L' ASSOCIAZIONE per un anno anticipati f. 4. Semestre e trimestrein proporzione Si pubblica ogni sabato. II. ANNO. Sabato 30 Gennaio 1847. M — O. Bibliografia. Dai torchi Marcitigli di Trieste sono uscite due parti in tre volumi dell'opera -Le maialile dell'occhio e delle sue dipendenze del dott. Giambattista Cappelletti da Trieste; la quale ci è gratissimo di poter annunciare, perchè mostra come in questa città non soltanto prosperino le industrie mercantili, ma gli stud! i più difficili vengano coltivati dai figli di questa terra, e vi si dedichino con diligenza ed amore in mezzo al frastuono di un emporio. Le quali opere tanto maggior lode meritaìio, quan-tochè mancano quei sussidi letterari che altrove abbondano, sia di raccolte, sia di instituzioni alte, e la mente che vuole giungere ai misteri della natura deve cominciare col farsi raccoglitrice di materiali, il che a tutti ned è dato, ned è facile. Altri giudichi del valore scientifico, noi applaudiamo all'impresa e facciamo voti che sia di nobile eccitamento, a decoro di questa patria. Dimostrazione dell'epoca di fondazione dei vescovati istriani. Parve a qualcuno arbitraria, se non peggio, la sentenza nostra di espellere dal sillabo dei vescovi istriani i nomi di quelli che sono anteriori al secolo VI di nostra salute, e di fissare al 524 l'anno di fondazione degli episcopati istriani. Questo muovere contro credenze fatte assai comuni, e distruggerle anziché sostenerle e propagarle, parve a taluni fosse quasi diminuire le glorie della provincia; ma noi che pensiamo dover consistere queste nella verità, non abbiamo per grave di mostrare per quali vie siamo venuti alla fissazione dell'anno 524. Nel vestibolo che mette alla cappella detta di s. Andrea del duomo di Parenzo, ci accadde più volte di vedere due insigni monumenti di antichità cristiane; l'uno dei quali bella custodia in marmo greco, alta piedi viennesi 3 oncie 4, larga 2', 3", profonda 1', 3"; nell' interno del masso vi ha incavo per ripositorio con portellino alto oncie 13 largo 9, che permette collocare nel vano o pane eucaristico, o sacri liquori; monumento che senz'altro si palesa per insigne e per meritevole di venerazione. La facciata è decorata in modo che il buon gusto ed il rigore dell' arte avrebbero molto a censurare; pure è decorazione a due colonnette di mezzo rilievo che sostengono arco semicircolare, nella zona del quale vedesi incisa in caratteri di bellissima conservazione completa leggenda. Sulla porticella havvi un timpano entro il quale il segno della redenzione, con ai lati due colombe rivolte alla croce, sopra il timpano due delfini; e colombe e delfini segni frequentissimi dei primitivi cristiani. Di altri segni perchè non simbolici, od almeno non tenuti tali da noi, non faremo cenno. Viha un guscio di conchiglia, due rosettoni che noi crediamo di semplice decorazione, di riempimento. Il monumento si manifesta a' non dubbi criteri opera del secolo VI o del finire del V; la leggenda segna: • .^S-TE-^» - 7 -Sì ^ © • © HVNC 'COND• t fa ; LOC Nella quale leggenda il solo punto erroneamente posto fra il TE . ed MPORIBUS per non calcolare ove i punti sono necessari e non figurano, avverte che vi è ignoranza nel quadralario, e non può quindi trarsi dalla punteggiatura norma impreteribile nella lezione. Noi leggiamo questa iscrizione così: f Famulus Dei Eufrasius antistes temporibus suis agens annum un-decimum locum hunc condidit a fundamentis Domino Johanne Beatissimo Antistite Aecclesiae Catholicae-, che è quanto dicesse: "Eufrasio servo di Dio, vescovo nel-1' anno undecimo di suo episcopato, eresse questo luogo dai fondamenti, essendo vescovo della chiesa cattolica il beatissimo Giovanni,. Questa custodia serviva, come ci fu detto, di ara nella cappella privata dei vescovi di Parenzo; non fu però costrutta per questo oggetto, nè per la cappella privata; venne utilizzata perchè materiale dimesso di e-difizio sacro, che non fu certamente il duomo. Nello stesso palazzo