ACTA HISTRIAE VII. ricevuto: 1997-11-21 UDC 316.343.32(450.34 Benetke)"16/17" IL NUOVO PATRIZIATO VENEZIANO: CRITERI DI SCELTA E LOGICHE DI COMPORTAMENTO Roberto SABBADINI IT-50122 Firenze, Via Ghibellina 107 SINTESI Questo contributo intende esaminare in maniera estremamente sintética e riassuntiva il problema dell'aggregazione di nuove famiglie al patriziato veneziano nella seconda metà del Seicento e la loro successiva integrazione politica e sociale, utilizzando come chiave di lettura l'ipotesi di una coesistenza in antico regime di poteri informali accanto ai consolidati poteri istituzionali. Si è cercato di individuare tale coesistenza dapprima nella logica che orientava il patriziato veneziano nella scelta delle famiglie da cooptare, ipotizzando che costituisse uno strumento per utilizzare e convogliare verso il centro politico le relazioni di potere delle singole casate. In secondo luogo nella logica che guidava il comportamento dei nuovi patrizi nel loro percorso di integrazione, dove il raggiungimento di importanti incarichi istituzionali appare come la risultanza della capacità di esibire, a vari livelli, l'onore e la 'qualità' della famiglia. 1. Nel 1646 la Repubblica di Venezia, sottoposta alia duplice pressione della ricerca di finanziamenti per sostenere la guerra antiturca e alla necessità di porre rimedio al calo demografico del ceto nobiliare,1 decise di ammettere a far parte del proprio patriziato le famiglie che avessero versato nelle casse dello stato la somma di centomila ducati. Tra il 1646 ed il 1669, gli anni della guerra di Candia, ottanta famiglie risposero all'appello della Repubblica. Il provvedimento venne riproposto durante le due guerre di Morea (1684-1699 e 1716-1718) ed altre quarantotto famiglie poterono cosí fregiarsi del prestigioso titolo. Alla fine furono centoventotto le nuove case patrizie: cittadini originari, nobili della Terraferma, mercanti (Davis, 1962, 110-113; Cowan, 1985; Sabbadini, 1995, 33). La decisione di aprire un corpo tradizionalmente chiuso, e le proporzioni che il fenomeno assunse, non sono prive di importanti risvolti problematici. Si trattava 1 II numero dei patrizi maggiori di venticinque anni oscilló intorno alie 2500 persone fino agli anni Settanta del Cinquecento; poi inizió una costante diminuzione che lo portó a 2090 nel 1609 e a 1660 nel 1631 (Davis, 1962, 54-57). 495 ACTA HISTRIAE VII. Roberto SABBADINI: IL NUOVO PATRIZIATO VENEZIANO: CRITERI DI SCELTA E LOGICHE ..., 495-504 infatti di inserire nuovi gruppi sociali all'interno delle istituzioni, di condividere con altre famiglie un potere che era stato a lungo gelosamente custodito, di ammettere ad esercitare la sovranità coloro che per nascita avrebbero dovuto esserne esclusi - perché questo voleva dire conferire la nobiltà in una repubblica aristocratica. Ma per l'aristocrazia della Dominante decidere di coinvolgere e cointeressare al governo della repubblica altre famiglie, significava anche rapportarsi, e in un momento cruciale della sua storia, al proprio stato. Le scelte attuate in questa circostanza diventano dunque particolarmente rivelatrici ed offrono una nitida immagine del modo in cui il patriziato veneziano percepiva il rapporto con il proprio dominio ed i propri sudditi. In questa sede vorrei limitarmi a proporre alcune rapide considerazioni, pren-dendo in esame due distinti percorsi di ricerca: i criteri ai quali obbediva la scelta delle famiglie con cui venne ampliato il corpo aristocratico; la logica che guidava il comportamento di queste famiglie una volta ammesse all'interno del patriziato veneziano, per giungere, infine, ad una riflessione di carattere generale sul rapporto tra famiglia patrizia e istituzioni a Venezia. 