Esce una volta per settimana il SabbatO.— Prezzo anticipato d'abbonamento annui fiorini 5. Semestre in proporzione.— Li'abbonamento non va pagalo ad altri che alla Redazione. 1: DUINO. Neil'inlimo seno del golfo di Trieste, là dove i monti calcarei del Carso, tra le colline arenarie di Trieste e la pianura del Friuli, scendono per toccare il mare, sopra un masso che s'erge a perpendicolo sull'acqua, all'altezza di quattordici tese da quesla, sorge il castello moderno di -Duino, opera del secolo XV dei conti Walse, austriaci, quando tennero in feudo dai duchi d' Austria tutto il Carso, tutto il triangolo di paese posto fra Duino, Fiume ed Adels-berg, ampliato dai conti della Torre. Presso a questo nuovo Duino, sovra dirupo che isolato s' alza dal mare, e poco discosto dall' altro veggonsi te rovine del castello più antico che pure ha nome di Duino, residenza di una casa che per due secoli ha figurato grandemente nelle vicende del Friuli e di Gorizia, di una casa che, vassalla _ dapprima dei Marchesi d'Istria, lo fu poi dei Patriarchi di Aquileia, indi, rinunciata la fede di questi, si dichiarò vassalla della Serenissima Casa d'Austria, estinta poi nel 1395 in Ramberto'che fu l'ultimo della sua casa. Pochi luoghi ebbero tanta celebrità quanta Duino: il navigante lo vede da lunge, e prende a faro il palazzo, nelle sue corse per la costiera; il viandante vi passa con rispettoso terrore supponendo chi sa quali sevizie e torture ed uccisioni praticate dagli antichi castellani, e la fantasia giunge fino ad orrende uccisioni di figli se visitate le sale interne, e veduti i ritratti colossali degli antichi Torriani signori di Milano, crede che i prigionieri posti presso al cavallo di uno di quelli sieno i figli calpestati ed uccisi a zampa di cavallo dal padre snaturato. Il naturalista saluta con rispetto la torre sulla quale il P. Bianchini, servita, faceva memorate osservazioni elettriche, e le pendici ove, rigogliosa, dura perenne la vegetazione di climi meridionali ed esercita la mente nel trovar ragione delle singolari conformazioni geologiche, di caverne, di acque. L'antiquario più che nelle rovine del vecchio Duino, s'aggira intorno la torre quadrata del nuovo che riconosce di epoca lontana, e pei ruderi dell'antico Pucino, il cui vino piaceva tanto a Livia moglie di Augusto imperatore, e cerca nelle paludi le traccie dell' antica lanterna che additava il porto del Timavo ai naviganti, e le rovine del tempio di Diomede tracio, e di quello della Speranza Augusta, e le terme celebrate da Plinio, e quel maraviglioso Timavo che quantunque breve di corso, fu celebrato al pari del Nilo da poeti e prosatori, e la terra e l'acqua che furono toccate da Castore e da Polluce, da Medea e da Giasone, dagli Argonauti e da Antenore co'suoi Troiani, e richiama alla memoria le.celebrate razze dei cavalli traci, o i i racconti di incredibili prodigi.—Lo storico alla vista di queste regioni, va lieto nel riconoscere qui appunto il confine lungamente durato tra Istri e Veneti, fra Bizantini e Longobardi; ricorda come da queste rupi dovesse gettarsi in mare il patriarca Calisto per repentino decreto del duca longobardo, con miglior senno quindi rivocato, e riconosce nel Timavo il confine di quella maravigliosa Repubblica che aveva per territorio le Lagune da Duino all' Adige, e che surse a potenza tale da rovesciare l'impero dei Bizantini e raccoglierne quattro parti e mezzo degli Stati, e dirsi duca di Croazia e Dalmazia, e divenire regina dei mari, ed antemurale della Cristianità contro l'Ottomano, "e perire di vecchiaia, spossata, ma onorata, come prode uomo che cede al lento operare di leggi fisiche; ricorda lo storico la potenza terrena dei Patriarchi d'Aquileia, che furono duchi del Friuli fino alla Livenza, marchesi d'Istria, marchesi del Carnio e che ebbero vaste possidenze fino alla Drava e fino alla