Roberto Dapit Tradizione orale a Resia Un tentativo cli confronto fra lo stato attuale e la ricerca di Milko Matičetov Z rezultati svojega terenskega dela skuša avtor ugotoviti sodobno stanje ustnega izočila v Reziji in jih primerja z izredno bogatim gradivom, ki ga je tam Milko Matičetov snemal od leta 1962 naprej. Kljub bistvenim spremembam ekonomskega in družbenega, torej tudi kulturnega čtiva, je Rezija še vedno privilegiran prostor, kjer je ljudska kultura močno zakoreninjena. Dokaz za to je v tem članku novo gradivo v rezijanščini, ki je bilo že predmet raziskovanja dr. Milka Matičetovega. Based on his research work the author tries to establish the present situation of oral tradition in Resia, comparing it with the extremely rich material which has been recorded by Milko Matičetov in Resia since 1962. Despite numerous economic, social and cultural changes Resia remains a privileged territory in which the roots of folk culture are still firm. This is further proved by the new material in the Resian language described in this article which has already been researched by Dr. Milko Matičetov. L’attivitä di ricerca svolta a Resia dal dott. Milko Matičetov segna un momento fundamentale per gli studi resiani contemporanei dal momento ehe, grazie al suo lavoro svolto sul catnpo, viene tramandata un’imponente quantitä di materiale, di estremo valore non solo dal punto di vista etnologico ma anche linguistico. II dott. Matičetov oltre a do ha realizzato numerosi studi prevalentemente di carattere etnologico - anche in generale riguardanti la cultura locale della Slavia Friulana - oppure ^omparativi, mettendo a confronto e valorizzando le relazioni fra le culture, pure a livello internazionale1. La preziositä del materiale dell’archivio Matičetov deriva anche dal fatto ehe la ■accolta e stata effettuata nell’ultima fase di autentica vitalitä in cui si trovava la Cfr. la bibliogrut'ia etnologica dell’autore (fino al 1995) riguardante la Slavia Friulana in Dapit R., La Slama Friulana. Lingua e culture. Resia, Torre, Natisone. ISibliografia ragionata / Beneška Slovenija. Jezik in kultura. Rezija, Ter, Nadiža. Kritična bibliografija, Čedad, 1995. comunita resiana, ossia dall’anno 1962, prima del profondo mutamento verificatosi nella struttura socio-economica della stessa. Tale processo, anche in segnito al terre-moto del 1976, ha condotto a un profondo decadimento non solo del sistema econo-mico tradizionale ma anche in generale di gran parte dell’economia locale. L’economia si fondava infatti sull’allevamento e la pastorizia, 1’agricoltura e lo sfruttamento clei boschi, oltre ehe sul lavoro degli emigranti stagionali e degli artigiani ambulanti. Oggi queste attivitä si sono drasticamente ridotte. I pochi resiani ehe si occupano di alleva-mento o pastorizia lo fanno per attaccamento alia propria terra, cercando di conservare uno stile di vita ehe rispeeehia i canoni tradizionali resiani ma ehe purtroppo non assieura la sopravvivenza economica e finanziaria. II crollo dell’economia, eondizionato anche da una forte emigrazione, ora non piü solo stagionale, ha provoeato inevitabilmente anche un processo di eslinzione del patrimonio di tradizione spirituale. Tale processo, che fortunatamente risulta piü lento di quello economico, e rilevabile anche in altre aree europee, ed essendo tuttora in corso non possiamo prevederne 1’andamento presso la comunita resiana. Per certo si sa ehe il complesso di aspetti relativi alla cultura spirituale attestati nel corpus di Milko Matičetov vengono tramandati solo in parte dalle generazioni presenti attualmente a Resia. Quando cio avviene, dipende principalmente da una situazione individuale determinata da una congerie di fattori quali: spiccato senso di appartenenza alla comunita, interesse per la propria tradizione (ehe puo manifestarsi anche attraverso forme di studio), conservazione di determinate credenze, memoria viva, ecc. Tuttavia l’aspetto funzionale della tradizione orale e dei vari complessi di credenze risulta essere, nelle condizioni attuali, fortemente limitato e in certi casi addirittura neutraliz-zato. Infatti la struttura armonica, dove gli elementi della vita materiale e di quella spirituale potevano trovare ognuno la propria giusta collocazione, e ormai smembrata e nell’ambiente resiano non si liesce piü a raggiungere un equilibrio o perlomeno una situazione in cui si possano ristabilire determinate relazioni fra questi elementi. E’ opportuno tuttavia sottolineare ehe per altri versi, nonostante la frattura culturale, divenuta piü profonda in seguito al terremoto del 1976, determinati aspetti hanno ottenuto nuovi impulsi, anche perche la coscienza della perdita materiale ha reso piü acuto il problema della conservazione, in generale, di tutti gli aspetti della tradizione culturale. Eclatante appare il caso della lingua resiana: in base a ricerche sul campo e studi scientifici si sta elaborando una lingua resiana standard. Poiche tale iniziativa, assieme ad altre, viene sostenuta in primo luogo dalPamministrazione comunale di Resia, non si conoscono ancora le ripercussioni di una simile politica linguistica sull’intera comunita resiana. Tali processi di normalizzazione linguistica richiedono tempi di applicazione o adattamento piuttosto lunghi e di conseguenza l’osservazione degli effetti non sarä immediata. Da un lato tali iniziative sono possibili anche grazie a una legge speciale ehe permette di finanziare progetti riguardanti la cultura delle aree di confine, riflettendo un atteggiamento generale di volontä di recupero della tradizione. Dall’altro