vescovile ci accadde di vedere una seggia episcopale in marmo, antica essa pure e preziosa. Tutte le cattedre nelle chiese vescovili istriane vennero tolte nelle ricostruzioni o riduzioni degli edifizi; Parenzo ne conserva due, una sontuosa nell' abside della basilica Eufrasiana al sito primitivo; l'altra umile tolta da edilizio, dimesso forse fino da quando l'eufrasiano venne alzato. Ci fu detto che la custodia potesse essere stata collocata nel battistero, e la leggenda riferirsi a quel-l'edifizio; sennonché formando esso un solo corpo colla basilica di cui è parte integrante, unito a questa per porticati, non ci sembra che di questa parte di chiesa si dovesse fare separata menzione in epigrafe; o facendolo che il battistero si dicesse locus anzi che baptisterium, siccome è detto di quello di Cittanova. Troveremmo piuttosto ragione di crederlo appartenente al mausoleo annesso alla chiesa, e che dicevano cappella di s. Andrea,. se da questa fosse stato tratto il marmo ; sebbene loca in genere neutro dicessero le tombe. Ma ignorasi se stésse in s. Andrea; e sembra d'altronde che i pani ed i liquori sacri si custodissero piuttosto nella basilica medesima. Comunque fosse stata la cosa, si fa menzione in questa leggenda del vescovo Eufrasio, delle note croniche di suo governo spirituale e del papa Giovanni. Il diploma di dotazione del clero e della chiesa parentina, purgato da qualche menda di amanuense facile a correggersi, segna la data del 543 di nostra salute, e registra un Eufrasio il quale viveva ancora nel 553 siccome si ha dalle vicende dello scisma istriano. Questo Eufrasio è il medesimo che costruì la basilica, e che si vede raffigurato in aspetto di uomo che non eccede l'età matura; difatti quello stesso Claudio arcidiacono che è rappresentato nel mosaico dell'abside, interviene anche nel diploma del 543; nel 546 alla consacrazione della chiesa della B. V. di Canneto, costrutta e dotata da s. Massimiano arcivescovo di Ravenna nativo di Pola, se non interviene n'è causa che allora era nello scisma. Il papa Giovanni menzionato nella leggenda è il santo Giovanni II, il quale appunto viveva nella prima metà del secolo VI, anzi sedè pontefice dal 22 gennaio 533 al 27 maggio 535, per due anni quattro mesi e cinque giorni. Ne viene quindi che, se Eufrasio contava l'undecimo anno di episcopato sedendo s. Giovanni II, l'anno della sua promozione all'episcopato deve cadere dal 522 al 524, nè prima nò poi. In questo torno di tempo sedeva sulla cattedra di s. Pietro altro Giovanni, che pontificò per due anni e nove mesi dal 13 agosto 523 in poi. Era allora re d'Italia il grande Teodorico, il quale mostravasi tollerante " verso i cattolici sebbene arriano, protettore ed amico del papa, il quale anzi fu nel 524 inviato a Costantinopoli a trattare presso l'imperatore Giustino certi interessi del re, d'indole troppo delicata, e non adatta al carattere sacerdotale di papa Giovanni. Gli onori tributati al papa in Costantinopoli insospettirono il re a segno che pose prigione il papa al suo ritorno in Ravenna, ed in prigione il lasciò morire come avvenne nel dì 18 maggio 526. Pensò il re che il papa avesse piuttosto giovato a ravvicinare gl'Italiani all'imperatore, a destargli desideri di riavere l'Italia. Teodorico moriva nel 526, e prima di sua morte v' erano vescovi in Istria, dacché egli medesimo diresse epistola ad Antonio di Pola, la quale si conserva fra quelle di Cassiodoro. E se a Pola v' era vescovo, non v'è ragione a dubitare che ve ne fosse anche in Parenzo, colonia e municipio romano; ed Eufrasio parentino sarebbe stato già vescovo desso, che deve essere stato eletto fra il 522 ed il 524. Lo Schonleben, il Manzuoli, il Naldini dissero alzata la chiesa di Egida a rango episcopale nell' anno 524, da papa Giovanni ad insistenza dell' imperatore Giustino, e questi autori accennano la nota cronica, eie circostanze, forse su nessun' altra autorità che le memorie di Giustinopoli. Queste memorie sono sincere, come