Culpa, potenza che non potè resistere più di duecento anni alle novità che dintorno a lei e nelle proprie possidenze si sviluppavano. E se più addietro spinge la memoria, ricorda il piano del Friuli e lo strette dei monti siccome campo di lòtte fra Carni e Veneti, fra Romani e Barbari, fra Romani e Romani che nelle guerre civili preparavano la caduta di quell' immane colosso qual si fu 1 impero Romano. Quindi con orrore ricorda la distruzione di Attila e le incursioni dei Longobardi. — L'uomo di chiesa risale col pensiero a s. Marco, primo banditore del Vangelo, ai santi Ermagora e Fortunato testimoni per quella fede che da Aquileia doveva bandirsi, e lo fu per amplissime regioni, e con venerazione bacia la terra irrorata del sangue di tanti martiri, sulla quale sursero templi, in cui risuonavano fino da tempi più remoti gli inni di laude, le invocazioni di misericordia, dalle bocche di sacre vergini, di santi monaci; ricorda i santi Padri della chiesa Aquileiese, Girolamo e Rufino, lo scisma dei tre capitoli, i due Patriarcati, le insigni abbazie, e sparge una lagrima nel vedere le due patriarcali basiliche, che riempierono di sè tante pagine di storia, ridotte a semplici parrocchiali ; deserti gli antichi chiostri, celebratissimi, incerto perfino il luogo ove già stettero. Qui poche regioni, offrono, come quelle che veggonsi da Duino, tanto campo di celebrità. L'antica roccia di Duino, che non potrebbesi dire castello, è di piccola dimensione; una torre a guardia di ingresso e per esplorare, racchiudeva in sè piccolissima cappella, della quale dura ancora qualche affresco; stanze disposte all' intorno di piccolo cortile, e costrutte sull'orlo del masso che sporge sul mare ; altro non rimane di quella casa, il penultimo abitatore della quale, tigone di Duino, fu il primo capitano che i duchi d'Austria diedero alla città di Trieste, allorquando nel 1382 si diè in volontaria sudditanza. I signori di Duino, che erano vassalli dei patriarchi di Aquileia, per le terre che ebbero dai marchesi d'Istria, cui i patriarchi succedettero, non avevano questa rocca soltanto, ma il Carso tutto ed il castello di Prem sul Timavo superiore, e furono capitani generali, o comandanti d'armi dei conti di Gorizia. Quando cominciò a dominare questa casa, malagevole sarebbe il dirlo; ma non si andrebbe grandemente errati supponendo che cominciasse quando dopo la battaglia data presso al Timavo nel 1112 si paciGcarono il marchese d'Istria in guerra allora col conte che aveva usurpato la penisola. Le credenze volgari incolpano di frequente il cessare di illustri famiglie, qualche celebre misfatto o qualche religioso usurpo. Registrassi un fatto soltanto. Presso a S. Giovanni del Timavo vi aveva antica abbazia, celebre per santità di vita di quei cenobiti, e per ricchezza di sacre reliquie. Scaduta per l'iniquità dei tempi (XI secolo), 1' avevano rifatta i Patriarchi di Aquileia ed unita a quella della Belinia; ma tornata in squallore, i signori di Duino, siccome patroni, presero possesso dei beni, nè più restituirono il monastero. Estinta la casa dei signori di Duino, nel 1395, le possidenze loro ricaddero all'alto padrone, perchè feudali; e i duchi d'Austria ne diedero investita ai Walse, loro favoriti, il primo dei quali fu Rodolfo; nè ebbero soltanto Duino, ma Adelsberg, ma Prem dai Principi austriaci; ma Castua, e su Fiume medesimo sembra avessero diritti signoriali. I Walse abbandonarono 1' antica rocca di Duino, e costrussero il nuovo castello accanto ad antica torre romana, alla quale congiunsero il nuovo edifizio; presso al castello si formò il borgo lunghesso la strada che veniva dal porto di mare, e vicino la strada da Aquileia a Trieste, che a forza fu fatta toccare il borgo di Duino; il borgo medesimo fu cinto più tardi di mura. I Walse non risiedevano costantemente a Duino, essi vi tenevano capitani (perchè