabile, che la città è Luterana & il circoftante paefe è tutto Cattolico. Or quiui efien-dofi il Signor Marchefe fermato due giorni, Vna mattina io entrai in vna delle loro eliieie, & trouato che vi fi predicarla, afpettai chela predica folle fornita,& i(montato che fu il pre dicatore di pergamo, fattomegli incontro, & falutatolo, gli dilli,che venendo di Italia, doue fi feminano diuerfi romori della loro fede, & de’loro collumi, & difiderando di faperne il vero,io lo pregaua che volefie chiarirmi di alcune cole, del le quali io lo hauerci interrogato: & e fio a douermi rifponde re benignamente mi s’offerfe. Quindi tiratici da vn canto, io domandando, & egli rifpondendo, ne tradì le conclufioni chcleguono. A ugnila è din ila in otto Parrochie: & il maeilrato ha eletto dodici h u orni ni alla predicanoli del Vangelo. Et ogni gior no fi predica la mattina in quello modo, Il predicatore montato in pergamo comincia ad intonare il Salmo 5 & il popolo vecchi, & giouani, mafelii, & femine feguitano a cantar con lui : & quello linito,il predicatore, & il popolo fanno vn poco di oration mentale, dopo la quale li viene alla predica, & quella finita fi torna pure alla orntione,e pofeia a cantare vno altro Salmo con vna aliai grata confonanza di tante voci, che ogni uno, il quale ha cognitione di Salmi canta, & quali tutti nè hanno cognitione,percioche fono tradotti nella loro ljn- G 3 gua. gua.Quetio fi fa per ordinario (come ho detto) ogni giorno: male Domeniche il popolo fi riduce tutto ad vna delle parodile vna Dominica ad vna,& altra ad altra, & di mano in mano per ordine a tutte , & quiui chi vuole fi comunica, & chi non vuole lafcia,che muno è coftretto,& a ninno è vietato il comunicarti. Il facerdote n on con altri panni che con le prò prie lue pelli, & lènza lumi, & fenza altre cirimonie dice fo-pra il pane azimo, & fopra il vino le parole dette da Chritio nella cena:& lotto Lvna,& fotto l’altra Ipecie da la comunione al popolo.In quel pane ,& in quel vino non tengono che vi tia fu ftantialmente il corpo,ne il langue di le fu Chritio,ma fpiritualmente; & danno quelli efempii, che ti come Abate Viene inueftito di vna Badia con vno anello, ancorché in quello non tia la Badia • & ti come lo Imperadorc inueftendo altrui di vno flato col dargli vno ftendardo in mano nel là Signore : & pur nello ftendardo non è lo ftatO;Coti dicono, che Chritio non diede il corpo fuo, ne il fuo {àngue,ma il pane, & il vino,il quale prendendo il Chriftiano prende la virtù del corpo, & del (àngue di lefu Chritio, & che a quel pane , ò a quel vino, ne nel vederlo,ne nel inoltrarlo, ne nel portarlo ri-uerenza alcuna non ti richiede,non etiendo in quello,ne Chri tio, ne virtù di Chritio le altri non lo mangia-, ò nonio bee , Il battetimo fanno con acqua pura, & con alcune loro nuoue cerimonie. La Chritina & la vi ti ma vntione hanno del tutto tolte via. La (epoltura fanno in due luoghi,i quali hanno IV no fuori della città,& l’altro dentro:& hanno ad alcuni ricchi conceduto,che ti facciano fepellire nelle chiefe ; & alla fèpol-tura fanno che vno raccoglie la limotina da darea’poueri, & tengono nondimeno,che quella aànorri non gioiti, ma dicono che ciò ti fa per confolarione deViui, Le chiefe, ne que’ loro cimiterii non hanno citi per lacrime per ricorrere al tem pio perfuna alcuna lari piu ficura dalla corte, che fe folle in mezzo della via publica : anzi citi, delle chiefe hanno fatto vie publiche ,• & perquellecome perftrade publiche vanno fenza riuerenza,& lènza ricetto portando peti & altre cole loro necef- DEL M V T I O L I B. IL io; «eceflarìe,dicendo chele mura,& le pietre non hanno fanti-tà, & che perciò non fi conuiene render loro veneratione. I matrimonii fi celebrano pure al modo di prima. I monafterii de’monaci, & de’frati fono tolti via. Delle monache alcune ne fono rimafe in vn moniftero,le quali viuono ritirate. Alla confezione hanno dato il bando : vero è, che dicono, che fé altri li fente la confcienza aggrauata,ricorra ad alcuno di que dodici eletti per configlio. A digiunare non fi obliga alcuno, & ogniuno mangia di ciò che vuole fenza differenza di giorni . Bene ammonifcono le perfone che vanno dattorno, che ritrouandofi in parte, doue fi vfi altramente debbiano accom modarfi a gli altrui cottami,& non dare fcandolo Le orationi lafciano medefiinamente liberete vi fi cantano ne vefpri, ne mattutini, ma dalla prcdica,&da que'Salmi che ho detto infuori la chiefà è muta.Le fette loro fono le Domeniche,la na-tiuita del Signore,la Refurrettione, la venuta del Spirito Santo^ la Afcenfione.Le imagini,alle quali fifaceua alcuna riue renza le hanno tutte leuate via, in modo chene’tempii non fi vede pure il fegno della Croce.Il Papa, & i noftri prelati fono da loro hauuti in quella confideratione, che fi hauerebbono tanti nimici della tede. Et de concilii dicono, che fono cofti-tutionidi htiomini,& che in quelli vi fono delle conttadittio ni, voledo con quefto mezzo fignificare,che le materie già in quelli trattate fi douerrebbono ritrattare. Et del concilio del quale hoggi fi ragiona dicono, che il Papa prima che vdirgli per heretici gli ha condannati : & che per tanto non bifogna piu difpu tare,maflìmamentc con Papifti, i quali vogliono effer giudici, & parte. Et che quando balleranno concilio libero, & giudice non fofpetto, a quello aneleranno con pron-tiffimi animi. Quelle fono le conclufioni, le quali ho in fomma delle loro openioni:& alcuna colà piu particolare ne hauerei perau-tientura apprefa, fe non che palliando alcuni de’noftri per quella chiefa,& hauendoui veduto me con colui, quiui trafièro auuifando quello, che era, & non contenti delle mie in- G 4 terrò- ro* DELLE LETTERE arrogationi,& delle rilpofle di lui {opra quelle tratto tratta entrali ano a difputare, il che difturbò me aliai : & io era con colui flato buona pezza,& già era bora di definare* & il voler ritardar piu lungamente dal bere vii Tedefco,che hauea predicato, cantato , & tanto ragionato non era atto da pedona modella . Ma & pur troppo hall eua io vdito decloro errori. Coltili veramente,con cui io parlai- ( accioche lappiate il tuttofai Mufculo, di cui alcune cofe fi leggono fdpra gli Euangelii : &gli ferirti di luì fono venuti in ìtalia. & in quelli pare che nella materia della Euchariftia Tenta altramente, che noli' difleall'horaame. Ma meco parlando pareua pur che du-bitafle che io non do udii intender la Tua herefia :& mi ternana a dire, 11 corpo, & il (angue di Chri sto fiotto quella {pecic di pane, & divino non fono(uftantialmente, non localmente,inafpiritualmente,&mifterialmente.C h r'i sto- quando nella cena dille quelle parole non haueiia il Tuo corpo in mano : &rito"rnauaaar gli efempi dello anello, & dello ftendardo, quali temendo che io doli citi pur credere che gli fendile bene. Vi furono de gli altri della compagnia1 noftra, che ragionarono con de gli altri pure in Augnila, i quali in quello medefimo iuggetto parlarono diuerlamen-te dal Mufculo, & diuerfamente ancor da quello, che ti e-ne la Romana Chiefa. Ma non è marauiglia le elìì tra loro, & da fe fieli! fi dilcordano, che chi non è goueruato da buono fpirito non può tenere diritto fenderò.Ne voglio la-Iciar di dire, che anche in molte altre cole a me lembradi vedere, che eli! con fe ftefiì non fi accordano, che fe vogliono tor via le cirimonie, non debbono introducerne di/ nuoue come ho detto , che tanno nel hattefimo: & fe le limoline a morti non giouano, non le douerebbono alle {Sepolture rilctiotcre, ne lafciar che coloro, i quali le tanno fi ingannino delle loro openioni ; che contolatione non pimeli er loro nella perdita de’ parenti gittate i danari, oltra che quella diftintione di fepolture de’ricchì, & de gli altri non fio. quanto fia lo dei?ole. Et il domandar concilio a loro che- dannano, DEL M V T I O L I B. II. -io* dannano i cócilii mi par foucrchio, che fe con quefco fi vorranno dannarci pailati,con vno altro appredo con la^ragion medefimà fi potrà dannar quefco, & cofi fi procederà in infinito . : Ma poi che io vi ho quelle cofe recitato, non volete voi che ne parliamo alquanto infieme ? E farà ben fatto. Et cofi compenferò io la tardità con la copia dello feri nere. Io dirò adunque alcune cole,che mi occorrono in generale, che il voler venire a difputar lopra tanti particolari richiederebbe altro che vna lettera, & io fono in viaggio fenza libri, $£ in fu la tauerna 5 oltra che elle fono cofegia trattate, & deter minate. Or dico primieramente, che hauendo coftoro Iellate , ò variate molte cofe di quelle, che per molti fecoli fono fiate appratiate, è da dire, che non poifono hauer fe non grandemente errato : chele bene di quelle nel Vangelo non vi è efpreiìa ordinatione, non vi è neanche dichiaratione in contrario. Et noi pur lappiamo,che delle cofe de'’piu antichi fecoli coloro ne debbono hauer miglior contezza, che piu a quelli fono fiati di età vicini: che molte cofe polliamo noi hauere hauute da’noftri padri, le quali elfi Irebbero da’padri loro : & quegli da gli auoli, & gli vili da gli altri maggiori : & ancor che non ne habbiamo notitia della origine, non debbiamo credere, che i primi iftitutori di quelle fi moueder feti za alcuna ragione; ne che di mano in mano da tante fuccefi-foni follerò fiate confermate fenza alcun fondamento, elìen-do malfimamerite gli huomini di que tempi, ne’ quali quelle ordinationi furono fatte, & appratiate,, fiati non. men dotti di quelli della prelente età, &di(pirito, & di finititi molto piu eccellenti. Et chi parla contra le antiche ordinationi , & colli turioni ,le quali fono ò necefiàrie all’edere, ò vtili al bene edere Chriftiano, come heretico bada edere meritamente cacciato dal grembo della Santa Madre Cliiefa. F vedete che manifefio errore è quello . 1 ret- tori fecolari vogliono fare ehi i facerdon ( che fecondo la loro eiettionc . pur che da loro fiano.eletti, ilaici miniftra.- ìxolc to« D E L I E L E T T E R E no le cofe {acre; & vogliono efli dare quello che non hanno. Ma rifpondono. Doue faranno due, ò tre ragunati nel nome mìo, io fono in mezo di loro;&doue è Dio vi è tuttala autorità. Òttimamente detto. Ma perche douerò io credere, che in tante congregationi fatte già tante volte per tanti fecoli da tante perfone di fpirito, & di dottrina,raccolte di tutta Chri-fiìanita.non vi fia flato Dio,& che egli fia nella non dico vnio ne,ma feparation di vna natione, la quale è tra fe, & dalle nationi diuifà ? Et di vna natione,che tra le altre non è la piu acu ta,ne la piu accoftumata,& che pur hora comincia a prendere alcuna dottrina, & alcuno ornamento di buoni coflumi ? Et perche non douerò io piu toflo credere, che il Dianolo la habbia tta fe,& dalle altre (come ho detto;diuifà,& fé parata? & fattala vna {cuoia di erefia? Che molto piu e da tenere, che 10 Spirito Santo fia flato quello,il quale ha per canti fecoli tenuta la Chriftianità vnita in vna openione,che fia da dire che egli habbia meflà quefta difcordia, & quella confùfione. Et qual confùfione farebbe nella fede, fe ogni città volefle far ordini fuoi fenza riconofcer fuperiore? Ogni volta che il Vicariato di Chrillo fi abbattcfle.non ci edendo vn capo, al qua le fi hauefì'e a ricorrere per ledichiarationi,&per le determinationi,in breuiffimo tempo neauuerrebbe, che quante foli fero le città,tante farebbono le diuerfita della fede?percicche fecondo che ciafcuno fentiflc cofi predicherebbe al popolo filo,fecondo che far fi vede hora per quelli paefi; che di quel 11 che dalia vninerfale Chi efa fono feparati tante fono tra loro le diuerfità delle openioni, & de’coflumi nella religione, quante non furono mai le lette de gli antichi filofofi. E quale leguita collui,& quale va appi edò a colui, in guifa che fono non vna,ma molte chiefe(fc per chiefe, & non Sinagoghe meritano di edere appellate ) contra quello che canta la Chiefà dicendo, che ella crede vna Chi efa Cattolica. Poi fe quefta che fabbricano coftoro è la vera Chiedi, il mondo è flato già molti fecoli fenza Chiefà: & Chrifto è flato tutto quello tem po lontano da noi,&fi è moflrato bugiardodiaucndoci prometto DEL MVTIO LIB. IL 107 niello che farebbe flato con erto noi per tutti i giorni infino alla fine del fècolo.Le quali cofe fè non fono da dire,e da con eludere,che meritino di erter dannate le coloro openioni. Et già le dannano imedefimi popoli che nelle città, le quali di quella pelle fono corrotte, nel le priviate cafeffecondo che io fono informato) molti viuono quanto piu portono al modo noltro cattolicamente, Et in Vlma.il qual luogo è reputato principal capo del Luteranefimq,ertèndoci noi fermati vn Ve nerdì, & vn Sabbato, habbiam notato per gli alloggiamenti, che fanno il Venerdì, & il Sabbato al noffro modo:& nello al bergo del Marchefe le donne con diuotione furono alla mef fa,& con tutto che alcuni andartèro per farle leuare,non fe ne vollono rimuouere. Et de gli huomini letterati ptir di quella terra dicono, che in quelle loro dottrine altro non ci è che confufione;Si che fe d ir fi poflà,che coloro nel nome di Dio filano ragù nati non ifilmo che bifogno ci fia di molto difeor-fè> a douerlo giudicare.Qui voglio dirui io liberamente il vero; Aitanti che io venirti in quelle parti ,&che io vederti, vdif fi,& fentirti quello, che ci ho villo,vdito, & fentito,il Lutera-nefimo alcuna volta mi loleua parere alcuna cola, hora ho io il tutto pcrciance,& fàuolejche fè ben della vita,& de’coftu-mi de’noffri prelati hanno alcuna volta fauellato, quanto alle cofe di fuftanza io ho la dottrina loro per nulla. Pofcia la vita loro non è quella, che predicano in Italia que noffri tratacci heretici coperti del manto della hipocrifia, che dalla fanti tà de’coftumi vogliono approviate quella fetta. Che non ci fi vede quella carità,che da loro in parole viene tanto efàltata ; la qual fe ci fòrte, ne le città, ne le campagne non fàrebbono coti piene di mendicanti,come elle fono In Vlma è ben dipìn to Martino con la boria aperta dar limofina a’poueri ; ma la loro carità è rimala in quella dipintura . Che dirò,che hanno cacciati i Giudei, & erti danno ad vfura a venticinque,& tren ta per cento ? Ne voglio tacere, che hauendo erti vfurpati i beni delle chiefe ci fi trouano di coloro, deTquaIi fi fi, che le famiglie loro hanno donato le facoltà delle migliaia de'fiori ni alle re* DELLE LETTERE alle Cliiefe,&e ili bora fono venuti in miferia, & in mi feria fi falciano ftare^Or fe queìle ricchezze alle chiefe non fi conuen gono,perche non fi reftituifcono a coloro,a cui fi là,che di ra gione s’appartengono ? Et perche vfurparlefirEt quella la tati to predicata carità ? E quella la purità delle loro confcienze ? Ne vorrei che credette, che l’amore della caftità folle in loro maggiore,che in noi. 11 Mufculo,con cui io parlai, domandandolo io come punilfero gli adulterii, mi rifpofe, che egli s’era faticato aliai,accioche vi fi facelìé prouifione, & che no ne ha potuto fare alcun profitto. Ma come vorremo noi che caftita fia la,doue è il regno della gola, 5t delle ebbrezze ? che quelle non ci hanno(come fi elice) ne fine,ne fondo.Et chi no falche i principii delle religioni, & delle reformationi di quelle logliono fempre hauere alcun fondamento di virtù,di bon tà, di modeftia, & di fantità ? Et fe nel nafeimento di quella nuouaTedefca Gaiefa,di quelle non ce neapparilce veruna, come vogliamo noi credere in procello di tempo, fe ella pigliali e piede, che fe ne douefie vedere alcun buon frutto ? Et che ella non piu torto douefie elìere vna puzzolente" fendila di quali fono i piu abomineuoli vitii ? Ma troppo farebbe lun go lo lcriuere mio,fe io volerti in quella parte dir quello, che ne potrei. loftimo, che molte di quelle pouerc anime con inenarrabili fofpiri prieghinoDio, che tolga loro di tante tenebre,& fopra loro ritorni ad aprire la fua vera luce,alla qual cofi è giudicato,che ottimo mezzo douefie elìere vn concilio : & le ho da dirui quello, che io ne fento, Io giudico, che di coloro', che di quà hanno da procurarlo non ci fia chi lo voglia.I dotti temono che le loro openioni non fiano dannate , & vogliono conferuarfi con quella autorità co’ popoli. Coloro che pofieggono i beni delia Chiefi non vogliono ha-nere a reftiturgli. Et quelli che non vogliono riconofcere il Papa per fuperiore, non fi curano che “quello articolo fi dichiari, percioche ò haueranno da obedire alla Romana Chic là, ò perderanno quella autorità, che hanno hauuta dallo Imperio, dapoi che da quella la hanno hauuta. Et io non penfo, che DEL MVTIO LIB. II. ros che altra cohi fia piu atta a di/porre i popoli a r inerire, & ad vbbidire altrui,che la modeftiade’coftumi, & la /alititi della vita.Ma Chriflo paftor buono riguardi homai con occhio di pietà {opra la poucra Tua greggia. lo vi ho detto del concilio di Trento cjiicllo?clie io ne credo.»fecondo clic mi picsrifte «il partir imo,che io doucilì tal e. Et vi ho parlato del Lutcìane-fimo, di che non mi tacche mentione. Hora ftarò a vedere quello, che mi manderete in ifcambio,per làpere come vi donerò edere auaro, ò liberale delle mie fcritture. Et fra quello mezzo mi vi raccomando. Di Spira a’ IX di Luglio,del XL Vh AL SIGNOR PRINCIPE DI PIEMONTI. O V I lafciai Signor mio Uluftrifumo in Vuormatia,ma non perciò lafciai la memoria, & il difiderio,che ho di feruirui. Et per-cioche in parte veggo efler lodisfàtto ad vn lodeuole difiderio volito, io della lodista-tion voftra Tento confo latione. Infin dal tempo ch’io vi feruiua a Nizza fo quanta foli e la volontà voftra di andare alla corte di Celare, che non mi è vfcito di mente quanto caldamente, & con quanta affectione con me ne tenefte piu di vna volta ragionamento. Ho. rafia Dio mercè) voi vi fete pure arriuato:& di ciò fi come ho noreuole era il difiderio volito,cofi di non poca contentezza vi dee edere l'hauere intorno a ciò confeguita la voftra inten tione. Che e (fendo voi di quello ingegno che fete, capace di ogni virtù,& effendo di quella età della quale la principal vir tu è cercar di apprendere tutte le maniere di virtù, & due ef fendo gli ftudii principali, i quali honorano ogni conditione di pedone: quello delle armi, & quello delle lettere,&quelli conuenendofi a voi infieme con molti, & in molti luoghi a quelli potendofi dare opera. Voi hauete poi vna altra condi. tione iio DELLE LETTERE rionefoparata,la quale vi è comune con pochi, che fete Prift cine : Et di quello meftiero non cofi in ogni parte vi li ntro-uano le fcuole. Et fe tra'Chrifliani alcune ve ne ha, è da dire che la corte dello Imperadore fi a Lenza comparatione la prima. Di che ho io da concludere,che il bello animo voftro non da altro iftinto morto,che dal conofcerfi edere animo di Principe,difideraua pur di conducerfi a quella fcuola, douc egli fi indouinaua di meglio potere apparare le regole del Principato • Or ert'endo voi a cofi honorata fcuola,potrebbe altrui parer fouerchio il volerai dare alcun ricordo. 11 che confortò io erter vero, quando al tri con parole morte inoltrar vi volerte quelle cole,che ne’viui e (empii vi fono da erter ina Difettate nella voftra {cuoia.Ma io non intendo di infognami colà alcuna, che in me non prefumo tanto di me fletto, anzi voglio folamente dirui di quelle cofo,le quali mi vanno alcuna volta per l’animo, quando penlo di voi, quali per mio parere dou eflero etter quelle maniere, che voi hauefte a tenere per piu ageuolmcnte,& per piu compiutamente apprendere quello, che vi è piu neceflario. La prima cofa adunque, la quale voi fpette volte vi douetc riucitar per la mente, e che voi fete Principe : la qual parola quanto in le comprenda, & quanto fi flenda la fua lignifica-rione,la medefima voce lo ci dimoflra,che altro non vuoldire che primo,ò principale. Ne è da credere che venga a lignificare che egli fi a primo a’piaceri,ò a’fòllazzfne primo, perche egli primo fieda a menta, ò habbia in fedendo, ò in andando il primo luogo ; ma percioche egli dee erter fra gli huomini il primo di prudenza, il primo di giuditia, il primo di temperanza,& il primo di valore 5 che effondo la prima eccellenza dell’huomo la virtù, in quella dee erter principale colui, il quale ha da erter Principe di huomini; che quella fu la prima illitutione del Principato alianti che gli flati andaflero per fu cerilione : che le città eleggemmo al gouerno coloro, che piu atti a gouernarle erano conofoiuti. il che vuol dire,quegli che per merito di virtù a gli altri fopraflauano. Et perciò i Principi DEL M V 7 I O L I B. II. ti t Principi della loro iftitu rione hauendo memoria, debbono faticarli di elTer veramente tali,quali fi richiede a quel luogo, che tengono,cioè di piu rare eccellenze adornati,che coloro a’quali citi fono fuperiori. Che quale (conucneuolezza è, vt> derfiilmendegno di honore fignoreggiare al piu degno? che dubbio alcun non è, die il piu del men virtuofo non fu di honor piu degno. Voi hauéte adunque da ricordami di el fer Principe,& di volere effer Principe non (blamente di nome,& di (àngue,ma piu ancora di eccellenza di ànimo.Et tanto maggiormente a ciò vi douete inanimare,quanto piu pen-ferete qual Principe voi fete, nato di Padre Principe, di antichi (siina & ìlluftrifs. famiglia dii cela di Pingue di Re c di Im-peradorij& di madre figliuola di Re. Voi al Re di Portogallo fete nipote,al Redi Francia cugino,allo Imperador nipote,& al Re de Romani già vi potete dir genero.Taccio la congiun rione che hauete con infiniti altri Principi, die il ricordami di quelli a me fembra che debbia baftar’aflài per incitaruial vero honore. Con larammemoratione adunque di quelli cofi alti, & cofi gloriofi parentadi non douete voi tanto gloriami di effer tale,quanto confiderare a tutte le hore qual pelo ftia (opra le (palle ad vn furgcnte Principe,il quale eflendo di tante corone illuftrato, & in cui gli occhi del mondo fi ri -uolgano, che voglia moflrarfi degno di cofi honorata ftirpe, & di cofi eccede confànguinità, accioche per lui non macchia ne venga, ma fplendore ne foprauuenga ad vna tanta & cofi luminofa nobiltà. qui miri l’animo veltro, qui s’aguzzi il voftro ingegno, qui fi indirizzino tutti i voftri penfieri ò Principe mio llluftriffimo. Et peniate che (è da tanta chiarez za di fmguc a voi ne viene alcuno honore, voi {ere debitore di operar fi, che per Io valor voftro tutti que riobiliilìmi legnagli maggiormente fi intendano efier fatti chiari. Ma qual maniera, mi direte voi, donerò io tenere per do-uer diuenir tale ? lo la vi dirò Signore.Ma ho da damene prima vna fimilitudine. Voglio inoltrami vna picciola femenza, la quale fe voi non ifprezzerete,da quella ne venete a coglier pretio- II* delle lettere pretiofifilmi frutti. Chi direbbe che di cofi picciolo feme, quale veggiamo tutto di,ne nafeeffiero i cofi grandi,cofi bei-focosi ramofocosì fronduti,così ombrofi, & così fruttiferi al beri ? fermamente a chi veduto nonio hauefle, incredibile farebbe,che di vna cofi poca cofa, Si in vifta così vile,ne riu-feifìe vna così ampia,& così marauigliofà. Similmente ho da dire a voi,che voglio inoltrami vn feme in apparenza da non ne fare fìima : ma che fe voi lo riporrete nel cuor voftro, 8i con la continua memoria lo terrete ben cultiuato , da quello in voi fi fentira germogliare vna tal pianta di Capienza,che da quella tutti i piu rari ornamenti,& tutti i piu diiiderabili frut ti di gloria cogliere fe ne potranno. Et per non vi tenere piu lungamente con l’animo fofpefo,Il Cerne che io vi propongo è quefto ; che mai non vi perfuadiate di fàpere ,• perctoche fi come la perfuafione è la principal pefte de gli animi di tutti gli huomini, così nel peniate il contrario, è la loro medicina, Si la loro fàlute. Et da queltapeltilenza vi conforto io a guar daruene grandemente: che fe alcuna conditione di mortali è, che di quella fi inganni, i Principi fono coloro, che fopra tutti gli altri in cotal vitio inuiluppati fi ritrouano, parendo loro che fi come eflì a gli altri di fiato, Si di potenza fono fìi-periori, cofi di auanzarli ancora d’intelletto. Di che quanto Ciano errati,ne gli (pecchi mirandofi aliai chiaro fe ne potreb bono auuedere; che fi come altre effigie non hanno che gli al tri huomini, cofi non debbono peniate di efìere di altra natura . Ette effi ne piu grandi,ne piu belline piu forti, ne piu faui,ne di piu lunga vita non fono,che gli altri huomini, cofi non fi debbono credere di hauere ne migliori anime, ne migliori animi che gli altri. Et poi che alla gu ila del Re delle Àpi effi non hanno forma piu eccellente di coloro, che a loro fono foggetti, non debbono ne ancor credere, che piu acuti Ciano i loro ingegni,ne piu rari i loro intelletti. Vero è che in quefta parte,doue la natura a gli altri gli ha fatti egualità fortuna gli ha fatti fuperiori,dando loro commodità col modo che hanno di tenere apprefìò di fe de gli huomini elet- ti5Sc DEL MVTIO LIB. II. in ti,& col concorfo,che tanno di dì in dì a loro gli huomini in tendenti, di potere con quello, & con quello parlando , & afcoltando,& notando,&apprendendo,hauer di piu cole no titia che gli altri,& cofi diuenir fauii fopra gli altri. Et à do-uer diuenir tali altra miglior via non ci è di ^quella, la quale detta ho di non fi perfuader di làpere? che infin che l’huomo non fi crede Capere cola veruna,egli fin dia di Capere ,• ma come fi crede di làpere,non palla piu oltra, & nella Tua ignorati za fi rimane. Ma che direte voi Signore,Ce io vi dirò, che noi veramente altro non lappiamo Ce non quello , che non lappiamo ? Che gli animi noilri adombrati da quelli terreftri veli de’noftri mortali corpi per quelli apprendono tutte le cole , che di fuori apprendono ; & fecondo che da quelli fono loro porte, cofi di loro giudicano. Et chi fa che allo animo fuo cola alcuna fu veramente apprefentata ì &che ilfenfo Tuo non gli fu lai Co miniltro ? certa cofa è, che in molte coCe fumo ingannati,che Ce noi ingannati non fofilmo,tra gli huo mini non farebbono tante diuerfità di openioni quafi in tutte le coCe,quante veggiamo,che ce ne fono, che gli intei! etti notlri da quella ombra liberati, tutti in vna medefima forma vederehbono tutte le coCe, là onde & Socrate Piloto Co non per altra cagione dallo oracolo di Apolline fu Cmifiìmo giudicatole non percioche egli foleua direi Vna colà sò,che imi la sò. Ma perche mi llendo io tanto in quella materia ? non per altro,fe non percioche io sò, che in quella peruerfa ope-nione di Capere molti Signori hanno molte volte fe, & altrui pollo in rouina. E sò che ci fono flati di quelli,che quando al tri ha voluto dar loro alcun configlio, hanno detto, Et che fi-petc'voichenon folle mai Signore ? Quali come in quello filante,che a lorovengono date le vede, ò le berrette,ò le coronem gli feettrfiò gli llendardi, quella inuellitura degli fiati in loro ìfpiri la lapienza di Salamone. Sciocchi che effi fono, quegli dico che cofi fi perfuadono ; che con tutte le loro Signorie fono molte volte piu foggetti che coloro,! quali a loro fono foggetti. Che fe efiì vlano di tiranneggiare i popoli, -f 'rirv- :..vr ““ " H non 114 DELLE LETTERE non meno fono tiranneggiati da’vitii,anzi tanto piu fieramen te,quanto i vidi fopra gli animi adoperano la loro tirannia,là doue ehi (opra i foli corpi potfono vfare la loro lignoria.Fug gite adunque voi Signore vna perfuafione coll maluagia ; la perfuafione del fipere vi dico che fuggir debbiate; che di voi intendo che vna altra cola vi riabbiate a perfuadere : & ciò è di hauere per benignità di D i o lo ingegno atto, & il corpo difpofto ad imprendere,&ad efèrcitare tutte quelle cole che a Principe s’appartengono : che perfuadendoui di non fape-re,& di poter là pere, cercherete di làpere,& apprenderete, 5C faperrete. Et quello da me bramo che lappiate hora, che al-l’hora voi làperrete più, quando a voi meno parrà di douer colà alcuna adoperare fenza maturo configlio, 5c lenza l’altrui parere. Di peruenir veramente ad alcun grado di lapienza due lo-no i mezzi ; Ciò tono i libri,& i vini elempii. E notate Signore) che quelli fono i mezzi (dirò cofi)ordinarii,& naturali: ma quelli nulla operano fenza il vero principio,iI quale è D i o. Egli è il dator di quellarquello è dono luo principale:^ da ui alpettar ci bi fogna vna tanta gratia. Perche a lui come a lèm-piterno fonte di immcnla lapienza con Inumi cuore, & con diuote orationi fpelfo fpeifo vi douerreteriuoltare, pregando la fu prema fu a bontà, che dapoi che vi ha fatto Principe, & vi ha latto Luogotenente in terra di alcuna parte del popolo fuo, vi doni anche tanto di intelletto, & di làpere, che ad honore,& gloria tua polliate con falure della voftra anima, & con fod (siati one de popoli a voi comincili ammimfrare la à voi comm ella amminiftratione.Et feguitando quello, che det to ho dc’libri,& de vini elempii, Ancor ch’io fappia, che non ci mancano di coloro,i quali hanno le lettere per cole a’Prin-cipi non neceflàrie,non mi fenderò perciò con voi in molte parole per volere abbattere cotale openione, pervadendomi che per quello,che voi già dal gufo di quelle potete giudicare,habbiate del tutto openion contraria. Ben dirò, che fe coloro, che cofi feutono,follerò huominhche di lettere haueiìe- ro cono- DEL MVTIO LIB. IL usto conofcenza, & che fapeflero quello, che effi fi follerò,pur fi potrebbe porgere orecchia à quello, che dicono.Ma (è non fanno, che cola fia quella, della quale parlano, qual giudici» ne debbono fàper fare? Ora i libri, che voi piu continouamen ti dourete hauer in mano dopo la legge di D i o, la quale egli vuole che i Principi ogni giorno la habbiano in mano, dopo quella dico i libri che piu voi donerete hauer famigliati,fàran no ò di quella parte di Filofofia, la quale tratta de’coftumi, ò di hi (lori e. Che gli vili vi moltrerranno che fia virtù, & le maniere di quella, & i loro contrarii, & quello che voi hauerete da fuggire,&da feguitare ; Et gli altri vi reciteranno le opere da gli antichi virtuolàmente fatte in diuerjfì modi, & i premii, & gli honori, che hanno confeguiti : & medefimamente qual pena,& qual vituperio habbiano riportato coloro,che in con .trario hanno adoperato. La iettione delle quali cofe non vi potrà efler le non di grandiffima dilettatione, & di non minore vtilità : percioche da quella ne potrete trar la regola di tutta la voftra vita, cofi nello flato voftro, come d i fuori. Et percioche i Principi in cala fono chiari per lo gouerno, & di fuori per lo efercitio delle arme, Si come in quelle due parti i libri pofiono fare altrui lamofo,cofi non poco giouamento. pofiono recare i viui efempli. La qual co fa è fiata la feconda in ordine delle due, che noi habbiamo propofte. Anzi fi come la viua voce piu in noi adopera, che la fcrittura, cofi il veder prefenti coloro che fanno le opere notabili, molto piu ci inanima alla imitatione,che la rammemoratione de’pafiati. A voi adunque vlandò in cotefla corte non mancheranno mai nuoui detti,&nuóue operationi di*Principi, & di Caualieri, degne di alcuna confideratione. Et notando le maniere che da’piu lodati ,• & dappiù honorati faranno tenute, per le loro pedate vi metterete a caminare, richiedendoli mafllmamente a chi vuol viuer nella luce de gli huomini efler non folamente di coftumi onefti, & modefti, ma ancora habbiano del gentile, & del leggiadro. Et percioche di due maniere di vita ho fatto mentione, nell’vna, & nell’altra, lenza che a me fia necef- H 2 farlo ,14 DELLF. lettere fario di altro dirai, già per voi fteflò potete fare elettione cui voi habbiate ad imitare,hauendo gli efempii del fuocero, & del zoo : Che fe voi vi fpecchierete nella innocenza, & nella fintiti della vita del Re de Romani, <3c mirerete alla giultitia fua & alla fu a benignità, voi vederete torma di buoii Principato ; nella quale non in vi timo luogo donerete confidcrare gli ordini da lui fcruati. Che hauendo compartite le hore lue del 1 cuar di letto,dcll’vfcir di camera,del mangiare,del ritirarli , del caualcare, & dell’andare a dormire, JHP| tolomeo, che da alcuno fi douefie dubitali?