lato si puo facilmente intuire ehe iniziative di questo tipo scaturiscono probabilmente anche dalla coscienza di trovarsi in un processo inesorabile di mutamento culturale, dove conninque la lingua risulta l’elemento piü significativo per la conservazione dell’identitä: e percio necessario fare di tutto per salvarla, innanzitutto fissandola come lingua scritta, quindi diffondendola, e poi raccogliendo materiale, che serve da riferimento per la continuazione della vita stessa della lingua. Ritornando all’aspetto specifico della tradizione orale, e implicito ehe in qualsiasi momento e condizione una comunita si esprime attraverso determinati mezzi e forme. Nell’ambito specifico della narrativa a Resia ci e dato ancora di raccogliere interessante materiale e se consideriamo la raccolta di Milko Matičetov come esempio di massimo splendore del periodo resiano del racconto, poiche concretamente ne conosciamo l’essenza, possiamo tentare un con fronto con i risultati delle attuali ricerche. Accade infatti ehe determinati filoni siano ancora vivi e si possano registrare oggi come un tempo. Sebbene non sia stato ancora effettuato un lavoro sul campo sistematico riguardante la narrativa, si puö percepire lacondizione attuale, rispetto alia conoscenza specifica dei resiani, in seguito a vari test da me effettuati in diversi punti della valle. Parc ad esempio ehe un genere di racconto, le cui risorse sembrano inesauribili, sia quello riguardante il mondo dell’aldilä. Quasi ognuno ha esperienze da raccontare, proprie (oniriche, visioni in stato di veglia o altro) oppure riferite da altri2. Per contro il genere della fiaba ampia e complessa sta letteralmente scomparendo e le possibilitä di raccogliere unitä di questo tipo sono assai limitate. Tale situazione e dovuta al fatto ehe innanzitutto non vivono piü in terra resiana narratori come Tina Wajtawa, Marija Paletti Rozaljina o la famiglia dei Čunkini, inoltre, la fiaba o comunciue i racconti molto lunghi non hanno piü occasione di essere narrati. La maggior parte dei resiani ammette di aver ascoltato i racconti dei vecchi, ‘pravice’, ma di averle dimenticate poiche da molti anni non vengono piü raccontate. Infatti non esistono piü le condizioni e le esigenze ehe determinavano l’evento del raccontare, ossia un pubblico interessato, la famiglia o una comunitä ristretta, e nemmeno esiste l’atmosfera comunitaria in cui era calata un tempo la societä rurale. In una fase di rapidi e profondi mutamenti sociali e nel processo di chiusura sul piano comunicativo in cui e coinvolto l’individuo (o l’unita minima ehe e la famiglia) nei confronti della societä cireostante3, la narrazione trova oggi spazi moltro ristretti e la funzione a valenza di intrattenimento o educativa viene assunta prevalentemente da altri mezzi di comunicazione. Altri fattori, ehe del resto risultano in stretta eonnessione, incidono in una eerta misura sul processo ehe determina la scomparsa della tradizione orale. Per esempio, la riduzione della compe-tenza attiva della lingua fra le generazioni piü giovani restringe ulteriormente il pubblico potenziale del racconto in resiano'1. L’invecchiamento della societä crea inoltre forti squilibri fra le generazioni e con il calo della presenza dei giovani la narrazione trova sempre meno motivo di esistere. Di fronte ai vari mutamenti e squilibri ehe sono appena stati messi in evidenza la societä resiana ha reagito trovando piü o meno inconseiamente soluzioni a livello individuale e collettivo, finalizzate in generale al mantenimento della tradizione nei suoi vari aspetti. Voglio subito sottolineare ehe l’attivitä poetica dell’autrice Silvana Paletti, i cui inizi risalgono agli anni prima del terremoto, seguiti da una ampia attivitä ‘ Cfr. R. Dapit, ManifestazUmi dell'cildilci attraverso le testimonialize dei resiani, in Studia mythologica slavica, II, Ljubljana - Udine, pp. 99-144, 1999. Fatto che si puö riscontrare in Friuli anche in condizioni di societä che da poco hanno superato la fase rurale, dove molta impoitanza aveva la solidarietä sia sul piano economico sia per la convivenza nell’ambito della comunitä minima di appartenenza. Nell’ambito della scuola dell’obbligo a Resia esistono iniziative finalizzate alla conservazione della lingua e della tradizione ma non fanno parte del programira scolastico ufficiale. Negli Ultimi anni e stato pubblicato varlo materiale per bambini (libri e videocassette), cfr. in particolare le seguenti opere: nella varietä oseacchese ton la grafia standard Ta prawä[iruvicä od lisici! od Rezija, Circolo Culturale -Rozajanski Dum*, 1997; nella varietä di San Giorgio Rele im veselost. Traducjun od Silvane Paletti, Udine, Universitä degli Studi, 1996; in resiano standard il libretto illustrate) AA.W., Po nils. Plimo libro di lettura in resiano, Comune di Resia, 1998; audiocassetta con versione resiana del testo Bielscrivint. Den usne vijač tuw te svit od pisanja, Universität! ta tuw Vidne - Istitut Ladin-Furlan 1're Checo Placerean, 1997. sia poetica ehe traduttiva (testi religiosi, scolastici), continua con regolaritä. Anehe Renato Quaglia,che nel 1985 ci ha offeito la raecolta Bas ide, continua la propria ricerca serivendo testi poetici ehe ci auguriamo vengano presto pubblicati. Oltre a queste presenze poetico-letterarie, ehe usando la lingua resiana dal punto di vista espressivo e comunicativo oltrepassano sicuramente il livello della comunitä ristretta, come al-trove si verificano anche a Resia fenomeni caratterizzati principalmente da uno spirito folcloristico. 