sembra; è naturale che soggetta l'Italia ad un re straniero ed arriano, gli Italiani volgessero lo sguardo al cattolico Giustino, che era sempre l'unico imperatore, e legittimo padrone d' Italia; che dagli stessi re goti non veniva sconosciuto come imperatore, e come esercente qualche primazia. Teodorico voleva da Giustino che le chiese tolte agli Arriani nella dizione bizantina venissero restituite a questi; ed è ben naturale che Giustino esigesse di ricambio migliore libertà e culto pei cattolici negli stati del re goto. Papa Giovanni nel-l'assumere l'incarico di persuadere Giustino alla restituzione delle chiese arriane, è ben naturale che volesse promuovere l'interesse delle chiese cattoliche. Le memorie della chiesa di Capodistria che quel vescovato fossesi creato da papa Giovanni ad insistenza di Giustino sembrano dover essere comuni a tutte le chiese istriane. Lo stesso anno 524 di Capodistria mirabilmente concorda col 524 in cui Eufrasio poteva essere stato assunto alla cattedra parentina; concorda col tempo nel quale Teodorico può avere scritto epistola al vescovo Antonio di Pola. Nò il 525 nè il 526 erano tempi propizi pei cattolici, che anzi cresciuti i sospetti nel re Teodorico, li perseguitò; papa Giovanni era prigione e non poteva in tale stato procurare migliori interessi della chiesa cattolica; prima dell'agosto 523 non pontificava Giovanni; quindi l'epoca per Capodistria cade in tempi propizi. Nel 546 vi erano vescovi in tutte le sedi istriane. L'atto di dotazione della chiesa di s. Maria di Canneto registra Frugifero di Trieste, Isacio di Pola, un Germano Bononiense, un Teodoro Brissinense, secondo quanto seppe leggere nel 1657 il cancelliere vescovile di Pola, Querenghi, da antico rotolo allora diseppellito. Però facile è la correzione, giacché non v' aveva ragione che i vescovi di Bologna e di Brescia o di Bressanone movessero sì da lontano in provincia straniera, ed altri vescovi sono registrati per Bologna e Brescia in quel tempo. Aemoniensis va Ietto in luogo di tìononien-sis, Pefinensis in luogo di Brixinensis. Mancano le sedi di Parenzo e di Capodistria, ma sapendo che d'Istria e-rano caduti nello scisma Eufrasio e Massimiliano, e sapendosi di quale sede fosse Eufrasio, non v'ha pericolo di errare dicendo Massimiliano di Capodistria. E da questo tempo in poi (dal 524) figurano i vescovi della provincia, ed i loro nomi sono frequenti e noti con serie continuate. Del tempo anteriore vi ha qualche voce, però sì vaga e sì mancante di sostegno che deve cedere ad altri argomenti. Si disse che Pola e Trieste avessero preceduto le altre città nell'avere propri vescovi, ma lo si disse soltanto. V'erano chiese, congregazioni, cioè, di fedeli ben antiche, disposte ad episcopati, ma non ebbero pastori colla pienezza del potere episcopale. Fu la fede propagata in vero fino dal primo secolo, però la dilatazione è dovuta alle parole ed all'opera del santo Ilario vescovo di Aquileja nel 276. Dagli atti autentici di s. Donato apprendiamo che, volendo desso venire a confortare nella fede le chiese istriane contro le insidie dei pagani, dovette rivolgersi al vescovo di Aquileja, perchè questo unico esercitava nell'Istria la giurisdizione vescovile. Ciò avveniva nel 297. Nei concili del IV secolo, in quelli del V, non figura vescovo alcuno delle diocesi istriane; quelli di Emonia non sono d'Istria, ma di Lubiana. Ed all' incontro Eufrasio di Parenzo venne tenuto come protoepiscopo; dei vescovi di Trieste anteriori a Frugifero, non era già tradizione che volesse tali quelli che si videro in tempi recenti indicali; bensì deduzione da titolo che non regge. Però del 524 si hanno vescovi che possono ritenersi protoepiscopi. Frugifero di Trieste, s. Nazario di Capodistria, s. Fiore di Cittanova, Eufrasio di Parenzo, Antonio di Pola, s. Niceforo di Pedena. Eufrasio parentino fu quindi di Parenzo fino dall'anno 524, eletto a' tempi del regno gotico ordinatore e costruttore della insigne basilica