2. Si puo partire dal bilancio che la classe dirigente della Repubblica aveva tratto da questa esperienza, dalle decisioni che vennero adottate nel momento in cui, nella seconda metà del Settecento, il calo demografico del patriziato si presento di nuovo come un problema non più prorogabile.2 Il dibattito scaturito in quell'occasione, le decisioni allora assunte, fanno risaltare per contrasto il tenore delle scelte compiute più di un secolo prima, e permettono di evidenziare sia le limitazioni di fondo cui furono sottoposte, come anche la loro dirompente portata. Nella seconda metà del Settecento le autorità veneziane ritennero infatti di dover percorrere ancora una volta la strada delle aggregazioni e nel 1775 venne avanzata e poi, non senza riserve e difficoltà, approvata la proposta di una aggregazione "tutta nobile e facoltosa", come si era espresso uno dei cinque correttori, Alvise Zen.3 Si decise cioè di far accedere al Maggior Consiglio, nei successivi vent'anni, fino a quaranta famiglie della Terraferma che potessero vantare quattro gradi di nobiltà e disporre di una rendita annua di diecimila ducati sottoposti al vincolo del fedecom-messo. Questa nuova aggregazione doveva essere "facoltosa", perché si trattava ora di coprire i vuoti creatisi nel patriziato medio-alto e non si poteva correre il rischio che le nuove famiglie, impoverendosi, come era in larga parte avvenuto con i precedenti aggregati, andassero ad ingrossare la già cospicua fascia del patriziato povero, con il rischio di sovvertire gli equilibri interni del Maggior Consiglio. 2 II numero dei patrizi abili al Maggior Consiglio scenderà dai 1750 del 1715 ai 1518 del 1769 fino ai 1090 del 1797 (Hunecke, 1991, 288 e seg.; Beltrami, 1954, 71-75). 3 La relazione dell'intero dibattito tenutosi in Maggior Consiglio si trova in Archivio di Stato di Ve-nezia (ASV), Correttori alle Leggi, b. 3, Relazione delle cose occorse in Maggior Consiglio nella Correzione dell'anno 1775 e delle dispute in esso tenute per la nuova aggregazione alla Nobiltà Veneta estesa in dieci lettere da N.B.V.P. [Nicolo Balbo Patrizio Veneto]; in particolare le lettere VII (4-28 febbraio 1775) e VIII (2-31 marzo 1775). Ampi stralci del dibattito in Venturi, 1980, 151-166. 496 ACTA HISTRIAE VII. Roberto SABBADINI: IL NUOVO PATRIZIATO VENEZIANO: CRITERI DI SCELTA E LOGICHE ..., 495-504 Doveva poi essere "nobile" perché si voleva che i nuovi fossero da subito in grado di sostenere delle cariche. Sembrava ora mancare quel tempo che, solo, poteva consentire a dei non nobili di educarsi alla virtù e a quelle massime del governo ve-neziano che i patrizi avevano invece "succhiato con il latte" - come si era effica-cemente espresso un avversario della proposta, Giulio Antonio Contarini. Ma doveva soprattutto essere "nobile" perché solo la drammatica circostanza della guerra e le improrogabili necessità finanziarie avevano permesso, un secolo prima, di abbattere una barriera resistente come quella del sangue.4 Anche in questa circostanza la risposta fornita dalla classe dirigente veneziana resto all'interno della tradizione. Non vennero infatti nemmeno prese in consi-derazione alcune delle proposte che la pubblicistica politica aveva elaborato ed avan-zato nel corso del secolo per porre rimedio ad un problema che, con il trascorrere del tempo, assumeva contorni e tinte sempre più drammatiche. Né quelle provenienti dall'interno del patriziato, come la riduzione dei membri del Maggior Consiglio -avanzata da Nicolo Donà -, che avrebbe alterato un caposaldo del sistema costi-tuzionale veneziano, il principio dell'eguaglianza tra i patrizi (Del Negro, 1986, 131135); né tanto meno quelle provenienti dall'esterno, ed in particolare dal nobile veronese Scipione Maffei, che invitava ad estendere l'accesso al Maggior Consiglio ad una rappresentanza dei corpi dello stato - città, feudi, comuni - dando luogo ad una costruzione organica e corporativa che coinvolgesse l'intero dominio, rimettendo in discussione dalle