11 gruppo folcloristico «Val Resia» esiste giä dall’Ottocento e il coro maschile ■■Monte Canin» dal 1971; nel 1993 e nato anche il coro femminile «Rože majave» con un repertorio esclusivamente resiano di canti tradizionali lirici e religiosi5. Da diversi anni e stata perfino avviata un’iniziativa riguardante la narrazione intitolata ‘La settimana del racconto’ e indirizzata in particolare a un pubblico giovane. Durante 1’estate vengono invitati dei resiani a narrare in pubblico dei racconti originali del luogo ma solo in parte in lingua resiana e ormai soprattutto in italiano. L’iniziativa e itinerante e tocca vari luoghi della valle. Nel 1995 e stato istituito infine il Museo della gente della Val Resia, i cui progetti sono molto ampi e prevedono qualsiasi attivita riguardante la cultura e la tradizione resiana. Nonostante la premessa, ehe mette in rilievo il processo di profondi mutamenti, non si deve dimenticare ehe esiste ancora un ampio patrimonio popolare presso le comunitä di origine slovena del Friuli. Si puö accedere a tale patrimonio culturale in vari modi, uno fra questi e proprio il racconto. In questo senso, dato il potenziale forte-mente ridotto dei narratori, non ci possiamo aspettare forse ehe, come un tempo, affiorino aspetti di particolare interesse estetico o contenutistico. Fortunatamente il lavoro sul campo offre risultati che sono di per se imprevedibili e l’unico modo per verificare la situazione attuale e di continuare le ricerche ampliando il raggio di interesse, introducendo nell’indagine generi a cui finora e stata prestata poca atten-zione. Attraverso il racconto autobiografico, per esempio, si possono individuare entitä materiali e spirituali endemiche utili alla ricostruzione della visione del mondo da parte dei resiani. 11 racconto basato su esperienze proprie o della comunitä contiene sia gli elementi arcaici e tradizionali conservatisi nella struttura cognitiva dell’individuo sia quelli innovativi e contemporanei. In ogni modo e interessante osservare come i due elementi si fondono insieme, cjuale dei due e prevalente, la ricettivitä o la impermeabilitä dei resiani nei confronti della cultura contemporanea e quindi il livello di conservativitä nelle concezioni degli stessi. Si apre cosi un genere che e di per se inesauribile e al quale non mancano nemmeno gli aspetti estetici. Determinati narratori si esprimono infatti spontaneamente con uno stile e lessico ricercati, inoltre, usando la voce e i gesti in modo appropriato, sono capaci di creare situazioni interessanti sia dal punto di vista estetico ehe comunicativo. I resiani infatti comunicano volentieri e simili situazioni nascono con una certa facil-itä. Si percepisce inoltre una pili limitata presenza di tabu rispetto alle altre comunitä che li circondano. Cio permette di instaurare situazioni comunicative ampie raggiun-gendo sfere ehe altrove rimarrebbero escluse da questo scambio fra persone non legate da particolari relazioni. Anche a quanti come me percorrono oggi la valle, cereando di osservare molto da vicino la comunitä resiana, sono riservate delle sorprese, sebbene in se non rappresen- ' 11 coro femminile ha pubblicato due audiocassette di canti del proprio repertorio e una raccolta seritta di canti dal titolo: Kože Majave, Te Rozajanske niže/1 Ceniti Neslani, Tolmezzo, 1995. tino delle novitä vere e proprie. Appare infalli quantomai interessante che determinate tradizioni giä rilevate da M. Matičetov risultino ancora conservate. Poiche lo studioso si e interessato alla tradizione orale resiana in modo tale da non trascurare generi come il canto lirico0 o quello sacro e nemmeno quello leggendario, voglio presentare qui alcuni esempi di testi popolari fra cui anche dei canti leggendari, raccolti di recente. Il primo rappresenta nna versione del 1994 del famoso canto Sveti Santi Läwdec, racco-lto intregralmente per la prima volta da Milko Matičetov nel 1940 a Ter/Pradielis, nell’alta Val Torre, e recitato da tina donna di Uccea7. Nel 1994 il canto e stato quindi registrato a Oseacco, l’unica volta che mi e stato possibile raccoglierlo in forma ampia. Spesso accade invece di sentire i versi iniziali in una variante piuttosto diffusa e scherzosa ma senza continuazione: Sveti Santi Läwdid / e söw po ni potice / e sritow dvi hcari'ce / t’e šlo tej dvi lisice. In un pomeriggio di agosto mentre stavo registrando, assieme al collega R. Frisano, dei canti religiosi eseguiti a due voci con molta bravura dalla ntina Cekawa (Anna Pusca) e da Marcellina Madotto Cikannawa, quest’ultima, quasi alla fine dell’incontro, dopo aver recitato il canto narrativo Tičica /oličica, si ricorda ancora di qualcosa di particolare e pronuncia la tipica frase: Hej, čun pravit šče dno! / “Belt, ne raccontero ancora una!», parole che sempre creano fra i presenti attesa ed emozione per la novitä in arrivo. In realtä non si trattava di una novitä assoluta ma del riaffiorare della tradizione di Sveti Santi Läwdeö. Marcellina inizia cantando ma forse per la limitata frequenza delle esecuzioni preferisce usare la forma del racconto. Il canto richiedeva probabilmente delle prove per essere di nuovo fissato testualmente nella cornice del verso o della strofa8: Da Sveti Santi Läwdec e sow po ni potice, e srituw naga mu Sä: "Ke baj ti greš ti Läwdec?» «Grin ji'ska’ mo mater nu me dwa bräträ nu miga oco.» “Twa mate e tu-w pakle, obisanä za läsa nu twöj oca e obišan za azek.» CR. la sna bella raccolta di canti lirici e di improvvisazione Rožice iz Rezije, Koper-Trst - Ljubljana, 1972 e altri studi su questo argomento (come da bibliografu! Dapit 1995). 