^ ^ re tra 1° del Boccaccio,& del Machia-gV'®1 uelli, quale haueife ad effer reputato il piu ® leggiadro. Anzi ho io fempre {limato, che in quella noflra età ci fiano di quegli, che di purità di lingua, & di dolcezza, & di altezza di dire auanzino il Machiauelli : ma che alcuno non ce ne habbia,che al Boccaccio meriti di effere agguagliato. Or voi ( per quanto io comprendo ) hauete openione a que Ita contraria : & tanto la hauete voi contraria, che dite il dir del Machiauelli effere deli altro lenza computation piu bello : le quali parole voflre (Ceio voglio dire il vero) piu mi hanno fatto marauigliare,che murar Lentenza; percioche quelle dall’vna parte con la autorità vofira,5c dall'altra con la ragione efatninando, mi par di vedere, che la ragione fia con traria alla volita autorità. Etfe voi volete fàpere qual ragione à cefi douer dir mi muoua, io la vi dirò, detto che io hab-bia quello, che da voi è flato detto, il parlar voflro adunque è fiato, che lo fido del Machiauelli è lenza comparatione piu bello di quello del Boccaccio, conciofiacofit, cheha-uendo il Boccaccio fcritto noueile in iflilo, come egli dice, humiliifimo, & rimeffo, quella manieradi dire per ìfcriuerc nouelie è conueniente 5 ma ad altra ferittura huomononfe ne può jfèruire.Et hatiere aggiunto,che il Boccaccio non heb be giudici ò nelle cofe fue 3 Anziché hauendo {critto il De-• I 4 camerone, riw D 011 L E il E TT ERE auncvone, & de gli altri libri, & ifpecialmente il Philocolo fche cofi chiamerò io pur quel libro) egli fi crcdeua , che il Philocolo doueffe elìer tenuto dal mondo in maggior pregio ; di che fi vede quanto egli della fua credenza fi mgannaf le. Quelle cofe quali dall’vno, & quali dall’altro di voi fono Hate dette. Alle quali potrei io rii pondere, che in volendo dar fentenza di due Itili quale fia piu bello,non balìa dire i vitii dell’vno lenza dir le virtù dell altro : & che per clìere vno itile humile, non perciò v.no altro ( qual che egli fi fiajdee effer incontanente piu bello giudicato. Ma per lafciar quelle cofe da parte, dico che io non intendo con qual ragione fia detto, che delle nouelle ad ifcriuer altro che nouelle non ci potfìam feruire. che fe ciò folte vero, farebbe etiandio con-féguente, che de le orationi di Cic. non ci doueffimo potere aiutare in ifcriuere fe non orationi. Et che de’ commentarii di Cefare non poteffimo trar colà, che fi confacdìe ad altra fcrittura ; che à commentarii : & cofi di mano in mano de gli altri ferirti,& de gli altri ferittori. II che quanto fia lontano da quello, che è in effetto, io mi perfuado, che egli fia chiaro viepiù, cheli conuenga dirne molte parole, do-ucndo eli ere mani fedo ad ogni vno, chedelle medefime voci con la forma, & coti la compolìtionefi fanno i diuerfi Itili : & effendo noto l’efempio di Demoftene, il quale non di altra imitatione tanto adornò i fuoi componimenti, quan to delle hiftorie di Tucidide: le quali hauendo egli non pure vna voltatraferitte , divienile tale, & tanto quale, & quanto da ogniunofifa; Et dalla lettionedellahiltoria, la quale nella mezzana via del dire viene collocata fi fece egli vno altiffimo oratore. Et per tornare a) Boccaccio, ifti-mo io che alcuno non villa hoggi, che in quella lingua fcri-ua in profa con alcuna lode,che da altro volgare fcrittore,che da lui habbia apparato a fcriuere. Et fe di me mi folle lecito al cuna colà dire, Io direi,che io ho pure alcuna volta fatto prò ua di fcriuere alcuna cofà; ho fcritto di molte,& di varie lette rc:ho fcritto in fuggettojcfj. duellotho fcritto alcuna cofà ino rate; DEL MVTIO LIB. 1U. ut rate : & a materie di pia degniti fono ancora trapaliate. he ho io alcuna cofa fcritto con alcuna diligenza, che io fcritta non l'habbia in guella lingua, che dalle nouelle del Bocc. ho apparata : ne infino ad hora mi pento di hauerla apparata t -le - Non mi fiano quelle parole di me appofte a vitio, che 1 peraltro a dirle non mi tono condotto fe non per argomento, chele io tale dalla imitatione del Bocc. in tante maniere di dire mi fono auanzato,non fi douera negare, che gli huo-mini di rara dottrina,& di chiaro ingegno non tono per trattar con quella ogni alti filmo fuggetto. ht che direte voi fe io dirò, che nelle nouelle fi inoltri,che ad ogni grande impreia era atta la penna del Boccaccio ? Et per non iftare hora a di-feorrere per que tanti Proemii di tante nouelle, i quali a me paiono non che marauigliofi, ma miracolofi, quante delcri-tioni di luoghi, quante circotoritioni di tempi fi trouano tue te piene di fiori, di vaghezza ? quante volte vi fi fa mentione di guerre, & di battaglie ì & quelle vi fi trattano, & ifcriuo-no per modo,che non ci rimane cofa da defiderare ? Quante Volte fi viene da lui à ragionar delle belle virtù, & à mordere i vitii con tanta degmtà,& con tanta acerbità,che qualunque ha piu nobile fpirito appagato ne rimane? Taccio quanti fia-no que’ragionamenti, che tono in que’libri introdotti, i quali foura ogni humiltà fi inalzano : fi come s’è quello del Conte Guido di Monforte al Re Carlo :& quello di Tito àgli Atheniefi 5 Et altri corali. Veramente fe voi volefte pure dar pertinaci,che quelle cole,che dette ho follerò vmilmete dette , io non mi dorrei punto di hauere openion contraria alla voftra openione. Ma voi dite, che egli medefimo dice di ha-uerle ferine in iftilo humililììmo, & rimetto. Ciò dilfe egli, pcrcioche nel vero buona parte di quella opera è humilmen-te fcritta, richiedendolo la qualità delle cole, che in quelle fi ragionano, & delle perfone, che le ragionano : il che a lui non dee portare altro, che lode hauendo accommodato lo itilo alla materia, & alle perfone,la quale è principal virtù di (criuer, olirà che ne a lui fi conueniua > per ifchifar odio, di parlare U% DELLE LETTERE parlare altramente. Ma non perciò fi dee direnile il libro del lenouelleperlahumiltàdel direadaltro, chea fcriuerno-uellenonpofi’agiouamento preftare. Vengo bora a quello, che detto hauete,che egli nelle cofe fue non hebbe giudicio; & che appreflò di lui fu in maggiore ftima il Philocolo, che il Decamerone. Sopra quali fondamenti fia formato cotaivo-ftro parlare io non lo intendo : Anzi tengo io, che fi come egli piu giudiciofamente fcrifle le nouelle,che non fece il Phi locoIo,cofi ancora fàceile di quelle miglior giudiciorche non è da credere, che vna opera cofi grande fcritta tutta con piu nettezza di lingua,con piu leggiadria di dire, & con piu prudenza egli habbia fcritta a calò : anzi a me par piu verifimile, che voi piu tofto all 'hora habbiate a calo fatto vn tal giudi-ciò , che fia da credere, che quello fia il voftro vero giudicio. Il Philocolo fcrifle egli di minore età,che le nouelle. Perche adunque vorrem noi dire, che doueffe fiimar da piu quegli ferirti, che egli hauea comporti quando douea fàpermeno. che quegli altri, che egli fcrifie quando douea làper piu ì II Philocolo fcrifie egli ad altrui richieda, & le nouelle per fua elettione. & noi pur lappiamo che piu felicemente ci riefeo-no quelle fcritture, che molti dal proprio fpirito nofiroci mettiamo ad iftendere in carte, che quelle altre, le quali dall'altrui arbitrio à fcriuere ci lafciamò tirare. Del Bocc. parlando il Bembo dice, che delle molte fue compofitioni tanto ciafeuna fu migliore, quanto ella nacque dalla fanciullezza fua piu lontana. Or fc tale fu il giudicio di lui nello fcriuere, non veggo perche gliele vogliate torre nell’hauer conofciu-te le fue fcritture. Ne perche éfiò pur chiami il Decamero-necofehumilifiìmedouete voi fare argomento, che quelle parole fiano da lui fiate dette in atto di difprezzarlo : ma piu torto le douete intendere col fentimento,che io ho loro dato difopra . che egli poco apprellò foggiunge ; che quelle cote tefiendo ne da Parnafo, nè dalle Mufe non fi allontanaci qual luogo,& la qual compagnia non comportano,che quelle cofe ,le quali ira ioro fono fcritte fi habbiano da difprezzare: Et DEL MVTIO LIB. HI. ns>' per forni non foio coirla ragione, ma ancor con la teftiino-nianza del medefimo Boccaccio conofcere quale folle il giu-dicio fuo di que’due libri,vi dico,che hauendo elio nel 1 mio colo fcritto due aliai lunghe nouelle, quelle furono apprello da lui nei Dee. trafportate. Ma quali? Riuedeteleui voi che alla lingua Tofcana fiano date alcune leggi ? Et quefto aggiungerò io pure, che ertendo la lingua latina non che in corfo, ma nel fuo piu fu per ho corfo M. Varrone, & Celare fcriffero ili bri della Analogia. Et fo voi con la Analogia vorrete eliminargli ferirti del Ma-chiauelli, e di chiunque lenza oflèruatione rtende in carte i fuoi concetti, quegli trotterete non pur non leggiadri, non fioriti, & non limati, ma anchora non puri, non netti, & non Tofcani. Et qu erto fia al prefonte detto della openi'on mia del Bocc.& del Machiauelli, Se dei Tofcanamente fcriuere. AL SIGNOR RENATO TRÌVLTIO; 1G NO RE, io ho veduto il Celano di M. Claudio Tolomei, il quale mandato mi haue-te : & à me haurerte fatta non picciola gratia, fe contentato vi forte, che io veduto lo hauei-fifenza piu alianti darmi altra fatica, ma voi pur volete ch’io vi dica quello che io ne lento. Et già detto ,44 D E L L E LETTERE vi ho,.che egli è coi'aiftata fcvirra davn Tofeano. Et v oi non di tanto fodlsfatto, mi richiedete che didimamente vi cfpon ga in che io conofca queda (uà ( dirò cofij Toscanità, & tue-ta via mi dimoiate à doueruenealcuna cola fcriuere. La onde io fono ridotto à termine, che mi pare con men lirica poter fodisfarealla voftra volontà, che negami vna coG, che con tanta ifranza mi dimandiate. Vi dirò adunque con piu parole quello, che con vn folo inotroa me patena di hauere a [iattanza efpretto. Et per cominciare da qtiedo capo, Egli do-uendo raccontare vna difputa, la quale fi fìnge; che fi t pallata fra alcuni dotti huomini fopra il nome di quella materna lingua fé ella fi debba chiamare ò volgare, ò Italiana, ò Cortigiana^ Fiorentina,ò Tofcana, nel proemio di quel libretto dice, che molto malageuole cofaè da giudicare quandi que’nomi veramente le fi conuenga . Et nondimeno ne fa egli incontanente giudicio, che il titolo di queìvolumeè. Della lingua Tofcana. Poi ci da intentione di non volere c£ fer parte, & de’Tolcani prende la ditefa che nelmedefimo proemio vi fono quelle parole. Nonla potrà volgare {limare alcuno, che i dotti non gridino tàrfene parte a troppimon Italiana, che iTofcani fofpintida giudo fdegno dicano come non è honedacofa arricchirle detto con inuolarei beni altrui.doue chiamado giudo lo (degnode Tofcani viene a da re egli la fenteza,che chi Italiana la appella a loro la viene ad in uolare. Appretto foggiunge non cortigiana,che molti i quali corti mai no videro, non vogliano che ella loro fia, hauédola quafi infieme fucchiata col latte delle nutrici, afcoltata da’pa-dri,& dalle madri, imparata nelle loro tenere età con gli altri fanciulli.Qui di cui egli fi voglia dire aliai èageuoleadìnten-derlo,che egli de’Toicani parlai quali cofi fi perfuadono.e fé egli partiale dato nó foli"c,aucrebbe quedo verfo viato, il qua le bora ho vlàto io,dicendo,che molti,i quali corti mai nó videro, non vogliono,che ella lóro fia,pervadendoli,ò fàcédoft a crederem dandofi a vedere,ò cofi fàttamére,di hauerlainfic eie col latte fucchiata;e quel,che fegue.Ma parlàdo come par ■ DEL MVTIO LI B. III. 14$ la in fu la prima entrata dello fcriiier fuo, il lena 1 a fede di do-iter fedelmente elporre quanto per ciafcuna delle parti fi pof ia dire. okra che egli ri (èrba l’vltimo luogo a colui, che parla perlaTofana ; & fa che egli difputa contra tutte le operdoni de gli altri, & ninno contra la fu a . Or che ve he pare infine a qui ? Non mi fono io beneriiokito, che vn Tofcano habbia fcritto quel libretto ì Ma perciochc egli quclVvkimo difeorfo fatto in fauore delia Tofcana ha per vna diffinitiua fenteirza,non mi par che fi a fe non ben fatto,che efaminiamo vn poco con quanto fondaménto Ciano quelle cofc dette. Et prima che io altro dica ; Bella cola è da notare, che egli vuole,chela lingua fi a Tofcana, & non di tutta Tofcana : ma fa. vna (celta dì alcune città, nelle quali egli intende che la Tofcana lia compresi, per parlare elle ( come egli dice ) piu Fiorentinamente che le altre. Et vuol che le altre men Tofane dalie piu Tofane apprendano:&che da Firenze fi veligli ino ad intolcanir quelle,da quelle queli’altre,& di mano in ma no i piu lontani, le pure in modo alcuno altri pofiono edere mtofaniti. in quella delcritione a ine fèmbra non di Tenti r parlare di vna lingua, ma di Dio che ne cieli (purga le grati e fu e & cheda’fuperiori la virtù di mano in mano fa infila ne gli i nferiori. E t m i pare, che egi i con vna tale <ì i u i fi o-ne fi a per mettere dilrordie ciudi in Tofcana. Ne lo che mi habbia a penfere, che debba dire il buon M.Cino, da che la autorità fu a non è Peata da tanto, che da moderni Tofani la Tua patria Pi foia in Tofcana fa fata comprefe. Ne voglio lafciar di dire, chef quelle città, per parlare piu che le altre Fiorentinamente meglio parlano a me lembra, che egli ifpe-tialmente fi porcile rildluere, che li lingua Fiorentina fi doli e il e nominare. Et per venire alle lue ragioni, egli fa vn lun go ragionamento in dimoftvarche la natura ba data a gli biro mini la-firn ella,accioche col mezzo di quella habbiano da con uerfare infieme ; ■& dice che quantunque vàrii fi ano per lo mondo gli Idiomi, è necedario che da moki, & moki htio-xnini vna ideila lingua fi intenda, -& parii; & malli-marn en re da K coloro, D ELLE lettere coloro, che fono in vn medcfimo paefe: & che quanto piu elb (tender fi potette,tanto meglio farebbe,& piu vtile al mon ciò : ina effendofi diuerfe lingue qual piu,& qual meno ditte-ie,in qualunque fpatio fi fa vna lingua fermata ella è comune di coloro,che la parlano,.& non particolare di alcuno, che vi fa. Quelle fono fentenze di lui dette con le fue medefime parole ; Or con quello difeorfo volendo egli dimottrare, che Tofcana,& non Fiorentina fi debbia chiamar quella lingua , Io non lo come non medefimamente fi venga a concludere,che ella non Tofcana, ma 1 tafana fi debbia nominare. che Italiana ettendo ella, mèglio fi efequifce la intentione del la natura,parlando tutta Italia con vna lingua,& non con mol te : & fc è tanto meglio quanto piu vna lingua fi fende, meglio è che la lingua fi (tenda per tutta Italia,che fi ri limi gain fola Tofcana. Poi te ella è comune a tutta Italia aci vfu e inficine , ella non dee ed ere (limata di Tofcana loia, &■ particolare : che ogni volta che io parlerò in modo , che aa vna natione fenza interprete farò in telò, io crederò di parlar con la lingua di quella natione : Et quando ancora in alcuna città al cuni vocaboli follerò da quelli di vna altra diuerfi,io direi anzi che per li cento conformi ella folle vna lirigua'che per vno, ò due varianti, elle fodero diuerfe. che (è Ia variatione di alcune poche voci faedfero varia lingua,piu fàrebbpno in Tofcana lelingue, che non fono le città . Pofcia adunque che per lo mezzo di quella lingua tutta Italia ha conucrfatione in fieme non fo quanto fia conucneuole leuarle il nome del tutto per dargliele di vna poca parte, che quello è come fc alcun Principe Signpreggiafl'e tutta Italia, volere chef chiamane Re di Tofcana. Ma mi ridonderà egli,che ella nacque in Tofcana * che quelle fono fue parole. La Tofcana n olirà par che fia di tre, o forfè piu lingue, che (trullamente fi corruppero, compotta. Cioè della Etrufca antica, della latina, che poi vi venne, & della Barbara, & (ore ili era portatane da genti frane. Et poco apprettò nomina di quali genti lbranc egli intenda di dire; le quali fono gli Hunni>i Cottili,& i Fon * * DEL MVTIO L'T 15. ITT. ut goliardi. Qui fi può vedere come gli h uomini per altro intendenti , dalla benda della affectione fi lafcino fi fattamente o(curare il lume dello intelletto, che ne erti molte volte veggono , ne padano, che altri habbia a vedere. Primieramente io vorrei, che mi mortrarte doue fi troni memoria, che la lingua antica Efrufoa forte in vfo, ò conofoiuta al tempo delle genti, che egli nomina : la quale io credo, che gli antichi Ltrufci la perdertel o non molto dapoi che erti Irebbero la Signoria perduta Apprertò non veggo,come fi voglia che quel Li corrurrione della lingua fia fiata fitta piu in Tofcana, che nelle altre parti di Italia, hatiendo maflimamente que’ Barbari meno in Tofcana, che quafi in altra parte di Italia fitto dimoia. fili Hunni non credoio che la Tofcana gli vedertè giamai. ì Gotthi che con Radagarto vennero in Italia vinti da Srillicone notici fi fermarono. Quelli, clic condufle Alarico , Si che prefero Roma, per la campagna, Si per l’Abruzzi fi ficfero : Et quelli che vennero con Theodorico, in Lombardia, & in Romagna fecero le loro imprefe : Si in Romagna , & in Lombardia fu la fedia del Regno loro, & non iti Tofcana : & fe in Tofcana fecero alcun danno, non perciò vi ha memoria ( ch’io fippiaJ che vi ficertero lunga dimora.Nc de’ Longobardi diro altro,fé non che erti in Italia venendo, il Regno loro di qua dall’Apennino flatuironov&in <]uefìe par ti regnarono lungamente,& tolto via il loro feettro ancora ci rimafero: ne in Tofcana hebbero Signoria ne molto lunga ne molto memorahile.Perch’io lafcierò ad altrui giudicare doue fia piu verifimile , che fia fia ta fitta quella corruttion della lin gua latina con le barbare, olà doue i Barbari fi fono lungamente formati, Si lungamente hanno Signorcggiatofo pur là doue ò poco tépo vi fono flati, ò non vi fi fono pure approfi. Cimati.Vna coficofi fitta ballerebbe egli potuto dir verifimil mente,quando le genti nrariiere fortéro venute d’oltre mare, Scie fi "ero nelle Tofcane piagge capitate, come de’ Vandali fi legge,che d’Africa pafìarono à Roma : ma di genti, clic dalle parti Settentrionali ci difeendano, non fo quanto ciò dire fi K conuenga. ..,48 /DELLE LETTERE .conti eriga. Io fe haueiri da parlar della mia openione, direi, •che io credo che hauendoi Longobardi per piudidugento anni la maggior parte di Italia polleduto, Si hauendo tenuto jo fcettro principalmente di qua dal fiume Pò, che in quelle parti habbia hauuto principio quella lingua : Si che di luogo in luogo {tendendoli, ella fi fia per tutta Italia ampliata- Et per cioche di Roma non fo che fi habbia memoria, che ella a'Lon gobardi folle iottopofta, tengo per fermo, che Roma vltima quella lingua riceuefie : Si che la Tofcana la quale fu delle vl-time regioni, che fentiff e le arme de’Longobardi fòri e ctian-dio de gli virimi pacfi, doue quella lingua penetrafìe. Et per dir tutto quello, che io ne ferito,hauendo i Romani piu che gli altri huomini di Italia ritenuto del latino, & quelli di qua partecipato piu del barbaro,Etimo io che a Tofcani i quali fra gli vai, & gli altri fi fono ritrouati, ria ira quefti due diremi' venuta fatta vna mefcolanza tale,quale ella li vede piu che al-troue bella,& leggiadra. Ma fi come fra loro fi può dire, che ella ha hauuto Vornamento, cori ardilco io di affermare, che ella fra loro non hebbe il nafcimento.Di che non fo con qual, ragione vogliano cflì inuolarla à coloro, tra quali ella è nata, Si da quali ella è a loro pallata. Et può ben loro ballare affai, che ella degni di effer loro cittadina, fenza volerla!! vfurpare ancor per naturale. Se alcuno farà nato in Fiorenza & ande-ri a ftudiare in Bologna, & quiui diuerra letterato, o vero fi metterai» alcuna corte,& diuentevà valorofo, & accoliuma-to, non perciò farà, che colui non ria Fiorentino, Si il rimi-gliante è da dire di queffa lingua ; che per hauere ella alcuno ornamento in Tofcana appreiò, non perciò è quella la patria, fua. Ne voglio io già acconfentire aTofcanfche.ella habbia da loro ogni ornamento hauuto: che fe bene è vero,che Dan te; il Petrarcha, Si il Boccaccio fono frati i principali lumi di lei, a me pare che ogni fuo lume fi farebbe 1 pento,fe de gli al-tri huomini non ri fodero podi a darli lplendore,6t à dettare i Tofcani, i quali fonnacchiofi,& orioli ri erano podi quari per couare il morto cenere di lei ,pur perfuadendori di bere o,licita DEL MVTIO L I B. III. 14* fta lingua infieme col latte delle balie,& che altri, che eflì non ne poteflero hauer cognitione. della qual cola quanto fi ingannino coloro che coli tengono già al Celano , & al Caual-eanti, contra vna loro openione fcriuendo,mi ricorda di ha-tierne detta alcuna cobi. Et qui voglio aggiungere,che Dan te il quale Tofcano fu , non Irebbe egli quella-openione, che hanno i moderni Tofcani,che ne libri della volgare eloquenza chiama pazzia di mfenditi il volerti gli huomini Thofcani attribuire il Titolo dell’Idioma volgare illuftre„ Et nominali do Guido GuiniceHi,& altri poeti Bolognefi,dicedi loro,che furono dottori Illu Uri, & di piena intelligenza nelle cole volgari . Et nel fuo Purgatorio dice del medetimo Guido, II P'adres Mìo, è" degli altri mìei miglior che mai Rune d'amore -vjlir dolce, & leggiadro^. - Di che per l’autorità di vn tanto autore ti comprende, che ne quefta lingua è propria de Tofcani,ne chi lehanno dati tutti i fuoi ornamenti ; & che de gli altri huomini fono noumeno atti che fi fiano de’ Tofcani a fcrivrcrc in quella .. Ma per Dio vegliamo ancora vn poco quanto fia vero, che effi da’ padri & dalle madri piccioli fanciulli la buona lingua apprendano. In quel libro del Tolomei lodandofi le piu Toltane città di Toi caria fi da loro quello vanto,che parlano,come detto hab bia'mo,piu chele altre Fiorentinamente. Et dicefi in Fiorenza : I verfi mia 5. diceti, I vo dargliene buona parte : dicefi,Ceneremo ftafera 5 dicefi, che voleui voi ì dicefi,Laide per lode., ò laude. Claldio per Claudio 5 Afcoita,per afcoltata; vna altra volta,per vna:altra volta. Dicefi fudicio, per fucido, dua,per due;, loro per eih ; egli per eglino ; lui per egli ; Dette, & dettalo in vece-di dir,diede,& diedero; amorono, & cantorono-per amarono,: & cantarono;& delle altre cofe coti fatte infinite: nelle quali non fi ierua ne numero,ne genere, ne definen-zar,/ne .farina di diritto parlare : per lafciare bora da parte i Cecchi.i Biniti Bacci, & gli altri moliri delle parole Fiorenti* ae .Urie cofiè, quale è quella lingua, che i Tofcani di quelle; r:ftv K 3 Citta,, ISO delle lettere città, che piu Fiorentinamente parlano, fucchiano dalle poppe ì Ella fermamente non è quella, della quale parla, Se ifcriue il Bembo,il quale egli nel libro fuo fa prima ragionatore. Quella della quale il Bembo tratta,fi impara da gli ferie tori. Et Dante biafuna de gli fcrittori cofi Fiorentini, come de’Sanefi, & de’Pifani, & Aretini, & de’Lucchefi, i quali dalle lingue della città loro non li fono partiti. Or fc i prin-cipali fcrittori di quella lingua hanno confclìàto, che ella fia anche altro, che Tofcana ; Et fe i Tofcani in parlando bene non la vlàno : & fe degli altri huomini in quella fcriuono no men bene de’Tolcani, non veggo con qual titolo vogliano, che ella fia pur di foli loro. Ma che dirò che in quel medefi-mo ragionamento tacendoli mentione della lingua Attica > della Dorica. & delle altre di Grecia, fi viene a concludere, che elle liano vna iftefìa : & da altra parte vuole che qu elle de gli altri huomini Italiani fiano tra loro feparate ? Et pur (per parer mio) molto piu è feparata la fi nella de'moderni Tofcani dalla lingua de gli fcrittori, che non è quella de gli altri Italiani dalla loro, perche fe pur vogliono che quella,con la qua le parlano fia la Tofcana, tenganìafi, & lafcino quella de* libri al rimanente di Italia,che di quella fi cerca, come ella fi hab-bia a chiamare. Io già molte volte di quefta lingua parlando & ifcriuendo la ho nominata Tofcana, come quella, che nel vero fi può dire, chi con giudicio,e con imitatione la via,che ella fia il fiore della Italiana.come la Attica della Greca.E cofi dico,& cofi fento. Aggiungendo, che fi come in Grecia la lingua Attica era la piu pura, & la piu leggiadra, & che con tutro ciò non credo io che gli Atheniefi fi fdegnafìero di dire , che la lingua loro forte lingua Greca, cofi non debbono i Tofcani vergognarfi di confefiàr, che erti Italicamente parlano, làluo fe di efiere Italiani non fi vergognano. Et a quello ch’io dico ffe in loro è lume di ragione ) debbono volentieri acconfentire,intendendo,che à quella linguajchedi honorar fi intende tanto nc viene maggiore honpreItaliana, che Tofcana appellandola, quanto è piu nobile il tutto, che DEL MVTIO L I B. HI. t$i ?na fua poca parte. Et per dire in fomma la openion ini a di tutte le openioni,delle quali fi tratta in quel libro, quello che di Tofcana ho detto, int ntion mia è di hauer conieguente-mente detto di Fiorenza. Che le corti a quella lingua deb-biano dare il nomea me non piace punto piu, che li piaccia a M Claudio. Che ella fi chiami volgare non ho io per cola co fi difònoreuole, come pare altrui 5 che hauendoFrancefchi, Spagnuoli, & Tedefchi,& le altri nationi le loro lingue volga ri lotto nome di volgare di quefta noftra, come di piu eccellente fi habbia da intendere. Si che olia per eccellenza volgare nominata, ò habbia nome da Italia tutta, a me pare che in vna, & in altra guifa ella fe ne polla andare honorata,& glo riofa. Io ho detto brieuemcnte il parer mio di quel libretto. Et quefta materia hauerei io infino ad bora trattata copiofiftì-mamente : percioche mia intentione è di fcriuere tre libri in Dialogo di quefta lingua ; fe Dio mi darà vita, & agio da pò-terlo fare. Ma il conuenirmi adoperar la penna piu à cacciar la fame,che ad acquiftar fama, non mi lafcia conducere a fine nc quello, ne alcuno altro honoreuole mio difegno » AL S. MARCHESE DEL VASTO. E Anime noftre, alla imagine, & alla forni» glianza di D 1 o da lui formate, & mandate dalla loro fopracelefte patria in quello ter» ^ reno efilio à contemplarla marauigliofàfà-' brica del loro alto fattore,& à laudar lui Colo creatore, & foftentatore di tutte le colè create,fi come elle fono pure,& immortali, & per la loro natura ad alcuna colà terrena non fono fottopo fte, cofi hanno da intendere ancoraché quelli corpi noftri di elementi formati fentono alteratione inficine con quel tutto, del quale eftt fono minime particelle. Et frendendo elle giu perle rote celefti girate da quelle intelligenze,le quali fecondala mente del fuperno motore con diuerii corfi le riuolgo», & 4- no, dà m D E IL L E L E T T E R E no, da loro ricco endo di quelli infili dì, che da piu alta virtù in loro fono infidi, & poi calando in quelle piu balìe parti, &di elemento in elemento nuoui veftimenti prendendo, & quelli tanto piu groffi,quanto elle piu dal luogo, donde partite fono fi dilungano, hanno da efler ficure,che quelle loro Ipoglie con gli elementi infieme da’ celeiti mouimenti fono ■rette,&gouernate . Le Ipoglie dico, percioclie che anime, da quelli fono libere in maniera, che le bene alcuna inclina-tion ne fentono 5 non perciò sforzo di celelte riuolgimento ha virtù di poter far loro violenza 5 che elle altro rettore, né altro Signor non conolcono, fc non quel lolo,che le ha create. Et hauendole egli create tali, quali di fopra habbiamodet to, cioè iopra tutte le altre creature nobiliflìme: Non era colà conueneuole, che a men nobili creature fodero (ottopode . Cefi è egli quél folo,che fopra le menti nolire dgno-reggia : Il quale ancora non comefonerò Principe: ma come benigniamo padre fopra di loro non vuole adoperar la autorità della Signoria, ma per grada ha loro liberta conceduto di vfar quelle forze, che elle da lui hanno riccuute in quella guidi,che dalle proprie loro volontà è fatto eléttione, In modo tale, che forza di cielo non può.operar in lóro, che elle piu alla virtù,che al vitio,ò piu al vitio, che alla virtù s’ap p i gl ! norma q ue fi o tutto è in loro fecódo che elle ò raccolgo no il fàuorc del diurno aiuto, ò a quello tengono le porte ter rate, i corpi veramente come cofe elemétate infieme con gli clementi fono a cidi fottopofti : ne perciò debbiamo intendere , che effia quelli come à prime cagioni Pano foggetti. ma cornea cagioni che operano quanto dalla fu peri ore, &( nrincipal cagione è flato ordinato . Perche debbiamo noi hauerlecoitelladoni non piu per operatrici, che per fignifo catrici di quelli a uuenimenti, che da Dio nelle co fé inferio-rifono flati ftabiliti.Di che doneremo dire, che per gli afpet-ti d die iteli e pò tremò giudicare delle cofe che a’corpi noflrt fonaapparteiienti, conie-ddlencchezzc,degli honori,dellat ■?ità,6c della!meutc beikhc ri'efohino il piu delle volte fallaci.