Duino era castello a difesa di confine) e furono capitani per loro i Baumburger. Del tempo dei Walse è memorabile il cangiamento avvenuto nel governo di chiesa in quelle terre eh' erano di loro giurisdizione sul Carso; perchè in luogo di plebani e di vicari capitolari, vollero dessi instituire parochi, e pretesero di nominarli, nel che anche colla violenza riuscirono. Estinti i Walse, ricadde» Duino agli Arciduchi che lo tennero in propria amministrazione, preponendovi capitani temporanei, frequentemente gli stessi capitani di Trieste; poi la capitaneria venne dafa a Giovanni Hoffer, morto intorno il 1544 guerreggiando contro i Turchi, indi a Mattia Hoffer, ultimo maschio dì sua- stirpe uscito di vita nel 1587;, poi subentrarono i Torriani-Valsassina che lo ebbero ^ proprietà nel 1669 per Ubera compera. Erano gli Hoffer tirolesi di origine, trapiantati in Gorizia» nella quale Contea erano signori di Vipulzano, graditi agli ultimi conti propri di quello Stato., Erano i Torriani milanesi di origine, signori ^ella Valsassina, da cui traggono tutto il giorno il predicato, ed erano già potentissimi baroni di Lombardia. Allorquando nel 1237 Federico II imperatore batteva in giornata campale i Milanesi, questi erano sos- tenuti da Pagano della Torre che tre anni più tardi fu fatto capitano del popolo, ed aspirava a quella Signoria, cui pare agognavano i Visconti. Nel 1277 i Visconti facevano prigione Napoleone della Torre; nel 1311 i Torriani per trama dei Visconti, assaliti nelle loro case e cacciati da Milano, cercarono rifugio in Friuli, nel quale Raimondo della Torre della stessa famiglia, sedette patriarca e principe dal 1 '^73 al 1299, ove pur sedettero Gastone della Torre dal 1316 al 1319, Pagano della Torre dal 1316 al 1332, Lodovico della Torre dal i 358 al 1365; ed in Trieste si riebbero i Torriani dalle sventure patite con novelli feudi dati dalla chiesa di Aquileia, colle cariche di stato, di chiesa, colle armi. I Torriani se non ampliarono, ristaurarono Duino in modo da rinnovarlo specialmente nell'occasioue che l'imperatore Leopoldo nel 1660, diretto a Trieste, trattenevasi qualche giorno in questo castello, dacché della casa Gonzaga era l'imperatrice, moglie a Leopoldo, e della casa Gonzaga era la moglie del conte delia Torre o'i allora, vicina parente della imperatrice. I Torriani chiamarono in Duino una famiglia di Padri Serviti nel 1590, e vi fabbricai ono convento e chiesa, arricchita di indulgenze da papa Sisto V, cui il conte Raimondo della Torre era be-neviso. Altro palazzo avevano i conti della Torre, precisamente sulle sorgenti del Timavo, sulle rovine di antico Ninfeo, ma preferirono questo di Duino, ove tenevano sala d'armi bene guernita, anche di antiche armature, tolte nel 1809 dal governo francese, e propria guardia armata, siccome castellani ; a S. Giovanni tenevano razza di cavalli, che poi fu dismessa. La fama che vorrebbe Duino provveduto di sotterranei, orridi, micidiali, che vorrebbe sotterranee comunicazioni, è bugiarda del tutto; se l'esterno aspetto verso la strada si eccettua, e la torre di guardia, Duino non è che un palazzo signorile il quale dalle angustie e dalla conformazione del masso sul quale sorge, riceve tale aspetto da mostrarsi pittoresco e gradito oltremodo, prominente com' è sul mare, in tale altezza e con libere veduta sui monti e colli dell'Istria, sul seno di Trieste, sulle pianure del Friuli, sulle lagune per entro alle quali vedesi ad occhiò libero Grado e Caorle, e vedegi sotto certe combinazioni Venezia. Egualmente bugiarda è la fama di atti di sangue,di crudeltà baronali, male giustificate da piccola prigione per prima detenzione di malfattori. L'interno del castello è disposto a palazzo, e gli stucchi di due stanze, ove già. diinorò Leopoldo I, sono degni di memoria del paro che qualche quadro; bella è la scala a chiocciola; il castella