fondamenta il principio organizzativo dello stato (Maffei, 1797, 81-82; 112 e seg.). Il patriziato veneziano, pur dovendo far ricorso all'aiuto dei suoi sudditi, cerco di rimanere il più possibile fedele alla propria storia ed alla propria tradizione, anche se non vi riusci completamente. Se quello del 1775 non fu affatto un decreto corporativo ebbe pero una portata fortemente innovativa, dal momento che l'accesso al Maggior Consiglio doveva rimanere formalmente aperto per venti anni e si era inoltre parlato della possibilità che tali provvedimenti venissero prorogati, qualora al termine del periodo statuito i problemi che li avevano originati non avessero ancora trovato adeguata soluzione. La prospettiva di un'apertura e di un ricambio permanenti andava dunque gradualmente prendendo forma. 3. Lo strappo imposto alla tradizione nel 1646, la vendita della nobiltà per de-naro, da un lato era stato più netto e traumatico - e il fatto che non potesse essere riproposto in altre circostanze indica che solo l'emergenza della guerra e le necessità della difesa lo avevano reso possibile. Ma al tempo stesso aveva avuto carattere 4 II fatto che l'aggregazione dovesse essere nobile era talmente naturale da non aver bisogno di alcuna giustificazione. Secondo Pietro Barbarigo "in questi correnti pacifici tempi conveniva una nuova Aggregazione per rinforzo et aumento del Corpo Sovrano della Repubblica, e percio doveva ella essere tutta Nobile ed utile nel tempo medesimo". E se il rifiuto di estenderla ai mercanti veniva motivato col timore di provocare il crollo del commercio, era anche vero che si sarebbe perso "il principale oggetto per cui erasi determinata, cioè dell'essere tutta Nobile" (Alvise Zen) (ASV, Correttori alle Leggi, b. 3). 497 ACTA HISTRIAE VII. Roberto SABBADINI: IL NUOVO PATRIZIATO VENEZIANO: CRITERI DI SCELTA E LOGICHE ..., 495-504 eccezionale - legata alie drammatiche circostanze della guerra la possibilité di acquistare il titolo venne infatti meno quando il conflitto cesso. Ed era stata inoltre attentamente salvaguardata la forma; un primo decreto di carattere generale che prevedeva la concessione della nobiltà veneziana a cinque famiglie, istituendo un esplicito legame tra il versamento di una somma di denaro ed il conferimento del titolo, era stato infatti rigettato dal Maggior Consiglio.5 Solo nel momento in cui il negozio delle aggregazioni si tradusse nella forma di un tacito accordo tra la famiglia che offriva una somma di denaro alla repubblica ed il principe che decideva di ricompensarla con il conferimento della nobiltà, senza che questo nesso fosse esplicitamente affermato, il Maggior Consiglio dette via libera al provvedimento.6 Ma questa cornice formale della supplica e della grazia, istituiva una relazione personale tra il Serenissimo Principe ed ogni singola famiglia e riproponeva, in un contesto repubblicano, quel sistema di relazioni verticali che i principi sovrani ovunque stabilivano con i loro sudditi. Era dunque la famiglia che si presentava davanti al principe e alla repubblica, facendo valere ed esibendo la propria storia ed i propri meriti nel momento in cui cercava di ottenere la grazia della nobiltà. 4. In base a quali criteri vennero accettati o rifiutati i supplicanti e quali furono i settori della società cui i patrizi veneziani si rivolsero per ampliare il corpo nobiliare? Il primo quesito è quello che consente la risposta più semplice ed univoca. L'unico criterio che presiedette alla accettazione delle famiglie era infatti quello del denaro. Personaggi sospetti di ebraismo, mercanti che commerciavano beni considerati vili, negozianti che non avevano ancora assunto un ruolo di direzione esterna della loro azienda ma vi erano direttamente impegnati, ricevettero si una larga percentuale di voti contrari, ma riuscirono sempre ad ottenere la maggioranza