11 canto Sveti Siniilawditie stato dassificato sotto il tipo 48. Godec pred peklom nel volume 1 di Slovenske ljudske pesmi. /, Ljubljana 1970 (d’ora innanzi SLI* I). La prima volta il canto e stato raccolto il 26.8. 1940, poi 11 29. 8. 40 e ancora 1’ 1.1.1941 presso Zvana (Giovanna) Siega Bješcica, nata a Uccea nel I860, maritata a ITadielis e li abitante dal 1895 (scomparsa nel 1944). In queste date il canto e stato narrato piti volte con delle piecole variazioni. In SLI’ I accanto al testo traseritto da Matičetov viene presentata la traserizione dell’ago. 1940 della figlia Ginea elemente, che in certa misura ha adattato il canto della madre al dialetto del Torre (clr. SLI’ 1, n. 12, 263-264 e M. Matičetov, Rezijanska pripovedna pesem, Etnolog, XVII, Ljubljana 1944, pp. 29-30). In base ai dati rilevabili dal materiale pubblicato, il canto e stato nuovamente raccolto dopo piči di venfanni nel 1962 (e ancora nel 1963 e 1969) nella Val di Kesia a Stolvizza, Oseacco e Uccea (cfr. SLE 1, n. 18-28). Marcellina Madotto Cikarinawa (1927), Osoane/Oseacco, registrato il 19. 8. 1994, pomeriggio. La parte in versi e stata cantata mentre il resto e stato raccontato. Marcellina e stata informatrice di M. Matičetov al quale nella planina Jama di Oseacco ha offerto numerosi canti e racconti. Le traserizioni dei testi resiani in questo articolo sono eilettuate da chi serive. Nei testi di Oseacco e Coritis il segno g foneticamente corrisponde a y. Alöra Sveti Santi Läwdec e Sow po ni pote ann e srituw naga inuža anu jsi muš e rekuw: «Ke hej greš Lawdec?" An di: «Grin jiska’ mo mater anu miga odo anu me dwa bräträ.» - «Twa mate n’e tu-w pakle, n’e obišana za läsa nu twöj odä e ta-nu w pakle, e obtSän za azek anu twöji dwa bräträ ni dändaö ta-po pakle.» - «Sa möre tet nütu w paklö?» - «Gö, ti moreš tet nütu w paklö.» E šow ta-prad paklö anu zapiskulow zatrom-batow. Paklö t’e gnälu (w krau) w doga anu düre so sa ogäla ta-pr krau. »Ma ta lipa mate, kobä ti si folälä, ka ti si obišana za lasa?» - «Si delala uštinjo, si prodäalä vinu, ma si mišala pa wödo: ta böga si imbroäwalä.» - «Ö döbri möj odä, ti si obi.Sän za azek, koba si folöw?» - »Ta boga si ga bögew anu ta bogate si bogätew, ka si deluw pirit.» -«Anu me dwa bräträ ko matä, ka dändatä ta-po pakle ka na morata mwej sa stävet?» -«Dändamö ta-po pakle za jtö ka fäma judin snmö vinäSale, wsen ti diigracijänin samö sa smeale anu wsa tarna judin somö vinäSale, na möramö mwej sa stävet, mämö dänkat rüdi ta-po pakle za delät pilitinco.» Voglio ora presentare un altro esempio di come i portatori della tradizione orale riescono a mantenere e trasmettere il proprio sapere attraverso forme che un tempo avevano una specifica funzione ma che oggi vengono rappresentate in occasioni eccezionali, per esempio su richiesta di un ricercatore. Si tratta della tradizione relativa ai canti leggendari attraverso una versione di Tičica, canto che narra di Maria alla ricerca del bambino Gesü che le e stato rapito mentre si trovava con la balia'J. Questo canto e stato eseguito dalla ultraottantenne Ida Di Floriano Košina sulla soglia della sua casa ai margini dell’abitato di Gniva. A Ida piace avere sempre grandi riserve di legna, che sistema molto ordinatamente per averla sempre a portata di mano, e la sera, magari anche nelle serate piü fresche di tarda primavera, accendere un fuocherello nella stufa della cucina. In una pausa di questa attivitä Ida mi ha cantato senza esitazioni questo lungo canto, molto ben conservato nella sua memoria, e lo ha eseguito con una voce sottile ma molto intonata, senza essersi prima preparata. Ida possiede un vasto repertorio di canti sacri e pare che alcuni di questi siano stati creati da lei stessa. Tičica rappresenta un chiaro esempio di resistenza della tradizione orale a Resia dal momento che e stato raccolto da Matičetov nel 1973 presso la stessa informatrice10. Se confrontiamo infatti questa versione con una scritta nel 1976, redatta probabilmente sotto dettatura della stessa Ida o tratta da un suo scritto, si nota che la versione orale del 1994, a parte dettagli irrilevanti, si e conservata perfettamente ed e stata raccolta in forma integrale. 11 testo scritto a cui si e accennato fa parte di una raccolta manoscritta nella lingua di Gniva composta di 48 pagine (si presume si tratti di un quaderno a formato grande) di cui il frontespizio riporta i dati seguenti: Preghiere in lingua resiana /Pro memoria / La maggior parte clelle preghiere le scrissi, negli anni 1944-1945, sotto dettatura di Brida Anna, delta prigjadedova da Gniva, nata il 5 - 2-1873 + 27. 9. 1963. / Altre, invece, sono di Di Floriano Ida, delta Ho effettuato varie registrazioni cli questo canto: a Oseacco da Marcellina Madotto Öikarinawa, il 19.8.1994 e piü volte da Cirilin Madotto Prešeinu di Konto / Coritis. Numerose altre varianti resiane sono pubhlicate in Slovenske ljudske pesmi. //, Ljubljana 1981, cfr. tipo 77. Tičica pestrna / H, dal n. 12 al n. 31, per la maggior parte raccolte da Milko Matičetov. 10 Cfr. SLI’ II, n. 23, pp. 88-90, dove accanto al testo trascritto dalla voce di Ida Košina appare il testo redatto da lei stessa su un quaderno nel 1965 circa e trascritto da Matičetov. Questo canto richiederebbe un commento filologico che in questo contesto non e possibile esporre. 1’er esempio nel verso 3 della IV strofa leggiamo Ti Midi jildi ‘Gli uomini cattivi' ehe sarebhe forse da interpretare come ‘1 Giudei’. Kosine da Gniva, nata il 12. 6. 