parentina, la chiesa unica nell'impero austriaco che sia perfetta basilica nell'antichissima distribuzione. La memoria di questo prelato va macchiata; pure ci proveremo a pigliarne le difese coi monumenti medesimi di Parenzo. Esso cadde nello scisma, come altri suoi fratelli istriani. Non sappiamo se prima di rendere conto a Dio siesi ravveduto dell' errore; però dubitiamo che egli fosse reo di quegli orrendi delitti de'quali papa Pelagio gli fa colpa. Noteremo che il papa lo dichiara scismatico, e siffatto giudizio è certamente competente; ma il dichiararlo reo di delitti, i quali sarebbero stati argomento di processure e pena, spettava a tribunale formale, e l'esarca Narsete non poteva essere straniero al giudizio. Poteva facilmente essersi fatto credere al papa ciò che poi non era che apparenza o forse calunnia ; Narsete noi processò, nè lo depose, per quanto è noto. La imagine di Eufrasio comparisce nel santuario medesimo del duomo; il suo nome scolpito sulle porte, sulle chiavi degli archi, scritto su leggenda dell' abside, su custodia di pani e liquori sacri; le sue volontà depositate nel diploma di dotazione della chiesa, il nome suo ripetuto in queste carte. Se egli fosse stato reo di delitti (che a dir vero sembrano troppi) quand'anche l'autorità d'allora avesse voluto essere connivente, il suo nome sarebbe stato in esecrazione ai coetanei ed ai posteri, cancellato dai monumenti, la sua memoria sarebbe stata maladetta; pure non avvenne così, che i mosaici, le leggende, le sculture durano intatte da secoli, per secoli i vescovi successori, i canonici non titubarono di adempiere le sue volontà, ed il suo nome non è in vitupero. Dal che sembra dedursi che venisse bensì accusato [di orrendi delitti, ma che non fosse più che semplice accusa, non giunta a comprovazione, ned a generale credenza. Al Conservatore delle antichità Sig. Giovanni Varvara POLA. Biasimo, amico mio, il divieto espresso datomi di inserire nel foglio la lettera che mi indirizzi; qualunque ragione che tu possa avere, io non tela passo per buona; però dacché lo vuoi assolutamente, sia fatta la tua volontà. Ma io farò altresì la mia, ed è quella di risponderti pubblicamente; anche se dalla risposta si possa comprendere ciò che tu mi scrivesti. Preziosa è la leggenda sul piedestallo ricuperato presso il tempio di Roma e di Augusto; preziosissima; certo, certo quel piedestallo era insieme a quello di UI-pia Severina, di Licinio, e di tanti altri nel comizio, nel foro nobile di -Pola, sul cui piano era il tempio di Roma e d' Augusto, del quale piedestallo anche in quest'anno fu veduto parte del basamento presso al tempio suddetto. Io poi ti dico che con giustissima deduzione la leggenda si debba attribuire all' imperatore Claudio, prima che salisse al trono. LAYDIO SI • GERMAN • F ONI • GERMANICO AVG VRI • SODALI • AVG SOD ALI • TITIO • COS Così sta scritto sul masso, mancante nella parte sinistra, e su brandello di pietra ricuperato in precedenza e che appartiene al masso da cui era stato staccato. Il supplemento non può essere più facile. — Tiberio Claudio Brusi Germanici /ilio Neroni Germanico, Auguri, Sodali Angus!ali, Sodali Ti/io, Consuli. — Questo Tiberio Claudio Nerone figlio di Druso Germanico, non è già il celebratissimo Germanico figlio di Druso Seniore fratello di Tiberio, marito di Antonia minore figlia del triumviro Marco Antonio, al quale (Druso seniore) venne in morte accordato il titolo di Germanico per lui e pei figli. Perchè questi venne adottato nel 757 di Roma per figliuolo da Tiberio sopra ordine di Augusto; aveva il titolo di Cesare, fu questore, ebbe gli onori pretori, le insegne trionfali per la guerra dalmatica, ebbe l'autorità proconsolare, e fu consolo la prima volta nel 765 vivente Augusto. Sarebbe stato ingiuriarlo col ricordare nella inscrizione onoraria le cariche sacerdotali, e tacere invece le strette relazioni con Augusto e con Tiberio, il titolo di Cesare e le altre insigni magistrature ed onori sostenuti, nè