-, i<*j 1,v ,■ i- ì- D E L MVT I OLI B. II. iS3 Ma fe altri haurà da feguitar il vitio, ò la virtù,di quello diritto giudicio non fi potrà fare. Et fe forfè alcuni Aftrologi al cielo tutte le cole.riferifcono fenza hauer piu fu alcun riguardo,fanno come quelli, che piu fu che'l cielo non Scorgono : & la vera cagion non intendono. Effe alcuni Theologi non vogliono , che alla Aftrologia fi pretti alcuna tede ? come veramente predar non fi dee fe non in quanto la chiefà ne permetta di non intender in ciò pienamente, che D i o fi come con formila prouidenza ha le cofe ordinate,& i conue-niéti mezzi ha difpofti, cofi ancora ha voluto le anime noffre diti ine far partecipi della fua diuinità : Et per lo mezo de’ celefti lumi comunicarci de’fuoi configli. Et auuifò io,che tue te quelle cote ,alette quali i piu eccellenti fpiriti non fanno rendere alcuna ragione,fi come fono quelle, che fotto la fortuna, & fotte il calo hanno ripofte, per opera de cieli ancora ci riefeano 5 & che le flette ce ne fianó in qualche parte ditno finitrici. Et fe da gli hu orni ni non fi veggono, è percioche maggiore è l’ignoranza humana, che la dottrina. Et il non hauer piena contezza delle flette;& de’loro afpetti fa che non polliamo veramente intender le celefti fignificationi. Et il vederli, che non pòche fono quelle cofe, delle quali da gli Aftrologi efatto diritto giudicio m olirà la verità delia Altro logia ; & il fàrfi all'incontro da loro non pochi errori, ci infe-gna che perfetta conofcenzanon hanno di tutti i celefti lumi. In quelle tante grafie, che il benignilfimo noftro Signore, & padre fatteci ha di hauerci creati, & di hauer nella creai tion fatte le anime noìtre cofi nobili, & di haueiie dalle leggi de dieli liberatele di potei? conofcere ancora quello, che egli per mezo di quelli difponga di qu ella noftra parte mortale, noi in quello efilio fitrouahdoci debbiamo pure hanere in memoria lamperna noftra patria, & conofcer come di cofi Veruna in queftà valle di miferia nò ci ha fermezza ne coftan-non di continua mutatione,& variatione : Il che ci mostra Dio onnipotente per quelli medefimi mezfco'quali dettiti Sabbiamo, che egli delie altre cofe noftfeci dimoftra; ciò 154 DELLE LETTERE è per le celefti riuol utioni : che e (Tendo quelle circolari, forza è che quello,che pur dianzi era nel fondo del circolo mo-uendofi fi vada inalzando, & giunto al (omino vna altra volta hàbbia à traboccare. Ma non dobbiamo dubitar punto, che fecondo il girar di là fu le cofe di quà giu non fi gouer-nino.Et fe per bocca di Hieremia lo fpirito (ùnto dice al popo 10 di lfrael,che non debbiano temer delle (Ielle alla gui(a delle altre genti, non perciò fi dee argomentar contra quello, che da me infino ad bora è (lato detto. Che Dio non vuole, che 11 popolo fuo tema le (Ielle come (aceuano le altre genti, per-cioche quelle temeuano le (Ielle come prime cagioni, & come Dei, che in quelle fi credeuano, che vi fodero i Gioui, i Saturni, & i Marti, & le loro altre vane deità, le quali come Signori reggedero le cofe inondane : & (opra quelle non temeuano, ne conofceuano altra potenza. cofi non vuole Dio che il popolo fuo tema le delle,ma che conofoa quelle mini-idre,& tema Dio,& ftppia che egli è coluijche da loro i moui menti,5t che in loro cóparte gli influffi.v& che ad ogni fuo vo lere tempererà que’coriì; & muterà quelle influenze,fi come fece fermando il cielo alla vittoria di lofue,&allungando la vi ta ad Ezechia.Et fi come Diola virtù (ha fparge ne’cielfcofi è da credere, che egli non voglia che ella in quelli non fia cono fciuta.Noi veggiamo il Sole per lo Zodiaco con certo ordine decorrendo continuare il corfo fuo fra due da noi imaginati circoli:& (ècódo,che egli à noi fi auuicina,e da noi fi allótana cod variando fi vanno le dagioni : Et quando a noi fi viene ap profilmando con lo fpargere in terra quella virtù, che egli di fu riceue, fi vede aprire il mondo, vedirfi di verdura colli, en fi deboli, che per intender tutte le fignifìcationi di tutti i cieli non perciò la intelligenza noftra farebbe da comparare a quella di Dio pur quanto è da mettere in comparatione vna minimagoccioladiacquaatuttala grandezza dell’Oceano. Si che perche altri dica eder vera la faenza della Aftrologia, non perciò fi viene a difonorar Dio. Anzi di qui fi viene ad accrefcere la laude,& la gloria di Iui,dimoftrandofi con quan to marauigliofo ordine egli habbia i tre mondi difpofti, che al fbpracelefte il celefte habbia da obedire, & che dal celefte quello piu bado habbia da eder gouernato. Che à che fine vogliamo noi crederebbe egli tante ftelle,& tanti cieli habbia fabricati,& quelle in quelli ftabilite, fe non per ifpargere quà giu per Io mezo di quelli, & di quelle varie virtù ? Che fe cofi non fodè,in vano hauerebbe fatte tante fpere, 8C tanti lumina ri, badando di vn fblo cielo a fèparar dal fuperiore il mondo inferiore 5 & di vno,ò al piu di due lumi,de quali l’vno al gior no,& l’altro alla notte fodè flato prepofto.Et fe non è da dire, che egli colà alcuna habbia fatta in vano confèntir fi cóuiene, che & la fopraceleftc fabbrica operi nella celefte, & quella in quello badò mondo:Et cofi operado,& ordinataméte operan do non veggo perche ne gli animi noftri cotal ordine no deb bia poter capere. Et fè coloro,che Teologi fi chiamanofono cofi arditi,che vogliano efiì intender D 1 o,parlar di D 1 o,& &dimoftrarciDio,nonfbperhe altrui debbia eder difdet-to di falire à cieli,efiendo Dio piu éfàltato fopra i cieli che no fono i cieli fopra la terra. Etpciochc cótra quella openione fi fino de gli argométfio farò conterò di toccarne alcuna colà. delle lettere Ma a che fine, mi dirà alcuno, cotefto difcorfo ? Io lo ho fatto per rifpondcrc alla predica di quel buon padre, la quale mimoftrafte voi Signor mio JU-uftri-iiìmo à Vighieueno il giorno auànti che quindi vi partile : Et come che all'hora io ve nedicelfi alcuna colà conforme a quello,che bora ho-ferir ro non perciò mi fono voluto rimanere di mettere in fcrittu-ra la mia openione,da che egli la fua ci ha lafciata ferì irta. Et' percioche egli particolarmente fa mentione, che fe vno di-; uenta Papa non è per opera de cieli,ina per volontà diD i o,j dico,che quanto alla itolontà di Dio, io lento con lui ; ma vf aggi rigo, che Dio dilpone quelle balle operationi per li Lupi, mezi : Se che egli i cieli adopera come miniftri ad efequir la fua volontà : & che i cieli del voler di lui ne fanno dimoftrationi manifelle. Et Filippo figliuolo di Mafiiiniliano,& Padre; di Carlo lmpcradore,lentendofigià vicino al tempo che egli doueua palTare à miglior vita / veduta apparire vna Cometa, dille che ella era la fua. Ma io farei troppo noiofo,fe voleffi. dir tu tte quelle ragioni& raccorreitut.ti,quegli efempii, che io potrei in quello fuggetto . Perche contentandomi di ha-uer tanto rifpolto a quel padre predicatorecercherò ancor di accommodar quello mio ragionamento alla conditión de; tempi. & delle cole preferiti. Dico adunque,che effondo le rote celelti non vna fola, ina molte & diuerle : & i loro mouimenti varii & circolari,& per le loro varietà,&diuerfità varii & diuerfi effetti producendo-fi,rade volte» ò no mai fi vede colà alcuna lungamente in vno, fiato cotinòuare fienza il mcfcolamento di alcuna colà con-, traria : che & le dolcezze noftre fono da alcuna amaritudine, interrotte: & la prolperita dc’beni detti della fortuna ad bora, ad bora patifoe alcun dàno : & la lunga fanità viene da alcuna: infermità cótiirbata:Negli honori,& la gloria piu che le altre eofe a noi care fi veggono effer priuilegiate : anzi quanto par che altri per valor fuo piu fi inalzi, fortuna ingiuriola.,- i Ch'agli unimofifati, mal s'accorda-s, ■■■■■] piu gli fi métte al contrailo 5 Ò pur,e il ciclo come detto hab- ' biamoj, DEL M V T i O Li B. III. f 157 b'iaìno ; ò pur Dio i belìo : iJ quale vuole in vibrando altrui ricordargli,che egli è colui, che da i piaceri,che da le ricchez 2e, che da la finirà , che eia Phonore, & che da la gloria, & tutte quelle altre cofe , che a noi fono piu defid era bili. Et intorno a quelle cofe hauendo io l’animo riuoito, come lenti i.partati giorni che voi auuiaro vi erauate alla volta di Cari-guano , con con quella aircrnone, che io continuamente di voi ferito nel cuore, con piu làido pentimento entrai nella confideration deli’inftabilità delle cofe mondane, di quella dalla volubilità decidi argomento pigliando: 5c intendendo quanto al valor volito la fortuna per adietro folle Hata legua-ce, maggiormente cominciai fra me mcdefimo à temere non nella profperità fua alcunaad.uerfità fi hauefl'eamefcolare,Et quello che accrefceua ogni mia paura era,l’auueniméto incer to della guerra. Perche a Dio facendo voti per la profferita votiva, & per la voltra ìaìure,haueua meco propofto fucce-dendo le cofe fecondo i! difiderio voftro di douerui apprelìo fcriuere, & ricordami, & confortami, che ricordar vi do-uefte della mutabilità della fortuna, & della continua riuolu-tion decidi : 5c che contento homai di tante glorie douefte mettere ih opera quelLhonorato voftro proponimento di la-fciarc gli ambitiofi honori,& i carichi noiofi,& di riducerui a quieta ,& tranquilla vita.Et a quello fare haueua io affai largo campo : percióche io mi a Ih cu rana di potere affai ageuolmeii te di inoltrami, come viuendo voi in quelli trauaglì, & folto quelli peli per la qualità delle cofe che trattate,a Dio non fer uiteqxr la condition de gii (ludi a voi fleffo non compiacete; perle inuidie cortigiane non cótentate il voftro Signore : E p la malignità di molti atti a lacerare ogni lodeuole vita, al mon do non potete fodisfare.Et per tanto voleua io cócludere,che homai farebbe flato tempo,eh e a viuere a D i o, & a voi fleffo ridticere vi douefte.Et mentre fra que voti,& fra que’ penfieri tra paura, &'fperarìza mi ftaua tutto follecito,& dubbiofo;Ec co fèntirfi la noli ella della infelice giornata : la quale a prima giunta fu portata tato acerba,& tanto miferabile,che della vita ,5S DELLE lettere ta voftra piu fperanza non ci era rimala 5 Et ie cole Imperiali in S calia erano fuor di ogni openione di piu poterli riftorare. Ma coli non demmo lungamente, che ci arriuò la verità del tatto : la quale ancor che folle di cafo auuei fo, pur col primo remore comparata a noi fu piu di confolatione, che di aiti t-tione, parendoci di hauer tanto guadagnato,quanto non ha-ueuamo perduto. Et cofi la fama in tal maniera v enuta a noi è ftata cagionane fi E a potuto intorno a quello acadéte con tranquillo animo ditcorrere ; il che per auuenttira fatto non fi farebbe quando da principio haueflìmo la verità inteiaiche quella ballerebbe fenza alcun dubbio hauuto forza di abbat ter gli animi noftri, là doue Intuendogli crollati abbattuti dal la fi ni fixa openiongia conceputa la men rea nouella, come buona ha hauuto forza di niellargli. Er fe io voglio dire il vero di quello,che io ne lento,a me pare,che per quefta perdita non tanto fi fia perduto,quanto vinto fi farebbe,fe la vittoria dal ca nto noPcro folle rimala: ne veggo perche in pochifilmi giorni le forze noftre non fi pollano ri flora re. Perche il maggior dolor che io fenta,èdi quel dolore il quale a me fembra di fentire, che affligga l’animo voftro per quello, che di voi habbia da dire il mondo. Intorno alla qual parte ardifeo io di affermare, che fra colerci quali vorranno con diritto occhio il tutto riguardare l’honor voftro in parte alcuna non bada rimanerne fcemo, ne maculato. Che le fi intenderà che a voi non fia mancato ne configlio, ne valore, chi vorrà apporre a voi il difetto de foldati ? & la colpa della fortuna ? Chi intenderà con quale ardire la battaglia acce traile : con quale auuedimento la preparafle^con qual diligenza la ordinale , & con quale animo le arme mouefte, che potrà altro dire,fe non che anche nelle autierfità habbiate fatto vn dileguo di Capitano da tutte le parti prudente, & valorofo è Ma nelle cofe della fortuna (che pure vi ero io ancor quella paro la) la fortuna ne vuoi la fua parte. Et vogliono i lauii, ch’ella molte volte la fi truoui, doue minore è l'aunedimento.E che dirò io di quella natione altramente fiera riputata, & Nim'.c4 DEL M V TÌO L I B. III. 159 Nimica naturalmente dipacalo , la quale ha voluto anzi l'arme, gictando gittarfi in grembo a morte, clic quelle adoperando procacciarli vittoria gloriola? Cerro non altro(é non che io giudico Dio onnipotente ballale mandato addo Ilo lo fp trito della fu a ira, per darla nelle mani a Uioi minici,acciocché ella habbia a.riceticr la pena de fu pi miniarti. Che per laici are bora di dir la ribeilion (già ha tanti anni ) da lorp lattai Dio . Et per tacer le molte Si varie feeleraggini da loro viate,: noi eia e arri nati io no in quello ita to cdnrra i luoghi, & con tra le petto ne lacre Si altre 5 dirò fo-lamente'qucllo,cbe nelle-fière ad vdirlo farebbe colà odioft. che ehi civile proprie loro carni hannobatto mercantia, nelle altrui culle le pròprie loro figliuole abbandonando, Si gli altrui figliuoletti mafehi leuandone per hauer maggior numero di paghe. Et vorremo noi creder che Dio voglia (ottener lungamente (opra la terra gente che a lui,alla humana natura, Si à fé aletta fi a nimica i Signor mio Eccellenti filmo oltra quello, che decidi hab-biamo detto , non poca confidevation fi dee bau ere alla vita degli huomini, co’quali viuiamo. che come leggiadramente dice Horatio. Non vorrò che con me fio.Jlotto vn tetto, Ne che con meco feioglia cifragli legno Chi gli occulti mifleri haurà/coperti Ne Palma Ceres : che putente Gioite Spregiato, al trifta aggiunto ha l'innocente^. Etfe doli en do combattere andiamo diligentemente e lami-nido quelle armi, le quali habbiamo da adoperare, acciocché per ditetto di quelle la vittoria non ci fia tolta delle manfmag giovmente debbiamo hauer ri {guardo quali fiano quegli buo mini, col mezzo de’quali vogliamo da Dio impetrare la gratia delle vittorie : che iè egli non efmdifce la voce de’ peccatori,meno è da credere, che voglia porger fui ore alle arme degli federati. E le per altrui colpa a voi cóuiene bau ere eièr citi coli fatti : Si fe da tutte le parti hauete fbdisiatto al doucr vottro njo. DELLE LETTERE veltro, & al voftro honore ; perche douefre dubitar, che Inonorato voiìro pregio debbia elìèr punto diminuito?Ma quan tunquele cofefiano del modo che io ho di (opra difcorfo , non per tutto ciò ardifcoio di richiamami a quell’otio, al quale era la mia intentione. Et quando vna così latta colà ha-ueftì in animo di tentare al preferite', penferei di far operala qua! don elle edere ab borrita dalla grandezza del voftro animo,il quale alla mente mia fi apprefenta tale. > > Poenorum qualis in antis ,, Sauaus ille grani venantum vulnere pedine . , j T um demum motte t arma leo -, gaudetc ornant e U i, Excutiens cerulee toros fixi.mq, latronis ,, Impallidite frangit telum, fremit ore cruento. Non ho voluto tentar di traducer quelli verfi come vinto lo no di lare ordinariamente di altri nelle mie lcritture,fi percio che no fpero di poter con -le mie ri ine pareggiar tanta altezza di dirc:& lì ancor,pei cicche non 1 humile mio lido ma la Vir giliana Macftàalla altezza dello fpirito voftro fi conuiene. Di Milano a’ XX- di Aprile del XLÌIi I. AL S. MARCHESE DEL VASTO. *\ RE fono Signore Illultriftìmo quelle così &■> ie quali in tutte le maniere della vita no- ff'Éjtira humana fi richieggono alla perfettione SvPjJ de le «oltre operationi. Et quelle fono la ètìl nature, la arre, & la eferci tallone : le quali tra lGVO tanto fono l’vna dalla altra dine rie, che piu non fono eliti erte le loro voci. Et pur nondimeno e uccellano,che le vogliamo far cola perfetta,elle habbiano da concorrere inlìcme. La natura è quella, che ci inchina,&ci difpone piu à quello, che a quello efcrci-tio, ò medieròLa arte ci infegna le regole, & le ragioni di quello : & à metterlo in opera ci fa pronti la denotatione. La natura ci portiamo noi.dal ventre della madre, & la habbia mo DEL M V T I O L I B. III. i<* fno porlo mezo de* cieli da colui, che muoue i cieli; la arte ci Viene da’maeftri, & la efercitatione da noi fteffi. Et quando quefte tre inficine fi congiungono,mirabilifiìmi effetti fi veggono partorire. Et la doue vna ne manca non fi può afpettar perfettione. La natura veramente fi come ella è in tempo, & in ordine la prima, cofi è ancora per dignità principale ; per» che,& Cicerone dice,& Horatio replica,che doue quella hab biaino contraria, colà buona non polliamo operare. Di che i padri fòpra tutte le cole douerrébbono ne figliuoli loro fiati er rifguardo à che fiano dalla natura inchinati, & in quello fargli ammaeftrare ; che ehi cofi & allo apparare fàrebbono piu pronti, & piu volontcrofi, & in breuiffimo tempo fareb-bonodi marauigliofe pruoue, fecondo che ancor ci dimq-ftra il dottiffimò noftro poeta nel fuo paradifo, dicendo; . „ che fe'l mondo là giuponejfc mente - ' ,, Al fondamento che natura pone, ,, Seguendo lui hattria buona la gente, ,, Ma, voi torcete a la religione ,, Tal-, che fa nato a cingerfi la fida, ,, Et fate Re di tal, che e da fermane ; ,, Onde la traeciavofira e fuor di ìirada-j. Et te bene vn motto volgare par che fia in parte contrario 1 quello,che io ho detto, per quello fignificandofi, che alcune cole habbiamo per arte,& altre per natura, & che gli Oratori fi fanno, & i poeti ci nafeono, quello dico io, che fi come è detto volgare, cofi è di huomini volgari. Che Cicerone autor grauiilimo non vuole in alcun modo, che la arte fia bacante à fare oratore Lenza la natura ; Et Horatio nel fuo poeta non fi contenta ne della fola natura, ne della fola arte. 11 qual luogo trattando io nella arte mia poetica contermaua quella (entenza con la fimilitudine delle colè vegetatiu e, delle fcnfitiue,&delle rationali,dicendo che te alla pianta di buo . m temenza fi aggiungerà la cultura, ella farà frutti vie miglio ri,& che il caualìo di buona razza „ non ftkaa, di terra., non s’aggira L Se nm iSt . DELLE LETTERE „ Se non fi fi. hit U verga, cT noi tic» disio ,, L’Acuto (prone, & no'l raccoglie II freno. Et hauendo il fanciullo il quale farà difpofto alla (cultura, (c non haurà chi gliele infegni, non ne dm en ferì inai eccellente maeftro. Sciocca colà è veramente il voler tener e, che colà veruna fi fàccia bene mancando altrui la natura, ò la arte. Dapoi che ( come dice pur Cicerone) quelle, che riabbiamo dalla natura pofìono bene edere aiutate, ma quelle che non ci fono non pedono edere ineftate. Et fe dalla natura ne viene lo ingegno, il quale è principal lume in tutte le noffre ope re,come vorremo noi credere che in vna colà di tanta grandezza, quanta è il fàrfi oratore-la arte fola fenza natura,de fen-za ingegno ci podà badare? Et le fèntenza del medefimo autore è che il dire, che delle cofe grandi dì me non ci da arte, è colà di huominùche parlino fenza condderatione, non ce ne edendo alcuna delle minime,che arte non habbia, come vorremo noi credere, che in vna cofa di tanta altezza coinè èia poefia huomo podà fenza arte diuenir perfetto ? Chiara cofa e che di due al medierò delle armi egualmente dalla natura difpodi, colui à quelle farà piu atto, che delle arti di quello cfcrcitio hauerà conofcenza maggiore. Et che di due nella militar difciplina parimente efercirati, colui fàrà piu atto alla guerra, a cui natura hauerà dato piu valorofo cuore. Di che fi vede che ne la natura fola per fe,ne la arte per fe fola è badiate a far cofa perfetta.!; quello che dico di querto honoratif fimo efercitio,di ogni maniera di arte ha mede firn amen te dà edere intefo. Perche non veggo con qual ragione ne gli du dii delle lettere fi voglia far qnetta diftintione,che l’vna eccellenza di quelle per natura, & l’altra per arte fi debbia confe-guire. Ma egli moftra che coloro,i quali cofi fentono,fàppia-no male che tutti gli ornamenti, tutte le bellezze, tutti gli artificii della eloquenza cofi delle profc,come de’verfi fono fiate ridotte in arte per lunga od'eruatione de gì i effetti della natura : che venendo hoggi a codili, domane a colui vna cofà ben detta, & il piacer facédola notare : & altri notata hauédo- DEL MVTIO L I B. III. i&s la,& bene eliminata,& conofciuta la cagione chela banca rat ta aggradire,ricucendola in regola li è venuto poi alla forma della afte, la quale ci è bora tra le mani. Ne dee alcuno con quella arte, che è (lata latta per ofl'eruation di natura penfar lenza l’aiuto della natura acqui (tare alcun nome di chiaro ho no re. Ne dee altri fperare di douere egli con la loia natura confeguir quello,che dalle nature di molti per molti anni li è penato à riducerlo in arre.La natura ha fatta la lingua all’huo mo atta a poter parlare : & per Io iriagiftero, che egli vi vfa da altro huomo apprendendo riduce qùefta difpofmon naturale allatto della tàuella. Et Tela natura la lingua non gli hauef-fe preparata, egli non ragionerebbe giamai. Et con tutto che egli habbia la lingua alla tàuella dirotta, e non la feiorrebbe mai alla pronuntiation di alcun fermone, fe non ci folle chi gliele infegnalTe. Ne illimo io che (la da riceuer per vera quel lafabulofa hi fioria, perlaquale fi vuole argumentare,che: l’huomo nafea con vno Idioma fuo proprio,& naturale Che Ù ciò folle vero,non veggo perche egli non ci haueffe a rimanere quantunque noi vno altro ne apprendemmo, conciofia-cofà che perche io appari la lingua greca,non perciò la latina mi vengo a dimenticare. Benché égli potrebbe ancora efie« re auuenuto,che alcunfanciullo da curiofo Re folle flato allenato in parte remota, & da ogni humana voce lontana, & ’ che lòde ancora flato vdito esprimere parola , la quale in alcun linguaggio alcuna co fa fi gni ri calìe : cheanche fra gli animali bruti farebbe forfe agcuble di trouar tal fuono;che in alcuna lingua del mondo haurebbe alcun lignificato. Et i meti eli mi fcrittori, che auelia colà raccontano,recitano vna fola, parola,la quale articolata dicono che vfcì di bocca di quel fan ciullo 5 II che è affai leggiere argomento a voler pronare il na turale Idiòma. Er per dir quello,che io ne finto, fi come ho quella per vna buoi a, cofi tengo ancora, che fe pure alcuno Volefl'e ture vna corale ifperienzà,quando il fanciullo voce ha Runa non vdilìe, egli et npprefenterebbe quella de Gufi, ò di quali alai veedii egli fendile, ò qualunque altro Tuono gli L a vernile ,«♦ t> E L L e LETTERE veni He a gli orecchi ; Si come vien detto di vno, il quale ìn fi-lentio nutrito fàceua la voce de gangheri dell’vfcio di quella camera, nella quale egli era in cuftodia tenuto. Et per concludere quella cola del naturale Idioma, dico che fe noi alcuno nc haueflìmo, quello fi fentirebbe in coloro, che na-feono lordi, i quali non hauendo la lingua impedita, ne altra fàuellu lentendo, parlerebbono con la propria,Se naturale. II che poi che non fi vede, vana fi vede edere cotale openionc. Or 11 come a voler che l’huomo fauelli bifogna la preparatio-ne della natura,5c con quella infieme la humana induftria, co fi ancora a me lembra, che fi polla concludere, che a voler ben fàuellare ò fia in proli, ò fu in verfo,& la natura,& la arte habbiano ad efière infieme congiunte. Qui mi potrebbe ri-fpondere alcuno, che in quanto a quello, che detto ho de* Poeti, par che Platone Tenta in contrario, & il tutto attribuì-fca alla natura,parlando della diuinità del turor poetico, & di cendo., che fi fono veduti di quegli, che incontanente poeti fono diuenuti. Ma fe cofi fentilìe Platone ò nò, io non interi do ne di determinare,ne di difputare. Bene dirò,che fi come ho per grande la autorità di lui ; così non perciò mi rimarrei di parlare quando mi credeffi di difender contra di lui la verità . Et dico che fi fuole intendere che fenza natura,ò lènza fa-uor diuino altri non polla diuenir poeta,quefia è la openionc che difendo io : & di quello parlo io chiaramente nella arte mia poetica ciò tenendo per fèrmiiììmo. Ma le mi fi vorrà dire che la natura fola balli à fare vii poeta eccellente, ciò negherò io animofamente. Ne mi limonerà dal parer mio quel Tinnico che egli allega,il quale non hauendo peradietro latto poema alcuno degno di memoria,fece poi vno Hinno lau-datilììmo.Che primieramente rifponderò io,chefe bene non ne haueua fatti de’buoni,non perciò non ne haueua latti niu ni; & pur vi fi era laticato:& pofeia aggiunge rò,eh e fe ne prima, ne da poi fece buon poema, io hauerò quello Hinno fuo per buono,ma non lui per buon poeta; che non dirò mai che buono artefice fia colui,il quale hauerà vna opera di fuo medierò DEL MVTIO L I B. II7. nsj dftieroben bitta vna fiata & altra non ne faprà rifare. A noffri giorni fi fono ancor veduti di quegli, che hanno ha tutto fpi-rito quanto lì spaila dif dorare a fare vn gran Poeta; ma per effere loro mancato dottrina,& arte, non fono potuti peruent--re alla perfettiene . Ma Platone de Poeti parlando può hall er voluto parlar poeticamente. Noi co’vcri efempii polliamo affai ben prouare il detto noftro:che di Ouidio fiamo cer ti, che egli alla poefìa f u per natura affai piu difpoibo,che Ver gilio non fu : Et pur quelli per hauer nello fcriuer pollo mag gior arte rimafe poeta molto maggiore. Et per non combatte re contro la autorità di Platone lenza alcuna grande autorità,quello ci aggiungerò,che fe la fola natura fa i poeti, poco .auuediinento fu quello di Aritlotele,& fouerchia fu la lua fatica,! fcriuer la arte Poetica. Et per feguitare il nqftro ragionamento; Non pofìbno la natura,&la arte fole elfer baffouo-li alla perfettion del dire ; ma conuiene che la efercitatione,Ia quale difopra habbiamo fatta terza compagna, à quelle ancora fi accompagni : perciochc oltra quello, chela natura ci porge,& la arte ci aiuta,ci è ancor necefìario a metterai le ma ni. lo hauerò ingegno tutto mufico,& nella arte della mufica liauerò lungamente ftudiato;8v in cantare,& in fonarediuerfi torménti hauerò fatto vn lungo vfo ; ne perciò mi forò có la .lira efercitato.Conofcerò lo tormento,hauerò contezza delle corde.Sc intenderò i tuoni ; ma fe mi vorròmettere a fonare, l’vna mano no faprà tirar l'arco,ne l’altra fuilupparne le di-ta.Savò inchinato alla pittura,&haurò tutte le mifure,& tutte le ragioni del difegno,delle ombre,& de’lumi, & pur fe vorrò fenza de resta rio ne mettermi adipingere, nò foprò reggere il pennello,& mi imbratterò le inani, & la tati ola. Et colili che è medico per natura,& per arte,fe séza pratica vorrà medicare, veci dora gli infermi. Et è quello,che io dico della efercitatio ne tato .vero,che ancora in quelle cofe,nelle quali eforcitati ci fumo per alcun tempo,tralafciandole, quando a quelle ritornar vogliamo, ornale atti vici trottiamo, ò ancor dei-tutto le habbiamo diradicate. Or.effondo quella vferciradone in tut- ,66 delle lettere te le arti cofi nc cellaria come fi vede, vorremnoi dire che feti za quella le fcritture nofcre habbiano a diuenire Muftì ir Non fermamente nò . Nebifognache altri fi creda perhauerri-uoltati tutti gli fcrittori di alcuna lingua di dotiere egli in quella incontanente bene feri nere. che fi come fe io tutto il tèmpo della mia vita hauerò vfito con caualcatori, & con maeftri di arme non faprò ne caualcare, ne arme adoperare > fe non haurò caualcato, & le in quelle non mi (arò efercita-to, coli altri non (apra fcriuere le nonhauerà dato opera allo fcriuere, Caualcando fi apprende caualcare : armeggiando fi apprende armeggiare : parlando fi appara parlare : leggendo fi appara leggere : & fcriuendofi appara fcriuere. Èc donde vogliam noi penfire.che proceda,che di tanto numero di huomini dottiffimi, i quali fono flati al mondo, cofi pochi ce nefiano, che con laude di fcriuere habbiano fcritto* Certo non altronde fe non che ella è colà troppo malageuo-le a tare chi in tale c lerci rio non confuma quafi tutto il tuo tempo. Ne Demoftene fu peraltro cofi grande, fé non per lo grande Audio che egli vi pofe. Et con tutto che la Grecia Labbia hauuto de gli huomini aliai indottrina piu di lui eccellenti, egli nondimeno di gloria di fcriuere tutti pii fi iafeiò a dietro. Et Cicerone perche direm noi che egli riufeiife cofi famofo e Non per altro,fe non che ( come elio di fe rende te-fhmontatrza; ogni giorno leggeua, & fermata, & in quello Audiof li come da lui ci èlafciato feritto)confumò lavica fila. Furono in Roma nel medefimo tempo de gli huomini in lettere eccellétiffimi;& vi fu tra gli altri quel M.Varrone,il quale hebbe tra’Romani titolo di Dottiffimo: ne di laude di fcriuere fi auuicinò egli di gran lunga a Cicerone. Quello perche ? perctochealtrocefì'erdotto,altroleggiadroìcri trote* Et sì-come leggendo molto, & di molte cole gli huomini fi fanno dotti ; così lcriuendo molto, 5c di molte cofc diueit-tano notabili fcrittori. Et à quello propofito dirò pur io tan to, che io mi foglio ridere della fciocchezza di alcuni della inoltra età, i quali vedendo, che ne a’ Greci, ne a’ Latini fu a£ fai DEL MVTIO LIB. UT. 167 fai a lodai oimenre feri nere ne la dottrina, nel'eiìèr nati Greci , ne Larari, voglionoelfi cheal bene fèriuere in quella lingua baiti lènza altro iìudio di quella, eflèr nati Tofcani : ma di queftalo.ro openione ne conferiiifeono bene vn tal frutto, che il pregio dello fcriuere a’nonTofcani fi rimane. I talia noftra materia ritornando dico, che ligia tante volte da me nominato Cicerone in tutte le operationi «offre attribiiifòe tanto alla efercitarione, che vuole, che ella fia ottima mae-ftra , &che ella fila (opra a tutte le regole dernaeffri 5 & che ella a’difctti della natura habbia forza ancora di rimediare » dicendo che ne medici, ne capitani, ne oratori, tuttoché gli amtnaeftramenti delle loro arti habhianoapprefi, colà degna di gran lode non adoprerrannogiamai lènza l’vfo, Sc iènza la efercitarione. Et dapoi che egli per vniuerfàl confèntimen-to è approuato per padre della eloquenza : & che noi poflìa-no tener lui /dirò coli ) per la Idea del dirittamente fcriuere, farà anche da dire, che a voler bene (criuere le pedate di lui fi dou erranno legni tare. La onde fc egli (come detto hab-hiamo ) ogni giorno leggeu a, & ifcriueua, firn'gli antem ente chi vorrà ferio endo acquiftar honorato nome hauerada fcriuere,& da fcriuere affai con imitation di buoni feri ttorio 11 che volli io lignificare nella mia arte, dicendo „ Et gli antichi fcrittor volita, & rimino, ,, La notte, e lgiorno : & ferina,&ferina,ferina , „ Et verghi, fgfquarci, e abbruci mille carter. Di che mi pare,che hoggimas polliamo concludere infieme col maeftro de gli fèrittpri, che la penna allo fcriuere fia ottima maeftra j & che ella fari le noffre fcritture luminofe ogni volta che con la luce dello ingegno e có lo fplendor della arte ella verrà a inanifefrar la fua chiarezza. Percioche fi come la natura séza la arte,ne la arte lènza la natura,ne la natura & l’ar tefenzala efercitarione poflònofare opera da tutte le parti compiuta; cofi la fola efercitarione lènza la compagnia delle altre ad alcun perfètto fine non può perùenire. Et l’vdire Vn nnfcuglio di parole, che ne bellezza di ingegno,ne di fen- L 4 tenza Ttfs delle lettere tema le adorni ; ne ordine di arte le gouerni, è quanto a fén-tire vn buono liuto male accordato in mano di perfona che non fappia fonareEt la natura adunque,& la arre,& la efer-citati'one al bene'lcriuere fono necefiarie. Etcomecheelle (fecondo che dilopra detto habbiamo) fiano cofuliuerfe, pur inficine radunate, & congiunte, come corde di dinerfi fuoni, finito perfettillima harmonia .che tale è per cofi dire) la natura-delia natura : la quale ha quella mondana fabrica in tal modo ordinata,che fi come vogliono 1 ftuii) tutte le cofe che fono in quello mondo,&gli elementi, & le cole, che da gli elementi fono generate, ancorché in villa fi m olir ino db uerfe,lono nondimeno vna cola iflefiù, & da vna medefima. virtù fono fi fattamente legate inficine, che quando vna ne mancaiìe,al tutto mancarebbe la fua perfettione. , Con quefto difcorfo rifponderò io bora a voi Signore fo-pra quello,che hauendo veduti alcuni componimenti di Giu lio Camillo in quella noftra lingua, domandato mi hau e te. Donde fia che hauendo egli latta quella diiìdlutioncda quale non molto tempo auanti che monile vi lece a per fa; Et haucn do elfo tanta dottrina, c< tanta arte,quanta & nel parlar di- lui fi moftfaua,& in alcune memorie, che égli iafciate ci hadi:inani teda , gli ferirti di lui contutto ciò pili di quelli de gli alni hu orni ni dieci viuonomóapparifconoeccellenti. Di quella cofi ne renderò io in gran parte la ragione, come colui, che pei la dome!cichezza, chehebbi con elio Iliì, in buonaparte "ho intefi gli ftudii fuoi: & lo ho veduta infihoa fièli eredi ver io in verfo i tuoi coponimenti.Dico adunque che quanto alla natura, Giulio Camillo era Intorno tale,che ad ogni maniera di fcrittura farebbe ftacoartilììmo, folo che egli a quella ha lidie dirizzata la fua intentione. Odia dottrina di lui non ac cade farne mentione, che per quello, che da’fuoi ragionamenti comprendefte, io fon ficuro che mai non vdi-ite altro hiiomo, che per giudi-ciò vo&ró di profondità, & di varietà di feienze-lo àuanzalfe. Dell’artificio del comporre’‘olo-io aSrimre., die egli ne haueà tanta contezza,quanta fi pof- ù DEL MVTIO LI B. III. 169; ù da huorno difiderare per i ferine re. perfettamente in ogni Lugger to „ De’ Tuoi (hi dii , & della eie rei rat ioti Tua ho io hora da ragionare. Gli il udii fuoi adunque, donde egli primieramente pregio a equi (tu ile furon fopra il Petrarca ,& fopra le intelligenze de’ fuoi (entimenti : ne’ quali egli coniamo vn, gran tempo : & in fiera emente (opragli artificii di quel poeta, Si di Vergilio fece di molte, Si di vtiliffime fatiche.Et in que’ medtfmi tempi, leggala egli, & dichiarauail Petr. & fece lungamente tale efercitio non componendo, & le virtù della compofitione in quel poeta dimoftrarido. Et cofi dicendo nel dire fi auanzò in modo, che nel parlar lì fece tale, quale dal bello ingegno voftro fu ben notato, ben che egli ha nell e ali'hora rimello aliai di quel vigore, & di quella prontezza che elio in piu frefea età era vfito di bau-ere ; ma pur ciò non odati tc ancor fi ino frana marauigliolo. Iniegnando,adunque s’era fatto otti trio inaef ro di mfegnarc à comporre, con tutto che egli qua fi n ien fe coni pondle. Etvfaua in ciò ( come dice Horat io ) PofHcio della cote, la quale aguzza il ferro, Si èrta' non vaglia giteci oche altrui non paia frano come altri -porta infegnare quello, che egli non è coli atto a tare. Quindi fi ri u‘ol lè„ allo fu d'io di'quella dirtólu tiene, la quale hauea riporta in lette fettfenarii nelle (ette colonne del fuoTheatro. Et vi ti inamente sera tutto dato allo ludio d elee reti della na tura, ci degli airi m riferii della Din ini cà. Fra quef e tante fa-tiche^ £v fra quef i co fi glorioli f udii, ne’quali la