necessaria per superare la ballottazione. E soltanto le suppliche che cercavano di aggirare il requisito del versamento dell'intera somma richiesta vennero rigettate (Sabbadini, 1995, 21-22). Un unico criterio discriminante dunque, il versamento dei centomila ducati. La necessità continua di denaro, il fatto che l'aggregazione si rivelasse la misura che meglio di ogni altra ne garantiva l'afflusso, l'abbassamento delle barriere psico-logiche dopo una iniziale resistenza, permisero di far accettare al Maggior Consiglio anche famiglie che difficilmente sarebbero entrate in qualsiasi Consiglio della Ter-raferma. Ci si puo comunque chiedere se tale eventualità fosse stata da subito messa in conto nei circoli patrizi che più decisamente e con maggior lungimiranza spin-gevano in direzione dell'ampliamento del ceto nobiliare. 5 ASV, Maggior Consiglio. Deliberazioni. Libro 39, Marcus, 4 marzo 1645 m.v. 6 Nella sua supplica Giovan Francesco Labia chiese "di essere fatto degno di poter offerire centomila ducati". Il Serenissimo Principe riconobbe in questo "atto spontaneo" un "merito estraordinario" e decise di "esercitare un atto non meno riguardevole e proprio della pubblica grandezza" conferendo al Labia e ai suoi discendenti la nobiltà. ASV, ibidem, 29 luglio 1646. 498 ACTA HISTRIAE VII. Roberto SABBADINI: IL NUOVO PATRIZIATO VENEZIANO: CRITERI DI SCELTA E LOGICHE ..., 495-504 L'idea iniziale era quella di aggregare almeno dodici famiglie, in modo che l'introito finanziario fosse tale da giustificare un provvedimento cosí dirompente; si pensava inoltre che il numero potesse salire sino a trenta o quaranta.7 Ed erano già stati fatti sondaggi in direzione di "persone assai ordinarie e bottegari danarosi".8 Naturalmente si cercarono dapprima famiglie la cui dignità e reputazione fosse tale da permettere che il provvedimento venisse accettato dal Maggior Consiglio senza soverchie opposizioni. E non dovette risultare facile se i primi accenni alla vendita della nobiltà risalgono all'agosto del 1645 e la presentazione del primo decreto arrivo solo nel febbraio successivo. "Stimo veramente che il non haver case degne sia il principal ritardo perché non ha dubio che chi vive con splendore spende et non ha contanti. Chi vive in una bottega puo avanzar et con più commodo fare una generosa spesa", aveva scritto Marc'Antonio Ottobon al fratello Pietro.9 Le case che avrebbero dovuto farsi avanti per prime, per le quali era stato pensato e proposto il primo decreto che parlava di cinque famiglie, erano dotate di titoli, prestigio e ricchezze e difficilmente avrebbero potuto essere respinte dal Maggior Consiglio. Si trattava dei Labia e dei Widmann, ricchissimi mercanti stabilitisi da tempo a Venezia, in possesso di titoli e dignità, relazioni e parentele; degli Ottobon e degli Antelmi, cittadini originari che avevano ottenuto più volte la massima dignità concessa a questo ceto, la carica di Cancellier Grande; dei Correggio, ricchissimi mercanti. Inizialmente il negozio dell'aggregazione sembrava essere limitato ai cittadini originari ed ai mercanti più facoltosi che operavano a Venezia. I primi nobili di Terraferma ad aggregarsi furono i vicentini Feramosca e lo fecero soltanto nel 1648, dopo che altre venti case avevano già aderito all'appello della repubblica.10 Ma il ceto nobiliare dello stato si era fatto avanti fin dall'agosto del 1646 con la proposta del conte Manin, la quale prevedeva che cento famiglie nobili della Terraferma, e ne aveva già in lista una buona parte, fossero aggregate alla nobiltà in cambio del-l'impegno a mantenere diecimila fanti e duemila cavalli a guerra finita. Proposta corporativa che non poteva essere accettata, sia perché numericamente troppo rile-vante, sia perché si temeva che "un giorno quelli di Terraferma cagionassero qualche disturbo contro quelli che governano in questa città".11 Correva altresí voce che al termine della guerra sarebbero state aggregate due case benemerite per ogni città di Terraferma;12 identica voce era già circolata negli anni Trenta del Seicento quando si 7 Tali informazioni sono contenute nelle lettere inviate dal nunzio apostólico alia segreteria vaticana il 2 settembre 1645 ed il 23 febbraio 1645 m.v. Archivio di Stato Vaticano (ASVat), Segreteria di Stato. Venezia, regg. 69 e 71. 