1918. /Le prime preghiere me le insegnö mia maclre. / Agosto 1976 / Valeriano Contiene 32 testi, fra preghiere e canti sacri, che in un certo .sen.so compongono e rappresentano la quasi totalita del repertorio comune resiano; 10 sono i testi al cui margine compare il nome di Ida Di Floriano, ehe pud essere eonsiderata senza dubbio una delle ultime portatrici-ereatrici della eultura sacra resiana. Dalla voce di Ida Kosina": Tičica bajica wardijen na tela one no bajico, na bajica je ji paršla nu na ji vvarje Ježuša. Na šla ta-h nji hötre Lužubetici, da na ji daj no jihlico, no jihlico no nitico, ka na me paršet Ježušu srakico. Nu koj na nezet na paršla bajica wsa udjökane, udjökane, pohraspjane, zibilica pribračane. "Vi tičica, vi bajica, ke baj ste gala Ježuša?» “Ti hüdi jiidi so paršle nu Jeziiša so wen nisle.» [Marija se odrehnula,] na wzela krilaco tu-w pest nu na je šla nu potakla pti ti pastirčičeh trujo. Na sretla tri oračarje: “Mnji triji oračarji, sta čiili kaj böj slišali, ci nö melice je jokalo?» “Ni cüli mi ni Slišali, ninö melice ni jokalo.» [Mar ija se odrehnula] Da na je šla nu potakla na je sretla no milico: ■O vi lipo me mihca, ste čiila kaj böj slišala, ci no melice je jokalo?» "O ti Marija vergine, ti jočeš za no semo diišo, abaj ja deva’ duši, Dal quaderno di Valeriano: 1. Ticiza baiza vardien na tela one no baizo na baica ie i paržla nu nai Mario Iešuža. 2. Na žla tah gni hotre Lužubetize da na i dai no iglizo no iglizo no nitizo ka na me paržet Iešužo srakizo 3. Nu koi na naset na paržla baiza usa ud iokane udiokane pohraspane zibiliza obračiane. 4. Vi tičiza, vi baiza ke bai ste giala Iešuža Ti hude iude so paržli Nu Iešuža so nen nisle. 5. Maria se odrehnula nu usela krilazu tuv pest Ta dai na žla nu po tikla I’o ti paštirzičiah truie 6. Na sretla tri oračiarie Mu ie triie oračiarie sta čiule kai boi šlužale gi melizo ie iokalo 7. Ni čiule mi ni šlužale Ni ne melizo ni iokalo Maria se odrehnula Ta dai na žla nu po tikla 8. Na ie sretla no mihzo Oh vi lipama miliza ste čiula kai bo šlužala gi ne melizo ie iokalo. 9. Oh Vi Maria Vergine Vi iočiate sa no samo dužo a bai ia devat duži Cantato da Ida Di Floriano Košina (nata nel 1918) il 22. 8. 94 a Njiwa/Gniva. Ida precisa ehe il eanto veniva e!>eguito per addormentare i bimbi nella culla o in braccio e usa le seguenti parole: -Ni so peli ko ni so zibali, t;idej utrök tu-w zibili wsanöl aliböj tu-w krili ko babica e mela otroka na e mu pela, t’e wsanöl, inveci jnjan so giocattoli nu televižjiin ka mu se pokrivijo pa oči,- den krawji stop je popaštal!» Marija se odrehnula, tadaj na šla nu potakla, putice so se j kratile, höre so se ji niskile. Na sretla tri utrudidace: «Mtiji trije utručicaci, sta diili kaj hoj slišali, d nö rnelice je jokalo?» «Lete-ten za to huro, mi diili nu mi Slišali, no rnelice je jokalo, meter Marijo klicalo.» Da na je šla nu potakla, na je dušla ta-h murjacu. «Murjace mö ukleti se!» Murjace se okretilo. Nu koj Marija je prišla, murjace spet zawdarilu. Da na je šla nu potakla, ta-za jto höro na je dušla. Vas čistu svit se poklarel, na je nalezla Ježuša nu taj na nezet na je šla, da wse se ji puhnüwalu, köj brina ne nu tarpitek. «Da tarpi tarpi tarpitek zimo nu letu zilinej, Buh da ti mej ni purusej, Buh da ti mej ni purusej!» den kravie stop mi popaštal 10. Maria se posmeinula tadai na žla nu potikla pote so se i kretile hore so se i niskile. 11. Na sretla tri utručigze (bambinelli) muie triie utručigiaze sta diule kai boi šlužale gi ni melico ie iokalo 12. Le ta ten sa to huro mi diule eno šlužale ni melize ie iokalo Meter Mario klizalo. 13- Na ie žla nu potikla Na ie paržla tah muriazu muriazu mo utkretise muriaze se utkretilo 14. Nu koi Maria je prižla muriazu spet se vudarilo da na ie žla nu potikla ta sa ito horo na dužla 15. Vas čisto svit se poklarel na ie nalesla lešuža nu tai na neset na ie žla da use se i puhnualo 16. Koi brine ne nu tarpitek (d)a tarpe, tarpe tarpitek simo nu leto silinei Buh da ti ni mei ni purusei. (Di Floriano Ida) 1. Tičica balia guardiana / voleva avere una balia / e la balia venne da lei / ad accudire Gesii / 2. E’ andata dalla comare Elisabetta / perche le desse un aghetto / un aghetto un filetto / ehe deve cucire una camicetta a Gesii / 3- E quando ritornö indietro / la balia tutta in lacrime / in lacrime e graffiata / la culla rovesciata / 4. «Voi Tičica, voi balia / dove avete messo Gesii? / Gli uomini cattivi sono venuti / e hanno portato via G es Ü / 5. Maria riprese fiato / preše il grembiule in mano / e si mise a correre / per i sentieri dei pastori / 6. Incontro tre aratori / «Miei tre aratori / avete udito o sentito / un piccolo piangere?» / 7. «Non abbiamo ne udito ne sentito / nessun piccolo ha pianto» / Maria riprese fiato / e si mise a correre / 8. Incontro una topolina / «O cara la mia topolina, avete udito o sentito / un piccolo piangere» / 9. «Oh Vergine Maria / Voi piangete per una sola persona / e a me allora nove piccoli / ehe uno zoccolo di mucca ha schiacciato!» /10. Maria riprese fiato (sorrise) / allora se ne andö correndo / le strade le si allargavano / le montagne le si abbassavano /11. Incontro tre bambinelli / «Oh voi tre bambinelli / avete udito o sentito / un piccolo piangere?» / 12. «La, dietro quella montagna / abbiamo udito e sentito / un piccolo piangere / ehiamare la madre Maria» / 13. Se ne andö correndo / giunse al mare / «Mare aprili!» / il mare le si aperse / 14. E quando Maria ebbe attraversato / il mare si chiuse di nuovo / andö correndo / giunse dietro la montagna /15. II mondo intero si rischiarö / trovö Gesü / e mentre ritornava indietro / tutto quanto le si inchinava / 16. solo il pino e l’agrifoglio (?) no / «Oh, soffri, soffri agrifoglio / che tu rimanga verde inverno ed estate / che tu non possa mai ingiallire / che tu non possa mai ingiallire!» Volendo focalizzare l’attenzione sul genere specificamente narrativo del racconto, intendo ora offrire all’amico Milko Matičetov la favola dei «Tredici ladroni/7>im/rt lärinuw» in una variante di Bila/San Giorgio. Ho scelto questo racconto perche e forse il testo narrativo piü lungo del mio archivio e anche perche come genere rappresenta una raritä. Come giä accennato, la favola risulta uno fra i generi narrativi piü esposti all’estinzione. Ciö e dovuto con molta probabilitä alle dimensioni e alla complessitä che solitamente le caratterizza ed essendo narrate in poche occasioni, rischiano piü di altri generi di scomparire. Nonostante questo, in rari casi mi e capitato di raccogliere a Kesia delle favole, piü spesso di animali. Una di queste occasioni si e verificata anche a febbraio di quest’anno a Bila da Virginia Birbawa,12 mentre stavo raccogliendo del materiale sugli esseri mitici, che invece risulta di reperimento relativamente facile. Nüna Virginia ha piü di novant’anni ed e una donna esile e minuta ma energica e vitale nel portamento e nella conversazione, sempre pronta ad allacciare nuove situazioni comunicative. Vidi per la prima volta Virginia alcuni anni fa, nel 1994, ci siamo incon-trati presso la chiesa di San Giorgio. Stava ritornando a casa, ta-na Bräjdi. Come si puö vedere dalle foto qui pubblicate, portava una gerla, körba, colma di legna da ardere e Pure allora aveva circa novant’anni. La favola qui illustrata e stata narrata due volte: il 27. 4. 1994 e 1’8. 2. 1999. La versione qui trascritta e quella del 1994 e contiene i’elemento narrativo della tempesta sul lago che nel racconto del 1999 non compare. La favola e stata tramandata a Virginia dalla nonna, Marija Ždrašawa, nata, secondo Virginia, nel 1850, che nelle serate d’autunno era solita intrattenere con dei racconti le giovani che la aiutavano a scartocciare le pannocchie. Ad un certo momento della sera offriva loro patate, rape e pannocchie lesse e invitava a continuare chi non fosse stanco, oppure a coricarsi: Mo baba Ždrašawa, ko samö wudili ji lüpit panüle le-jsa-nütre ki je ta jiša, alöre na gäla tu-w mo mäter, na gäla: “Marija, pušij nütur te hcirice, da ni pridite mi pomagat lüpit panüle tu-w jisino!» Unä na raklä: «Go, go mati, tasta nüter!» Tej baba, gö, taj njän so panmave liböj so creme aleböj so biškotavi, na diwala küwat, na mela to stäro jišo, na diwala küwat te vli'ki kotöl, te na diwala kartüfule küwat, na diwala repe anu na diwala panüle te ki niso bile lepu zrele, te sirave so gali, na diwala wse wküp, be tadij so bile ti biškotavi. Mi somö rüdi liipile, ko bilu küwanu, ki na sküwala, vigäla ma baba lu-w no vliko skledo, vigala anu na parnaslä nütu w jispo ki smö liipile panüle, na raklä da: »Nata njan jejta anu ko bota site tadij,» - na raklä - *ci bčta tele delat šce kej, nu šene pridite ztitra, tasta spat tadij!» Eh, moreš vedet ci nismö jedle panüle, smö jedle kartüfule te drüge ba rekal siz wsin vištiminton... Dopo aver ricostruito nella memoria la situazione privilegiata in cui si verificava nel Periodo delPinfanzia il racconto, Virginia si ricorda di una favola che in quelle serate la nonna era solita raccontare e ehe le piace particolarmente. Si e forse conservata nella memoria per gli aceenti drammatici e talvolta spaventosi della narrazione: Virginia Valente - Di Biasio Birbawa, nata nel 1905. Ben tadij, gö, na nän pravila mogäri pa nur no lipo pravico: wöjme sabot ma te fos na lipa, fas na lipa, tej Žbarbarini, milasta baba, pa ta lipa jta. Be, ba tela wän pravit jto, te fos na lipa pravica, go. Prima di iniziare a raccontare quindi, esprime chiaramente il proprio apprezzamento per la favola ehe le sta ritornando in mente, frasi ehe aumentano la curiositä di chi e presente, e poi inizia13: Ben con pravät pravit Sče jso. Önda, to je bilu, to je bilu din muž, ne, anu an je fini proč, an je fini proč a Graz, to ba bilu /ta-w Äwstriji/ ta-w Äwfitriji, a Graz, ne. Alöre an je bil wobacäl - prit ki jtn’ - na žarni na je nusila anu an je bil ji obačal, da če jti won ji držat, ne. Alore ben, na je raklä da gö. Alöre, ko jsa Žana na je pövila, ne, alöre na je mu pisala, da an pridi ki da na ma no hčirico. Alöre won an je se wzel anu an je pafiöl se, nu pafiöl se anu se wstävil ne tli dni, fitiri, jtäku, anu ni so fili krstit anu ko ni so Sli krstit tö je wmflu prit ki tö jelu mäter za püfi, ne, jse utručoč, tö je wmflu. Alöre benk, naredel won njagä äovere anu pafiöl nu so krstili nu infiöma, alöre an je Sol tä, an je Sol spet na näzet. Alöre za jta’ na näzet an je fial pö nogii: e tadij mörefi vedet či to bo bilu blizu a Graz, an fial pö nogii nu an fial nu an fial, an rütli Sal nu nidi fial, an bi zgubil tramontäno, alöre an fial nu fial: ga jela nud Ne, an je fial anu an je pafiöl tä numu lago vliki, vliki, ne lago, din vlike jezaru, jnjän po rozajänski jezaru, ne, an je bil zgübil tramontäno. An je dufiöl tä, an je bil din barkarjulčič, an je rekal: «Wöjme, wiis lepu prösin nute či bota teli, prinisite me ta-strän!» - «Ben, da gö, da zako baj da ne!?« An je montäl wün na no barčo, bäfita, za prijtöt ta-strän. Mentri ki ni so bili ta-na ti bärci, je pafilä na bufera le-jtäku, taj din tamporäl, taj din büf, ne. Alöre jsi barkarjulavi so riklo: «Öjme!« - ni so riklo - «Käku simö fos pirikul! Či ba bila forč jzde» - so bili dvi muci (?) - «kaka dufiica da či ba bila filii držat anu tö ba bilu mflu prit ko tö jelu mäter za püfi!« Ni so riklo jsi barkarjulavi. Alöre won je wzdignul no roko jse, an rekal: «Ja!