vita di Ne-ftór non ihm bafhinfe a trame tanto frutto ^quanto egli tratto ne il ah ci (fori Dditìinità del (ho ingegno, peniate voi Signore, eoe a lui vacua ne rimanefle ho va da poter dare opera alla efercitatione dcHo (criacre in quella lingua f State pur fi-euro di nò. clic egli fi era inerto in vno fi ampio,& fi profon do pelago, che piu non gli rimanala modo da ri imitar le vele in quef a parte. Si ricordami bene egli, &(i dolca.: delle vie,le quali in que’primi fimi fu dii hauea tenute : Di che io ne pòrto fare vna tal fede : che effendo alcuni anni partati dopo il aprine ipio.dtila amicitia aortra, che non ci erari amo ri» tic duci, i fo delle lettere neduti, come poi ci ritrouammo primieramente infieme,egli tra le prime còfc domandò me quali fòdero dati i miei {ludii intorno a quella lingua : Et intuendogli io rifpofto,che pochi erano flati gli fludii miei, conuenèndomi per la itretrezza del la mia fortuna intendere ad altro, che a {indiar nelle lingue : ma che pur quelli, che io latti ci hauea, fiati erano in intender la lingua, & in tare iftilo; dìo allhora folpirando mi rifpo fe, ò coti hauelTì fatto io : & era egli aìl’hora di età di quarantacinque anni, Se di pili ancora ; & haueuagià fatte l’olla dure : & a lui fi richiedeua hornai per la promdla, che hi ceti a al Re di E rancia ( che quello fu al tempo, che egli andò la prima volta in Francia) di peniate ad altro che di apprendere a feriuere volgarmente. Et per dire alcuna cefi a propofito di que’luoi primi lludii, quello fu già epitome vniuei (àie al tem po de nollri Padri & de nofiri aùoli, che andauano pure inuc iligando i fentiméti de’piu ofeuri luoghi di quello,& di quel l’altro fcrittore;& mentre che. a tale imprefà erano tutti inten ti ,non li ricordatiano di do nere e dì apparare a feriricredi che dee elìd e il principale oggetto di chi per eccellenza di lettere cerca di acqufilare immortalità. Et io per me voglio anzi Tape re quando nelle mie feritmre ho da dire Di, & quando De, che intender per qual cagione il Petrarca lacelfe quel Sonee to, il cui principio è Lagua.ncia.che fugiàpiangendo Fianca , if 'pofittefu l'vn Signor mio caro. Et amo meglio di lapere doue io Labbia da dire Mi, &douc Me, & Ti, &Te5& Si, & Se; &G,& Ce ;& Vi, & Ve, che intender la canzone Mai non ovo fui cantar come folca-,. Et ho piu caro di lapere la variatione,& la formatione de verbi, che lapere interpetrar la fedina Anzi tre di creata era alma in partem Da por fua cura in cof altere, & nouz-o . O quale altra Canzone, ò Sonetto fia in quel poeta meno age uole da intendere. Cofeleggiere paiono ad vdirequelle, di DEL M V T I O LI B. ITI. 171 tli che io fo mentione, & le altre fi migliati ti. Ma elle fono di tanto pefo, che fé Dcmofteiie nella Greca, & Cicerone nella Latina lingua delle co fi fatte, & delle piu licui non haue fi ero fatte fìima, e ili bora non fàrebbono in tanta ftima. che la notitia di quelle cofe quantunque minutiffime per tutte le ferie ture ci èneceflaria; la douela intelligenza di quel luogo ad altro, che a quel luogo non mi ha da feruire. Ma per tornare a Giulio Camillo ; Noi in quel tempo,che di fopra ho detto andammo in Francia inficine ; & quiui infieme viuem-mo parecchi inefi ; doue egli fece alquanti Sonetti, & alcuni vera latini. Et ne verbi latini a me paruefémpre che egli lia-uefl'e la felicità maggiore, ò folle che piu a quelli dalla natura folle inchinato, ò che piu ne foibe efercitato,come io credo. Oltra che ne’ Sonetti la confonanza delle rime fa la compofi-tion piu malageuole, che ne Verbi latini non fa la quantità del le biliabe. Io vedeua di verfo in verfo le bue Litiche;& comunicando egli con me & la dottrina, che di me tremi dentro fi sforzaua,& la arte,con la quale di fabricargli in tende ua, io mi auuedeua,& à lui nel diceua,che la troppa bua induftria, & il fouerchio ibi dio gli togli eu a tutta quella dolcezza, che la natura apportata gli haurebbe,quando egli con piu libera vena la hauefle lafciata correre. Et nel vero dir fi può che que’com ponimeti buoi erano foli della arte fénza natura,&lenza efer-ci ratione. Alle prole di quella lingua non diede egli mai ope rafche io mi creda ) per ifcriuere molte cofe in ella : ma fcri-ueua ò per conleruar di quelle coie,che alla mente gli occor-renano ; ò per far poi quegli ferirti latini con quei fu01 ifiru-menti della dhbolutione,de*quali egli già alcuna parte vi lafciò vedere. Et fcriueuaegli come parlaua: anzi era piu atto ad cfprimere i ìuoi concerti parlando,che 1 criuendo.Intorno alla lingua latina pofe grande ftudio; che per molti anni con molta diligenza voi fé, & riuolfe le cofe di Cicerone facendone vna anatomia maggiore che mai da maettro alcuno di Cinigia fatta folle di corpo humano. Et à parte per parte,a par ticeila per particella diligentemente damino, & offer uò ogni maniera I72 del l e lettere maniera di parlare,& ogni parola, inuefiigando con qual modo di dir latino eia leu n modo di dir volgare efpnmer fi pò-teife. Nella quale olìcruatione,& examinatione hauendo egli finte di moke fatiche, & di molte pruoue,a me pare che que-ffa fotte vnanobiliflìma cfercitatione. Et io nelle mani di lui ho alcuna fiata vedute delle fu e te ftu re, fecondo che egli le andana facendo : le quali a me Tempre fono parure tali, che fe egli a compimento le riduiìe, &fe mai vfeiranno in luce, io fono ficuro, che elle compariranno, tali, quali da eccellente fpirito, da raro artefice, & du bene efercitato itilo fi debbono affettate.. A L SIGNOR MARCHESE DEL VASTO. m SCRITTO nelle fiere hiftorie, che E-zechia Re infermò,& haucndogli Ifaia detto da parte di Dio , che ordinatte le cofe di cafa Tua, percioche douea di quella infermità morire: riuolgendo la faccia al parete, &il cuore a! al Signore, con pianto do man dò mercede,& fu efaudito, & per quindici anni gli fu prolungata la vita. Perla vitavofira Signor Illu-ftnffimo ancor che molti preghino, fi come molti fono coloro , la cui vita depende dalla voftra vita, così fono io ficuro che voi a D i o vi fiate riiioìto, & che da lui fia fiata efiudita la voftra oratione. Et è ben ragione che in tutte le infermità noftre,St sépre ricorriamo a lui,che è il vero medico, & la cui fola volontà è la no (tra {aiutifera medicina. Che fi come i no-ftri terreni medici fono operatori, e miniftri della natura cosi è la natura operatrice,e miniftra di Dio.Pofcia ha la medicina fila vna altra mirabile eccellenza, che non fidamente fanai corpi, ma le anime ancóra. Et pur che noi a voler guarire ci difpogniamo, 5c a lui con tutto il noftro affetto ci riuolHamo, deb- DEL MVTIO LI B. III. t?* debbiamo efler certi per mezo del primogenito ìuo figliuolo, &noftro fratello & faluatore di douere edere efauditi: che egli lo ci ha promeflò, & le fue promeflc non furono già mai vane. Perche voglio dire io a voi Signor mio, che debbiate pur confermarla mente voftra nel fopracelefte medico, & a lui quanto piu potete vihabbiatc a conformare, che in tutte le voftre infermità del corpo, dell’animo, & dell'anima ièntirete marauigliofa operatione. Et fe cofi incontancte non ne vedete l’effetto,non perciò douete diffidarunche Dio mol £e volte tardaa dar le fue gratie,accioche vedendo gli huomini mortali la malageuolezza del confeguirle, per innanzi fi guardino di non le fi lafciare vfeir di mano cofi di leggieri : Et fani habbiano da conferuarfi quella gratia,per mezoj della qua le hanno impetrata la fanità. il che altramente non fi può fare, fe non ordinando quella vita, & quella finità, che da lui tribbiamo hauuta tutta ad honor fuo, & à fua gloria. La qual colà fatta non hauendo Ezechia Re di fopra nominato, fentì la ira del Signore. Et horribile cofa è fecondo, che ancor dice Paolo) cader nelle mani di Dio viuente. Ci ficonuiene adunque nel domadare a lui le gratie fare vn fermo proponimento di don cric vfare a laude fua: & pregarlo che con la fua gratia ci conceda di poter mettere in efecurione cotale no-ura buona volontà. Et così facendogli noi volontario fàcri-ficio del noftro volere, quello da lui viene benignamente accettato : & di giorno in giorno maggiormente ci fono moltiplicate le fue gratie per mezzo di lem Chrifto noftro Signore,i!quale fedendo aduocato noftro alla deftra delfempiter-no padre io con cuor denoto fupplico alla fuprema fua Mae-ftà, che degni di intercedere per la vita voftra,& per la voftra profperità. Et vi bacio le mani. Di Milano ì XIX. di Marzo del X L VI. ALLA r4. DELLE lettere ALLA SIGNORA MARCHESANA DEL VASTO. . L S. Marchefedi gloriola memoria in an-dando alla imprefa di Nizza fece a me tan-f° di honore, che mi militò con le fu e dolio rfcN ci AG me rime a do u ere feri nere de’tuoi vaio-rofi fatti : & di quella materia parlando fog giunte i ver fi che feguono. Et a colei,eh'io porto dentro’lpetto, iVa d’ogni honor Li miglior parte Corna vera cagion d’ogni mia glori cu ♦ Le quali parole eiìendo date dette di voi Eccellenti dì ma Signora , cui egli fopra tutte le cole amaua ; per quelle ci furto* lira chiaro, che a lui non erano care le proprie lue lode , le egli non ne haueua voi partecipe, & compagna. Et edencio> e dò dell’honor vodro flato difiderofo.ragioneuol colà è che: anche voi come grata,- & di lui amante,di quello di lui vi mo-flriate dudiofa,non potendo ma'ifimamente honorar lui, che non honoriate voi fteda , fi come egli voi honorando fe me* defimo fi fentiua honorare-. So che il volere perfuaderui ad operare opere di honore è cefi fouercnia : ma non per perfuaderui coli vi fcriuo io,-anzi percioche io idi-ma, che non debbia edere di muto fe non codi honoreuole lo Ieri nere di honore ad honorata donna. Io come colui, che ho nel cuore fcolpita la memoria del valorofo mio Signore, fentendolo eder da noi partito fo quello,che vfano di tare gli innamorati j quali lontani dalle loro amate Donne fi riuolgono a mirare le loro imagini, ò colè, che di loro 1 ubbia no alcuna fì migli-m*! za ; & vado tal volta a vedere la picciola fiatila, che di creta ha formata Leone d’Arezzo per modello di quella, che egli defidera, & fpera di doucr fare con immortai gloria di alti a ■ materia che di crlta. Et eden doni tornato hoggi ha tre gior ni, con lui entratone in ragionamento, & trouatolo mol to col do, DEL MVTIO LI B. III. . r7* do, tentai l’animo Tuo per intender da lui a che mira He quel fao coli ardente defiderio. Et cilb mi fece vn difcorfo in que (la fentenza. Che dapoi che egli nella arte fua ha latto alcun profitto,in lui è flato vn continuo difio di potere con alcuna nonorata, & memorabile fatica falciar dopo fe di quelle memori e,che de gli altri falciando hanno alla immortali cà i loro nomi confàcrati. Et che leggendo, ò lentendo parlare , ò mirando fhtue antiche, ò moderne degne di alcuna lode, fi lente pungere il cuore da vna honella inuidia di coloro, a’quali la fortuna ha dato cofi belle occafioni, a me dicendo, Tu le nella mente tua hai vn bel concetto, lènza l'altrui aiuto, puoi flenderlo in carte, & mandare in luce le opere tue dando con la fcrittura quella forma,che piu ti piace alle materie, che ò il tuo ingegno parcorifce, ò ti lono date di fuori : Ma a me ciò non è conceduto,che quantunque col penfiero mi vada vna perfètta imagine dipingendo > non polio rapprefentare a gli occhi altrui il ritratto di quella, fe altronde non mi vien porto fuggetto atto a riceucre la impresone della Idea, che nell’animo ho conceputa. A me bifogna altro che carta,& altro che inchiollro a fare opera che habbia da elìcre eterna. Et per eflère quello, che bifogna a me, cofa di fpefa, io ho bifogno dello aiuto di chi a quella polla lupplire. Poi no elìendo ogni pcrlona che è atta a Ipendereatto fuggetto della arte mia, i lugger ti da elì’ere polli in illatu e vengono ad efier rari 5 Et quello elìendo rat iflìraofio mi veggo in vn danno nollro vni-11 erlate effere nata vna occafione, della quale io non ne fiiprei difidcrarne maggior;ne pari : che i Papi, i Re, & gli Impera-dori fono opere di fortuna ,& di ambitione, fa doue il Mar-chefe del Vallo è vn ritratto di virtù,& di honore : Ef quello è quello, che infiamma il fuoco del mio defiderio a cofi defi-derabile imprefa; che quella mancandomi, non credo che la vita mia ne polla affettare vna altra cosi gloriolà.Faceua Leo ne quando a lui ne andai il modello di vna cofetta,che’eg!i ha uea da fare di argento;Et haueua dauanti difegni in carte,& fi gure di fiacco, & fecondo quegli efempii andana formando fa fua *7* DELLE LETTERE ia fua picciola imagine. Et fopra ciò mi dille, Tu vedi in que Ita ciancetta, la quale làrà cola da efl’er veduta da poche per-f fone,alcune poche volte lenza nome di artefice, quanto ftu-dio io vi pongo perche ella polla comparire. Or in vna opera tale, quale iarehbe la ftatua del Marchefe.doue io penferei di douer viuer ne gli occhi del mondo per tutti i fecoli, che hanno a venir ,quale credi tu clic farebbe la mia induftriado vorrei vedere quanto fi può vedere dell’artificio de gli antichi,& de’moderni per trarne il bello del bello,&il buono del buono; & tutto collocarlo in quella honoratiflìma figura a fine che la operatione mia rifpondelìe a’meriti di chi in quel la douelle efi'ere rapprefentato. Quefto lodeuole defiderio fuo,& quefta fua honorata intentione aggradirono in modo all’animo mio,che mi hanno latto correre alla penna per far-; gli fapere a chi piu di Capergli fi appartiene. Et per tornare a parlar dell'honore, il quale fu il principio della mia lettera, dico,Che honorcuoliiììmo,& antichiflìmoè ilcoftumedi dirizzar le {fatue in teftimonianza di virtù alle pecione chiare. Et nelle piu antiche hiftorie eflendo come colàantichiifi-ma celebrato il valore di Setole, ò fia Sefoftre Re di Egitto, di lui fi legge che come egli haueua alcuna natione con arme foggiogata; cofiquiuifi poneua vna ftatua della fua pedona di quella età,nella quale da lui era fiata fatta tale im prelà. Poi la memoria delle fiatue ; & de gli eccellenti ftatuarii di Egitto è maggiore che qui fia luogo da parlarne.Ben ftimo io che da coloro apparafi'cro le altre nationi il tare, & il dirizzare le fiatile alle altrui virtù. Or era quefto honore in tanta veneratione , che molti fecoli dopo il Rè,il quale io ho nominato, Dario Rè di Perfia ( quello dico che fu padre di Xerfe)'eflendo Signore anche dell’lgitto volle porre la ftatua fua damanti a quella di Sefoftre : Et il Prencipe de’Sacerdoti gli fi oppo» le, dicendogli che non haueua ancora fatto opere taliche a Sefoftre meriraftè di effere filmato pari. Ma tra gli altri paefi furono in Grecia abbracciate le fiatue con marau igliofo fauo re ; EtaVincitori de’giuodu olimpici tra molti honori, che loro DEL MVTIO LI B. III. i?1 loro erano fatti, non fo fe alcuno nefort'e loro fatto maggiore di quello delle ftatue. Nesòfein que’giuochi a pedona alcuna forte per corporal valore piu giuftamente cotal pregio conceduto che a Polidamante, il quale di (armato vccife vn Leone : & con vna mano fermò vn carro tirato da quattro ca ualli, che velocifumamente correuano. Dirò bene che piu degnamente furono honorati da gli Atheniefi di tal memoria Armodio,& Ariftogitone per haucr la patria da tirannia liberata. Ma che diremo del numero di quelle ftatue5con le quali fi mortrarono grati a Demetrio i cittadini di Athene,chc trecento,& feflanta gliene dirizzarono ; l e quali effendo poi (late tutte abbattute ò per inuidia,ò per impeto della temeraria plebe, egli fàuiamente dille, Ne perciò hanno abbattute le mie virtù. Parto ancora querta gloria tra’Romanùde’qua-li dir non fi può fe fodero piu magnanimi ò cortefi : che non (blamente a'Bruti a' gli Horatii,a’Mutii.a’gli Scipioni,& a’Ce-fari, & à gli altri che la loro città haueuano honorata,& eiàl-tata,donarono tali infegne di honore ; ma à Porfena ancora dirizzarono vna ftatua,& comportarono che in piu di vn luo go forte collocata quella di Hannibale. Vero-èchediuerfc furono le maniere di acquiftarii quefto honore : che altri ric-chi;& potenti da fe le fi faceuano ; & altri da altrui le afpetta-uano. Et chi non fa che il vero honore è non prenderli da fé gli honori,ma lafciar che da gli altri ci rtano dati? Perche non tanto reputerò io honorato Gorgia Leoncino per la ftatua deli'oro,che egli del fuo fi collocò in Delphi, quanto Berofo di quella,che gli dirizzo la città di Attiene con la fola lingua dorata. che quella fu tertimonianza di ricchezze, & di ambi-rione : & da querta fi fa argomento di eccellenza di virtù. Ne era il folo pregio delle arme priuilegiato di tale honore dalla buona antichità, ma la degnità delle lettere ancora , fi come per li due virimi efempii, da me recitati fi comprende. Et da Mitridate fu porta vna rtatua a Platone, ad Homero da vno Rè di Egitto ; da gli Atheniefi à Demortene,da’Manrouani à Vergilio ; & ad altri cori filofofi <5( poeti,come per altra dot- M trina t7t DELLE LETTERE rina eccellenti da di nei" fi m diuerfe età. Ne per le foli fi fet-uarono gli huomini cjuefta gloria,ina alle donne ancora la co municarono.fi come fi truoua fcritto di Tanaquil, di Cloelia, & di Cornelia madre de’Gracchi : Ne fu negata la (tatua à Cleopatra: & à Phrine femina per altro vile fu dirizzata per la rara eccellenza della fua beltà . Or quello honore fi come fu lungamente in vlo, così lungo tempo è flato lepolto per colpa de'rozzi fecoli : Et hora in rifplendendo nuóue virtù > & nuoui artefici comincia a ritornare in luce. Et è ben con-ueneuole che & gli huomini valore fi da gli artifici eccellenti riceuano vita,& che à gli artefici rendano vita le opere loro. Et fé alcuno in alcun tempo per alcuna fingular virtù, o per lodata imprefà ha meritato le fatue, quante ne vorremo noi dirizzare al grande Al tonfo in teflimonianza delle molte fue virtù,&delle molte fue honorate im prete ? nella rammemora tione delle quali io qui mi fenderei,fe a voi non feriuefì,che ne ha u e te miglior contezza di me. Benché non potrei fendermi tanto,che non folti breuiflimo,richiedendoti altro che vna lettera à farne mentione. Di Papa Giulio 11. ne viuela memoria per le mani di Mi chef Agnolo. A Leone, & à Clemente ha dato vita Baccio Bandinelli. Del Duca di Manto-ua fi vede la fatua fatta da Al tonfo di Ferrara, & quella di Montig. di Pois è in Milano. Taccio le molte medaglie di conio del Conte Guido Rungoni fatte dal Cauallerino': & la bel lilfima fepoltura del Conte Claudio ordinata da Giulio Romano . Éfl'endo quefi tali Principi, & Caualicri in tal maniera fati honorati, al Marchefe tra gli honorati honoratillimo douera eflér negato vno a lui coti debito honore ? Vi chiede ò valorofa Donna vi chiede la fatua lo amor di lui verfodi voi : & la vi chieggono i meriti del fuo valore. A quefe cole vita altra ancora fe ne aggiunge,che ve ne fa debitrice : & ciò è ildifiderio di lui. Et come che io fi a certo che voi di tutti i difiderii fuoi fiate bene confapeuole, pur quale chef fia la mia tcfimcnianza, io cui non ho da pattar con ft-lentio,che ef éndo già tra lui & me accaduto ragionamento DEL MVTIO L I B. III. 179 fópra alcuni miei dritti delPhonore delle fcritture & delle ita tue, Egli fi come non dannaua la gloria delle carte, che in ciò fe medefimo dannato haurebbe, cosi di quella delle datue va go fi dimoftraua,confiderando perauuentura che a lui fcritto ri no poteuano mancare, edendo delle fcritrure piu che delle ftatue la copia molto maggiore, & che anche da gli fcrittori farebbe la ftatua (lata celebrata.Oltra che gli fcritti à pochi,& i certi tempi {blamente rinfrefcano le memorie, doue le ftatue a molti,& tempre fi dimoftrano. Et fe bene le penne fono badanti a far ritratto delle cofe honoratamente adoperate, Se quelle a gli animi ci rapprefentano; non così poflòno a gli oc chi viue dipingere le imagini de'paffati.Et fé ogni picciola me dagliaci porge diletto col moftrarcila effigie de gli antichi huomini, ò donne, quanto dee efler quello, che fi prende di veder tutta la forma così vera, & così viua, che in mirandola fifamente ci par di vedere alcuna fiata che ella ci miri, & afpet ti che parliamo per rifpondercifNon lafcerò di dire che molti fcrittori qual per prezzo,qual peramore, & qual per odio, & quale per piu adornare le fue fcritture, ò per altri rifpetti, © dicono delle menzogne,© tacciono la verità, ma quanto la ftatua al vero piu fiauuicina,tanto è il fuo pregio maggiore ; la onde l’artefice di quella tutto lo ftudio fuo riuolge a lare ritratto della verità. Et fe in altra ftatua per farla bella quefta verità fi richiede, a quella diAlfònfo Marcitele del Vado fi contitene ella {opra tutte le altre per farla belliftima. Quefte cofe adunque confiderando quello eccellente {pirito,& delle altre ancora,doue lo ingegno mio non amila,fèndila quel di-fiderio, che detto ho, & à quel fuo difiderio chi pu ò meglio (odisfare di Leone ? In lui alla eccellenza della arte fi aggiunge vncosì gentil defiderio, & vna così difiderabile intentione . Pofcia egli ne ha fatto medaglie del viuo, & ha tratto lo impronto del morto,& di quello vna imagine viua, viua. Iò la ho vida Signora mia Illudriffima,& con gran fatica, & con molti preghi ottenni da lui di vederla 5 Et alia prima vida tii lei fi mi abondarono le lagrime, che ne io potei affilami la M 3 vida ho delle lettere villa, ne egli mi diede tempo da potere afciugarmi gli occhi per mirarla dicendomi,che ha fatto /ermo proponimento di non lafciarla vedere fe egli al mondo tutta non la apprefenta in quel'modo, che fi conuiene. Ma pur tanto ne vidi,che io fcorfi quel venerando afpetto così viuo.come io mai lo vedef fi nel vino- Et à quefto propofito non voglio mancar di ridire quello,che egli mi dille ; Che edendo per vna lettera vo-ftra di Piacenza richiamato per quefto effetto 5 giunto al luogo, doue quello honorato corpo era lòtto terra conferuato, in difcoprendolo fu detto che quello era il quarto giorno che gl’era morto. Quando .altra cagione non ci fode, che douede inducedere a quefto effetto la voftra volontàrio ed'er Pene tenuto alcun ragionamento, & il faperfi che quefto fi afpetta, lo dee tare conducere al fine,accioche il mondo non fi vegga dal reale animo voftro hauer concepii ta fperanzà di colà, che egli non habbia confèguita. Ma io ne parlo quali come io dubiti della altezza del voftro cuore. Perdonatemi eccella Signora, che il difiderio di vedere honorato di tutte le maniere di honori il mio Signore mi fa in colai modo parlare. Dirizzandoli da voi quefta ftatua, ella non farà polla piu a lui, che a voi : che quella farà eterna teftimonianza dello amore, che gli portafte edendo vino, & della memoria che tenete di lui morto,& della grandezza del voftro animo. Ne veggo che cola alcuna ve ne debbia ritenere; che in ciò al mondo piacerete,& à Dio nò ifpiacerete, & già la fpela è per la maggior parte fatta,hau endofi(fecódo che m’è ftato detto) il metallo neceflàrio per tale opera.Taccio che non ci manca eccellente maeftro, al qual non ci bifognano preghiere. Della forma veramente, la quale à quefta ftatua fi ha da dare, ci è da dire affai : & quando vorrete anche fentir quello, che io ne ferito, io fopra il modello già fatto ne fcriuerrò il ni io parere. Et di ciò al predente altro non dirò, fe non che fc delle Donne antiche viuono per hauere in ricche fepoltu-re Appelliti i loro inaliti, di voi dir fi potrà con maggiore honore > che con quefta opera hauerete tratto il voftro di fe« poi tura. DEL M V T I O L I B. III. tsr [?al tura. Et chi parlerà, ò fcriucrrà deile lode deltodatiflìmGt iVìarchcfe con perpetua voftra efaltatione, a voi Da rà et ognifio honor Li m ig lior pirtzD » Corn h vera cagion d'ogni fna, gloria-j. A M. HIERON1MO RVS CELLI. O hauu ta: la lettera voftra cortehifmia, & honoreu oli filma, alla quale fè io rifpondeii do volefiì dar pruoua di renderui grafie, ò lode eguali mi conuerrebbe ecceder la mi-fu ra di ogni lunghi ili ma lettera. Et fermamente direi che voi quella fcriuendo vi fete faticato di tare cornei buoni dipintori, i quali, molirando di volerci rapprclentare le naturali imagini altrui,togliono con la arte loro andar diminuendo le deformità, & accrefcendo ornamento alle bellezze di quelle perfone, le quali e (fi fi prendono a figurare. Così,dico, direi io,fe non che voi hauete trapalati tutti i termini delle dipinture naturali,facendo il ritratto di me da tutte le parti bello ; 1.1 che non dee edere proceduto altronde, fe non che voi in dileguando me doueuate {pacchiami nel voftro bello animo: Di che tanta è ia mia obligatione verlo voi, quanta è la nobiltà di quello oggetto, al quale mi lete andato aflomigliando. Quanto a volumi diletterei di rime, che fi hanno da punii care di fcrittori diuerfi, Io citrale lettere, che ho date ad i (lampare, ne ho anche a fi ai buon numero di altre da poterne ieruire 1 amico voftro. Di rime oltra quelle,che ho data a publicare,non credo di hauere niente altro : che le bene ne ho compofte di molte,& molte,in modo che-quelle,che vfeiran-no fono vna pochiflìina parte,io fecondo che le ho compofte, o non ne ho tenuto cura, o fè pur le ho racomandate alle carte, le ho poi donate a chi me le ha domandate, lènza fermarne alcuna memoria. Et tra le altre cofemi ricorda di ha-uer fitte già fe il anta ftanze in ottaua rima de’miei amori, le M 3 quali m DELLE LETTERE quali mi vfcirono pur delle mani, CC non laprei dir come ; ma ne quelle ne altre rime erano per ciò tali, che io mi hahbia ne da dolere di hauerle perdute, ne da prender molta fatica per hall erle a ricouerare. Fin quàfia detto in rifpofla della voflra lettera. Et p rcio-che Antonio da Colle mi ha fatto intendere, che la open ioti ▼offra è che nello fcriuer delle lettere fi conuenga honorare altrui con titoli di Signoria,di Eccellenza,& altri : & che pencolate che io doueflì tenere il medefimo,& darui la mia voce. Ma che dapoi che fapete che io Tento altramente ha nere da (criuere ancora contra di me 5 Io intorno a ciò intendo di ragionare alquanto con e fio voi. Et primieramente dico che io non reputo punto, che tra perfone congiunti filine fidi-fconuenga di hauere openioni diuerfe : Anzi iflimo che fia ottimamente fatto che fatua la amifla ogniuno renda ragione del fuo parere. Che a quello modo fi viene a procurare il he neficio delettori,i quali vdite le diuerfe ragioni meglio fi pof fono rifoluere quale lor paia che fia da feguitare, o da lafciare. Et infino ad hora a me è già occorfo che io nella arte mia poc tica ho parlato contra la compofitionc de gli Efàmetri,& Pcn tametri volgari : Et in materia di quella lingua ho Ed itto con tra le openioni del Tolomei, del Celano, & del Caualcanti. 1 quali hauendo io per huomini rari,& eccellenti, & portando loro amore,& riuerenza,non perciò Tento in tutte le cole con loro. Et hauendo io le mie fentenze per buone,mi parrebbe di mancare al mondo,quando io non le publicaffi . Et fe nelle cofe di caualleria ho tenuta quella mani era,dicendo il mio parere contra dottori, contra Caualieri, contra Pri nei pi, & contrale confuetu fine vniuerfde,ne perciò me ne è venuto altro che honore, & lodc. Non veggo perche anche nelle altre cofe io non debbia fcriuere contra la openione di quella, & di quella altra perfona particolare : Et perche medefima-mente io non debbia hauere a bene che altri fcriua diuerfa-mente da quello, che viene fcritto da me. Et per dire alcuna cola di ciò, che tra noi fi mette in con tela. A me DEL M V T I O L I B. III. m A me pare che noi ci fiamo aliai allontanati da latini , col mutare il Tu in Voi lenza voler far quella nuoua mutatione di conci ungere al Voi la Signoria, la Eccellenza, # la Maefta con tra la forma dello fcriuere de’Latini : Et dico contra la loro forma ; pcrcioche fe bene tra loro li dice la tua pietà,la tua bontà, & la tua magnanimità,non è perciò da dire che egli Eia vna colà iftelìà col dar de ’noftri titoli: che quelle parole li dicono in commendatione delle virtù,che altri lente,o (pera di douer fentire fecondo le occorrenze delle bifogne,# de'tem-pi,la doue quegli altri fono titoli perpetui de gii altrui gradi, & nobiltà , che dirò anche io in quella lingua la volirà pietà, la volita bontà, & la volita magnanimità, & quello modo di dire Eira fecondo la openion mia:che per la legge voltra bifb-gnera dire,la pietà di V. S. la bontà di V. Eccellenza, & la magnanimità di V. Madia,che fenza quelli titoli nò darete coni mcndationc di virtù ad alcun Prencipe,o Signore,feguitando lo abufo della corrotta fàuella. Si che quello efempio della fcnttura latina (per mio parere)non tauorifce la voltra inten-tione.Ma non voglio io difendere la mia openione tanto con l’ordine della latina lingua ; quanto con quello della noftra medefuna. Et dico che da cotella forma di fcriuer con tanti titoli ne feguitano molte fcóueneuolezze;che prima altra via terremo nelle rime,Se altra nelle profettizi altra in alcune prò fe,& altra in altre. Che fe fcriuerrete hiftoria, o altra opera continuata direte cosi lui, & egli dello Imperadore, come di vna perfona priuuta : Et nelle lettere darete all’vno della Mae fcà, & all’altro direte voi, ò tu.Mi rifponderete che così fi vfa comunalmente di fcriuere. Et io dirò che il medefiino fi vfà comunalmente nel parlare : Et pur fe fcriuerrete vna hiftoria recitando gli altrui parlari notigli imbratterete di Signorie, ne di Madia; ma direte Tu,& Voi come fa il Boccaccio,#: tut ti i buoni ferittori. Et fe nel dire gli altrui parlari non vivrete la forma dell’vfato parlar volgare, non fo perche nel publicare delle voitix lettere vogliate viària forma delle lettere voi gari. Poi molto piu bello, & piu piano è il ir odo delio f ri- M 4 uere ,84 DELLE LETTERE uere dirizzando col Voi la fauella a coluia cui fcriucte, che torcendo il parlare con quella terza perfona V. Maefta ha fòt to, V. Eccellenza ha detto : le quali voci ò ci bifogna replicarle fpelTo con faftidio d elettori, ò ricorrere a Quella, o a Le?. Et aliai (oriente interuiene, che effondo in quella tefturadi parole alcun nome feminile, altri non Li fe quel Quella ri-lponda al titolo, ò a quell’altro nome : Il che non è lenza coii follone. Alla bellezza, & alla chiarezza fi aggiunga ancorala efficacia del dire ; Che altra viuacità , & alt i a grandezza è iri-fcntire,La vittoriofa voftra mano ha liberata ìa Italia dalla tirannia de’Barbari, che La vittoriofa mano della S. V. Etaltra efpreflìone è nel dire,Voi col fuoco de gli occhi voftri mi ha-uete accefi l’anima,che La S.V. col fuoco de gli occhi 1 noi.Et voglio io dire a quefto propofito,che in vna mia lettera fcritta infieme a tre Madonne, la quale è prima nel primo libro delle mie lettere, io dico qfte parole. A voi tre ferino; Voi tre amo ; Di voi tre fono innamorato.Quella fentenza in quefto modo detta fe ne palla-pianamente, & Lenza far punto di offefa alle altrui orecchie.Ma quando io hanelli detto,Scrino alle tre Si gnorie voftre,ò alleSignorie di voi tre:Le Signorie di voi tre amo : Delle tre Signorie voftre fono innamorato, mi farebbe parato di parlar così rozamente,& così difpiaceuolméte,che hauerei anzi lafciata quella fentéza.che dettala có quelle paro le. Quefte poche cole hó voluto io bora fcriuerui in quefto fuggctto,accioche intendendo in pane le mie ragioni polliate farne comparatione con le voftre, & o attenemi a quelle,o appigliami a quelle fe forfè vi parranno migliorixhe il mede fimo farò anche io quando haurò hauuto delie voftre notitia piu particolare:Perciochc io non fono tanto amante delle co-fc mie,che feorgendo di meglio; io non fa perlafciare il mcn buono. E quando anche egli pure auuenga, che voi nella vo-ftra openione,& io nella mia mi rimanga,quefto no ha perciò da diminuir punto l’amor noftro piu che fe l’vno di noi andai fe veftito d‘vno,& l’altro d’altro colore. Di Milano. A M. DEL MVTIO LI B. HI. iss A M. VINCENTIO FEDELI. EBBI