8 ASVat, ibidem, reg. 69, 2 settembre 1645. 9 Biblioteca Apostolica Vaticana (BAV), Ottoboniani Latini, reg. 3241/2, 9 dicembre 1645. Sul carteggio tra Pietro e i fratelli cfr. Menniti Ippolito, 1996. 10 ASV, Maggior Consiglio. Deliberazioni. Libro 40, Vianolus, 7 febbraio 1648. 11 ASVat, Segreteria di Stato. Venezia, reg. 71, 17 agosto 1646. 12 ASVat, ibidem, 25 agosto 1646. 499 ACTA HISTRIAE VII. Roberto SABBADINI: IL NUOVO PATRIZIATO VENEZIANO: CRITERI DI SCELTA E LOGICHE ..., 495-504 andava profilando il problema del calo demográfico nel patriziato.13 Ma anche per le famiglie della nobiltà suddita, rigettando ogni istanza corporativa ed ogni provvedimento di carattere generale, sarebbe stata seguita la medesima logica che informava il negozio generale dell'aggregazione. Le famiglie si sarebbero presentate singolarmente con la loro offerta e non avrebbero rappresentato altro che se stesse. 5. Se l'accesso al Maggior Consiglio venne negato solo a chi offriva una somma inferiore a quella prevista e se il titolo nobiliare concesso ad alcune famiglie fece gridare allo scandalo, i governanti veneziani non smisero mai di ricercare contatti con case prestigiose, sollecitandone l'aggregazione. Sono due a mio avviso le prin-cipali direzioni che possono essere seguite per mettere a fuoco il disegno politico che guidava alcuni settori del patriziato; per comprendere in che modo il potere centrale guardava alle relazioni di potere delle singole famiglie e come pensava di utilizzarle ed incanalarle ai fini del suo rafforzamento. In primo luogo l'aggregazione delle famiglie nobili della Terraferma, che era "necessaria alle circostanze pubbliche della Patria poiché l'affetto e riconoscenza de' più grandi e potenti delle Città Suddite attratto avrebbe anche quello de Subalterni e questo condotto al centro ...".14 Le aggregazioni sembrano, a prima vista, rappresen-tare la continuazione ad un diverso livello di una politica già sperimentata, che mirava a creare fratture e divisioni nel contesto locale mediante la concessione di titoli e dignità; che cercava di sottrarre alla dimensione locale alcune famiglie, creando vincoli sempre più stretti con il centro (Povolo, 1992-93). E in tempi diversi, da subito alcune e più gradualmente altre, le maggiori casate aggregate saranno assorbite all'interno delle istituzioni ed entreranno a far parte a pieno titolo della società patrizia veneziana, sia impegnandosi nelle cariche politiche che tramite relazioni di parentela (Sabbadini, 1995). Se questo approdo ad una nuova dimensione istituzionale è stato sufficientemente appurato, rimangono invece del tutto ines-plorate le relazioni delle famiglie nobiliari di terraferma con il contesto sociale di provenienza; risulterebbe infatti di grande interesse approfondire tanto il rapporto che mantenevano con i rami collaterali della famiglia quanto l'evoluzione del loro ruolo di mediatori con la società locale. L'altra direzione porta invece alla corte pontificia, dal momento che furono molte le famiglie aggregate che potevano annoverare degli esponenti inseriti nella curia romana; ben quindici delle ottanta cooptate durante la guerra di Candia e tre delle prime che presentarono l'offerta - Labia, Widmann e Ottobon (Menniti Ippolito, 1993). Si sarebbe tentati di ipotizzare l'esistenza di una coerente strategia del ceto dirigente veneziano per acquistare posizioni di potere alla corte papale; potere da spendere per cercare di appianare le difficoltà insorte tra la Repubblica e la corte 13 Zuan Antonio Muazzo, Del Governo della Repubblica Veneta, in Biblioteca Nazionale Marciana (BNM), Mss. It. cl. VII 552 (8751), c. 64v. 14 Cosí Alvise Zen nel dibattito per le aggregazioni del 1775. 