ha cappella nel cortile interno, e yì risiedeva già cappellano domestico; v'era cavallerizza, da lungo dismessa, e serra di piante. Nel convento dei Serviti', dismessi per legge generale nel 1783, degni di visita- sono i dipinti del già refettorio ; . nella chiesa, che è sotto 1* invocazione della Santissima Trinità, vi ha quadro ad olio, rappresentante s. Giovanni, opera della principessa de Hohenlohe chè di casa Torriana ; dì lei pure, e del Torainz sono le nuove pale nella chiesa di S. Giovanni al Timavo. Duino era dimora solita dei conti della Torre, però il terzultimo, il conte Raimondo, che fu governatore di Gorizia e primo commissario per l'acquisto d'Istria e Dalmazia, preferiva altro palazzo, siccome lo preferiva S. E. il conte Giov. Battista consigliere intimo di«' S. Maestà; vi faceva dimora il conte Raimondo colonnello di cavalleria. Duino è porto di mare, frequentato pel movimento verso Gorizia, ed ha dogana; altra volta dogana e porlo eranvi a S. Giovanni del Timavo, ove tenevasi fiera; passati poi in ragione dei conti della Torre, per acquisto dal capitolo di Aquileia, i Torriani trasportarono la dogana a Duino, divenuta poi regia. Memorabile di Duino si è, che allorquando trattossi di aprire porto franco austriaco nell' Adriatico entrò esso pure in lizza, e non senza qualche ragionevole pretensione. (Vedi Incisione). LETTERA DEL CANONICO CONTE BERTOLI su d'una lapida scoperta in Trieste l'anno 1756. M • D • M • 0. PVBLICIVS CHABITO SACERDOS • T C • PVBLICIVS HERMES ^EDITVVS ET SECYNDA CYMBALI3TRIA Questo marmo fu non ha guari scoperto nella Città di Trieste, ove presentemente ritrovasi appresso i Signori Piccardi Patrizj di essa Città, assai ben lavorato in figura esagona, cioè di sei angoli, e sei facciate. Sopra una di queste sta incisa l'Iscrizione, e sopra l'altre due laterali scorgonsi i vasi del Sàgrifizio, cioè la "Patera,,, e '1 "Siinpulo,, o vogliasi dir "Simpuvio,. Festo lo chiama Simpulo: "Simpulum vas parvum, non dissimile cyatho, „quo vinum in sacrificiis bibebant; unde mulieres rebus a divinis dedilae Simpulatrices dicuntur„. E "simpulum, lo chiama anche Varrone lib. IV. "de ling. Iat.„ pag. 31. Plinio "Hist. Nat. lib.„ XXXV. cap. XII. lo chiama "Sim-puvio: In sacris pridem etiam has opes, non murhinis , crystallinisve, sed fictilibus prolibabatur simpuviis,. Così fa anche Nonio cap. XV. num. XII. dove dice che ve ne erano anche di legno: "Simpuvium est vas ligneum„. Della Patera si ha presso Macrobio lib. V. 21. "Pantera; ut ipsum nomen indicio est, poculum planum ac „ patens est,. Con questa i Sacerdoti spargevano il vino fra le corna delle vittime. Così Virgilio nell' Eneide lib. IV. V. 60. "Ipsa tenens dextra paternm pulcherrima Dido, „ ( andenti vaccae media inter cornua fundit. E con questa raccoglievano il sangue delle vittime scannate, come si ha presso l'istesso Virgilio nel lib. VI. V. 248 della stessa Eneide: „ Supponunt alii cultros, tepidumque cruorem , Suscipiunt pa/eris. Nelle tre sigle M. D. M. del primo verso di questa Iscrizione, le quali frequentemente s'incontrano in altri marmi, e che sogliono spiegarsi *Magnae Deum Matri,, ognuno può ravvisar la Dea C'bele, cognominata Idea, Frigia, Dindima, Berecintia, Entea, Migdonia, Pisinunlia, Fanatica, e che so io. E fu creduta esser la Terra, cioè "Ope; Tellurem putant esse Opem,, disse S. Agostino « de Civit. Dei „ VII. 24. Ma se qui volessero ridirsi le cose, che intorno a questa favolosa Deità sono state dette dai Poeti, da' Mitologi e dagli Storici sacri e profani, non si finirebbe mai. Sopra quest' Ara può credersi che fosse anticamente la statua di Cibele, al cui culto scorgonsi destinati " Q. , Publicio Charito, o Charitone, C. Publicio Hermeté, e „ Seconda „ nel Tempio, in cui dagli antichi Triestini ve-neravasi questa Dea. Che vi fosse anticamente in Trieste il Tempio della Dea Cibele, può argomentarsi da quella parola " aedituus „ aggiunta al nome di C. Publicio Her-mete; mentre " aedituus „ è lo stesso che Custode del Tempio: "yEdituus erat sacrae aedis tuitor,, dice Festo. e Varrone "de ling. lat.