la amorcuoliffima lettera voftra vera teitimonia della voitra affettione a me dolcifi-lima, & difideraciilìma . Et qual maggior tc-ftimonianza di amore pofiò io haucr da voi > che vederui delle ccfe mie così iìudiofo ? Et poi che voi così itudiofo ne Iute, & io ve ne renderò particolarmente ragione. Ma prima voglio rifpondere a quella parte, nella quale mi raccomandate la memoria del già noftro Signor Marchefe del Vado. Del quale io vi ho da dire, che quantunque io fia ficuro che carte piu honorate delle mie gli rendevano debiti onoii,pur di me potete tener per fermo,ch’io non fono per mancar di celebra re il nome fuo quanto per me fi può nelle mie fcritture. Ne di altra perfona infino ad hora fi fa nelle mie fcritture ne piu fpefl'e fiate,ne piu diffufamente memoria,che di lui. Ne perche egli inoltrato non fi fia piu liberale ( come dite ) verfo di me,douete perciò penfare,che io habbia ad edere auaro verfo di lui : Che quello imputo io piu alla mia fortuna, che ad al tro. Ma egli me Tempre amò, & honorò, mentre fu in vita : ne io ho da rimanermi di amare,& di honorar lui ancor dopo la Tua vita. Anzi hora mi pardi potergli maggiormente far honore : che fe da lui mi fode itato largamente donato, altri potrebbe dire fentendolo da me lodare, che io ciò faceti! piu per debito, che per fincerità di giudicio : la doue hora altro che dir nò reità,fe non che la riuerenza,& la affettione,che io lio Tempre portata a lui, & al nome fuo 5 da per hauerlo co-nofeiuto degno di eder celebrato anche fenza remuneratone da chi ha hauuto quella contezza di lui, la quale habbia-mohauutavoi,&io. Hora pafiò alle domande voitre. Et quanto alla prima dei la riiolutioneche io ho fatta in queita publicatione, delle co-fe mie, tra le varie openioni che fi tengono da gli fcrittori intorno ,86 delle lettere torno quella lingua,& intorno le oileruationi di quella,fom-mariamente rifóndendo vi dico, che io non fono di quegli così chinati ; i quali come accoltati il fono ad vna parte, così vogliono che tutti i detti & tutti i filtri di quella fiano appro-badili 5 ma dalla openione de gli vni prendendo vna cofa, & da quella de gli altri vn altra mi vo gouernando fecondo che mi detta la ragione,come per efempio: Alcuni fcriuono efem pio, & alcuni altri eflempio ; Io ftpendo che tal voce vniuer-follmente per vna S, viene pronuntiata,accioche il pronuntiare dallo fcriuere non fia diuerfo,con vna fola S, ancora la feri uo : & il medehmo io nelle altre ; che hanno il medefimo fuo no, come efilio, eforcito, efercitio, & limili. Scriueli da alcuni allenire, au edere, allentare, auentura per vna y, & alcuni la raddoppiano. Douc ame pare che meglio facciano i fecondi, percioche quelle voci fono compofte con la parti-cella Ad la lettera D, piu ragioneuolmente fi riuolgein vna altra V, che non fi gitta del tutto via. Dall’altra parte non ci manca chi foriue oppenione, ohbrigare, libbre, & delle altre voci raddoppiando le prime confonanti. Et io non fo per qual cagione lo fi facciano : che fe bene tale è in alcuni la cor rotta fauella,non voglio perciò partirmi io dalle regole della lingua latina accompagnate dal confon timento della maggior parte di Italia, hauendo io quella lingua veramente per lingua : che fia propria piu di tutta Italia che di alcuna region di quella particolare.Et per dirne hora con voi alcune poche* Dante incomincia il fuo Inferno con quelli verfi, ,, Nel me%o del camiti di nojìra vita „ Mi ritròuaiper vna felua ofiltra. Et il principio del Purgatorio. ,, Per correr miglior acqua alza le vele ,, H ornai la nani cella del mio ingegno. Et del Paradilo - ,, La gloria di colui, che’l tutto mone „ Per l’vniuerfopenetra, & nfplende^j - Hora ditemi quale di quelle parole e piu di T ofoana foda.che di tutu DEL MVTIO LIB. III. ny di tutta Italia ? Et il medefimo vi dico delle cofe del Petrarca, & del Boccaccio. Ma mi diranno,Vi fono nelle opere di que gli forittori delle voci che fono di fola Tofcana,& non di tutta Italia : & io dirò che ve he fono anche di pure Lombarde ; ne perciò alcuno è fi pazzo> che dica la lingua douerfi chiamar Lombarda. Et in quelle opere ve ne fono molte piu Pro uenzali, che pureTofoane; & pur nondimeno alcuno non da alla lingua nome di Prouenzale. Ma di quella materia ne ho io parlato piu largamente in vna lettera mia foritta già al S. Renato Triuultio, la quale mi ricorda che voi già la vedette. Torno io adunque a dire, che voglio anzi Seguirla ragione dalla con fu etudi ne della maggior parte di Italia accora pagliara,che la autorità di vna fola città, ò ancora di vna regióne . Et percioche da alcuni fi dice ciò farfi accioche ci hab Eiamo da allontanare dalla latina fauella, Vorrei da loro (ape-re perche allontanare non ce ne debbiamo nello foriuere Amore,Lume,Nome,Capo,Mano,Sole,Luce,Libertà,Opera, & mille altre parole, nelle quali non fi raddoppia tra noi alcuna confonante piu che fi faccia tra’ latini. Et perche non ifcri-ttiamo noi per vna fola lettera quello che i latini foriuono per due, fo da loro ci vogliamo dilungare r Ma quefta loro mi par che dir lì polla edere vna ragione fonza ragione 5 perche piu auanti non ne ragiono. Io poi forino le cofe mie con quelle lettere, con le quali foriueuano i padri noltri, & i noftri auoli,& con le quali forif foro Dante, Peti*. & il Bocc. Ne vo ricercando nuoue forine di vocali,ne di confonanti. Chi non intenderà quella lingua con le lettere vfote, con le lettere nuoue non intenderà ne la lingua, ne le lettere . Ne con le lettere viàte cerco di tarmi autor di nuouaOrtografia.chela variatione dello foriuereftà nel confentimento vniuerfale fitto dalle età, & non dal voler di alcuna perfona particolare. Et quello mi fa anche in molte cofe edere meno ofleruante nello foriuere 5 che io dirò alcuna volta giouine, & altra giouene, ò giouane ; dirò meraviglia marauiglia : 5imigliante,& fomigliante, & delle altre parole i s s D E n n EO U E* T T te r e a parole tali-nmettendòmi a quello , che piu;piacerà al tempo , & alla coiifjue ultime : che.io ho per cola ferma che Dante, Il *Pei"rarcha,& il tìoccaccialcnile.ro di molte còle diuerfàmen te da quello che fi fa bora : & ho anche per ferimiìitno che fe Poggi viueiTero lì accommoderebbono alla Ortografia demoderni . Vi ho da aggiungere che feguitando io quella mia openio he che la lingua lìa pure Italiana ho alcuna volta via te delle parole non tanto di 1 oleana, quanto delle altre parti di Italia . pei parermi quelle ò di miglior luono, ò di minore affet-tatione.'che ho detto Vacillare piu tolto che Balenare;&Vomitare piu tolto che Recete. Et delle altre ancora. Et doue ho trouato parola coli bella nelle bocche de gli li uomini, come n eli bri, non mi fono guardato da vfàre co fi quella come quella : che ho detto il chiericato inficine col Boccaccio, & il Clero con la Romana corte, & con Italia tutta. Et il me-defimo ho fatto di piu altre dittioni. Et in ogni parte vdoue mi è occorfa; trattandole materie che io ho trattate, voce Italiana atta ad e {primeve i miei concetti, io la ho ficuramen-te vfata ,• Di che mi è auuenuto che di molte ne ho io meteo-late ne’miei componimenti, che ne gli ferirti de gli autori di fopra nominati non fi trouano . Ma & anche e ili perauuen-tura vfate le haucrebbono., quando haueflero fcritto di que’ Paggetti, de’ quali ho fcritto io. Vero e che alcuna volta mi è conuenuto vfar di quelle , che io non ho per approbabili, fi come quando ho recitate le altrui parole, & che intorno a quelle mi è Infognato dire alcuna co (a. Et ciò è auuenuto a me piu volte nelle Rifpofte cauallerefche,nelle Matite Ochi-hiane, & può e Ile re anche nelle V ergeriane, & nelle Lettere, £< al troll e, che bora non ini fouuienc di rutti que’luoghfdo-tie mi è conuenuto ò lafciare, ò replicare di quelle voci, che da me io no ha urei vfate giamai. Et tanto fi a detto in rii polla della primi domanda voifra : intorno alla quale fe io mi lono allargato farò nelle altre piu ri Irretto. Se nelle lettere fi debbiano dar titoli di Signoria, & di Ec-v1.. 4 cedenza, DEL MVTIO L I B. III. i8j> cellenza, & gli altri tali, Io ne fono già molti anni rifoluto di nò. Et in tutte le mie fcritture ho confcruata inuiolabilmcn te quella mia openione fuori che in vna, la quale è nelle mie rifpofte cauallerefche fatta per ridormanone deducili ; che il Marchefe del Vailo doueua apprefentarla allo Imperadore. Et in quella è rimala la Maeftà . I titoli delle mie opere ( Che quella è la terza domanda vO lira) Voglio chefiano il Duello del Mudo : Lettere del Mario : Rime del Mudo > & cofi gli altri. Ne mi voglio dar del Signore, ne del Meffere, che ben li là che gli Icrittori, i quali publicano ehi le opere loro, ne formano anche i titoli. Et il volere io darmi nome di honoranza alcuna mi parrebbe che douehi dar da ridere di me alle brigate. Quanto alla publicatione delle mie lettere ho da dirui che il mio penderò era di douerle mandar fuori con vn tale ordine, che elle fodero diuife in libri, fecondo la varietà de’fug-getti 5 & nel primo voieua mettere le lettere di amore,poi ordinar gli altri di mano in mano.. Et quello dileguo haueua fattoio penfando di hall ere a ricoueràre vn volume di lettere amorale, che io predai già fono pailati none anni ad vn Cali ali ero Napoletano. Ma ne per lettere,ne per ambafeiate non lo ho potuto rihauere infitto ad bora . Se egli non vorrà fare ingiuria alla gentilezza de’ callumi, de’quali a Napoli fi fa principalmente prole àìone, perno pur che egli vn giorno me le rimanderà : Et rihauendole io farò perauucntura vna al tra publicatione ordinata. Quelle poche, le quali mando bora in luce, fe ne vfeiranno lenza le ruar legge di materie, ne di tempi. Eccoui in fomma la refolurione di quelle colè, che domandate mi hauete; & percioche voi dite che vi par di vedermi vfc ire addo ho \ n mar di fcritture, di heretici, di pro-fefl'ori di cavalleria, & di fludiofi di quella lingua. Che ha-uendoio feritto contra altrui, ho da penfàre che de gli altri habbiano da fare altrettanto contra di me , vi ridondo , che già gran tempo ho ogni cola antiueduto , & eoa delle lettere me farà caro di apparare, nare per tutti i ferirti miei accompagnato in tal maniera dalla ragione > chemifembra di poter dire che quale per altra firada intende di mouere i palli non folamente nelle cofe della fede, ma nelle altre ancora, meriti di e fiere ribattuto per heretico in quella tale prò felli one. Et quando altri ballerà con alcuna dignità trattate tante materie in tante maniere di {Fritture, quante ho latto io, fevederò che lefuecpeniqni fiano alle mie antepolle io ricetterò per diffinitiua fentenza il cófentimento vniuerlàle. Ma pur di tanto fpero io di doucr riportar cómendatione, che elìendo io flato lafciato da mio padre di età di diciotro anni pou ero, & con grauezza di famiglia 5 & efièndomi Tempre conuenuto guadagnare il pane fcriuendo, hor ne gli armati elerciti, hor alle corti de’Papi, hor d’imperaderi, di Rè, & d'altri Principi s hor dall’vno,Sc bora dall’altro capo di Italia 5 bora in Francia, bora nella A-lamagna alta ; bora nella balìa : Ne hauendo mai potuto, nc potendo ancora diredi edere mio, io habbia fatto di quelle cófe, le quali non hanno potuto far molti, che otiofi hanno difpenfata tutta la vita loro ne gli ftudii delle lettere.Di che fi douerranno piu marauigliare le perfone di buona mente di quello,che io ho confeguito, che dannarmi di quello che no ho potuto confeguire. Et quelle colè ferino non per dirle a voi : ma per ricordami che voi il quale fàpete il pouero flato mio, & quale, & come trauagliata fia Tempre fiata la mia vita, douetein difefi dell'amico aprire alcuna volta la bocca,# render teflimonianza a quefla verità. Et tanto vi fu detto hora : State fano. Di Milano &c. A M. DEL MVTIO LIB. III. xpi A M. ANTONIO CHELVZZI DA COLLE. O VISTO quanto mi hauete fcritto del le Olferuationi che fi ftampano del Dolce. Età me non accade dirui altro, fe non che ad ogniuno è libero tener quella openione, che gli è piu all’animo : Ne per dire io che quella lingua fia Italiana debbo hauere a male che egli ne altri la chiami Tolcana, Si come ne egli, ne altri fi dee dolere che io le dia nome di Italiana . Ben dirò quello,che io non fo quello che egli habbia voluto lare col disputare che quella fia lingua Tolcana : che egli con quefiomezo ci viene a lignificare non hauer parte in quella lingua, nella quale egli ferine. Ne io di quella colà mi llenderò in parlarne molto, hauendone parlato copiola-mente in diuerle mie lettere. Pur dirò,che per le ragioni che egli allegatila piu rollo fi douerrebbe chiamar Fiorétina, che 'Folca na, Poi non vorrei che egli cofi gagliardamente hauef fe dannato Dante di poco giudicio dicendo, chela autorità fu i non vale. Et percioche egli aggiunge che l’oggetto di lui & del Petrarca fu di feri nere, nella lingua loro ( come egli dice) natia : Il che vuol dire Fiorentina : A me fi mollra il tutto in contrario ; Che Dante in piu luoghi dichiara quella lingua elìer non fidamente non Fiorentina , ma non Tolcana 5 fi come ho io ino firato nella lettera Ieri tra al S. Renato Triuultio.-Et li doge il Ferrar, promette a M. Laura che il nome di lei farà vdito dal bel paefe Ch Apenninparte, elmar circonda, cr l’Alpe^. ElTendo qu fila la deferittione di tutta Italia, mollra che egli ha Icrirto nella lingua di tutta Italia. Et le altri fo rie, per pro-uar che egli’ fcrilfe in volgarFiorentino volelìe niponder con quel verfo Firenzi hatiria forfè hoggi il fio poetai, Et 193 DELLE LETTERE Et io foggiungerei. Non pur Veroni, Mmtom, & Arane a-,. Che per efler Verona fiata patria di Catullo, Mantoua di Vergilio , & Arunca di Lucilio, non perciò la lingua nella quale lcriflero, fu Veronefe, ne Mantouana, ne ( dirò cofi ) Arun cana. Et non altramente per eflere il Petrarca flato per origine , ò per nafeimento Fiorentino, ò Aretino, la lingua de* (noi componimenti non fi dee dir che fia Fiorentina,ne Aretina . Ma lo ho detto ( non fo come ) piu eh e io non voleua in quella materia. Del nome mio, che altri vorrebbe che io mi fcriueffi Girolamo , & non Hieronimo, Vi dico in rif polla, che ogniu-no può penfare che io fo che a Firenze fi dice Girolamo, & che io cofi mi fcriuo non per ignoranza, ma per elettione: quella è voce corrotta, ne io voglio hauer la corruttela per legge : Ne perche dicano Baccio, non dirò io Bartolomeo : Ne perche dicano Bino, non dirò io Bernardino. Et cofi de gli altri inoflri delle parole loro . lo fui chiamato al battei)mo Hieronimo : & così è quello nome in vfo dall'vno all altro capo di Italia : & io mi fatico di parlar bene Italicamente 5 & nelle ofleruationi,& nelle regole della linguali hano da elegger quelle voci,che hanno miglior fuono ; & non quelle che fono vfate piu da quella che da quella città , ne da quella natione particolare : che non ci è città , ne natione che habbu quella autorità di preferiuer le leggi a gli fcrittori, che hab-biano da vlar piu vna che altra parola. Fu appreflo gli antichi vn Filofofo, il cui nome fu Hieronimo da Rodi ,• Se io ha ueiìi a tir mentione di lui, non fo fe mi delie per configli», che io fcriuehi Girolamo. Et quando io allego gli ferirti di quel Santo Dottore, del quale io porto il nome, vfo io fem-pre di fcriuer Hieronimo ; & cofi trouo flampato in Dante: & cofi lo ho veduto fcritto da moderni Tofcani, che lo hanno nominato nelle loro fcritture. Simigliantemente anche fe mi occorre a nominare il finto dottore Ambrofio con feri uo io, & non Ainbruogio,percioche quella fembra a me che fu DEL MVTIO LIB. III. m fia voce di miglior Tuono. Et in foinnia io attendo ne mici (critti piu alla bellezza della lingua,che a gli abufi di Tolcana; Et in quella lingua, la quale io ho per lingua di tutta Italia, mi par che fi a molto probabile che io babbi a da trarne piu to (lo il bello dal bello di tutta, che da andare apprefloi vitii di vna parte. Et fe ella viene piu bella (cogliendone le parole da Italia tutta, che da Tolcana fola, non lo perche non habbia da vfàre anche altre parole che To Tea ne. Et fc da tutta Italia le andrò fcegliendo non fo perche Italiana no la debbia chiamare . Et pur ritorno a parlar di quella materia, ma ci ritorno percioche tutta via mi occorrono dinuoue ragioni, le quali mi vanno confermando nella mia openionc. Ma quelle fono fàuolc, difputar perche io habbia fcritto piu Hiero-nimo che Girolamo : & percioche io (crina piu volentieri libro , che libbra ; & le altre cofi fatte quiflioni fri noie. L’importanza è che ( fecondo che voi mi fcriuete, &da diuerfe parti già mi è (lato Tigni beato, & io qui veggo, & odo a tutte l'horc) il mio Duello è riceuuto co vniuerialfauorc de’caua-lieri : & le mie feri mi re cattoliche dalle perfone cattoliche,^ dotte fono appronate , & commendate. Che pur in quelle due materie di caualleria, & della fede è flato il fondamento della publicatione delie cofe mie. Le altre fono in vfo comune di chiunque mette mano a penna : & quelle fono di profefiìone di pochi. Et da poi che le cofe maggiori già han no teflimonianza honoreuole, non dubito che anche le minori da’ buoni non debbiano effer per buone riceuute. A’ i quali quando mi kntirò hauer (òddisfatto,con quieto animo lafcierò gracchiare i corni, & le cornacchie. Di Milano . &c. r . N A M. DELLE lettere A M. ORTENSIO LANDÒ. E N E è vero quel detto che non fi ode fuo no che piu aggradi che il fentir fauellar del 1" le fue lode. Con fommo piacere ho letta la dicio. Mafia ella ò teftimonia della volita affettione,ò del voftro giudicio, a me non può effere fiata (è non cara, douendo ciafcuno hauere a grado lo effer amato, & honorato dalle perfone lodate. Vi mando i libri di duello, & vi hauerei anche mandati gli altri due volumi, che fono publicati delle cofe mie fe non mi hauefte fcritto di efferuene proueduto. Le lettere fi ftampa-no hora, & per tutto Gennaio penfoche faranno vfeite : le operette morali hanno di giorno in giorno per vfeire . Orpercioche voi mi fcriuete che fe io fono cofi valente Teologo, come fono intelligente delle cofe dell’honore, & come fono facondo rimatore, & prefatore, io fono vn gran perfonaggio; V1 ho da dire che quelle fono parole maggiori che a me fi conuenganojche io non fo profelfione ne di Teologo,ne di prefatore,ne di rimatore, Anzi comehuomo di corte,& vfato a viuere tra foldati, & non nelle fcuole de’dot-ti,fe alcuna volta fcriuo non ne cerco altro honore,che di fare i miei concetti fiano intefi. Il che come io lo confeguifca non mi afneuro di promettermene cofa veruna,ma mi rimetto al giudicio de’lertorffe pur le cofe mie da alcuno meriteranno di effer lette. Poi quanto alle materie della fede,Io fo profeflaone di fcriuerne non come Teologo ma come fedele . Et in quella parte io fo che Dio mi ha fatto tanto di gratia che non tanto fono gradite le cofe mie cauallerefche da’ caualierfnele profe da'profàtorfne le rime da’rimatori,quan tofono non folamente approuate,ma commendate 'ernie fedeli DEL MVTIO L I B. III. 195 fedeli fcritture da’fedeli Cattolici,8t da quelli, che nella chic-fa di Dio hanno migliore fpirito,& migliore dottrina. Et ciò dico non per gloriarmi in me, ma in chi mi ha fatta donatione di cotal gratia. Che pur quella Hate pallata hauendo perii) ne graui,dotte,& fpirituali vedute le mie Vergeriane,e lodandole a me, & io con modeftia ributtando le loro lode, fu da loro ammonito che io non doueffi far cofi ; che ciò non era humiliar me, ma vn diminuir la grafia del Signore : il quale li haueuain me preparato vno illrumento (come differo) ad honor fuo nella fua làuta chielà. Ma fi come da Cattolici & quelle, & delle altre mie fentturefono lodate, & hauutein pregio, cofi viuendo tra Chriltiani de gli huomini heretici, & de gli infideli io fono ficuro che elle faranno, & già fono biafimate, & ab borrite. Quanto veramente elle faranno piu da loro dannate, tanto fi farà maggiore,^ piu chiara apparirà la gloria mia : che dimoftrandofi contrarii i nimici della ve rità, io farò predicato per teftimonio di quella. Ne qui ha luogo che altri voglia mettere in dubbio qual difenda la verità,ò noi,ò chi tiene contraria openione. Che noi fiamo alla tenuta di quella pofleifione, chela openion noftra fia vera : & per molti focoligia ne fiamo noi a quella tenu ta,& per mol te fcritture, & per molte ragioni. Per noi è la lunga confu e-tudine : Per noi fono i dottori lucri : Per noi i decreti Apo-lloSici j Et per noi le coniti tu rioni de’concilii. Alle quali co-fe tutte volendo la heretica prauità prefontuolàmente oppor re la foia autorità, già fi vede che è tutta lontana dalla chri-fliana humili tà . Et fe vogliono dire che in loro fi a fpirito bi-fogna che dicano ancora che da gli Apolidi a noi non ci lia (lato fpirito nella chielà di Chrifto : Anzi che non ci fia flato, in terra ne chielà, ne fpirito, ne Chrifto; contra la promiiììon di Chrifto. Quelle paiono a me & paiono à Cattolici grandi, & ferme ragioni per edere elle fondate in fu le parole di Dio contra quelli,che con nouelle openioni fanno guerra alla làn ta chiedi vniuerfàle. De gli infedeli non accade dir molte parole : che fc elfi non credono ne a forittura antica,ne a nuoua N 2 ne I9ts DELLE LETTERE ne alle tauole di Mose, ne al Vangelo del Salu a Core , ne alla [eirp-e, ne alla gratia, io non cerco che da loro fiano approua-teìc miefcritture. Perche concludendo ho da dire i voi, che quale con Chriftiano zelo leggerà i miei ferito Cattolici non vi trouerrà fe non vera religione, iàlu tiferà pietà, &Chri-ftiunu affettione. A M. ANTONIO MEZABARBA. O Ho molto caro che le cofemievifiano tanto piaciute, quanto perla dolcihìma let tera voftra miferiuete. Et poi che elle da coll bel giudicio mi vengono approuate con maggior prontezza di animo andrò continuando la loro publicatione. Et mi terrei a gran tau ore che cofi honorata tefti-monianza come è la voftra di me fi publica li "e, percioche mi parrebbe di accompagnare gli Icritti miei con yn priuilegio di honore. Vi parrò tòrie ambiviofo per quefte v arolè : Ma non douetc neanche marauigliaruenc, cheleftimc-l ioda zelo di honore fono andato colduàndo l’animo mio, & mi fono andato faticando , & Lucrando, ragionevole è che io brami di guf are il frutto del mio difiderio. Et non mi fenten do io da me atto a potere arriuar tato in tufo per edere alta la pianta, & per non hauere io fcala fofficiente da {alimi,vorrei che gli amici miei mi aiutadero, mi pigliadero in fu le {palle, & in alto mi fpingedero tanto che io mi poteiTi attaccare a qualche ramo. Et per tanto fe io difidero il foccot fo di voi che tanto mi amate, & che del medefimo albero fete largamente nutrito, Fame cìboxer, e’I xonpoter mifcujì. Et padando alle domande, che mi fate intorno le mie Eglo* ghe, Che cofa io habbia hauuto intention di fare in quella che è intitolata il Furore : Et quale fa data la cagione che mi ha indotto a dare ad vna altra nome di Sconciatura io ve ne renderò del M V T I O LIB. III. 1*7 renderò ragioneincontanente, non lenza ramrn em ora ti one delle mie vanità. Et della prima in prima parlando,Io haueua per yn tempo celebrata la S. Tullia lotto nome di Tirrhenia : & vn giorno con lei efìendo, & ragionando di quegli ftudii, de quali ella fi è cotanto dilettata, & diletta tuttauia, entram-mo a parlar delle Mufe,de’Ioro nomi, & delle loro virtù. fo-pra il quale ragionamento poi che noi alquanto fiati fummo, ella in fe ftefià raccogliendofi quafi da nuouo penfiero fopra-prelà,poi che cofi fu fiata alquanto, il parlar ripigliando mi dille; Già fono piu giorni che io ho vn mio concetto nell’a-nimo, il quale poi che bora mi viene in proposito io il ti voglio pur dire, Tu mi hai lungamente cantata con nome di Tirrhenia : & io vorrei che tu mi mutaflì nome, & appellatimi Talia ; Ma che Io faceti in guilà che fi conofcefi'e,che Tir-rehenia,& Talia fono vna colà iftefià,penlàui hora tu del modo. Io le rilpofi di ciouerlofare. Vi conterò puntalmente il tu tto. Noi erauamo in Ferrara, & tra la calà della fua ftanza» & la mia forfè a meza via era vn luogo remoto, & aliai fpatio-fo, doue io mi fermai a palleggiare, & à penfare ; Ne quindi mi parti, che trouata hebbi la via da accommodar la mia intentione :&diedi principio alla compofitione. Et fi mi fcal-daiinquel fuggetto, che ilgiornofeguente alla hora che il giorno dauanti mi era da lei partito, a lei me ne tornai con la cefi fatta. Di che ella me ne è teftimonia; & ancora ne fcrua la memoria.;& lo predica, & ne ha fatto fede a diuerfe perfo-11 e. Et io vi certifico fopra la fede mia che da quella prima formabile io all’hora portai a lei di quel compomméto io no ere do di hauerne raflettato quindici verfi : & fono pur vicinia dugento. La inuentione fu che Mopfo da Furore tralportato vna notte fi truoua in FIelicona,doue egli li accorge che colei la quale egli ama in forma di Ninfa è Thalia. Et qìiiui Erarho, & efià lo raccolgono, Io incoronano, & gli danno bere della acqua di Hippocrene. Poi ad imitatione di Hòratio fingo che egli fi cóuerte in Cigno e (ale al cerchio della Luna.il che fu da me fatto, percioche Thalia è figurata per la harmonia di N 3 quella MS DELLE L ETTE RE quella fpcra,& che da quella {pera infóda la fua virtù, fecódo che per la feguéte Egloga dichiaro di tutte le Mute adeguati ciò a ciafcuna il cielo fuo proprio,& particolare. Et fo quella defcrittione di quelle tante verdure, percioche Thalia(come fapete è detta da verbo greco, che lignifica verdeggiare; per tare ella rinuerdire gli ingegni di coloro a’quali clla fparge del fuo fauore.Et per hauere io dato à Moplo quel Furore in titolai la Egloga con quel nome : Del quale poi maggiorateti te mi contentai fentito il Furore,che aueua preto me in quel la compolitione. 11 che tu anche cagione di farmi aggiungere vn vedo,che hauendo in lui principio detto a lei il par* lare indirizzando Et mentriofofornir la mia zampogna Al furor del tua Mopfoporgi orecchici * Poi vi aggiunti r Et nelfuror di M opfo al furor mio.. Tale fu adunque la cagion di quella Egloga^ Tale il mio fug-getto ; & tale la mia intentione. Et poi che fono entrato in fu quello parlar di Mule voglio aggiungere vn’altra colà à quello propofito. Vergilio inVnik fua inuocatione dice, Voi o Caliope mentre chrìo canto’ P orget e prego a me nvoflrofauore_j. Sopra il qual luogo i grammatici fi confondono volendo accordare il pronome voi a Caliope, &Caliope al verbo nerge-te, non eden do-quella forma di parlar latino ; Ma dallale-gnente Egloga mia, la quale e intitolata Thalia, le ne frange la vera interpretatione, Che egendo Talia il fuono del efeìo della Luna, Euterpe di Mercuno>,Eratlxo di Venere, Melpo-mene del Sole, Clio di Marte,Terftcore di Gioue, Polinnia di Saturno , & Vrania del cielo fidlato; & Caliope efl'endo quel concento il qual ti torma dalle voci di quelle otto {pere, Vergilio dottamente,& leggiadramente congiunte il Voi, 8C il Porgete à Caliope, la quale efi'etido vna nè comprende tati te inficine, vfando quella figura di parlare, la quale è vtitatiift- D F i M V T I O L I B. UT. w ma in quc’nomU quali da'Latini fi chiamano colIettiuLQue-Fa è la mia open ione di quel luogo, come egli fi habbia ad interpretare ; Ibche efiendomi bora tornato alla memoria,non mi è paruto che fia flato fuor di propofito il dirne quelle poche parole. Vengo hora alla Sconciatura : della quale non mi accade-rà farne cofi lungo ragionamento. Durando il mio amore pur con la Signora Tullia, Il S. Duca di Ferrara, cui io ferui-ua allhora,mi mandò per fue faccende à Milano : Donde battendo io fcritto a lei piu lettere , ne venendone rifpofta, mi diedi a comporre quella Egloga piena di rammarichi. Et offendo a punto nel femore delle querele,hebbi in vn tempo tre lèttere di lei. La onde celiata la cagione del lamentarmi piu auanti, Iafciate molte cofe che mi rimaneuano à dire, fini’ la compofitione. Et per efler quel parto vfeito prima che il concetto dell’animo mio lo richiedefiè gli diedi quel nome di Sconciatura. Et del Furore, & della Sconciatura vi ho detta la mia inten tioncye la cagioneile quali fono nel vero fiate tali, che haueua no bifogno di dichiarationc.Et fe altri Lenza faperne il che, & il perche,ne haueffi voluto ragionare credo che fi farebbono vdite delle cofe cofi lontane da ogni verità, come tutto di fi Mentono fopra alcune delle rime del Petrarca, delle qual i non che pur dianzi ho detto. Che definando egli,& hauendo dattorno di molti Caualieri Spagnuoli,volle farfi loro grato col parlar nella lor lingua ; 5c di caccia ragionandofi, volendo parlar di Volpi, non gli fou-uenédo il nome Rapofas dille las Golpes.La onde dannata ne fu la fila affettattione, che doueua Italiano efìendo, & in quel la dignità coftituito in luogo coli publico mantener la fua re putatione,& quella della fua lingua. Et forfè che ella era Ber. gamafea, Caliamola, ò Genouefe. Ma quefti cofi fatti a me fembra, che fumo molto limili a quel gentilhuomo, il qùale elìendo grande nella fua Republica & à lui concorrendo per diuerfecagionireligiofi di molti monifleri, voleua concia-fcun moftrar di effer diuoto della fua religione. Et haueua berrettefratefche, bianche, negre, bigie, leonate, &celefti: & fecondo che a lui vemuano Irati,- & monachi, cofi fi met-tcua in capo la berretta del loro colore, & la mofh aua, & di-ceua. Vedete io fono de’voftn. Tali dico a me lem brano ef fer coloro, che con ciaicuno vogliono vfàr la lingua di lui. Ma non voglio lafciar di dir quello che finalmente auuenne al gentilhuomo. Vennero vn giorno a lui alcuni frati auuifo che tollero dell’ordine di S. Hieronimo, & vn feruidor noucl lo non hauendo ben fàputo far la ambafeiata egli prefè la berretta bigia per la Icona ta, & cofi ne fu feoperto la fua vanità, & publicata per ta Città. Altri dicono, che non fu colpa del fèmidore : ma che hauendone egli difàuedutamente prefa vna per altra fi credeua hauer in feda lai conata; e che met-tendofi mano al capo dille a’que’padri. Vedete io fono 204 delle lettere de voftri ; Il che fe cofi fu , fu maggiormente da ridere.' Ma poi che entrati fumo a parlar delle lingue ; & che hog-gi in Italia la Spagnuola è riputata così vaga, & così gentile, che da molti la noftra verfo quella è riputata per nulla > lo ho da dire, che io ne fono in tutto di opinion diuerfa ; che anzi ho la noftra per molto piu leggiadra,& piu foaue. Che le piu delle voci Spagnuole terminano in quella lettera, la quale è prima in quella, che ho detto Spagnuole : che è lettera di pef fimo fuono, & dannata da Greci, & abborrita da' Latini. Che fra Greci furono di quelli che {enfierò de’libri interi non parole, nelle quali non era tal lettera.. Et fra latini anticamente nelle parole che in quella finimmo, fe feguitaua voce, che da confinante cominciafle ; non la pronuntiauano, che diceuano J?ui e Fi omnibn Princeps, ncn omnibus. & Vita, ili a dignum loco que, non dignus. Et ne'verfi quando feguitaua voce che incominciafle da voca le ne fàceuano quello, che far fi fa ole della lettera, che prima fi {ente chi nomina Marte, che fi come doue fi legge , Mtdtnm il le cr terris iadatus & Alto, diciamo Muli ille Cofi nel verfo. Mortalis vìfus e FI pulchrior ejp Dso, pronuntiauano Mortalis Vis e Fi . Di quella lettera adunque tutta è imbrattata quella lingua, la doue la noftra non ha parola che in quella termini le non vogliamo mettere in confideration Chaos, Paris; o Minos, che poi non fono noftre voci. Ma le parole noftre ordinariamen te terminano invocali lettere di ottimo fuono,& che danno fpiriro & fuono alle altre, da alcune poche particelle in fuori, che fono il, del, al, ad, con,in,per, &, Et fe alcune altre tali ne fono. Poi ha la lingua noftra ancor quefto ornamento, clic con tu tto, che in vocali habbiano fine le fue parole,le