500 ACTA HISTRIAE VII. Roberto SABBADINI: IL NUOVO PATRIZIATO VENEZIANO: CRITERI DI SCELTA E LOGICHE ..., 495-504 pontificia nell'assegnazione dei benefici ecclesiastici all'interno del dominio. L'alleanza che veniva stretta con famiglie ben inserite in curia poteva inoltre garantire ai patrizi che sarebbero entrati in contatto con loro, anche tramite vincoli di parentela, maggiori opportunité di inserimento nei meccanismi di potere della corte romana. Queste due dimensioni dell'interesse statale e dell'interesse delle singole famiglie patrizie meriterebbero di essere verificate ed approfondite. 6. Dalla prospettiva dello stato e del patriziato spostiamo ora l'attenzione sulla prospettiva dei nuovi nobili e, innanzitutto, sulle motivazioni che furono alla base della loro scelta e che li spinsero a ricercare l'aggregazione. Due soli esempi, tra i molti che se ne potrebbero fare, che non esauriscono certo l'ampio spettro delle motivazioni di famiglie cosï eterogenee. Il conte Guido Brandolin della Valmareno si aggrego al patriziato nel 1686. Egli aveva un contenzioso aperto con la giustizia della Repubblica; ritenuto responsabile di alcuni omicidi commessi nel suo feudo era stato condannato a dieci anni di carcere, poi convertiti in una pena pecuniaria ed in un bando di dieci anni dalla Valmareno (Gasparini, 1985). Secondo alcune cronache il conte si sarebbe deciso ad acquistare la nobiltà "più per politico riguardo [...] poiché a causa di private risse prodotte dall'invidia di sue fortune si credeva declinare per le confiscationi e per sostenere inimicitie".15 Il pagamento dei centomila ducati gli permise di chiudere i conti con la giustizia e di ristabilire il proprio onore. Gli Ottobon, cittadini originari, data la loro posizione sociale, la reputazione di cui godevano a Venezia - la famiglia deteneva uffici nella segreterie fin dalla fine del Quattrocento, Marco Ottobon era il terzo della casa a ricoprire la carica di Cancelliere Grande -, sembrarono quasi costretti ad aggregarsi. Ritenevano infatti che sarebbe stata "gran vergogna la nostra restar esclusi; il mondo lo stimerà odio contro il Principe, viltà d'animo per avaritia, o qualche demerito della Casa per il quale non voglia il Principe agregarsi".16 La volonté di assecondare ed aderire agli ideali di responsabilità civile e liberalità, la necessità di tutelare e ribadire l'onore della casa, di conformarsi all'opinione che di loro circolava in città, rendeva quasi inevitabile la loro scelta. E nonostante le continue lamentele ricorrenti nel loro carteggio riguardo alla difficoltà di procurarsi il denaro necessario, vollero essere tra le prime cinque famiglie ad aggregarsi, sebbene circolasse la voce che per i successivi richiedenti l'esborso avrebbe anche potuto essere minore.17 Una volta ottenuta l'aggregazione i fratelli ricorderanno continuamente a Pietro Ottobon, che aveva abbracciato la carriera ecclesiastica e si trovava alla corte romana, che era stato lui ad insistere maggiormente per la nobilitazione e che questa andava incontro soprattutto al suo interesse. Era indubbiamente una maniera di 15 Biblioteca del Museo Civico Correr (BMCC), Mss. P.D. 613 c/IV, Brandolin. 16 BAV, Ottoboniani Latini, reg. 3241/2, 2 dicembre 1645. Lettera di Marc'Antonio Ottobon al fratello Pietro. 17 BAV, ibidem, 17 febbraio 1645. Lettera di Marc'Antonio Ottobon al fratello Pietro. 