„ VI. 2. "A quo (cioè dal verbo " tueor) etiam dicunt illum, qui curat aedes sacras ,. Sacerdote di esso Tempio era " Q. Publicio Charito, Sacer-„ dos T., la qual lettera T penso che voglia dir "Templi,,, quando non volesse dir, che non credo, "Telluris,, o "Tergeste,, o altra cosa, che ora non mi viene in mente. Bensì i "nomi, di questo Sacerdote, e di questo Edituo nel Tempio di Cibele, mi fanno passar per mente que' "nomi,, degli Editui e de' Sacerdoti nel Tempio di Baal, de' quali in Sofonia Prof. cap. I. si ha: "Disperdam de loco hoc „reliquias Baal, & nomina aedituorum cum Sacerdotibus,. Gli Editui in idioma Greco diceansi "Neocori, della qual voce però servironsi talvolta anche i Latini. Così in " Firmic. de error. prof. relig.„ cap. 14 si ha: "Serapis t in JSgypto colitur. Hujus simulacrum Neocororum turba „ custodit„. Con questa istessa voce appellavansi ancora le Città o popoli, nel cui suolo vi fosse qualche Tempio comune a tutta la provincia e celebre per i pubblici giuochi e panegirici; imperciocché dette Città o popoli ponevano ogni lor studio, perchè col mezzo di sacrifizi, e sagri certami essi lor Templi si rendessero celebri. Così in un'antica Medaglia di M. Antonio Triumviro gli Efesii chiamansi "Neocori,, perché in Efeso eravi il Tempio di Diana, in cui onore solennizzavansi e giochi e sagrifizj dal comune degli Jonii. Nel medesimo Tempio in Trieste "feconda, avea l'incombenza di suonare i cembali, e perciò viene chiamata " Cymbalislria,, in quella guisa che una suonatrice di timpano dicesi " tympanistria,, una che suoni la cetera " citharistria ,, quello che suonava la lira " lyristria,. L'offizio di suonare i cembali ne'Templi, e ne' Sagrifizj della Dea Cibele, è già noto; ma non é già nota la voce " Cymbalistria „ nelle Lapide antiche dei due Tesori Gruteriano e Muratoriano, nè forse in altre Raccolte di Lapide, non avendo potuto per quante diligenze io m'abbia fatte trovar menzionala veruna Cym-balistria se non in questa Lapido, pregevole anche per questa singolarità; benché per altro presso gli Scrittori trovinsi nominate le Cimbalistrie, e particolarmente presso Petronio c. 23. " Intrans " Cymbaislria, & concrepans aera, „ omnes excitavit.....Adjuvit hilaritatem comessantis Cym- „ balistria„. I cembali erano di rame, come si ha anche dal Pignoria "de Servis„ cap. XI. deve egli li descrive, e n'adduce anco la figura copiata da marmi antichi, ed e-rano concavi a guisa di scodelle, dello quali pigliandosene una per mano, e percotendole una coli'altra for-mavasi quel "tinnito,,, di cui Virgilio lib. IV. Georg., V. 64 disse : " Tinnitusque eie, & a3fatriss quate cymbala circum. Sotto la parola "Ma tris „ intendesi la "Gran Madre CibeleB, siccome averte fra gli altri il Willichio nei suoi dotti Commentarj sopra la Georgica. Può osservarsi come San Paolo "Ep. I. ad Corinth„ chiama questo sonoro i-stromento in numero singolare dicendo: "Factus sum ve-„ lut aes sonans, aut cymbalum tinniens„, dove che viene chiamato da altri scrittori in numero plurale, tra quali Catullo I. XII. 19. "cava cymbala recrepant„; Fulgenzio "Mytolog.