piu ancora poflòno in confonanti terminare, Come Animale, animai , Cauallo, canal ; Meile, mei; Annello, anel;Gentile, gentil ; ftilo ftil, Sole, fol ; Pane,pan, Vino, viri; Mano, man; Freno, DEL MVTIOLIB. II IL 205 Freno ; fven 5 Arraellino ; Armellin ; Canzone, Canzon ; Alcuno , alcun 5 Podere, poder ; Mentire, mentir ; Ranieri, ra-nier,Penderò,pender5 Cinghiare, cinghiar5 Venere, verter ; Amore, amor& cofi le altre che terminata con firmi fine . Et non meno facciamo quello de’ Verbi. Che diremo, Cantiamo, & canti am ; Cantano, & cantata 5 Caia tauamo, & cantaùamj Cantauano, &cantauan; Cantarono, & canta-ron : Cantaro,& cantarCan tarano, & canterelli; Canteranno,& canteran, Et cofi per gli altri modi, & tempi : il che è di gran dilli ma commodità, & vaghezza a far le n offre compofi-tioni, ò fiano in verfi, ò fumo in prodi. Et notifi anche quella altra coda ; che edendo fra le vocali di men buon fuono quel -la in cui finifeeil nome di Artu : pochiffime fono le noftre di ouel fine,che habbiamo Giefù, Xu ; Fu : Giu. & Piu : Su, & Giu: che hanno anche le intere fufo; & giufo : Ai tu; Pei u: non fononoftri nomi, & fe altri tali ne fono ne’paefi piu Urani ; ciac pure qualche volta cadeflero nelle noftre fcrittu-re : Di che voglio dire con tante bellezze, con tante vaghezze, contante ageuolezze non folamente a paro della Spaglimela, che è tale, quale detto habbiamo, ma fra tutte le altre leggiadrifìlma è la noftra lingua : Et per tanto guardar no ci debbiamo di viària in ogni luogo,& tempo,& di anteporla a tutte le altre ; nè vergognarci dimoftrar con quella edere Italiani, & voler edere tali. Vi configlierci io adunque fempre Signor mio di vfarla lingua Spaglimela co’voftri familiari, & con quelli, che la noftra lancila non intendono: che quello è per commodità di bene apprender la lingua : & quefto per bi fogli o,& per necef fttà. Et quefto bi fogno, & quella necelfità fono fi curo, che fpedo vi accaderà ; percioche e derido in Ifpagna non vi man cherà con cor lo di Spaglinoli che la lingua noftra non intendono , co’quali forza vi lari parlar con la loro. Et pur troppo ve ne verranno ; fi che non è da temer, che non debbiate haucr occafion di parlar Spagnuolo ; & che perciò non date perbene imparar quel linguaggio. Quefto mio configlio' 2 06 delle lettere voglio approuarlo con l’autorità dell’Imperador Carlo padre del voftro Re, che parlando vn giorno feco il Conte Filippo Torniello : & parlando Spagnuolo gli dilìé l’Imperador parlate nella voftra lingua che fàpete benefche io la intendo. il che non fu altro, che vna leg»e imperiale di vfàr ciafcuno la lingua fua naturale,doue egli la, che ella è ititela. Or vedete, vedete Signore che le fono tardato a foriuerui altri non vi ha per auuentura in quattro volte foritto tato, nè di tante cole quanto, & di quante ho fatto io iti vna. Ne dubito perciò con la lunghezza di hauerui fàftidito ; che la varietà tuoi far parer le cofe breui. Poi dopo tanti meft non vi dee rincrefcere, che vn feruidore quale vi fono io affettiona-tiifimo habbia a ragionare vna mezza hora con elio voi. Ma io dopo tanta lunghezza vo ancora occupando il tempo con le mie parole. Mi refta ricordami, che il Sig. Dio fi ricorda di chi fi ricor da di lui. Elio vi ha tatto, vi ha fatto nafcer Principe. V i ha dotato di raritllmi doni del corpo , c dell'animo . Et perciò riconofcete lui per Signore & benefattore,honorateìo,riueri-telo,5c adoratelo con orationi,& con opere di pietà. Et fiate denoto,& Cattolico;#? egli hauerà Tempre la volita protettio ne.Elio fia quel che vi benedica,& nella fua gratia vi conferui. La E. V. degni di conferuar menelialua. Io le bacio le mani. AL SERENISSIMO SIG. DVCA DI SAVOIA. to Tuo, trattai con vn Tuo miniftro di venirla à feruire, & egli conclufe, che alla corte fua non vi farebbe fiato DEL MVTIO L I B. IIII. 207 flato penne ; ma io nel ragionar feco conobbi, chezoppica-ua nella fede. Ne molto dapoi fu introdotto alla lciuitùdi lei vn’alrro med chinamente zoppo, Faufto da Longiano,che per dire il vero, in cofedi Cauaileria, non valeua me, & non haueua ne Itilo, ne cognition di lingua, ne latina ne, volgare. Segui poi quella mia rifpofta,che tanto difpiacque. Intenda bora la A. V. il parlar di vn’huomo, che lenza adulation fa profeflìon di dir liberamente la verità. Per la dichiaratimi di lei ofFefi erano i miei naturali Signori, & per quella fatto era pregiudicioalCaualiero, che fiera raccomandato alla mia protettione. Agli vni era debitor per obligationdi natura all’altro per debito di fede. Ne lenza macchia di traditor po te u a io mancare di difendergli. Et alla A.V. ( lecito mi Ha dire il vero ) io non haueua altra obligatione, che quella della mia volontaria deuotione. Si che io feci il debito mio. Ne mi fi doueua hauere a male,che io haueffi fatto officio da huo mo da bene. Ma fin qua iia detto della mia difgratia. Io ho qualche cola ridotta inficine de gli ftabilimenti diS. Lazaro,ma mandar colà imperfetta alle cenfure altrui non po trebbe effere ne a me di honore,ne alla A. V. di feruigio, che quelle fono cole da trattarle prelenzialmente,da ragionarne, & da efàminarle. Et fecondo la qualità delle perfone de’iuo-ghi, & de’tempi riloluerle,& accomodarle. Mi alficuro bene io 5 che fe io folli apprelìò alla A. V. Et che quella alcuna volta volerte attenderai in men di tre meli le darei ogni colà in ordine da andare alle ilampe : & in tal forma che potrebbe nohonoratamentecomparire. Io cofi vecchio,5tfiaccofpa-rendomi che la importanza della cola meriti ogni fatica) non ricuferò di prenderne la imprelà ; quando la A. V. penfi che le habbia ad efler di feruigio.Ma ben le ricordo,che huomo, che ha già partati 77* anni ha bilògno di molte commodità. Et che il pouero patifee di molte neceiutà, & conriuereutia le bacio le mani. AL 20$ DELLE LETTERE al principe A natura del Leone è tale, che trouandoft fra molti cacciatori,come da yno fi vede cfi. fer ferito quantunque da piu altri fia ferito dipoi, egli contra colui, che è flato il primo ad offenderlo con tutto l’animo fi riuoltaa douer far vendetta. La onde (fe ben quefta è cola fuor del mio propofito, pur per efler bella, mi piace di dirla) Già vn mio amico,il quale taccila pro-feflìon di amar quella Donna dal cui amore egli era primieramente flato trafitto,portaua per imprela il Leon con quefh> motto. Elpormatar. Io por adorar. L’Orfo veramente tien maniera contraria : che Tempre ritorna a voltarli contra chi gli ha dato l’vltima percoflà. Et quefta imprefa accomodarli potrebbe ad alcuni, i quali hoggi con quefta, domane con quella altra Donna fi inoltrano eli ere del loro amore accefi. Di coli diuerfe nature fi trouano di molti huomini : ma io-mi riduco a parlar de’Principi. Alcuni ne fono,i quali di ciò che vieti detto loro al primo tratto ne tanno vna tale im prefi-fione, che per quanto fia referito dipoi rimuouer !non fi vogliono dalla già concepii ta opinione » Et da alcuni par che non polla efler vero le non quello che vltimamente hanno vdito. Et fi come non lodo ne quelli, ne quelli, coli dico „ 11 diritto lor eli ere non formar la loro credenza, le non in quello,che per vere prone è loro dimoftrato» Grandiflìma degnità è quella di chi Signoreggia : ma è anche accompagnata da vna grandiftìma inlelicità,che non qua fi mai odono la verità. Onde è flato detto,che a Principi non è chi dica piu il vero,che il cauallo : che eflì da loro adulatori fono lodati di fiaper tare ogni cola 5 ma fe fiopra cauallo afpro alcuno di loro farà montato il cauallo gli farà fapere il vero le fi caualcare ò nò : Et veramente par che alla verità fia loro chiufia la porta da entrar nelle loro orecchie. Che quale per conleruarfii DEL MVTIO LI B. IIIL ao$ tohfèruarfi nella loro grada di contradir non ardirne a colà > che dicano. Quale per alcun Tuo difegno particolare conterà le fauole colorandole con colori di verifimilitudine. Quale per odio, che egli porta altrui porterà falfe imputationi. Quale per fauorir l’amico cercherà di fare odiofala parte con traria. Et quale in vn modo,& quale in vn’altro,ogniun cerca di ingannare il Principe. Et in vltimo luogo fi ha la confi -dcraticn del bene, dell’honore, & della vita del Principe 5c queftoè tanto vero, chela ingordigia de Min iftri di Carlo Quinto 3 mperadorefubornati, a lui non lafciando penetrar b verità, & ributtando coloro, che cercauano di fargliele fà-pere ; fu cagion di farlo voltar le fpalle al fuo nimico. "" Et nelle cofe della gifolitia, non credo, che huomo mai folli il piu ingannato d'iìui per quella verità, la quale con mali artigli era tenuta celata. Et haueua egli pur a dietro viuendo il Cardinal Gattinara gran Cancelliere fatta vna diligente inquifitio-ne della fua Corte,ne haueua trouato Configlier, Secretario, Cameriero . ò altro fuo miniflro, che flato non folle corrotto fe non quei buon vecchio del Cardinale, Ed con tutta quella proua : Se con tutta quella cognitione non poteua, & non lapeua guardarli da clìer tradito. La maladetta fune dell’oro è vna Hidropifia, che mai non fi fatia, & (come dice il Poeta Lirico ) Crcfie’l danaro,ef ne ere [ce il dejìo. Et la, fame d'batter cofe maggiori. La fauola di Gioue conuertito in pioua d oro, che vuol dir altro le non che non vi ha fortezza, cherefilla a quella artiglieria; Et Filippo padre di Alelìàndro fi alficuraua di poter predere ogni luogo, per forte che foffo pur che vi folle brada da mandami vno animai có vna loma d’oro.Lo ho fcvitto al-troue & pur ritornerollo a dire a quello propofito,che effondo andato Federigo Gózagadl qual fu il primo Duca di Man-touaa veder due Caualli Turchi, che gli erano flati mandati a donare,& lamentandofi,che rimaneuano magri ; Vno Ambrogio di Milano huomo piaccuole gli dille, Signore vi infe- O gnerò aio delle lettere gnerò a fardi diuenir tofio graffi ; fatene vno Sindico, oc l’altro Teforiere. Et quelli erano i due fuoi miniftri piu confidenti . Et Corrado Buffon deli’imperadore Maffimiliano,la-mentandofi vn giorno llmperadore di non hauer danari gli dille, che fe voleua far tolto danari diuentafle Segretario.Che vuoi dir per quello ? Voglio dire, che da quello fi comprende la poca fede de'Mìniftri, che in non molti anni diuentano cofi ricchi.Le prouuifion,che danno i Principi ordinariameft te non fono da far ricco altrui. Ne minifterio alcuno è tale, che del guadagno ordinario altri polla a’polteri lafciar le ampie facilità. Et bilogna pur chele ricchezze vengano da qual che luogo.Ma quanto Arno è piu grolìo tanto è piu torbido. La natura dell huomo è inchinataal male : i buoni fono pochi,& molti fono i cattiui,& di quelli non hanno bi fognò le corti,Huomini da bene e fallii vorrebbono edere i mimitii de’Principi. Ma doue lene trouano di quelli tali ? Non fi ten ga da me offelo ninno di quelle parole,che io dico,che i buo ni,& fàuii fono pochi non dico che non vene fia ninno.Chi è buono,& fuiio tenga, che io habbia detto di lui - Chi non è tale non habbia a male che io in quella parte di dire il vero fia buono, & fi ricordi di quello, che dice il Gran Re, & Profeta Dauid. Non c chifa ceto, ben-, non pur vene vno. Ne fidamente le fiere lettere, ma ancora quelle de’Gentili concorrono in quella fèntenza che (critto ci Ialciò il Poeta. Hanno da benc^fyfauìo vno a granpena Ne ritroub fa le migliala Apollo. Ne habbfano da dir,che migliori fiano gli huomini in quelli tempi, che non erano in quelli,che vn’altro ci canta. L'età de padri affai pegg 'or che gl'aiti Ha generato noi vie piu ca* tini Chabhiamo a darpiitvitìcfifgli. II trouar la bontà giunta col fùnere è cola rara. Si trouer-ranno degli huomini {empiici-, che firanno da bene, ma non iranno da faccende. Saranno dall'altra parte huomini, eh» - ' tono DEL MVTIO LIB. IIII. sii fbno tenuti (àuii. Ma (àpienza non è (è non congiunta con la bontà,& qne*tali fono dadirchefiano anzi attuti,e malitiott. Et quefti iìgnoregmno nelle Corti. Et quefti tanto maggiormente fono atti ad inganare i Principi quitto piu (duo lcaltri ti, & meglio (anno coprir la volpe fotto la pelle della pecora. Difficilmente (1 trouano alle corti huomini da bene: e quel lo che ho detto della corte dell’Imperador Carlo ci fa per jefempio. Difficilmente dico lene trouano, non che non fé ne troni ninno j che a quella gran Corte pur fe ne trou ò yno. Etnonè marauiglia: che primieramente moiri vii! alienano da paggi & crefcendo tali squali fono vi rimangono:altri è raccomandato da Prencipe, o da altra perfona amica ; altri il prende come atto al tale officio fenza mirare piu oltre. Altri fi troua edere flato figliuolo di chi ha feruito, & rimane Incedi or al padre. Altri ha per tal ventura tatto cofa grata al Prencipe, & è riceuuto in corre. Et coli fi fa vn mifcuglio fatto di diuerfe perione (celta. Poifufcntenza di qualche filofofo, che le corti fanno gli huomini vitiofi. Oltra le maniere delle perione, che ho dette fi adornano le corti di huomini.letterati, di Dottori, & di altre maniere di lettere, di in-gegnieri, d'iutomini di guerra,di Mufici,di Dipintori,di Seul tori,di Caualcatorfdi Schermi tori, & di altre códitioni di per fone, delle quali i Principi fanno a gara di hauerne i migliori. Ma non Cento,che in raccorre di quefti huomini fi domandi. Begli huomo da bene ? Non dico huomoda bene per dir valente con le arme in mano, o Huomo da bene del (ho medierò. Ma dico huomo da bene afloliitamente incorruttibile, amante di verità, ftudiolo di giuftitia,& zelante di vero hono re. Che itali fono veramente huomini da bene :& tali do-uerrebbono edere almeno i principali miniftri de’Principh & quelli a cui tengono le orecchie tempre aperte.Che quefti fo rio finalmente quelli chegouemano gli flati. Effi, effi fono quelli, che gli gouernano,La onde è approuata temenza,che minor male è hauer Principe reo co buoni miniftri, che buon Principe con miniftri rei. O 2 Et aia DELLE LETTERE Et per tanto qual Principe vuole,che lo flato fia ben gouer nato da poi che egli ha bifogno di molti miniftri,& che molti di quelli,che dico io trouar non fi poflono a lui fi appartiene di tare, che buoni fiano i Tuoi mimitri. 11 che gli verrà fatto fe terrà l’occhio fopra di loro. Et poi chehauer non può l’occhio in ogni luogo ; tenga l’orecchie aperte ad ogniuno, & leui ogni impedimento,che non lafci,che altri gli polla par lare. Non ributti alcun che gli porti querele de’fuoi piu ca~ ri, & di cui egli piu fi confida. Anzi con lieto afperto & con gì atiole parole dia ardire di parlar liberamente & non moflri rincrefcimento,ne iftanchezza di afcoltare. Che egli può bene eller ficuro, che non farà chi gli porti querele di perfone coli principali,le non liauerà il pegno della verità. O quanto farebbe grato alle Città , & a’popoli fentir che egli andafle vn bando, che ogniuno che fi tiene aggrauato da chi che fia debbia portarne le querele al Principe. O quanto fi regolerebbe il gouerno di quello flato. Vero è, che bilognerebbe caftigar leucratnente chi hau eli e errato, chi hauelTeoffefo altrui, chi hauefle fatto iniquo giudicio,chi hauefle per qual fi folle cagion latta al Principe falla relattone.Vn feuero elem pio larebbe la regola di tutta la corte,di tutti i Maeftrati,& di tutti i Mi ni Ari. Cambife Re de’Medi fece fcorticare vno iniquo giudice, & conficcar il cuoio di lui per tappeto alla fedia di quello officio , & vi ripofe per giudice vn figliuolo dello {corticato : dicendogli che c-uella^pclle gli fòlle ammaeftra-mento del come egli hauefle a dar le fentenze. Potrà cucflo parere altrui atto barbaro,& crudele. Ma ioauuifo che non fu crudeltà fi grande che non fi debbia chiamar pietà,che ella veramente in pietà fi conuerte. Et qual può elfer maggior pietà,che proueder che i popoli non fiano alì'affinati ? Che le leggi fiano ofleruate ? Che lagiuftitia fi efequifea? Etchei Principi non fiano ingannati, anzi intendano la verità delle cole del loro Stato . E per prouerbio che l’occhio del padrone ingraflà i! canaI-lo.Buon'occhio da ingraffare i popoli farebbe vna tale audicn DEL MVTIO LIB. Il IL 213 za da vna tal giuftitia accópagnata, che ella ingranerebbe gli animi de’fuddici di taro amore, di tata fede, & di tara diuotio ne,che parrebbe lor poca cola il mettere ad ogni nlchio,&lo fpéderela vita per fcruigio & matiteniméto del loro Signore. Direi che non volendo il Principe quella fatica douelle commetterla a particolar perfona o Maenxato. Ma chi iàreb be poi (opra intendente a quella perfona,ò a qual Maeftrato? farebbe pur ne cellario di tornare ad elio Principe. Ne gran fatica farebbe la Tua fe non forfè per alcunipochi giorni ad vdir le querele vecchie: che per l’auuenire hauendo conia punition dato l’efempio a gli altri, cagion di nuoue querele, non vi rimarrebbe. Fatica fòuerchia mi par ben,che fia il volere ogni giorno vdir quello,che fi faccia di quella, & di quel la cauta pàrucoiare,& di tornare ogni di in vna medefima cau fa a fir nuoui referitti. Che nella relation fatta delle caufe par ti cola ri impoifibile è ( & torno a dire è imponibile ) che al Principe fia tempre detto il vero. Dice Dauid che ogni huo ino è bugiardo. Altri potrebbe dire Dauit fu huomo adfique anch’egli fu bugiardo^ perciò no le gli dee credere,che ogni huomo fia bugiardo.ht io rifpondereixhe Dauid tu huomo, & come huomo dide,& fece delle bugie.Ma a tuoi (almi rende rcftnnonianza la Chicfà,che furono fatti come da Profeta ifpirato dallo Spirito Santo, il quale non è bugiardo , anzi è quegli, che ci infégna ogni venta. Ne dice Dauid che ogni huomo fta Tempre bugiardo ; ma che è bugiardo. Et io non • dico,che al Principe non è mai detto il vero,ma che non Tempre gli è detto. Et quefeo è tanto vero, che quando e non fi a vero. 11 bugiardo fono bora io. Or perci oche egli non può feorgere a tuttePhore quando gli fia detto il vero; ola bugia, non dee ageuolmente credere ad vn folo, ne a miniftri foli, ma alla relatione de i piu, & a perfone di fuori. Che è proucrbio,che i muli fi grattano l’vn l’altro. fa tu hoggi piacere a me : che domani io nel farò a te.Coh fi gouerna il moli do non troppo mondo. Amore, odio, interefleparticolare può far alterare & diminuir la relation con vna parola, che di O 3 piu «4 DEL LE LETTERE piu fi dicalo che fi taccia in modo tale, che quello, il che lenza quellao con quella farebbe verità con quella & fenza quella diuenta bugia. Il Maeftrato che porta rifpetto ad alcuno davna Information mozza. H miniftro che vuol giouare, o nuocere altrui da il fommario di vna fupplicatione ftroppiato. Il Principe fa vn Referitto, che fecondo quelle informationi c giuftiffimo: & per colpa di chi lo ferue diueta minifero di ingiuftitia.E chi fi può guardare da fi fatte fraudi ? Che vogliono dir tanti re-fcritti?Che fi facci giuftitia? A che faftidir di tante fuppliche ? di tante repliche?di tate informationi il Principe?Vn referitto fola baita per tutte le caufe. Cómettafi feueramente a’ Tribunali che facciano giuftitia.Et quando dopo la fentenza altri fi duole che gli fra fatta ingiuftitia madifi il procedo con le que relè di chi fi lamenta a perfona,che ne l'vna, ne 1 altra parte lo fàppia nella città, o fuori,& facciafi riuedere, & cofi il Principe non farà ingannato,fatisfarà alla confcienza fua,& alla giu ftitia, & alle querele farà pofto fine. Io ho veduto Principi hauer tanta fede ne loro miniftri, che non vogliono vdir querele, che di loro gli fiano portate, non vogliono che fiano allegati fofpetti, & hanno tutte le loro rifpode per oracoli. Et io lo fo percioche mi fonotro-uato in fatto di auuertirgli, che erano ingannati, nè con tutto ciò voleuano porgere orecchia. Poi que’ tali, che fi co-nofeono hauere in preda i Principi fi fanno tirrani della loro volontà, & fanno lui tiranno de’luoi popoli. Grida a Signori Dio nel libro della fapienza, Amate la giuftitia voi,clic giudicate la terra. Amata elagiuditiadaDio, come da colui, che è fomma giuftitia, & in tanto è amata da lui, eh e hauendo egli raccomandato fopra tutte le altre per-fone i pupilli,& le vedoue comanda, che nelle cofe della giuftitia non fi habbia rifpetto, ne a pupilli,ne a vedoue. Gran comandamento è quefto,gran teftimonianza di quanto Dio habbia in protettion la giuftitia. I Principi che hanno ampii flati è neceffario che habbiano molti DEL M V T I O L IB. IIII. iti molti miniftri, che in loro luogo facciano giuftitia, & i miniftri minori di mano in mano hanno da efler giudicati da mag giori ; Et poiché il Principe ha da render ragione a Dio del gouerno di quello flato non gli balla hauer coftituito i giudici fe egli non efercita giudicio fopra di loro, lo ho mille pecore,& le dò in guardia ad vn pallore, egli le rimette nelle mani a Tuoi garzoni, & attende ad altro, lenza prenderfene cura. I garzoni fono negligenti,ne alle bore debite le menano alla pastura,non le tengono nette, & lènza lauarle nelle ac que viue le lafciano contaminar dalla fcabbia.e per mala guar dia fono dell orate da lupi. Quando domanderò ragione al pallor della mia greggia ballerà forte che egli mi dica ; Ella è venuta meno per colpa de miei garzoni ?Non già che io vor rò elìèrne Qtisiatto da lui, Non altramente Dio ha da rico-nofeere da Principi le colpe de miniftri. Clic egli a loro &r nó a'miniftri ha raccomandati i popoli. A loro ne domanderà egli ragione. perche fe non vogliono cliète puniti delle ia-giuftitie de’miniftri giudichino & gallighino i miniftri. Omiiuno ha degli amici ; Ogniuno ha de’nimici: & quelli affetti difuiano l’huomo dalla via diritta. Poi ogni miniftro ha ancor qualche miniftro , che lo può ingannare. La forza dc'prefenti è grande : & ( come dice la frattura ) i doni accic cano gli occhi de Quii. Et le hanno tal forza ne’Quii, che fi douerà dir degli altri ? Con fi devili ben quello articolo , che i doni accechino gli occhi de Quii. Et ricordianci ancora,che ogn’huomo è bugiardo.Et in tato regnano le bugie nelle Cor ti, che io reputo felice quel Principe a cui ogni giorno nó fa detta qualche bugia.E percioche ogniuna può eller di pregiti dscio ad alcuno ad vna bugia al di che creda il Principe in capo dell’anno fi trouerrà hauer fatto pregiudicio a treccto fef lantacinque perfone,che ne nudano le querele a Dio. Tanto ha no da guardare i Signori a cui credano,e quei che credano. Per tanto vtilc, & per tanto necclìaria ho quella fopra in-, tendenza de’Principi nella forma che ho detta ; che da quella (ola ini afficuro di dire,che principalmente dependa il diritto O 4 gouerno arò DELLE LETTERE goucrno di ogni Stato, il mantenimento della giuftitia.l’amof de’popoli: & per confeguenza la conferuation della Signoria, & la feuerezza della vita loro : oltra i tanti; & cofi gloriofi altri premii, che fono honor nel cofpetto de! mondo, tranquilla pace della conferenza, & grafia appveflo l'altiffimo & beni-gnifiìmo Dio.La onde dal cótrario ne rifulta tatto il cótrario. A GIVLIO CESARE MIO FIGLIVOLO. V ti partirti di qua in vn certo modo come allo improuifo, che io non hebbi la coni-modità, che mi bifognaua per farti alcuna atnmonitione.Ma non perciò me ne dolgo; che piu potrà operare querta memoria in fcritto che fatto non hauerebbono (empiici parole. Ti ricordo adunque primieramente a raccomandarti ogni giorno al Signore Dio almeno la mattina,è la (èra & ad hauer qualche ordinaria oratione da dire ogni dì oltra il Pater nO-ftrod’Aue Maria,& il Credo,come fono almeno i Sette Salmi, l’Officio di Noftra Donna, ò alerò : che ad ogni modo tu ha-ueraiben tanto tempo otiofo, che commodamente potrai difpenfar delle hore in honore di Dio,Fa che potendo tu odi ogni giorno Melìà. Andando alla guerra bifogna ftar fempre apparecchiato per le cofe che polfonooccorrere ; & perciò bene è che (pef (evolte ti con beffi, & ti comunichi :& ti ricordo, che chi muore combattendo per la fede, muore in iftato di gratia;ma non quelli,che (prezzano i fanti (aeramenti che non credono quello, che crede la S. Cattolica Chiefa.che è la Romana. Guardati da beftemmiar Dio,& i Santi fuoi,fe non vuoi ha uer lui & loro per nimici. Guardati dal vitio delia fodomia fenon VL10i che lametta del Cielo, ò vno archibugio vn dì ti colga. Guardati da giuochi di carte,& di daduche da quelli ne fe* guono (caudali infiniti. Honora DEL MVTIO LI B. IIII. ^7 Honora il tuo padron come Principe, & Signore accompagnalo andandogli dietro,& non ti fare auanti : parlagli con la berretta in mano,e non ti coprir fe egli non te lo dice.Non ti metter a federe doue egli fia lenza che da lui ti fia detto, c nel metterti a menlà non volere edere de’ primi ne vccellarc a*primi luoghùma sforzati di vincer ogniuno di cortefia. Jbt quello che detto ho del tuo padrone intendo medelima mente del tuo Capitano in honorario, & in obedirlo. Alle fàttioni ordinarie non mancar mai: ne affettar il fecondo comandamento anzi prontiiEmainenteinuiati a quelle lenza edèr comandato, Fa piacere,& lèruigio quanto piu puoi a ciafcuno. Sia modello dilingua,non maldicente, & non riportatore le non di cole, che il tacerle portafle pericolo altrui. Et quelle ancora non le riportare fe non ne hai legittimaproua, ò non le vuoi mantenere con la tua perfona. Non comportar che in tua prefenzafia detto male di perfona,a cui tu habbia obligatione tallio fe non lèi in luogo doue ti polla eifere vièta fuperchieria $ & fepercafo tu ri (pondero bceilì altra opera per honore,ò per feruigio altrui,no la andare a riferir tu ; ma lafcia che altri taccia tale officio. Non edere ritrolo,non fcandalolò : non contentipfo a voler mantener le tue openioni,maffimamete co'tuoi maggiori. Sii con tutti amabile, & piaceuole : ma lì che la piaceuolez za non paffi in buffoneria . Se bene non fe ancora in galea non mancar di ogni di accompagnare,& feruire il S. fopraccomito, aiutandolo ne lèr-tiigiùchealui potranno edere necedarii,& cerca di acquidar ti la gratia con le opere tue. Nc voler fir( come fi dice) il bello in banca. Ne perfuaderti che il rifpetto di me ti habbia da lar buore, che a me farà dispiacere ; chi per mia cagion ti hauerà rifpetto,fe non Io meriterai per la tua diligenza. Ho hauuto il tuo priuilegio di Caualiere,& di Conte Palatino,che puoi far dottori,’& notari, & legittimar badardi, & ho pagato 3 4. feudi. Di Vinegia a* 18.di Maggio 1571. AL delle lettere AL SERENISSIMO GRAN DVCA DI TOSCANA. ARRA forfè (frana colà a V. A. che non hauendo io alcuna introdutrion diferuitù. 'W'M con elio lei,io fui (Iato ardito di metter ma-no a penna per ifcriuerfe. Ma il chiaro no-me della (ua prudenza, & della fua benigni-ta mi affi cura che ella prenderà per bene quello mioofficio, quando ella intenderà efler fatto per defiderio di beneficio vniuerfàle. Che io huo-mo già di molta età,11 quale oltra la pratica di Roma vifiì già. vn tempo alla Corte di Maffimiliano Imperadore di gloriola memoria bilauolo della Sereniffima tua conforte : & ho con-uerlàto alle maggiori, & alle migliori Corti di Chriltianità & di tutti i Principi di Italia,&fra piu armati eferciti sépretrat-tando negotii di Principi,pollo hauer veduto, & conofciuto delle cole che polìono edere altrui di elèmpio, oltra quello che ho imparato da libri. In quelli tramigli della vita mia mi fono accorto che fra Principi fi è introdotto vn tal coftume, che come vn di loro fa qualche nuouo ordine nelfuo Stato quantunque non molto approbabile tutti gli altri gli vanno appretio ; & par che facciano a gara a chi ne può far peggio. Et io defidcro pur vedere vn giorno vn qualche Principe, il quale con deliderabili leggi,& con equità contolando i popo lj tuoi dia efempio a gli altri di douer farcii medefimo. 11 che mi pollò promettere della A. V. che per la fua virtù; & per la fua grandezza Eira notabile,& imitabile.E trouandolì nel pri'n cipio del fuoallòluto gouerno, agcuolmente potrà farlo, da poi che importa aliai qual li a quella prima piega che fi dia ad ogni panno. Ho veduti Principi che hanno vna tale openione, che come hanno dato grado,officio, o ma vii rato a chi che fa,per no inoltrar di hauer fatta mala demone, oftinatamente vogliono confer- DH’MVTIO LI B. IIII. 2 19 conferuarc coloro a’luoghi,che hanno loro dati: Ne per que rele,che fiano lor portate fi rifentono, ne vogliono afcoltar chi da loro aggrauato fi (ente nell’hauere, nella perfona, ne neirhonore.il che dir non fi può che fia fe non opera di eftre-ina ingiù hi ria. A Principi è comandato da Dio che amino la giuftitia,& no i miniftri ; & donde viene che nelle bene ordinate città fono ordinati i Sindacati, e fe di coloro che di tem-po.in tempo fi cambiano,fi fanno leeGminationi, molto mag giorm en te G r fi d o u err ebbon o in coloro, che hanno magi-tirati, & officii perpetui, hauendo efiì maggior occafion di peccare. A niuna perfona douerrebbono i principi piu tenere le orecchie aperte, che a coloro, i quali fi lamentano dc’lo-ropiu cari gentil'huomini,& de’loro maeftratij & ninno do-lierrebbe elìer maggiormente caligato ; che coloro ne’ quali effi piu fi confidano, quando fi trouino hauere errato. Che comportando i Principi i loro delitti, contra eflì ne rifulta il biafimo approdo il mondo, & il peccato appreflo a Dio. Pofi-fono beneelferficuri che ninno andrà alamentarfi di coloro che ehi piu amano, & iftimano, fe non sforzato da eftrema ncceifità potendo elìer certo ogniuno, che portando falle querele farà caligato. Afcoltino, afcoltino: & afcoltino pubicamente, & in luoghidouea chi vuole audienzanon polla elfer chiuG la ftrada. Alle porte delle camere, delle G-le, & de' palagi (tanno le guardie di chi può alli quali è com-melìo che il tale non fi laici entrare, nè l’altro tale. E perche fi mettono quefteguardie ?Percioche altri Gdihauer coni-india coG che offende il Principe, & non vuole che egli la Gp pia. Maniun maggior impedimento può efier di quello. Quando fifa che il Principe non vuole che fiano burattati i fuoi miniftri. Non vuole che fi conoGa fe (annodo non Gnno giuftitia, fe rapifeono, o non rapifeono i beni altrui: fe offèndono, o non offendono perfona nell’honore . E vuole che i miniftri fuoi burattino i popoli,& che elfi non fiano burattati. Ma i tali Principi poffono fermamente afpettare il douer elìer burattati al tribunal dell’eterno giudicio. Che fi come i miniftri sto DELLE L E TT ERE minidri giudicano i popoli cofi i Principi hanno da giudicar i minidri. E Dio a da giudicare i Principi.; Odano i Principi,& tacciano opera di afcoltar ogniuno, 5C poiché veder non poflono tutte le cofe, in quel cambio tengano le orecchie aperte ad ogniuno : & a tutte le bore quanto piu è potabile. Che e (Tendo dati da Dio a gouernare i popoli^ hauendo i popoli Tempre bifògno di gouerno Tempre a quello debbono 1 Principi hauere il penderò. Ben’è vero che in quefto vdire biTogna liauer difcritionc a cui porger d debbiano orecchie, & a cui Te ne debbia tener aperta vna,a cui due,& a cui niuna ; & per cominciar da Tviti mo : Niuna ne hanno da porgere ne ad adulatori, ne a maldicenti , due pedi communi di tutte le corti. 