501 ACTA HISTRIAE VII. Roberto SABBADINI: IL NUOVO PATRIZIATO VENEZIANO: CRITERI DI SCELTA E LOGICHE ..., 495-504 ricordare al fratello la necessità che tutti si impegnassero per saldare i debiti contratti e Pietro veniva espressamente invitato a cercare un vescovato dotato di una buona rendita. Ma il continuo insistere sul fatto che era stata compiuta una "gran spesa e risoluta certo con gran riguardo al suo avanzamento",18 non era solo un argomento utilizzato in maniera strumentale. Qualche anno prima Pietro Ottobon aveva scritto al padre "che sempre ci saranno dei Nobeli pretendenti anco per le cose minime" (Menniti Ippolito, 1987). L'ingresso nel patriziato avrebbe ora potuto agevolare questa ricerca di benefici e prebende. Onore e utile erano motivazioni strettamente connesse anche nella scelta degli Ottobon. 7. Infine, volevo accennare alla dinamica che regola il percorso dei nuovi nobili all'interno delle istituzioni patrizie; alla disciplina cui dovevano sottomettersi famiglie di diversa estrazione sociale, provenienti da diverse esperienze: nobili feudali, nobili cittadini, mercanti, cittadini originari veneziani. Il semplice possesso del titolo non avrebbe infatti portato loro alcun onore se questo non fosse stato avvalorato da un determinato comportamento sociale. Il loro sforzo si sarebbe rivelato vano se non avessero conformato il loro comportamento a quello che dalla società patrizia gli veniva richiesto. Solo l'assolvimento di una serie di obblighi determino infatti la riuscita sociale e la brillante carriera patrizia di alcune famiglie: la disponibilità ad impegnarsi negli uffici e nelle magistrature, per assolvere agli ideali di responsabilità civile propri del patrizio veneziano; a contrarre matrimonio conveniente per dare alla Patria dei cittadini che quegli ideali avrebbero continuato ad onorare; a dare rappresentazione adeguata della propria posizione sociale. Cio significo, per un lungo periodo, continuare a pagare altre gravose tasse di ingresso, per sostenere i reggimenti di spesa, per costituire doti elevate, per edificare sfarzosi palazzi e distribuire altri segni della loro presenza all'interno dello spazio urbano (Sabbadini, 1995). Questi erano i titoli di merito che una famiglia poteva rivendicare nel momento in cui si accingeva a richiedere gli "onori" - l'accesso al Senato e alle cariche più rilevanti; e questi comportamenti erano necessari per conseguirli. Tutti furono alla fine assorbiti da questo meccanismo. Anche le famiglie della nobiltà di Terraferma, che si erano aggregate per dimostrare la loro fedeltà al principe ma che ritenevano di essere "già nobili a sufficienza", e che furono le uniche a non sentire il bisogno di costruire nuove residenze a Venezia (Sabbadini, 1995, 141-156), finirono per con-formarsi a questi codici e valori, alla peculiare declinazione veneziana dell'onore, e furono completamente assorbite all'interno delle istituzioni. 8. La responsabilità civile e la rappresentazione del proprio ruolo nella società patrizia erano dunque indispensabili per avanzare in un gruppo fortemente strati-ficato. Obblighi non scritti, non formalizzati in una teoria di reciproci diritti e doveri, ma che orientavano, determinavano e reggevano il rapporto tra la repubblica ed ogni singola famiglia; un rapporto tacito, sottinteso, non codificato in regole che 18 BAV, ibidem, reg. 3242/2, 18 agosto 1646. Lettera di Giovan Battista Ottobon al fratello Pietro. 502 ACTA HISTRIAE VII. Roberto SABBADINI: IL NUOVO PATRIZIATO VENEZIANO: CRITERI DI SCELTA E LOGICHE ..., 495-504 obbligano le parti a determinate prestazioni e ricompense, ma sempre perfettamente funzionante. La famiglia patrizia veneziana si muove costantemente su due fronti, si presenta con due profili distinti. Il titolo nobiliare implica di per se una funzione pubblica, dal momento che la famiglia che lo possiede detiene il diritto ad esercitare la sovranita. Ma l'esercizio effettivo di questa sovranita, ad un determinato livello dell'organigramma politico-amministrativo veneziano, e