„ I. 14. "Duo labia velut cymbala verborum B commoda modulantia„; Fornuto dipingendo il Dio Como, "ut inanus cyinbalurum more percussae, consonae fiantB; Sant'Agostino sopra il Salmo CXXX. "Cymbala invicem „ se tan gunt, ut sonent; ideo a quibusdam labiis nostris „ comparata suntB. Il tinnito formavasi con due cembali, e per questo fu usato il numero plurale. Quindi S. Gregorio Nisseno cap. IX sopra i Salmi ebbe a dire:."hoc „ enim modo ostendit cymbali cum cymbalo collisio,,. Nel-1'Opera di M. Ellis membro del Parlaménto d'Inghilterra, intitolata "Fortuita saoi-a, quibus subjicitur Commeutarius * de Cymbalis„, uscita dalle stampe di Rotterdam nel 1727 ricca di erudizione, di ricérche, e di critica, i primi otto Capitoli di esso Commentario soni» impiegati a farci sapere, che i Cembali erano due bacini ordinariamente di rame, da'quali gli Antichi traevano suoni diversi: e a dimostrar questo fatto egli vi fa' concorrere la Storia, la Fisica, l'Astronomia, l'Anatomia, e l'Architettura, Quindi egli passa ad annoverar quali delle favolose Deità più godessero di questa sorta di Musica, mettendo in primo luogo la' Dea Cibele. La maniera di servirsene, soggiunge egli, consisteva in battere metòdicamente i bacini l' uno contro l'altro. Questo esercizio domandava senza dubbio molt'àrte, agilità, ed uso; perché il suono di questo istro-mento non poteva variare, e formare una grata armonia, senon Yju-iando con metodovl'.urto "dei bacini, e'1 Musico non potea farsi considerar con piacere, senon battendoli con vivacità, con destrezza, o con grazia; mentre l'aria compressa dall'incontro più o meno presto, e più o.meno gagliardo delle due concavità, rerideva un suono più o m^n delicato, o forte. Benché il Cembalo si usasse nei Sagrifizj di Cibele, ella "però suol vedersi rappresentata sì lie'marmi, come nelle medaglie con in mano non già il Cembalo, ma il "Timpano,,, il quale era uri istromenio differente dal Cembalo, come si ha anche da Lugrezio Caro lib. U. v. 620, dove dice: ' ' . K i • * ■ «V * fj.' i. 'V* Lì ■ ;,. . : ■•.■' ; ■ '•• -i - ., f'$"- «iirlii-t/ *«Jn,■!»!>!• ,-.:.. . .! ».ijM-i V: '«i .'.»:••.•;• " Tympana tenta tonant, & Cymbala circum " Concava. E rome si vede presso il suddetto Pignoria nel citato cap. XI. cioè a dire era un po'simile a un crivello coperto da una parte di cuojo d'asino, come ricavasi dai seguenti versi di Fedro III. 20. 4. „ Galli Cybcles circum quaestus ducere „ Asinum solebarit bajulantem sarcinas. „ Is cum labore & plagis esset mortuus, „Detraeta pelle sibi fecerunt " tympana „. I Simile istroinento suol adoprarsi anche dalle zitelle d' oggidì, adornato di sonagli, al cui suono costumano di ballare, ed è chiamato da esse non già "Timpano,,, com'è chiamatoli testé descritto, ma "Cembalo, talché anche elle potrebbero chiamarsi "Cimbalistrie„ al pari di "Seconda,, menzionata in questo marmo. La Dea Cibele in somma era venerata per la "Gran Madre de'Dei„ non solamente nella Città di Trieste, dove fu ritrovato esso marmo a lei consagrato, ma, con»'è noto, da per tutto, e particolarmente anche in Atene, come si ha ne' Caratteri di Teofrasto, tradotti in lingua Frencese, dell'ultima bella edizione; di essi fatta in Parigi nel 1740 al cap. XXI. dove egli, introduce uno, che dopo terminato il suo Magistrato parla agli Ateniesi in questa guisa : "Nous „pauvons vous assurer, o Atheniens, que pendant le temps „ de nolre gouvernementnous avons sacrifié à Cybele, & quo „nous lui avons rendu des honneurs tels que les merite „de nous la Mère des Dieux. Esperez donc toutes cho-„ ses hereuses de cette Diesse „. Dall'Ara eli Cibele passo a quella di Venere, che è la qui seguente: ' V E N E R I A V G POPI L L I A- L- F MAR C E L L IN A , ATTIA :- MATER ORNAMENT- EIVS : EXORNAVIT Dopò la -scoperta di. tante 'Lapidi appartenenti affé Deità adorate dagli antichi' Aquilejesij = quante veggonsene nella mia Raccolta, eccone qui finalmente una, che è la prima a farci sapere, avere anch'eglino come 1' altre nazioni idolatre adorata Venere, Questa mi fu non ha guari -mandata-in copia dal dotto-e cortese sigv;Ab. Guerra ora Canonico di Cividale, coli'asserirmi, che fu discoperta pòco lungi dalla casa di sua abitazioni nella Villa del Moniste-rio un miglio distante dalla Città d'Aquileja. < » .ri '(Continua.) ,.:.: :■. » ui|fita M|&f tisfnmj.Kj ■ ' : : ■ ■■ ' '. ■/) !.,■> i . ' Tipografia del Llojd Austriaco. Redallofe Dr. liandler. •■ • '