1 primi auueienano gli animi de’Signori, i fecondi inddiano alia vita, alle faciliti,& alThonore altrui, E quede due maniere,non di huo-mini. ma di pediferi modri debbono i Principi da fé Tempre tener lontani, Vna orecchia hanno da porgere ad ogniuno, che domanda giuditia,o gratia : Et la giu ditia d ha Tempre da fare -, la grada far fi può quando nó ci da il pregiu dicio del ter 20. Due orecchie hanno da aprire a chi porta querele contra i grandi,& cari,che pur dianzi ho detto. E due ancora a coloro,che di alcuna colà gli ammotiiTcono,o che contraddicono alle loro opinioni, E quedo ricordo,che io dico, cller può loro di tanta vtilità, che io non credo di douerne ricordare vno di maggior protitto.Che hanno da peniate i Signori che coloro,i quali confentono a tutti 1 loro detti, & a tutte le loro voglie, non gli amano ; ma amano fèdamente fé dell!, & cercano con tal mezzo di acqui dare vtilità, & fui ori. La doue quegli altri, i quali veggono che i Principi hanno volontà di far coda che bene non dia,o che hanno qualche opinione non diritta : & gli ammoni (cono. Et loro contradicono, veramente inoltrano di amargli come debbono, facendo opera che non cadano,& che non iì ingannino:& il vede cne antepongono Tvtile,&l’honore de’Signori a gli interedì particolari, dapoi che con tutto che fi veggono poter diTpiaccr loro DEL MVTIO L I B. 1III. 221 loro nó vogliono macar di dir quello,che fentono per verità* Ma, o come pochi praticano alle corti di cosi tatti huomi-nii&di qui ne lègue,che e flendo i Principi,i piu vfàti, a non parlar fe non con chi fecondai loro detti, & 1 loro appetiti non poflòno comportar chi loro dicalavcrità 5 & l’abborri» deano come veleno. O quanto pochi fono gli huomini veramente leali,virtuo» fi,& da bene, che vfino alle corti. A me darebbe l'animo di inoltrar la via a Principi di conofcere i buoni da cattiui. Ne qui mi farò fchifo di dirne il come. Se il principe vuol venir ne in quefta cognitione, tiri di cui egli fi vuol chiarire in disparte , & dimoltrando di hauer fede in lui, moftrifi di hauer qualche torto defiderio o mala volontà ricercando della ope ra fu a con prome ile di premio, & di renumeratione. E tolto tolto fi accorgerà fe colui è huomo da bene o altramente. Che dimoino da bene non fa colè fritte,ne il comandamento del padron lo può obligare a far co fi tri (fa,ne difonorata.Ma ci fono de’Principi che non hanno per huomo da bene chi non gli obedifee in ogni cofa ; & fi ingannano. Che il genti-Ihuomo che va a fcruire in corte, va per acquiltare, & non per perdere : & ogni volta che fa cola brutta perde l’honore : il qual per premio alcun non può effer ricompenfito.Equan do etiandio folte ficuro.chc non fi douelìe rifipere di fuori, non perciò non è veramente difonorato làpendolo elio me-defimo; & difonorato è ne gli occhi del Principe che fa la tristezza fua. oltra lo hauer peccato nel cofpetto di Dio. Po-fcia il Principe, che vede altrui per ifperanza di vtile condurli a far cola brutta può quafi elìer ficuro che doue maggior Vtile gli farà offerto lo tradirrà anche lui. Seueramente debbono i Principi efercitar la giuftitia;& malti mamente in vendicar le offefe fatte altrui : che il perdonarle è inuitar gli altri a far delle nuoue ingiurie. E fe vogliono elìer clemcti fiano nelle offefe,che fono fatte a loro lì etiliche quelle poflòno donare, & perdonare, come colè loro, & cofi nc Sentiranno commendation di quefta clementia come della *2» DELLE LETTERE giuftitia fatta nell’altrui offcfe : & dal Signore Dio ne ricetteranno guiderdone incomparabile. La liberalità ne'Principi è indicio di animo generato. Noti intendo già liberalità il donare a buffóni, ne a giocolal i : ne 1! banchettare, & lo fpendere per ambitione. Ma i! remunerar chi gli ferue fecondo la conditione, &i meriti di ciafcuno, i’efàltare i virtuofi ,• Pelerei tar le opere della mifericordia : Si fouuenire i bifognofi. Che quefta è la liberalità che merita lode al mondo, & gratia appreflò Dio. Vnaaltracofa voglio aggiungere. E fia contenta l’Altezza Voftra che io la aggiunga. llSereniffìmo già fuo padre lungo tempo ha mantenuto nome di Principe prudentiflìmo fra tutti i Principi Chriftiani. Et per accidenti liauuti nella per-fona in quelli virimi anni par che gli man caffè quel naturai vi gore la onde i miniftri fuoi fi hanno per auuentura vfurpata la autorità di far delle cole,che hauerebbono bifogno di cor-rettione: E per tantoquàdoalei parefledi mandarvi! bando di voler rieonofeer le cofe di qualche anno io auuilb che ella darebbe vna gran confobrione,& vn gran riftoro allo Stato fuo. Mettendo in confideration quali tollero quelle cofej che meritaflcro di effer riconofciute. 11 Se reni filmo Gran Duca per lo fuo molto valore, & fi pere, ben fu degno di ogni rifpetto & di ogni riueréza : la quale da V.A.gli è fiata portata con modeftia incomparabile,veden do forfè delle cofe,che le dilpiaceuono,e lafciandole paflàre. E tanto maggiorméte farà bora la fua virtù conofciuta,quato ella farà maggior dimoftratione,che le tali maniere le dilpiacc uano.Et così della patienza fua, & della fua giuftitia moflran-dofi chiaro efempio appreflò il modo ne cófegtiirà gloriofo honore,& immortai gratia appreflò la M. dell’eterno Dio. Mi pare di hauere affai lungamente faftidita la A.V.la qual tanto maggiormente può prendere in buona parte il mio feri u ere quanto ella vede che non ci è niun mio intereff e. Le bacio riuerentemente le mani pregando il Sig. per la fua confer Barione, & efaltarione. A* j 5. di Maggio* ML XXI111. A L 22? DEL M V T I O LIB. IIII. AL SERENISSIMO GRAN DVCA DI TOSCANA. E nouelle che vanno dattorno atte a turbar ogni tranquilla mente non lafciano cheto polla ripolare penfimdo allo flato di Italia, & di tutta chrillianità,& alle noftre diuifio-ni. Conuiene adunque che io ne ragioni ; & ragionar douendone ne ho da ragionar con chi può porger mano a trouaru 1 de'ri-medii,& la cortefilfima lettera di V. A. mi da baldanza che io ne parli con erto lei. Ai tempo che Papa Pio Quarto di S. memoria haueua intentione di riadunare il Concilio Pliluftriflìmo Cardinal di Trento communicò a me quello fuo penfiero,e mi dille che vi bcelie lopra vn difeorfo del mio parere. Il che feci io , & ve ne aggiunfi anche vno della vnion di Italia i quali fi leggono ftampati nel mio libro intitolato la Selua Odorifera. Mora pur fèn tendo le continone nollre afflittioni fono ritornato al defiderio di veder la Italia in iflato ficuro,pacifico,& tranquil lo. 11 che fperar non fi può di vedere mentre ella fla ne’ter-mini doue ella fi troua di continoue difeordie, & di fofpitio-ni. Ogni regno in fc diuifo (fecondo il detto di C h r i s t o ) farà abbattuto. Non dico quello perche la Italia fia diuifà in molti PrincipatijChe bene pollon’efiere molti fratelli che ha uedo fra loro partita la paterna heredità villano in charità: 5< cosi non temeranno rouina. Ma dico della feparation de gli animi che mettono in confufione,& le cafe de’priuati,& i Re gni. Viueuala Italia in tranquilla pace compartita fra il Papali Rè di Napoli, Venetiani, & altri Principati, quando per 1 e difeordie nate fra loro. 11 Morda mife in trauaglio,& prillò fc medcfiino dello Stato : & da poi fi è perduto vn Regno, fi c perduro vn Ducato Principale;da Barbari fiamo flati coni battuti, &oppreilì ; & da ftranieri c polì cauto dall’vno, all’altro 2*4 DELL E LETTERE tro capo la noftra ,1 talia col tenere il piede nelle fortezze di Lombardia, & di Tofcana, la mala altrui volontà, & perfidia potendo hauer a man falua la Preuefà, & la armata di Barba-rofià volle anzi veder fracafiàta quella de Chriftiani, che honorar fe ftefl'o di trionfo,& di eterna gloria. Quefti anni paf-fàti anzi che voler combatter fi lafciò mifèramete morir vno e(ercito,che combattendo fi farebbe conferuato a Chriftiani vn Regno, & fi hauerebbeconleguitacertiflìma vittoria. Si combattè apprefio,& fi vinfe,(ne per la mala interna affettion fi batterebbe voluto hauer vinto : ne alla prima aggiunger fi volle la feconda vittoria, ne ad altro fi miraua fe non tirar le cofe in lungo per riducer Vinitiani a termine che non rima-nefferolor forze da poter difender quello, che pofleggono in terra ferma, per farfi tiranni di tutta Italia, llchefeguirà Vn giorno fei Principi Italiani continueranno conlelordi-uifioni a dare occafione al Nibbio di rapire inficine la Rana, & il Topo. O quale farebbe la felicità di Italia fe i Principi, & i Principati di quella in vno adunati follerò congiunti. L’odio che è portato da popoli a Principi foretti eri farebbe vn grade iftru mento da far efe con nó molte forze fi ritornerebbe la Italia nella Signoria di fe ftefia,& cótinouado ella vnita ne per mar, ne per terra farebbe chi la potefie offendere. Si c temuto alcuna volta ( ne ancor ce ne polliamo tener ficuri ) che vn di-luuio ( per odio che hanno alla fedia Apofiolica ) non difeen da di Alamagna alla mina di Roma : & quando ciò auuenilì® ( che ce ne guardi Dio ) non poco accrefcimcnto ricetterebbe l’efercito loro da coloro che in Italia fi fentono macchiati delle mcdefitne macchie, & che a loro fi aggiungerebbono,& nella mala intelligenza che è fra i Signori noftri nó ci farebbe chi faceflè loro riparo. Che non vi è potenza alcuna fola che opporfi potefie al lor furore, & quando fi intédeflechelalta lia inficine fi douefi'e armare, non ci farebbe chi penfafie di darle noia. Alla armata del Turco, Al numero infinito delle degenti quale è vn Principe che incontra ardifea vfeireia campo DEL MVTIO L I B. IIII. *25 campo aperto ? fe egli andalìè alla volta dell’Abruzzi & della Pug ia. Vinitiani non fi mouerebbono 5 Se foendeffe in Sicilia chi la vorrebbe (occorrere > Se in quello mar, no vi è gran numero di legni, ne Spagna tutta ne può far tanti, che ardifl'c di lafoiarli vedere ben di lontano. Se venilìero a ferir nelle riti iere di V. A. ci fàrebbono de’voltri vicini che ne fàrebbono fella; Così dico de Genocidi,& degli altri. Oltra che hau endo la vicinità della Protienza, & della Francia parrebbe loro di efler vicini a Collantinopoli; & fe la ira di Dio contra i pec cari nollri permetteflè che il Turco fi faceflè vn giorno patrone di vn qualche porto, & di vna qualche fortezza ; guai a chi piu gli folle vicino ; & guai a gli altri di mano in mano, & a tutta Italia : & i peccati nollri vniuerfàlmente fono grandi, & quando altro non cifofle quello della difeordia che è fra noi è degno di non poca punitione. Elfo Dio è carità,&con cordia,& vno Hello in tre. Edouendo efler la chielà vna & non potendo e fière vna lèi Principi, che fono le principali membra della Chielà fono tra loro diuifi, feparati, & nimici, come potrà Dio tenerci addolfo la mano della fu a protesone ? Nè fi lìdi alcuno delle gagliardezze delle rocchejie nella fede de’guardiani, che l’oro l'oro abbatte ogni muraglia ; 8C (maglia ogni piu duro,& olimato core. Dio ci guardi pur dal la ira fua, la quale placata ogni debil villa farà inefpugnabile, Si ogni cuore incorrottibile. Che vuoi tu dir con quello tuo difoorfo ? mi dira V. A.voglio dir che da poi che il Sig.Dio la ha co Hi tu ita in veramente grande A. j> modo alcuno ella non ha da fermarfi ne tra balli, ne tra mediocri pender! ; ma ha da riuoltar l’animo a deliberationi alte,& honorate;& non {blamente ha da prouederc al gouerno nello Stato foo;ina ancora da procacciar la fallite di tutta Italia, sé za la fallite della quale nò può efler fatuo lo Sta to fuo. Moltrin come e' Principe di alto fpirito; & fàccia che gli al tri fi ma miglino della nobiltà, ck della eccelléza del fuo animo, & dimollri che tollo che ella ha hauti to il freno del gouerno in mano, ha conccputo penfieri di alta, Si honorata P imprefà. ti! IDEILE lettere imprefa. Faccia partecipe (cominciando dal Papa ; tutti ì principi Italiani di queitonobiliifmo difegno di vnir.la Ita-lia lafcifi intender che vuole per fnuclh>c per aulici tutti 1 Tuoi vicini : & hauere anche i lontani per così amici, & per così vicini in amore, & in concordia, come i piu prodimani ; & fe alcuna differenza ci ha (che fono l'icuro che non ve ne ha niuna che fia di tale importanza che non polla eli ere age-uolmente tolta via ) quella fi tratti,fi accordi , fi rimetta, fi do-mentichi,moftrado V. A. la generofità di così nobile animo. Affaipochefamiliea Spendendojìen tranquilla Le voglie chor jìmoFlranfi infiammaie~j . Ha da ricordarti la A.V.che douendo mantenerla reputation degna di fe, ella ha da combatter di gloria co'! già gloriole» fuo padre. Aletiàndro il Grande piangeua quando fontina che Filippo filo padre faceua delle imprefe honorate parendogli di douer egli hauer minor modo da poterti honorare . Così dico ti conuien fare a V. A. gareggiar di gloria,& di virtù inficine con lui,che gloria de Padri, & gloria di fuccefiori è hauer hauuto gloriofi figliuoli, & glorioti anteceflbri. H Gran Cosmo entrò in vno Stato pieno di fofpettf&di tra-uagli fra gran pericoli di trattati, & di intidic dentro,& di fuo ri. Et honore incóparabile ne riportò egli in fiperfene fcher-mire,& riducerei paefi a lui foggettinella forma che gli ri-dutie latitandone la A.V.in pacifica poflèfiione. A lei in quan mallo Stato tuo non rimane altroché confcruarti nel hereditario gouerno. E per farti memorabile le fi appartiene di prendere vno altro camino che è di entrare anche in altri peli fieri che della cafa fua. Bifogna con l’animo vicir anche fuor di cafa,& procurare il bene di tutta la Italia & proctirarlo in maniera che ella tia atta non folamente a difender ferma a metter paura altrui. 11 che ti confeguirà quando i Principi Italiani faranno congiunti in vna ferma volontà. Ne cola piu gloriofa può tentare la A. V. di quella,la qual riducendo efìà aperfettionc di lei fi potrà. DEL MVTIO LIB. IIII. %u Dir Gli altri l'aiutar gioitane frfortem gucjìi in vecchieTgpa la fi ampi da mortem. Al Gran Duca Co $ m o in que’fuoi moiri tramigli mette-Da bene che non fi metteifero mani ad arme ; & cosi fu egli funpre fludiofo della quiete di Italia, & io ne pollo e Ile re fedele,& certo teflimonio ; che efiendo io per ordine dell’lm-peradore hautito dal S. Don Ferrando Gonzaga,(auanti che Don Diego venifle a Siena ) flato mandato a trattar di ridur quella Citta alla obedienza imperiale , per due anni che io vi fretti, il tu tto communicando con qu el fini Olmo Sig.fempre lo trouai alieno dal douer metter mano alle armi con tutto che io gli proponeflì che quella era la via di im patron ir fi di Siena, dicendogli che fàcédofi la guerra a lui farebbe toccato a farla (pela, & che quella città in vece del danaio gli farebbe fiata rimborfàta. 11 che mi conforta che fecondo Vantine-der mio è così felicemente auuenuto. Ben dico mettcua all'hora a lui, & alla Italia , che ella fteflc quieta perii medefimi rifpetti che ci fono ancora delle no-ftrediuifioni. Ma quando ella folle con ferma fede , & con finceri animi inficine vnita farebbe perauuentura da far altro1 penderò ; ma di quello fi haurebbe da parlare all’hora.E forfè potrebbono alihora cfi ere al propofito delle colè che ho fcritr to nel difeorfo, del quale ho parlato nel principio di quefìa lettera. Hora veramente Vvnmerfale ben di Italia, & il parti-eolar di ogni Principe Italiano : è il procurar quefla amicitia, quella concordia/quefla vnion di animi, & di Stati, che io dico . Alla quale ricordojcontorto, prego, & fupplico Ia A. V,. che fu contenta di volgergli dirizzar,& di affifàr tutta la men te,& tutto I intelletto per maggior confermation dello Stato fuo*,per beneficio di tutta la Italia natione, & di tutta la Chrifluiva religione, & à perpetuo honore,& immortale efaltatio ne di fe ideila, alia quale baciando con ogni riuerénza le mani prego la fuperna Maeflà per ogni fu a felicità, & contentezza.. Di Roma a’XIX. di Giugno del MDLXXIIII. V a A L ■”£i$ /’ DELLE LETTERE AL SIG. DVCA DI VRBINO. A amoreuol memoria'della qual mi ha fcritto Monfig. Parriarcha Vefcouo di Capodiltria, che voi Sig. Eccellentiflìmo infieme con la 11 luftrfffima Signora Duchelfa tenete di me,mi ha data occafione di prendere in mano la pen na perragionar’alquanto in quella carta.con elio voi di vn mio nuouo poema, nel quale ho celebrata la patria mia : cheèfuggetto belliffimo. Et io mi fono in quello voluto prouare quanto io farei (lato buon poe ta-fe in quello Studio mi folli voluto principalméte elercitare. Quali nell’vltima parte del Golfo Adriatico, (che nell’vlti-ma parte è Trieile)il mar là verfo lcuate vn feno di non molte miglia,nella eftrema parte del quale da! lato di tramontana di-fcendeil Formione(detto volgarméte Rifui ojfiurne ilqual Ee-para la llìria dalla Iapidia,rcgion, che è tra il paefe no(iro,5c il rrioli-Fu quefto fiume già termine di italiaima nella deferì tio ne del modo fatta al tòpo di Ottauiano(della quale fii mentione il Vangelo) fu alla Italia aggiunta la llìria : & dato le fu per cófino il fiume Arfa,che nelì'vltima parte della llìria entra nel Carnaro.Et perciò deferiuendo Plinio la Italia le da per termi ni.11 Varo fiume,che da confino alla Protienza;&V Arfa.Et in vno altro luogo dice,! 1 Formione già antico termine di Italia & bora della lftria.Ho fatta quella digreflìone volentieri, per rifpetto,che alcuni tégono,che noifiamo nò Italiani,ma Schia uoni. Ma & Date intefe pur qlìa verità,auédo lafciato fcritto. Si come ad Arti, ouel Rodano Piagna-, 0 come a Pota apprejfo del Camaro Ch’Italia chiude,& fuoi termini bagna-. Ma de moderni ferittori,che deferitta hanno la Italia, non ce ne ha veruno,che la llìria non vi habbia comprela Mora la prima mia intentione feguitando. In fu la foce del Formione vi ha vn colle in gran parte intorniato dalle acque di elio fiume,& in parte bagnato dalle acque (alfeColle di bel liifima DEL M V TI O i l B. IlII. 229 Infima forma eia ogni parte egualinète rileuato con vna bella pianura in cima di ci reo ito nó di vn miglio in ter o. Cecile frun tiferò,& di tutte le cole,che ali’vfo del viucr vmano fono ne-ccflarie ahódante e copiofo.di grani,di vini,di olio,di pai co li, di fi urti di ogni forte,e di fàle:& il nome fuo è Sennino. I óra no da' cuale intorno ad vn miglio verbo Olirò è vna 1 Toletta di giro tli vn miglio e mezo,fe parata da terra ferma,e cógiun-ta co vn potè per ifpatio di mezo miglio,la quale è tutta occu para dalla noftra Cirtà:& nel mezzo del ponte vi ha la Brocca. Sito belli ili ilio è quello: & è tutto il paefo dintorno di pog gi ameniiììmi fruttiferi,& ottimamente lauorati. Fu la Ifola anticamente fiera a Pallade ; &;dallo feudo di lei nominata Egida: la città veramente che vi e fopra fu edificata da Col-chi ben cinouecentoanni dauanti Roma. Et furono quelli Colchi mandati dal loro Re a perfeguitargli Argonauti ;i quali portandotene il vello dell'oro, & Medea venuti fu per lo Danubio calarono nel mare Adriatico nella noftra regione fecondo che rettificano Plinio,Strabone, & Giuftino: Et Diodoro Siculo ne fa mentione. Quiui effondo adunque i Col-chi anche ciìi arriuati, & effondetene andati gli Argonauti, eftì vi fi fermarono; & tre Città vi edificarono Fola, Emonia, hoggi detta Cittanoua, & la patria mia la quale dal nome della Ifola Egida fu appellata. Come fi chiamafie anticamente la lftria io non lo sò : nè credo, che vi fi a memoria di fautori ; efiendo cola di piu di duemila & ottocento anni . Ma effondo venuti i Colchi fu per lo Iftro, che è il Danubio dal paefo fu loro dato nome di litri, & etti ai paefe diedero nome lftria . La città mantenne nome di Egida, & così la chiama Plinio, infino al tempo di Giuftino ìmperadore, che fu cinquecento ò piu anni dopo la venuta del Sai nato re, dal quale ella fu rinouata per frontiera di Barbari,&fu arricchita, & no Editata di valorofi Soldati & Caualieri. Et donde fi vuol ere dere che io fi a della famiglia de Mutii, fe non da qualche mio antico progenitore difeefi da quegli antichi Mimi chiari per arme, & per lettere, il quale da Giuftino folte lafciato alla di P 3 fefa - *30 DELLE LETTERE fefa di quella Città con altri nobili Romani, i nomi delle cui famiglie ancora vi fiorifcono ? La Città da quello Imperado-re fu*" chiamata Giuftinopoli» Quella èlahiftoria di quella Ifola, di quella città , & di quel Paefe. Or’io mi vo allargando in quello fuggetto:& ifcriuo tutto il viaggio,& tutte le imprefede gli Argonauti dal primo gior no, diedi Yhelaglia ripartirono intino all’vltimo del ritorno ; Et come a noftri lidi gli ho condotti : Dico, che alla arri-uata loro non vi era quella lfola,&che ella fatta non fu nella creation del mondo.. Ma che hauendo Giafon veduto il tito del bel Scrinino, Si del bel fiume ragunati i compagni, dille, che alianti, che egli di cala fi partifìe haueua fitto voto a Giu none, & a Pallade, fe otteneua la defiderata imprefa haue-rebbe al fuo ritorno all’vna & all’altra edificati honorati tempii : Si che l’vna, & l’altra di loro gli apparue in fonno : & gli moftrarono i luoghi doue voleuano edere honorate 5 Et che quel Colle era il luogo da Pallade eletto. Et in la cima di quel lo fo fabricar vn bel tempio con Statue,& con dipinture dentro» & fuori in honor di Pallade 5 Si fo fede, Si canti, Si celebrar le Tue lodi dalle genti del paefe. Tra quelle fede io rapir vna bella gioitine da vn ladro, la qual da Hercole fu liberata, Si il ladro morto,& fepellito nel mòte che da colui tien nome di Antiniano.Nella sómità del Sennino vi ha hoggi vna Chic fa di S. Giorgio,& io dico, che quella è quella,che fu di Palla-depna che mutandoti religione quello, clic (lato era facrato ad vna Dea Cauallerelfa, fu tramutato ad vn Santo Caualiero. Scrino poi,che partiti efl'endo gli Argonauti Pallade andò a vili tare il fuo nouo tempio, Si veti! il bel Colle delle piante de fuoi Oliai. Il che vedendo Nettuno, Si che gli honori di lei crefceuano infino in fu la marina, non hauendo domentirato lo feorno hauu to quando fra lu i e lei nacque Ia lite di chi doueua metter nome ad Athene : hauendola veduta vn giorno effer difeefa alla riua del fiume del mare vfeiro la sfido à battaglia Se deferiuo il loro abbattimento : Si finalmente, che hauendo Nettuno ficcato il Tridente nello feudo di Pallade,, DEL M V T I O U B. HIT. **t & eflendofi quello fortemente attaccato nelle punte ritorte, nel volerlo ricouerare a forza ftrappò dal braccio della Dea Io feudo fchiodato dalla imbracciatura. Il quale vedendoli egli hauer conqniftato montante al fuo Regno fene ritornò Pallade addolorata porfe preghi al Padre Gioue,ilqual fece,che Io feudo dal Tridente vfeito, & in mar caduto, quiui fi Itele, fi fondò, & in quella Ifola fi conucrtì, la qual tenne il nome pur di Egida. Poi fcriuo perche lo Scudo n chiamafle Egida, dalla Capra Amalthea, & come folle in quello dato petto il Tefchio di Medufa : Tratto la cofa di Medufa, l’impretè di Pertèo : fcriuo il tuo lungo viaggio, & vo telìendo vn catalogo di fauole : & oltra le antiche ne formo io di nuoue forte nonmenbelle. Habbiamovn Monte chiamato Antiniano fo la fauola donde egli hauelfe quel nome. Dico che vn‘al-tro bel colle chiamato Rofaiolo,fu vn pafiore, che daua noia alle Ninfe del Formione. Nel Formione fono trote precio-fitfime,le piu grolle,che io habbia mai vedute doue mi fia Itato : & ne fo la loro origine. In Iltria foni a vn’alto monte vi ha vna Terra detta Montona,& da me li dice, che vn figliuolo di Nettuno per opera di Pallade in quel Monte fu riuolta-to. Delle Simplegadi fcogli, i quali fi dicemmo, che combattemmo infieme tratto donde venilfero : Induco Pallade a fulminar tre Tritoni, & a fargli diuenir fcogli nel porto di Pola. Fo nafeer nel no (Irò mare alcuni Caragoletti,che da noi fono chiamati Nandole. Recicocome vn chiamato Pirano lacerato fu da fuoi cani al luogo detto la Villa de’Cani. Scrino la prima origine de Melloni, & come eflendo tutti bianchi in vn conuiro tatto in Ciclo he furon tatti de’roffi : Et cofi anda to fono arricchendo quello mio poema, in motio che ne ho fcritto dicci libri in verfi fciolti con ordine & legge di poema heroico,& non di Romanzo. Et fono fatica da pallai e interamente , dieci di quelle honorate, & dilettcuoli fere, che ho alcuna volta gufiate con mio gran diletto alla Corte delle EE. VV.alIe quali con deuoto cuor baciando le mani,prego il Sig. Dio,che le empia di ogni confoladonc. P 4 A L DELLE LETTERE AL CHRISTIANISSIMO RE DI FRANCIA. : L ritorno della M. V. al Regno à lei debito pf?, ti grandi ad incontrarla a riuerirla,& a ricca B-V* mente àpprefen tarla: & mone me che per f- > -$81 per natura, & per valore hauerà mollo mol ! _ ___________________________________f ^ vi c>, la mia bailczza non tono atto a cole grandi a tarlo vn prelente di vha lem pi ice verita, la quale è che Roma madre di Chriftianita ha per lo pafìato (cntito di molte affli trioni perle anuerfita del Chriftiani'fllmo Regno di Francia ; & per le vlfime infelici nouellenerimafe coli abbatto ta,che poca vita dir fi può, che le folle rimala. Mora hauendo intela la felice venuta della M-V. ha concepii ta tanta allegrezza, che in lei tutti gli {piriti fono ri fu fc itati : & gioconda af poeta il deliberato fine delle mi Ieri e di quel Regno,il quale è vlaro di eflcr principal fondamento, & fo-ftegno della Cattolica fede. Et la fperanza non folamente di Roma, ma di tutta Italia è nella lua giuftiria,&nel (ho valore. Nella giultitia in fare vna gagliarda cfècu rione contrai capi della fetta : contra i congiurati alla rouina della Reai Sedia : contra i ribelli di G i e s v Christo. Adoperi adoperi la M. V. con Ceneri ta la debita giu Rida contra tutti i colpeuoli ; Nè habbia ri (petto a nobiltà, a grandezza, ne a congiunfion di carne,ne di fingile: che infin che ne viueragrande, ò picciolo di loro mai non le mancheranno in fi die'. Farta quella prima decurione inetta mano al fuo valore contra le reliquie della fetta Vgón'octa : le quali come membra di (peri e lenza capo allapparli- di lei a gip (a di fumo al ven to fi difpergeranno. Viti manière poi fi ricordi,che le honorate imprefe de fuoi maggiori acquetarono lo o il titolo del Ch finis ni filino : il quale ella ha da procurar di continouare, «^--ampliare a te, & DEL M V T I O L IB. IIIL 25$ a i fuoi fucceflòri mouendo le chriftiane infegne contra i ni-micidi Christo. EtcofipartoriràefiiltationealfuoRegno , immortai lode, & honore a fe : & gratia,& merito della eterna gloria predò à D 1 o. Perdoni la M. V. al troppo ardimento mio di fcriuere a tanta altezza : che non ho potuto refiftere all’impeto di quel lo {pirito, che me ne ha sforzato. Et con ogni riuerenza baciandole le Reali; & virtuofe mani, le prego dal Signore Dio pace con Christo, & vittoria de' fuoi nitnici. Di Roma a’ XVII. di Luglio del MD L XX1111. AL SERENISSIMO GRAN DVCA DI TOSCANA. LI huomini contener non fi pofìòno, che non parlino di quelle cofe, che hanno nel cuore. E perciò eden do io continouamen-tecombattuto da due contrarii affetti,di (f|§ paura,& di defiderioJDi paura che laChri-' ftianità non fu da infideli opprefià : & di de fiderio di veder la Italia Donna di fe ftefla, ogni volta che occafion ce ne nafce fono forzato a ragionare. Alla prima nouella de’tumuki di Genoua fui per metter mano alla penna, ma penfàndo poi che io haueua da parlar di le-uar la libertà a quella Città, & di metterla in foggetrione parendomi di far codi ingiùfta- me ne ritenni. Pofcia vna dottrini dai gloriofo Verno no, & Dottor Santo Agoftino mi ha confortato a non tacer quello, che nell'animo 10 haueua con ceputo • Scriue quel DottiEmo fanto nel libro del libero ar bitrio, chele vn popolo corrotto antepone l’interdle prillato al publico, c che venda 1 maeftrati, & quelli commetta a perfone federate trouandofi perfòna potente,che leni l’auto rirà a quel popolo, & la via ad alcuni pochi,o ad vn folo quella farà cofa dirittamente fitta. Et fe quefto tefto fi polli ac-comodare a Genoua non credo, che alcuno ne debbia dubitare ; 334. DELL E LETTERE tare : che lappiamo quante alterationi fiano ftate in quella cit tà tra Frégoli & Addomi per incerchi particolari, quante mu tationi, & in forma rioni fiano (tate traforo quante variationi di de pender chi da Francia, & chi da Spagna, come fi procuri di darei Maeftrati non a migliori ma da ogniuno a quelli della fua fattione ; Et che quella città è vna porta alle oppressioni di Italia.Chi adunque la facefìe i icca nel publico,& con giuftitia partifie i Maeftrati, & leuafie le partialità & ferrafle quella porta cofi nociua non farebbe ella vna finta cofa ì Le prefenti loro diuifioni faranno folleuar gli animi di Francia, & di Spagna a douerfene infignorire ogniuno col fàuor della fua parte. Et perche non fi vnifce il Gran Duca di Tofcana col Papa, & con Vinitiani a metterfi in mezzo, 5c ad isforzar quella Città a farfi Italiana, che ella non riconofca potenza fo reftiera ? Mal per la Italia le vn di quegli Re fene la Signore. Nuoue guerre ; nuoue mutationi di Stati, & nuoue alteratici ni fene vederiano. Guai a noi fe Spagnuoli fe ne lacefiero patroni, che hauendo Milano & Napoli & aggiungendofi loro Genoua afpireriano allo Imperio di tutta Italia 5 & peggio (laria chi piu gli folle vicino : Et fe Francia ne foll e patrone fu bito torneriano le pretenfioni dello Stato di Milano, & del Regno di Napoli, & celìeriano i tumulti di Francia & torne* riano quelli di Italia,che la fperanza di venire alle occupationi^ alle prede,& alle ruine noltre vniua & Cattolici,& Vgo-notti almeno per vn tempo in vna ferma fratellanza. Combattendoli tra Francia, & Ifpagna tanto piu ageuolc farebbe a chi venifie di trauerfo confeguirne la imprefà ; Et forlè che non farebbe agende alla A. V. per la vicinanza,^ per l’hauer cofi pronte le fue battaglie di occupare i palli, & di impatro-nirfi di quel paefe ; & eflendo il paele Iterile, & Infognando che loro véga ogni colà dal di fuori no sò perche la necefiità gli douefle coltringere a volere anzi elfer Spagnuoli, o Frali-cefi, che Italiani eflendo molto bene inftrutti della rapacità, & della fuperbia di quelle nationi. O beata Genoua, & ò beata ItaliaTe quella imprelà venifle fatta, che da quello ne fe- /DEL MVTIO L I B* fili. »j$ guiria,che ella fi jftabilirà fiotto yn fermo Stato a viuer in quic te,& non hauendo Spaglinoli il palio di Genoua a Milano la* rebbe ageuole gittar la grauezza,che già per tanti anni nel tic ne opprefiò, & liberato Milano anche all’altro capo di Italia tolto tolto fi ficiorrebbe la catena che lo tiene legato. Et chi fa che per voler di Dio non fiano nati que’mouimenti aline di trarne il ben che io dico : & quando anche pur al prefien tc fi acquiltaflero, no li haucrebbe da creder che douefiero ftar lungamente in pace. Perche farebbe da ftar con gli occhi lem pre aperti per ogni occafione,&fra quelto mezzo ancora andar difiponendo di qucglianimi per hauergli al tempo del bi-fogno pronti & apparecchiati, & co fi facilmente ficgu irebbe chela Italia nella pristina fu a dignità ritornata in ogni parte fi vedrebbe fiorire ; 5call'hora io goderei di quel defiderio che nel principio del mio (criuere ho inoltrato, & mi fi feemereb bela paura;vedendo che la Italia molto meglio difender fi po trebbe edendo Signora di le lìdia che fioggettaa foreltieri. Che dirà l’Altezza Voftra di quelte mie ciance, dir non potrà fc non chcfiano da animo veramente Italiano. Io con ogni riuerenza le bacio le mani pregandole dal Signore quella e lai tatione,che iole defidero.Di Roma a di 15. di Agolto 1574. AL SERENISSIMO GRAN D VGA DI TOSCANA. IA mi comandò Ia A. V. per la prima fiua Jet tera, che occorrendomi cola da Icriuerle io non doueffi mancare. Mora me ne danno occafione i cali che fi intendono efiere auue nuti in Fiorenza : De’quai (fpoi che già per quaranta anni pali a ti ho trattato materie di caualieri ) mi dee elier lecito di ragionarne, e ne ragionerò in generale potendotene poi trar regole particolari. Dico adunque che’in quelto fiuggetto mi par di veder che ancor \ DELLE LETTERE ancor ci viuono di molti abufi . Percioche come in vna città c tatto alcuno infulto i Signori & i Superiori ordinano che fi tratti di pace : domandano parola di non offendere : & cercano che a loro fia rimeflala differenza. Le quali cofe io non veggo come fi conuengono ne alla giuftitia,ne alla dignità de Signori & di vna in vna ne renderò la cagione. ‘Alla giuftitia mi par che fi richiegga prima di proceder per via giudiciale. & criminale & intender ben la calila,& caftigar chi merita caftigatura,cofi per punition di lui, come per ehm pio altrui. Che fe del trattar la pace fi comincia la giudiria fi addormenta, & i rei huomini fi aflicurano a far (.Ielle triftezze con dir fi farà la pace ; & noi fi remo da pena liberati. 