« - «Oh« - an rekal - «alöre« - an rekal - «smö salvil» - an rekal. Alöre tö je prifilö, ni so prifilö ta-strän, prifilö ta-strän anu jse an mel tot, tu ki an mel tot, je Sol, barkarjulavi so wastäli jtü ka ni so meli jti anu an Sol nu riidi Sol nu rüdi Sol, bil zgübil tramontäno ta-z gözde anu ga jela nuč. Anu bužac an je fiol tä anu Sol ün na no privliko, vliko smreko, ne, na bila na vlika visöka nu mentri ka je bil, da an če jtot na visakö, ne da pride kak braw, anu vidi dnö fis daleč, daleč, an videl taj no jifio anu da bilu no mäle wuknice, ben tö wuknice tö žbajdnčičawo ni so gäli, te wuknice žbajančičave, an videl da je taj na Kič. «Orko,» -an di - «njän cejo bi jüdi!» An je rizlizal dölu anu an je fiol anu ko an je pafiöl tä an videl da so ne vliki privliki pakič nu wse göst wöku nu wökul, an je pokjükal. Na pafilä na vlika bäba taj na fitrija, na je pafilä. «Wöjme,« - an rekal - «ba tel wäs prusöt z rokämi gore, či böte teli me lagät. Gö, gö,« - na raklä - «pojte, pojte, c'emö dabrö was gal naprit!« Na mu däla dret din kölp le-jzde: «Cemö dabrö was gat naprit!» Wöjme, ko na wagäla düri, ki an vilizal nüter, je bila na täwla: so bili dwänijst plätuw anu capo trinijst, so bili wsi lärini. Alöre an fiol gore za fogolär, ki je bil näret lepu, an je Sol tä anu an sednul, na raklä da: «Sednete!» An videl da jsa täwla je paraeäna anu na mifiala le-jtäku " Riassunto: un uomo di San Giorgio va a lavorare a Graz ma promette a una Uonna di ritornare in paese per tenere a hattesimo. Vi ritorna, it bambino viene battezzato ma subito dopo muore. Riparte per Graz e giunge sulla riva di un lago dove un barcaiolo gli da un passaggio ma li sorprende una grande bufera e si salvano grazie alia sua presenza. Riprende il cammino ma perde l’orientamenlo e chiede alloggio in una casa dove stanno una donna e tredici ladroni che cucinano e mangiano esseri umani. Lo vogliono uccidere ma con un’astuzia fugge e si nasconde sotto un mucchio di fieno. Viene salvato dai padroni del prato che lo riportano a casa. I ladroni e la donna vengono infine catturati e bruciati sul rogo. L’uomo qualche mese dopo muore a causa dello spavento che ha provato. din privliki kotol minježtro, na mižala le-jtäko nu wse na din böt vilezla na roka, jtü ki na mižala. Ko an videl, an je wastäl, an rekal da je mu pažlo fin wüdu ko an videl. An rekal da: ‘Jnjän, ja si se žalval ta-na bärci, njän» - rekal - «jsa jzde to mal» Bužac, anu bästa, pa döpu na žla tä, na vigäla, na raklä: «Man wän dät pa wän nu mälu minježtre?» An rekal: «Wöjme ne,» - an rekal, an rekal - «ja si sat!» Be, kuce an meže jest minježtro? So küwali te mrtve! Alöre an rekal da ne, an rekal: «Ja si triidan.» - an rekal, fis täku. Alöre wse na din böt so wagäli düri: dwänijst lärinuw anu capo trinijst. «He» - an rekal - «ga mamö njän pa jsogä, je nä.s!» Alöre na žla tä nu an rekal da: «Či bote tela me pajät spat!» - «äo.» Na wnitila lanternin, te läriski lanternin, na wnila jte anu na ga pajäla. Tri linde wiin zgore, tin to zadnjo, zädnjo cänibo na ga pajäla, tri Unde tin, tin, anu ta-wne na mu wagäla danibo, be, na mu posvitila te läriski lanternin, ke baj ni vide, na mu wagäla köj düri! Par furtüna ka mel fulminante. Ko an je wnitil fulminant, da an mä vide’, je bila ta mlinaska ped ta-pöt cufiton, alöre ko an videl... Anu an se wabrätil ta-za diirmi nu bil din mrtvi, an bil wäjer an bil, bi žkelatro! Ko an zdelal!? An bo bil mel pur no mälu koraga, bo bil mu dal kej ta wotrök ki te wmr čenče jet matere za piiž, kej to bo bil pa (...) inžome Žane. An wzel toga mrtvaga jtü, an ga gal wün köwo, na lipa köwa, lepu pasöjana, anu an ga gal nütur. Ko to je bila na čert wora, ni so spustili to mlinasko ped dölu. Alöre si sä, na wdarila dölu, to žbruždalu tö ki bilu tu-w kövi, ki bilu köj žkeletro. Wse na din böt an čtije da ni grejo zis dawörji, zis gujini - ni so gäli da gujini, gujinavi, dawörji te lesani, quelli di leg no, i secchi di leg no, gö, so gäli da guj'inavi - alöre da: «He, da piclö jnjän ki da na mu tače krij!» Ko an videl/rami njimi, an )b viletal anu rizletal dölu linde, wse tri, ni žal po žtigla, rizletal dno za to driigo dölu anu rizlizal dölu nu an je tuliku žal, an je tuliku žal, an je tuliku žal: an je pažal ta-w din träwnik, ne, ta-w tumu träwniki so bili dwisti lönie anu ta-mi sridi bila na mala: dwisti nu dna. An je žal se skrit ta-pot to mälo lönico ta-mi sridi, an je žal se skrit jse - na Pravila ma baba Ždražawa, na mwrla na mela otanta anni - an žal se skrit ta-pöt to ‘önico jtü anu so pa.žlž te lärini, ne, ni so pažlo, ni so rizwälili wse lönice, wse, wse, Wse, ni so riskrili wse an ni so riklo da ko ga ni ta-pöt to vliko, žde manji ta-pöt to mälo: an bil žalvan, viž jnjän, da käku to je? Alöre, bitabük, an stäl jtü, an düje karje timpa rlöpö, so pažlo guspudinavi, ti ki so meli träwnik, ma to ni bilu daleč wöt... wöt pajiza, anu an čiil da ni so pažlo da ždičajo utruco ne. Ko ni so pažlo guspudinavi wöt..., ni so vidali da so rizwajane lönice an da köj jta je wäjer: an je vilizal. Ko ni so ga vidali, an ni sa znäl da to je muž tu-w vi.