poteva nel 765 dirsi sodale Au-gustale. Questo personaggio del piedestallo non era nemmeno il figlio di lui, Nerone, perchè questi fu Cesare, ostentò la relazione con Tiberio, con Augusto, e perfino con Giulio Cesare, fu fatto pontefice nel 773; nè mai ebbe il consolato; morto di 23 anni per la crudele gelosia di Tiberio medesimo. All'incontro di Claudio sappiamo che per la stoltezza di lui, Augusto non volle concedergli onore maggiore dell' Augurato, che morto Augusto nel 767, Tiberio lo fece bensì sodale Augustale, ma negò a lui ogni altro onore o carica chiesta; e che giunto Caligola al trono volendo onorare i suoi parenti e morti e vivi, alzò Claudio al consolato nel 790, 37 anni dopo G. C. Ed ecco perchè nella leggenda manca il titolo di CAES, eh' ebbero gli altri due Germanici, perchè manca la indicazione di figlio o nipote di Tiberio, di nipote 0 pronipote di Augusto; perchè niun' altra carica si segna che le sacerdotali ed il consolato. Da questa leggenda apparisce che fu anche sodale Tizio posteriormente al sodalizio Augustale, ciò che altrimenti avrei ignorato. Il cognome di Nerone non è unico esempio per Claudio, sebbene come imperatore non lo usasse; l'ho veduto segnato su lapida sincera. Per quale motivo speciale venisse eretta statua in Pola a Claudio, e perchè non apparisca nella leggenda la persona o corporazione che la alzava, non è difficile a congetturarsi. Il triumviro Marco Antonio, cognato di Augusto, ebbe in Pola possidenze, le quali passarono, come sembra, in Antonia minore moglie di Claudio Nerone, genitori di Claudio imperatore. Le memorie di liberti della gente Antonia come della Ottavia (la madre di Antonia minore era sorella di Augusto) non sono rare; certa Cenide che poi salì in fama, onori e ricchezze, era istriana per quanto può indursi. Codesta era schiava di Antonia, però di sì belle attitudini di spirito che meritò di essere commendata da Dione, e di ottenere la libertà da Antonia medesima. Ed è questa Cenide che, amicatasi con Vespasiano, fu sposata, come diremmo, alla morganatica, senza partecipare al rango del marito, ma con tale potere che ogni cosa passava per le mani di lei, e qualche parte vi rimaneva attaccata, a segno che arricchì sommamente vendendo e cariche e patrocinio, dubitandosi perfino che ella non operasse in compartecipazione a Vespasiano medesimo. È un pezzo che sospetto essere questa la Giulia favorita di Cesare, la quale implorò grazia pei Polesi, dacché l'Istria nelle guerre civili di Vitellio tenne per questo, ed incorse nell' ira di Vespasiano; Cenide poi nel venire affrancata avrebbe potuto pigliare il nome della gente Giulia ; è un pezzo che sospetto essere o l'anfiteatro o il teatro di Pola liberalità di questa Cenide, memore ed affezionata alla terra natale. Antonio Felice, quel governatore di Giudea che a-vuto prigione s. Paolo, sperò di carpirgli danari col tirare in lungo l'inquisizione, che fu protetto da Claudio, e richiamato da Nerone, cugino, figlio adottivo e successore di Claudio; Antonio Felice che sposò Drusilla nipote di Antonio e di Cleopatra, e che ebbe un pronipote morto fanciullo in Pola; Antonio Felice io lo sospetto pure da Pola, della famiglia erile di Antonia. Or io facilmente mi persuado che questa famiglia secondando le naturali propensioni della padrona madre di Claudio, volesse alzata nel comizio di Pola la statua di questi, apponendogli que' titoli tutti che in Roma a-vrebbero mosso le risa, ma in città di provincia erano sempre rispettabili; e così mi spiego perchè del dedicante si taccia onninamente non potendovi con plauso figurare la famiglia medesima, nè potendovi figurare il comune di Pola che era indifferente.-Addio P. Kandler. o SS o S M s =3 . g o 03 «3 L- o ~ cs 03 «> -B H.Ì bc Sli« .P a cs ca o S .22 <« t » cs 03 t« C _ 03 — «1 cs 03 , !- — P. 03 ■a o « 'S,' cs ** m a "5 -o 0) cs ■SI .2 CS cs > 'Ja C (3 3 o in 03 «a tz> _CS T3 o "ffl ar 'e o O *—? 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