precluso a chi non adotti determinati comportamenti privati. Al tempo stesso i meriti acquisiti nell'esercizio delle cariche pubbliche entrano a far parte di una eredita privata e familiare e possono essere rivendicati nel momento in cui ci si accinge a contrarre un matrimonio oppure a richiedere piu alte dignita. La logica generale del funzionamento di questa societa sembra rispondere ad un ordine che va inteso nella sua peculiarita, fondato com'e su categorie aristocratico-nobiliari. L'ordine sociale sembrava ancora dipendere dalla 'qualita' delle persone e delle famiglie, dal modo in cui queste riuscivano a dare rappresentazione di se e a farsi attribuire e riconoscere una reputazione onorata. La proiezione pubblica ed istituzionale della famiglia poggia quindi su un codice di valori piu ampio che comprende la posizione istituzionale ma che in essa non si esaurisce. NOVI BENEŠKI PATRICIAT: MERILA ZA IZBOR IN VEDENJSKI VZORCI Roberto SABBADINI IT-50122 Firenze, Via Ghibellina 107 POVZETEK V prispevku je v strnjeni obliki obdelano vprašanje vključevanja novih družin med beneški patriciat v drugi polovici 17. stoletja in njihove kasnejše družbene in politične integracije. Avtor skuša izoblikovati splošna merila, po katerih je potekal izbor kooptiranih družin, in vzorce, ki so usmerjali vedenje novih patricijev v njihovem težavnem vključevanju v novo okolje. Delo se konča z razmišljanjem o odnosu med patricijskimi družinami in institucijami v Benetkah nasploh. Iz razprave o pristopih iz leta 1775 je mogoče po načelu nasprotij razbrati, kje so bile meje in katere so bile najbolj dramatične novosti pri izborih od leta 1646 dalje. Plemstvo je bilo mogoče kupiti za denar, sprejetje tako presenetljivega ukrepa pa so lahko narekovale samo tako dramatične okoliščine, kot jih ustvarja samo vojna. Denar je tako postal edino pravo merilo za izbor novih družin, ki naj bi bile vključene med aristokracijo; vsi, ki so zahtevano vsoto lahko zagotovili, so bili sprejeti. Kljub temu obstaja možnost, da je aristokracija skušala na ta način oslabiti moč plemiških družin iz 'Terraferme' in jih tesneje navezati na politično središče, podobno kot je skušala vzpostaviti zavezništva z družinami, ki so bile posebno vplivne na papeškem 503 ACTA HISTRIAE VII. Roberto SABBADINI: IL NUOVO PATRIZIATO VENEZIANO: CRITERI DI SCELTA E LOGICHE ..., 495-504 dvoru. Vprašanje nove aristokracije pa ni obdelano samo z vidika države in aristokracije, temveč tudi s stališča interesov posameznih družin, ki so skušale iz plemiškega naslova iztržiti čast in korist, družbeni ugled in materialne ugodnosti. Pri tem je pomemben vedenjski vzorec novega plemstva, skozi katerega je novi patriciat svoj naslov materializiral, si pridobil pravo družbeno priznanje in dostop do pomembnejših institucionalnih položajev. Dodelitev javne funkcije postane tako ob sklicevanju na kodekse in vrednote, ki ta položaj zajemajo, a se v njem ne izčrpavajo, dokaz učinkovitega uveljavljanja časti in 'kakovosti' družine na različnih ravneh. FONTI E BIBLIOGRAFIA Beltrami, D. (1954): Storia della popolazione di Venezia dalla fine del secolo XVI alia caduta della Repubblica. Padova, Cedam. Cowan, A. F. (1985): New Families in the Venetian Patriciate, 1646-1718. Ateneo Veneto, XXIII, 1-2, 55-75. Davis, J. C. (1962): The Decline of the Venetian Nobility as a Ruling Class. Baltimore, The Johns Hopkins Press. Del Negro, P. (1986): Proposte illuminate e conservazione nel dibattito sulla teoria e la prassi dello Stato. In: Storia della Cultura Veneta, 5/II, Il Settecento. Vicenza, Neri Pozza Editore, 123-145. Gasparini, D. (1985): Signori e contadini nella Contea di Valmareno (XVI-XVII). In: Stato, societa e giustizia nella Repubblica veneta (secc. XV-XVIII), a cura di G. Cozzi, II. Roma, Jouvence, 147-181. Hunecke, V. 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