11 domandar parola di non offender non mi par che fia pun to honoreuole ad alcun fuperiore,che egli non ha da doman dar quello;che è in fua podeffà di vietare : anzi ha da comandar fiotto graui pene,& condannar chi non obedifee. Il cercar poi che altri rimettala differenza è vn renuntiare alla fua,propria giuriditione : che eflendo altri giudice diritto; 5c legittimo non ha da domandar che gli fia runefla la cali fa/della quale a lui ne appartiene la cognitione . 1 Signori fono diritti, & veri giudici di tutte le caufe temporali, che occorrono ne gli fiati loro cofi della roba, come della vita , & dell’honore : Scfe bene è vn comun detto che in cola di interdie di honore il luddito nó è tenuto ad obedi re il Signore. Quello è vero in quàto non è tenuto quado gli comanda cofe che fiano contra il fuo honore ( che non ha da obedire,ne etiandio quando gli comanda cofe che fiano contra l'anima. ) Ma non è percio che il Signor non fia giudice, in conofeer fe altri ha fatto,ò non fatto honoratamente alcuna cofa ; & che non lo habbia da giudicare, & da dichiarare per quello,che egli è. Deeadunque il Signor giudicar di ogni cofa nello ltato fuo, & in materia di honore ha da confiderai- due cole pi m-cipali, la cagion della offefi, & il modo di quella ria cagion dimoftra fe hahauuto torto> o ragione : 11 modo le ha vlato valore D E L M V T I O L I B. il 11 t%7 valore, ò viltà ; & mal caualiero è chi a torto prende querela, & mal caualiero è chi commette atto di viltà : & doppiamente è cattino colui che pecca in vna, & in altra parte. Il Signore adunque ha da giudicare, & da dichiarare quale ha ternato , & quale è mancato alle leggi dell’honore, St cofi verrà a difonorare il delinquete: & a conferuar nell’honore l’offefò contra ragione, ò malamente. Poi fecondo le leggi, o gli ftaniti, o ad arbitrio ancora hauerà da condannare chi hauerà fallito . A quello modo eflendofi elequita la giuftitia fi potrà poi parlar della pace : alla quale ageuol cola làrà prender forma da quel giu dicio,che ne hauerà latto il Signore. Quefta.è vna rifolution, che io ho fitta cofi nell’animo mio dell’officio de’Signori in caufe di honore; la quale ho vo Juto mandare, & rimettere al chiarimmo giu di ciò di V. A. E a quella humilmente baciando le mani dal Signor D i o,ogni cfalration di honore. Di Roma a' XXIII. di Agofto del L X X1111. ALLA ILLVSTRISSIMA SIGNORA VITTORIA FARNESE DVCHESSA DI VRB1NO MADRE. • CRI VE PApoftolo Paolo, che la carne de-fidera contra lo fpirito, & lo fpirito contra la carne. Et perciò non può edere, che il carnai fenfo non habbia fatto rifentimento nella perfona di V- E. in quello nuouo ordinario accidente di mortali. Ma da poi la nobiliffima parte dello fpirito, al quale non pure bora ella li è cominciata inalzare douera in tutto ha uere acquetato que’romori fcnfuali ; hauendo maffimamen-te veduto con quanta coftanza di animo,& con quanta difpo fi rione di mente il già fuo Sig. Duca fi fia da quello efilio partito per andare alla patria . Io fermamente leggendo le lettere , che qui ne fono venute,in quel dolore, che io ho fentito 238 DELLE lettere di perdere vn tanto mio Signore non ho potuto di dolcezza contener le lagrime in (Intendo la fua franchezza , & la fua lauta difpofitione,delle quali veramente piu ci debbiam confola re, eh e dolerci dell’hauerlo perduto, poi che debbiamo liauere ferma fede di douerlo ricouerar fra Vanirne de’beati. Si confoli adunque la E. V. di quella (piritual confolationc : Et fi confoli, che l'ìliuftrifnmo Principe fi Ila trouato in età di {allentare il pelo del gouerno, & di poterla tener confolata in tranquilla, & in finta confolationc . Si come prego il Sig. Dio che per fua bontà lungamente gliene faccia gratia in que Ita vita,& nell altra della fua gloria la taccia partecipe . Di Roma a’ 11 .di. Ottobre del LXXIIH- AL SECONDO SIG. FRANCESCO MARIA DVCA V. DI VRBINO. LI huomini ne’trauagli, Sene’difpiaceri fi fanno forti a fopportari trauagli, & i difpia-ceri. Et per tanto Gpendo io che V. E. luti game.»te ha patito di molti trauagli, & di-M) molti difpiaceri, non mi prenderò inutil-mentefatica di volerla confolare in quello-fuo nuouo difpiacere, & trauaglio. Ne le diro ancoraché del dolorofo nuouo accidente io nehabbia {entità paffione, Gpendofi aliai quanto io foili feruidore a quell’Eccellentiilìmo Signore. Anzi riuolgerò il mio ragionamento a dirle di quelle cofede quali mi par che fi conuen-gano in quella fua hereditaria luccelììone riceuuta per lungo ordine da nobililTìmi tuoi maggiori. Intendendo di parlar feco con quella libertà,& lealtà che da feruidor fi ha dà vGre do ire fi tratta il feruigio di vn fuoSignore <5c comincierò di; quello capo1. . Mi ricorda già in ragionando con la Illudriflìma DuchelEv Xfoftra madre,elìci mi doluto piu di vna volta delle manie: v». «die:io-vedeua tenerti nel gouerno dVcotefto dato, pregando- ° il DEL M V T IOLI B. IliI. w il Signore Dio, che vi guardati e dal pericolo del tornare ad vfcirne fuori , percioche non haucrei hauuta fperanza, che doueflc poter fperare,diei popoli vi hauefìero richiamati.Et ella come ben fàuia Signora non intendeua altramente. Quali follerò le cofe, che mi difpiaceuano lungo, & fuftidiofo (ària il ridirle : Ma da quelle trarrò io la regola di quelle , che a me parrebbe, che ella douefle far nel reggimento del fuo flato, a mantenimento della giuftitia, & perriacquiftare, & con fer* Uarfi la affettione dc’popoli. Ma fiate contento Signore che per efprimer piu accomo--datamentei miei concettilo laici la Eccellenza da parte. Primieramente adunque haucte da ordinar i Maeflrati, SC gli officiali perle Città con quella piena autorità, chea quelli officii fi richiede,comandando loro; che Lenza alcun rifletto debbiano far giuftitia,e comandando a voftri gentilhuomini, che in caufe particolari non fi trauaglino, & voi medefima-mente non hauete da impacciamene : ma lafciate,che i giudici per la via ordinaria procedano nelle caufe. Vero è,che Irati cndo altri il giudice fufpetto la caufa, o ha da rimetterfi ad altro giudice,o dargli vno aggiunto. Et quella allegatimi di fuminone non ha da effier ributtata, cheogniuno può efler fufpetto ad ogniuno: Nel reflo fi laici Lenza alrro.che i giudici per la via ordinaria procedano alle loro fen tenie,dalle quali fé altri fi terrà aggrauato fi hau era da proceder de’rimedii, ordinarli,& opportuni. Fu leuato al tempo mio il coflume di mandar la cognition delle caufe a configlio di fàuii, ne sò con qual configlio, efl'endo quella via ottima, & comenda-tiffima da giudicare. Et perciò farebbe miglior configlio ritornarlo ,che non fu leuarlo. Furono anche mutatele pene fta tutarie, & fitte arbitrarie con vna grande alteratione,che doue gli fiatati condannaua-no dieci, l’arbitrio fu ridotto alle moltiplicate centinaia : non sò con qual giuftitia. Ma fu con configlio di Dottori,chedif fero la volontà del Principe eflère hauuta per legge. Diabolica fentenza è quella,che nonla volontà del Principe, Ma la buona, 240 DELLE LETTERE buona, & diritta volontà del Principe fi può hauer per legge, ne veggo come buona,ò diritta volontà fia contrauenire agli ftatuti fatti per corniamone, & contratto, & fermati con Sagramene . Principal voftra cu rafia di afctiltar chi vi porta querele di oppreffioni, ò di ingiurie fatte da voftri Maeftrati, & da gli huomini delia voftra Corte. Ne ricufiate di vdir chi fi latnen -ta de voftri piu cari anzi a quelli aprite amendue le orecchie, che quanto altri fi conofce effer piu ca ro al fuo Signore tanto maggiormente fi affittirà di far degli oltraggi, & delle cole trifte. Ne peniate di hauer perfona appreflo di voi : che, ò - per amore,ò per odio, ò per fubornatione non fia per fare alcuna volta mancamento. Vditeadunque,vdite, Sccaftigare colui,che, ò ha fatta cola non da tare, o chi ha portata falla re latione. Et quefte audienze dar fi poffono in ogni tempo,oC in ogni luogo andando a niella, & a’ lollazzo lenza obligarut ne a quefto ne a quel giorno, chepoflono venir delle querele, che hanno bifogno di preferite rimedio,ne polìono affettar il tal giorno, ne la tal’hora,& cofi con molta facilità porre te mettere in opera queftagiuftitia: perche quelle querele finalmente non faranno molte: che con pochi efempii di ca-ftigamento voi regolerete fi fattamente i voftri Maeftrati, & la voftra Corte ; & per conlèguente tutti gli altri fudditi, che poche querele hauerete da afcoltare,& con pochi filma fitica gouernerete il voftro fiato. Fate pur che in quefto principio diate faggio di valore, che tutte le cofe per l'auuenire vi andranno a feconda. Doue è intereife, ò offelà di terzo fitte giuftitia,e caftigate i delinquenti, che da quefto vniuerfalmente i popoli ne fento-no confolatione;conofcendo,che il punir le offefe fatte altrui gli guardi elfi da offefe, che il non caftigarle daficurtà, che fi facciano: & perciò nell’intereffe dei terzo non bifògna pen far di far gratia. Il far gratia non è altro, che far vn dono altrui di perdonargli il peccato commeffo : Et il perdonar le offefe tocca a chi è l’offefo. Et chi perdona le offefe fatte a me, dilpone DEL M V T I O Lil B. IIII; x- . *f* ; di (pone di quello,che tocca difporreame. Il che e mgium-tia. Ideile ingiurie, che tono tutte a voi, a voi fi richiede ben far gratia / come di cola- volita, & è atto da Principe magnanimo ; che potendo cafligarrchi 1 offende rimetta le oftete: Et qqefta è ne Principi la vera'Clementia. Non dee Principe perdonar in verun modo le offefefatte altrui lenza libero con (Intimento dell’offafo;ne farà libero conlentimento ogni voi ta che il Principefarà cenno di defiderarlo. Se fra fudditi voftri nafee querela inmateria di honore,•Voi Signor non fiere in tal cafo men giudice, che ,dela.vita,&della roba loro. Anzi con la fentenza voftradouete«dichiarare quale è l’honorato, & quale il difonorato : '& caligando alcuno di atto brutto farete inficine,&giuftitiaj;& darete fa- tisfuttioneall’offefo. t Sommariamente vo ricordando cofe, che hanno bifogno di molta confideratione. Ma mi balta proporre certi capi, dipendo bene,che hauetegiudicio da confiderargli da ri-foluergli. Palliamo bora ad altro.Voi douete confiderar quante fono le voltre entrate, & mifurar la fpelain modo, che in capo del l'anno ve ne habbia anzi da auanzar dieci,che da mancar vno. Che mancandone vno hoggi, vn domane ; & vn altro dopo domane, voi veneandate in pie-àpi tio. Fateui vna Corte,che fi a honoreuoledi qualità di huomini ,3C non di quantità, 5C di tanti, che gli potiate tener Jàtisfatci : Et di quelli fate che voi ne fiate Signore, & non che altri vi tiranneggi. -Faccia ogniuno l’officioTuo: & quello fi contenti di far bene; ne entri il Cameriera a voler fàrl’officio del Configliere,nc il Trinciante quello del Secretano, Habbia ogniuno al tempo le lue prouifoni . Nonfi aggraffi il Mercatante, ne il Cittadino, ne j! Contadino ditorie loro robe lenza danaro. Quella è vera liberalità futis fa re primieramente chi dee hauere, & non dorata Giocolati, ne à buffoni. Dopo il pagar chi deehaue-re ,cortéfia fi dee viare verfo i biibgnofi, & nelle altre opere della mifericordia. Non '242 DELLE L E T T E R E s • Non vogliate per vna vana opinion di liberalità gittate il voftro in riceuer Signori con tanta fpefa. Coloro che hanno le centinaia delle migliaia non lo fanno,& voi, che non ne ha-•uete a penale decine lo volete fare. Datevi! defi nate, òvna cena al Padrone, doue è la perfona Voftra, &-del rimanente lafciate che vadano, & paghino la hofteria, & farete fuor di • vn gran faftidio,& di vna grande fpefa. Ógni nouità nelle Città è odiofa, &fàftidiofà, &maiEma-mente quella delle nuoue grauezze,ne fi può far a popoli mag gior offeia, che accrefcerle, ne cofàpiu grata, che doue fono fiate accrefciute ritornarle alla priftina inifura. Le nuo-uegrauezze, & le condannagioni eftraordinarie in prima vi-fia par che portino vtilità,ma poi per voler di Dio mangiano le entrate ordinarie che non fi vede doue fiano andate. Ad ogniuno fi conferui quello che è fuo. Ne fi faccia forza ne nella roba,ne nelle perfone. Si lafcino liberi i matrimo-tiii ; ne fi cerchi di voler remunerar,ne beneficare amici, o fer nidori con le doti altrui. Et habbiate fèmpre fiflo nella memoria, che i Principi fono ordinati al beneficio de’popoli, 5C non i popoli al beneficio de’ Principi. Quelle poche cofe mi fono bora occorfè Sig.mio Ecceller! tiffimo da douer ricordare. Et in generai vi ho da dire in foni ma, che habbiate da vfàr amoreuolezza verfo i voflri fudditi, moftrateui loro benigno, humano, & affabile, & fate opera di recuperar quella loro antica amoreuole affettione ; la quale parche in gran parte fia fmarrita. Voi non hauete forze di mantener quefto flato contra vn potente :1 amor de’popoli Ila adunque le voftre forze; & quello fi acquifìa con la giu-lh'da,& con la equità; con la manfùetudine, & con la demen ria. Et voi vi ritrouate bora in ifìato tale,che con vn folo atto potete acquiftarui, conferuarui, & ampliami la beneuo-lenza ; & la deuotion di tutti i popoli : 11 che è far vno vniuer lai perdono ; & rimettergli sbandi ti, & gli fuorufeiti, abbracciando tutti per figliuoli, fènza (eruar memoria di cola. che fia paffuta ; Fatelo Signore fatelo; che quello riceueranno per DEL MVTIO L I B. II IL 543 grafia tutti i voftri fudditi, tutti i voftri amici,& tu tti i voitri fcruidori. Et vcdendofì qucfta benignità ne acquieterete no ni e di benigno, & magnanimo Principe Et oltra che da Dio lic doucrete fperar eterna remuncratione, Io fono ficuro che dal Papa ne riceuerete gratia,& commendatione.. 1° prego il Signore Dio, che quella mia lettera fia da Vo-fìra Eccellenza accettata con quell’animo, che è (tata la mia in tention in i ferine ria. & che le dia lunga, & felice vita,& figlio ria, & le bacio le mani. Di Roma a dì 11. di Ottobre del LXXIIII. ALL’ILLV STRISSIMO ET ECCELLENTISSIMO SIG. PAVLO GIORDANO DVCA DI BRACCIANO. m O diedi già intentione a V. E. di doucrc ef &'j0Z fere per tutto Ottobre a Fiorenza, & ci fi- H? il rei flato fe non fulfi flato fatto prigione per la firada', che il Sabato, che fu a 23. efiendo |Q arnuato a Poggi bonzi alla bora dell’Auc Maria alla Cappella di vna N. Donna mira-colofit; fuori ne vfcì il Sig.Lo 0 o v 1 c o Cap poni,che era flato a pigliami il perdono, il qual vedutomi mi códufìe ad vna fila Villa qui ni vicina a tre miglia;& mi ha trat tenuto infino ad hora. Et hauendo determinato di doucrc andare domane a Fiorenza ci è venuta nouella,che domane il Gran Duca è per partirli per andare a Pila & all’Elba per Ilare vn mefe fuori ; fi che mi fono fermato : & non ho voluto tardar piu a’fcriuere a V. E. la quale fra quello tempo penfo,che non farà flata fenza negotiar la paceco’Sig.Cenci.io alianti il partir mio di Roma feci trattar col Sig.Marcello, & lo difpofi a contentarfi di dire alla interrogatione dei Sig. Ccfare fopra fede di genti rhuomo, che e fio non fu fra que’lei la fera, che egli fu ferito : Et che il Sig. Celare dica.Adunque io mi fono ingannato : & ho bau uro torto à ferirui 3 & vi prego, che mi Qj_ 2 fac- *4*4- DELLE: LETTERE ftcciatéJa pace,& che mi perdoniate. Quella mi par, che ha dimtiffima maniera,& che/éilSig. Marcello non vi fu,il Sig. falc; & fanno come l’infermo, il quale per corrotto appetitoli conduce ad vfàrcibi contrarii allafua lànitàl anzi pur come colui che flando attento a voler offendere il fuo nimico, non Vede chi di dietro gli viene a dar lamorte. E ( fecondo la fà-Uolaj mentre che la Rana, & il Topo infieme tirano quale in quà,& quale in là,viene il Nibbio &amendue fe gli porta via. Limolo del moderno gran Turco vn giorno ragionando co' Tuoi maggiori Capitani delle imprefe, che egli intendeua di fare, domandò loro che maniera fi hauefìe a tenere pervenire a Roma ; & dicendo quale vna colà, & quale vna altra » egli fece gittate vna tazza in mezzo ad vn gii tappeto; Et do-madò loro come hauerebbono fatto a porle mani (opra quel la tazza lènza metter piede in fui tappeto.E rifpódendo coio ro che.era cofi imponibile,egli chinatofi cominciò a piegare il tappeto, &andò piegado iniìn che fenza toccarlo co’piedi potè leuar la tazza& dille cofi è meflier di far così andar aggiungendo paefèapaefe infili che fi arriui a Roma, & cosà hanno fatto egli ,& i fucccflondi lui. Hanno prefo Rodi, Belgrado.&fOngaria,hanno hauuto da Vinitiani Napoli, & Maluagia, lafcro Cipri che è di là da rutti quelli luoghi ne im pediua loro quello camino. Ma anche la pace con Vinitiani è vna gran piega ; che mentre ferueràda pace del loro flato fèruir fi potrà come del fuo proprio, facédo magazzini di vet touaglie,&di munitioni a Corfu. & potendo quiui al tempo aperto hauer la armata in ordine a danni di Italia.Non hauen do piu di cento miglia da paflare alle riue di qua, & fe no mol ti legni tratto tratto mettono gente in terra, Se abbruciano 8c menano via le migliaia delle anime, chi vorrà vietare ad vna armata che non metta in terra fanti Se caualli quanti vorranno ? & che non fi facciano far firada ouunque andranno ? La Goletta che era flimata la maggior fortezza di Chriftianità cì può eflère efèmpio fe altra fortezza potrà refiflcre. Benché quella non fo come fi fia perduta. Che quando la armata Tur chefca vi andò. Negroponte Turco,che è prigione in Roma domandò chi vi erano dentro Italiani, ò Spaglinoli : Se vdito Qi_3 che 246 DEL L E L E T T E R E ' che verano Spagnuoli ditte,O ella è perduta. Ma & veraméfe qual fortezza refiftera alle migliaia delle cannonate ì alle mon ragne fatte in vn giorno ? & a trenta, & quarantamila guafta-tori chi in capagna fi opporrà all’impeto della gran caual-leria Turchefca ? A Seghet veduti ne furono andare ottantamila in vna caualcata, oltra che Spagnuoli haueriano combat turo per loro(parlando del Regno di Napoli) che per defide-rio di vfeir delle loro mani, i popoli come veggano vno sforzo che gli polla difendere,per no efler tutto di abbruciati,me nati in cattiuità & cótinuamente tiranneggiati volótariamen te a loro (1 congiungeranno. Quefta ben farebbe la piega da condurgli a Roma. Che dirò di RomafNon altro fe non che al tempo di Giulio terzo cflendo comparito Barbarotta (opra Oftia.già i muli de’Cardinali fi auuiauano per la porta del popolo. Mi dirà alcuno, che io fo molto ageuole quefta imprefà; & io la ho per ageuoliflìma a quella fi gran potenza ( il Sig. Dio gli leni la conofcenza della fu a forza, & della via da poter ci offendere ) 11 Re Filippo non ha forza da refifter per mare, ne per terra; ha i popoli nimici : Vinitiani dalla parte di la (faranno alla hneftra : Francia è congiunta con la Turchia : & la Italia è in fe diuifa. Stando le cofe in quefta maniera quale aiu to ci fi può fperare?Io non fono Profetarne dico che cofi hab bia ad edere ; ma parlo di quello che io temo: & che fi può fare ; & che fra non molti anni potria auuenire. 11 Turco di mano in mano andrà incedo le pieghe,& tanto tarderà ogniu no ad e fi ergi i foggetto quanto da Roma (ara piu lontano, & fe infino a quel tempo il Turco haura feruata la fede a Vinitia ni di etti ancora infieme con gli altri all’hora ne fina vn tarde!-lo,cheall’hora galee ne galeazze non.feiuiran di nulla. Altri penfa di rinouar la lega,o farne vna generale.E queftq ho benho per cofa impottìbile ; che come pedono Vinitiani fidarti di Spagnuoli fe due volte a bello fi lidio fono fiati Inficia ti in preda a nimici ? Di Francia non bifogna pei Tare hauen-done altra intelligenza & le occupationi del fuo Regno. Altre forze dir fi può che non habbia.no dinfiian.i, per non ve- . ture DEL M V TI O L I B. HIT. *+f «lire ad altri particolari. Si è penfato a fin che Vinitiani fidar u pollano di Spagna che il Capita General della lega fi a latto dal Papa; & che-q nello comandi a tutta la armata : OC come potrà quel General tar che le Galee,che (arano in lfpagna vengano a tempi debiti le non vorrai! venire ? Et come tara che nell attaccar vna battaglia non fi allarghino, & non vogliano fiate alla parte del pericolo . Si è peniate che il Re (occorra di gente,3c contribuita da liari,& che Vinitianr fupplifcano de’ìegni, Se chi lo sforzerà a mandare in tempo ? Se chi gli potrà credere dipendo la lealtà v fitta nel latisiarea Vinitiani hauendo e ili (ouuenuto il Re di quello,che egli doucua (ouueriir loro ? Si che di leghe con J (paglia non bitogna eh e al tri ne ragioni, & rifoluafi pur Vi talia di douer eiler dal Lupo Orientale diuoratu fe ella da fé |te(l'a non. fi, aiuta. Ma vediamo anche fe per altri rifpetti mette bene a Principi Italiani Vedere infieme vniti. 11 Ducato di Sauoia, mentre furono le guerre fra Carlo Itnp. & il Re di Francia, era polle-dillo parte dell’Imperatore,& parte dal Re. E mi ricorda che edendo io per Alfònfo Marchefe del Vafto appretto il Duca Carlo padre del moderno Duca, vn dì egli motteggiando mi dille che edo haueua due gran Maefiri di cala : & domandali dolo io quali,mi rifpole il Re,Sel’Imperadore.Gouernauano il fuo,tna non gliene rendeuano ragione.Potrebbe col tempo nnoLiarfi la querela di' Milano & il Duca di Sauoia farebbe la fianga fra i due corfieri, & la vnioh di Italia lo adecureria : Si giouerebbe anche al Duca Ottàuio, che le guerre dello fiato di Mdano nó ftrebbono per lufiSi con la vaioli di Italia Icuo-jer potria anche il (reno di Piacenza. A Gcnouefi taria leruigio non depender da Francia,ne da Spagna, Si lenirli da ogni lofpetto di edere ne dali’vno, ne dall’altro fitti (oggetti. Già mi ricorda che Hercole Duca di Ferrara , alianti che egli entrate in hu.nor di fard Capitan General del Re di Frati cu,ragionado vn giorno meco da folo a folo, mi dille che tra *4* DELLE LETTERE tutti i Duchi di Ferrara nò ve ne era flato alcuno in migliore llato di lui, di piu città,ne di piu torti, ne piu ricco di danari» ne di ogni munitione, & ornamento, che a Principe fi conuc nifi e; & che egli non dehdcraua altro chela pace in Italia; & ogni giorno aìla niella taccua cantar mottetti di preghi di pace.poi non sò che folle quel che! face Uè mutar penderò. Mi Cubito fene pentì, & tornò al primo defiderio. Voglio dire, adunque, che ne lo ftato medcfimo che'diceua il padre di ri-trouarfi, fi ritmila il prefeute Duca ; & può pregar Dio di fi» re in pace. Et la vnion di Italia lo ftabilircbbe. De’Vinitiani io so ficuro che no defiderano altro che pace De* Duchi di Mantoua, &di Vrbino &de’ Lucchefi non veggo perche di viuere in pace non fi pollano con tentare, cf-fendo piu atti ad eli ere offefi,che ad offendere i vicini. 11 Papa con la vnion di Italia ahìcureria le lue marine da Corfàri, non darebbe in fofpctto di Ancona; & metterla in ficuro Ro ma,che all’apparir di alcuna armata non farebbe abbandonata, anzi chearmata non vi hauert'e ad apparire. Voi Serenils.Sig.fiete padron di molte città delle quali alctl na è data Tedia Reale. Tre fono Arciuefcouadi, & fono città famofe & che hano fignoreggiato : & ciafcuna di dìe col fuo tenitore è per vn ben gran Ducato.Di che non sò che in Italia,ne fuori vi fia Ducato,ne Arciducato che di nobiltà, ne di grandezza al vodro fi polla paragonare ; altro non vi manca le non leuarui da gli occhi quelli decchi,che vi tiene, chi vorrebbe pur effer conofciuto per fuperiorda tutta Italia, daquali con la vnion ch’io dico, non farebbe fatica il liberar-uene; & liberar vi dourededel tutto da ogni forte di nation forediera,che io non fo come fia buon configlio tener a guar dia di fortezze foldati,che habbiano naturai obligation di fede ad altro Principe : & perfone che facendo vn mancamento non habbiano che perdere, le quali fono due cofe, che à tradimenti danno principalmente occafione. Non ci ha adunque principato in Italia a cui non mctteflc bene quedagloriola vnione, e poi che entrato Cono in quella chimera. effimera, voglio pur andarla ancor colorendo, e dico cheque (fa chiuderebbe i porri di Genoua a genti forcftiere.il che ab fi'dierebbe lo (tato di Milano dall’altrui foccorfo : & que’po-poli fono caco ben fàtisfitri di quellaSig.che da fo Ideili corre riano alla vnion di Italia.Del Reame di Napoli non ne dirò al tro fe non che PrincipfCaualieri, Cittadini, & Popoli fono fi fattamente (banchi di ioidener quel giogo, che non vedereb-bono l’hora di gittarlo a terra ; O come bella, ò come felice farebbe la Italia quando ella ri tornata fodeai gouerno di foftefla ; & che ella folle cofi goduta dafuoi Italiani, Come la Francia da Francefi, la Spagna da Spagnuoli,& l'Alamagna da Alamani,& gli altri paefi dalle altre genti.Grandemiferia e quefta noftra che quella ; quella la quale già è (data Reina di tutti i Regni ora Rabbia da ferui-rea fdraniere, & barbare nationi,i peccati noldrr ci 6nno ciechi,e la cecità nofdra ci tic fuggetti,e guardici Dio da peggio.. Ma per dar anche forma a quella mia diceria, di qual maniera fi hauelfe daftabilire & mantener quella vnione,dirollo fommariamente burnendolo già fcritto altra volta afidi largamente. Si hauerebbe da eleggere vna città nel tnezo di Italia doue folle fatto vn configho di tutti i Principi collegati, che ogniuno vi haued'e il fuo configliere, & che fra quelli fi rifol-u eli ero tutte le materie di guerra ; &di pace.fenza ftareafpet tando che da Roma, ne da Milano, ne da Vinegia, ne da Fiorenza, ne dà Nàpoli venideroi voti. Che quiui ogni anno ogniuno mandalìe la parte fua del danaio,doue fi fàcelle la Te foreria.Quiui fi dedono le condurre. Quindi fi pagadèro armate,genti danne & fanterie, & chefemprefi hauede nume ro di galee,5c forma di efercito che dependede da quello con figlio lenza che altri (tede particolarmente armato. Che quello folle giudice delle differenze,che nafoeilero fra i collega-ti:& che qual non voltile obedir a danni fuoi fi faccde caual» car l efercito, Et coft quando altri tardallea mandarla parte fua del danaio. Et in fomma che quel condglio fede il Prin-, pipe di Italia. Et ogni Principe hauerebbe il pender folo dell i5o DELLE LETTERE iuo flato Viucdofi in quiete,& il cófiglio la cura di tutta Italia.’ Or fia flato quefto vn’otiofo ragionamento di cofa,chc fi nof & firc rn3. che non (iz mai per metter/! in opera. Dalla Paneretta a di 6. di Nouembrc 1574. ALLTLLV STRIS SIMO SIGNOR LODOVICO BIANCHETTI. V O V A colà parrà a Voflra Signoria Illu-ftriffima veder nel tondo di q ueita lettera il nome mio ; ma piu nuoua quando ella intenderà , che fenza hauerle mai fatto ferui-gio io intenda di faticarla, & nouillima poi intendendo, che io la richiegga per debito a tale officio. x La Chieto (anta di Dio è di due maniere,la Trionfante,che e in Cielo, & la Militante che è in Terra. Di quella il capo c Iddio. Di quella il Papa . Di Dio tono miniiiri gli Angeli fanti, i quali dice i’Apoftolo Paolo,che tono /piriti mihiftra-tori per chi aletta di fai ire alla gloria eterna. Onde VAngio lo fu mandato da D 1 o a Cornelio Centurione a dir che le li-mofine toc, & le toc orationi erano afeefe a Dio, & che perciò a fu a tolute ma da il "e a chiamar Pietro. Et l’Angelo Radaci di fi "e a Tobbia, che elfo al Signor Dio haueua appretontate le toc orationi.Or fi comegl’AngioIi fono mini (tri tra noi e Dio cofi tono mini Ari i familiari del Papa fra lui,&gli altri huo-mini,& cofi voi tooi familiari ficte gli angioli noftri, & quelli che piu gli fono vicini,piu intnnfechi,& piu domcftichi fono come a dir de piu alti angelici cori.Et io defiderando vna tale intercefsione mi ho eletto di ricorrere a voi, come al l’Arcan-iolo Michele,il quale è capo della celefle militia,& protettor ella Chi eia tonta. Come adunque mi vorrete negarli voftro touore richiedendoucne io per toruigio della Chieto, &ad honore di chi.ci rapprefonta Dio in terra ? Siamo all’anno tonto,& io con la pouera vccchierella, che . offerto DEL MVTIO'LIB. IIII. tp ófferfe alla calìa delle limoline i due quattrini grati a Dìo lo-pra tutti i doni de’ricchi, defidcro offerir della-pouertà del "mio fpirito cucila poca limofina, che per me fi può allo fori gno del Teforo di Chrifto. Nelle fette Chiefe di Roma fono altari riferuati al Papa,che altri celebrar non vi può melili : tic quello loro priuilegio gli tiene poueri, & abbandonaci fenza preghi,fenza cerimonie,& fenza fàcrificii.Gride accrefcimen to di deuotione a me parrebbe, che folle per dare, che Sua San tira incòminciafle quefto anno fanto,& andafle continuando per glabri di andar vna volta l’anno perfonahnéte a celebrare meda i dì folcimi di quelle Chiefe iopra que’fànti altari Que-fta cofa farebbe di tanta fefta,& di tanta confolatione fpiritua le al popolo di Roma, & a chi vi fi trouaiìe di forchi eri, che non sòoual maggior fi polii imaginare, vedere il Papa con la Correide-CardimUe d'altri grandi andare a quelle feftiuitàxc lebrar mefìà pu blfcaméte nel cofpettodi tutto il popolo; dar la fua sata beneditione,donare indulgétie. Giubileria la Città tutta. Trióferiano quelle Chiefe, e faria come vn rinouar tati giubilei,& tante beneditioni ne harebbe Sua Santità da tutte le genti,che di altra operation non mi sò imaginare,che altrcc tante ne folle per confeguire, ne lolamente da quelli,che vi” nono : ma da quelli ancora che verranno dapoi, percioche con perpetua lode quanto durerà la vita del mondo farebbe celebrata la fua memoria come di autore di vna tanta deuotio ne. Cofa non farebbe quefta di molta fatica,ma bene aDio grata,a’ fedeli di molta fatisfàtione,& beneficio, & à Sua Santità di honore al inondo,& merito prefio à Dio. Prego io adunque, & (come ho detto ) richieggo come per debito V. S. Illuftrifs. che alle orecchie di S. Santità fia contenta di porger quefto mio fpiritual ricordo fupplican-dola che degni accettarlo come da animo di femplice Chri-ftiano, che riuerente bacia i fuoi fanti piedi. Sono parecchi giorni, che io venni a (farmene in recreatio ne col Signor Lodovico Capponi ad vna fua villa tra Fio. renza,5c Siena detta la Paneretta,con intention di andai affo riuerenza .*52 DELLE LETTERE riuerenzaa’Sereniffimi Gran Duchi,& Duchefla di Tofrana» & poi tornare a far Natale a Roma ; & al tempo,che io vi do-ucua andare hebbi noUella dèlia loro partita: Et poiché mi fono trouato in quefte parti non ho voluto far quella ingiuria a me. ( hauendo maffimamente hauuta di me nouella) di non far quello officio, & (lutito del loro ritorno ci venimmo l ai-tr’hieri. Et non trouandbmun edere di poter partirmi di qua dalle fede non fon voluto mincar di tafananti il principio dell’anno con quella lettera,quello che venendo .fatto harei perfonaimente. 11 Signor Lo dovilo Capponi, che fa molta profeffion di efler feruidor di V 5. jlludriiììma,& io infreme le baciamo le mani pregandole dal Signore quello, che ella defidcra. .Dalla Paneretta idi ij. di Dicembre 1574. ALL'ILLVSTRISSIMO et eccellentissimo S1G. 1A COMO EVO N COMPAGNO . ANTA è quella óbligation,che io mi fen to hauere a Vodra Eccellenza della tua in--terce tifone, & a S. Santità della Ina gratia., che non potendola èlprimere,me la nferbo ndl animo .per renderne tedimonianza in ogni occalione, lo ( la Dio mercè ) idn ri--dotto atermine, che fon fuori di lofpetro di ogni impedimento di membro e mi trono co'i (incero mio intelletto. Mi rimane quàlche.dcbilità del corpo della quale fperodi indorarmi conTandarea dare in Villa traFiorcnza, Siena co’l Signor Lodouico Capponi gentil htioino corte-fidìmo & mio grandillìmo aiiiico ; quindi in quindici giorni {pero di poter mettere in ordine le mie battaglie per publi-carle a beneficio degli liudiofi diqueda lingua: poi Ipererò anchedi fir delle altre cofe 5 & in ognitempo farò femprefer nidore a Vodra Eccellenza. Alla quale baciando le mani prego il Signore Dio,che le.doni ogni contentezza. DÌ Fiorenza alli 2 2. di Ottobre 15 7 5, * IL FINE. D IIP 2 MUZIO Lettere 101303923 ' <