žti, wstražjan taj an bil, morež vedet. Alöre an je sednul, ni so mu däli za pöt jsi, an je kontäl fät, wse da käku nu käku. Be, ni vidijo da käku so wse lönice: dwijsti anu ta mäla ta-mi sridi, dwijsti nu dnä. He! Alöre ni so wastäle, ni so ga w2eli toga muža, ni so ga gäli wün na wus, ki ni so meli konjä aliböj kräve aliböj tö, ni s° ga pajäli tä anu to nima bi bilu daleč, ta-w pajis, ne, anu ni so pažlo tä anu ni so ga Pajäli ta jisi, tu ki an je stäl, to bilu tadij a G raz a n mel dujto’ jtü. Anu ko to bilu gore, nu pažol midi anu ga vižitdl, ma ko to govä, muž bil se w.strä.sil, ne. Alöre ni so žb tä, an kontäl, so žb po kribinirje anu je jin kontäl te muž fät: wse, wse, wse, da käku to je. So se wzeli batülja ut soldäduw, kribinirjuw, cela kambrikula, ni so gäli prit da kam-brikula, gandärmavi, anu ni so žb tä jte jtü, ni so nalezli te paläö, ni so jin cirkundäli, so le jcli lepu wse, ti ki so bili ta-nütre nu pa to bäbo, taj na žtrija, viž jnjän? Anu bdžta, taj na žtrija, anu ni so je parpajäli ta-na gurico a Graz, go, ni so je parpajäli anu ni so žli pö toga muža, ne, alöre ko an pažol toga miiža, ni so mu parnesb di’ .skänj anu bd.žta an sednul anu ni so ga gäli il palco anu pa ta bäba, ta bäba ne/ mezzo, anu capo wöd lärinuw anu wsi ti drügi. Alöre jsi kribinir te vliki, te ki kwažiiwa, an rekal: «Jnjän vi,» -an se klical, te bil din Barbarino dö s San čorč, le-jtän an stäl, din Barbarino to bil - an rekal «Ecco,» - an rekal - «adesso, Barbarino,» - an rekal - -li conoscete questo?• - an rekal in italiano, ne. An rekal: «äö,» - an rekal - »to so jsT, jsl, jsl, js'i» - an rekal. «Bravo!- So je lepu, lepu, lepu je cirkundäli anu lepu je wezali wse, so je gäli ta-na gurico, ni so paracäli balče anu so je gäli wse jtii nil so je wnlli wse, dalprimo fino a ultimo. Ma ko to je govälu, jte muš bi se wsträsil, an bi mwr, go m agari ne napret, go, ja ni vin ja ci an duräl .šce, ni vin ci tre, ci quattro mesi še e an duräl, bil se wsträsil, videt da kako no rič, moreš vedet lipi möj šlovek. To je na štorija integana, na stära integäna štorija jsa. Mentre stavo stendendo queste pagine mi sono capitati, durante i miei rilievi sul campo a Resia, due eventi di cui vorrei parlare e che in un certo senso possono mitigare gli accenti poco ottimisti delle pagine introduttive. Si tratta di piccoli avveni-menti che comunque rivelano ancora una volta l’elevato grado di conservazione della tradizione orale a Resia, rispetto a simili condizioni in altri contesti sia sloveni ehe friulani della regione Friuli - Venezia Giulia. II primo riguarda il caso di un giovane informatore di San Giorgio e il secondo un’anziana informatrice di Lipovac. Entrambi hanno dimostrato, a livelli diversi naturalmente, di possedere una buona conoscenza dell’ambiente fisico, anche dal punto di vista antropico, dei luoghi e dei rispettivi nomi, e di aver conservato un buon livello di tradizione sia dal punto di vista delle credenze ehe della narrativa. Il primo ha infatti riferito dei racconti su esseri mitici come dujačesa, mora, spiriti e anime dannate nonche una variante della leggenda sulla corsa per il confine, argomento che pure e stato trattato da M. MatičetovH. Questa lezione piü recente riguardante il possesso dell’area di Sella Carnizza e interessante poiche coinvolge tre (e non piü due, San Giorgio e Gniva) frazioni resiane: San Giorgio, Gniva e Oseacco. Sono infatti gli abitanti di queste tre frazioni che si sono spartiti la proprietä della Valle dell’Uccea. Da Ovest verso Est, prima Gniva poi San Giorgio e, fino al confine di stato e oltre, Oseacco15. «Corsa per il confine»16 Din Njivaški nu din Biski nu din Usöjski ni so bili si gäli dakordu dä ni mao ta’ wzet dö na Učjo, ki to btlu dujf ta-w Uči, da te ki döjde prit za met to liwce ta-na Karni'co anu te drügi se rangejte. Alöre ni so bili šla spat da te prvi ki döjde zgüda ün, ma KarnYco, te drügi dölu stran nu te drügi dölu stran. Ni vin da koj za ni uStiri'ji so bili, ni so bili ta-na Rävanci anu so šla spat da ni mao wstat, gö, da ni mao ba’ zgüda ta-gore. Alöre te Njivaški koj an zdelal, an je šal tä anu ni šal spat, an šal te prvi gore: za jtö ka da te Njivaški majo to pfwo jtü ki mao Karni'co. Te naš je du,šol döpo anu wzel wse te Meje anu te Ušojski je dušil šce böj pözde anu za njinni mu wostäla Ucjä. Che prima mao te Njivaški, döpo mao te Blskinu döpo mao ti Wošojski. Ti Wo.söjski mao fis ta-na kunfin ki se gre ta-w Buške. Jtäku jnjän, ni so se sanjäli mere, sklapäli ta-w pec križe da ke so mere anu wsak ni mögal prijtot mere, an mel wostät wsak ta-na svin, pa kräve se ni muglö uda’ gnät gore na tö NjTvaške, ni so jin strigle pa repe (...). Una variante della leggenda coinvolge invece gli abitanti di Resiutta e quelli di Resia per quanto riguarda il possesso della malga Canin. Tale versione, molto meno diffusa, M Cfr. I’articolo Canlributi ulk) studio del luma namiliva -corsa per il confineCe fastu?, XLIV-XLV11, Udine, pp. 53-77, 1968-1971, clove vengono illustrate pure 10 lezioni resiane. 15 Per quanto riguarda la ripartizione del territoriodi Uccea cfr. R. Dapit, Aspelti dicullura resiana net nomidi luogo. 2. Area di Osoane / Oseacco e Učja / Uccea, 1998. 16 Raccontato da Nicola Di Lenardo WtirSin (nato nel 1967) a Bila/San Giorgio il 19.8. 1999, pomeriggio. e stata pure trattata da M. Matičetov nell’articolo citato e mi e stata raccontata a Lipovac da Albertina Longhino17: Ta-hure w Canine, tö ki je mälga, kwažiiwao ti ta-na Bili. Alöre käku tu bilu, ni so meli naredit dan ta-na Bili nu dsn tu-w Reziji garo, da du ma dujtet ta pfvi, ne, ti ta-na Bili je gal zemjo nüta w criwje, to ta-na Bili, e rekal: “Si dušel pri ja!» E rekal da: «Kuce ti!?» E rekal, an di: «Si ta-na mi zimje ja!» Con notevole sorpresa ho constatato che l’informatrice giä al priino incontro mi ha permesso di raccogliere numerose unitä di vario genere: aneddoti, indovinelli, fiabe, leggende agiografiche nonche scongiuri contro il morso della vipera e le infezioni. Albertina, abita nella casa accanto a quella di Eugenia Siega ta-w Gradu, giä informatri- di M. Matičetov, e ricorda le visite dello studioso presso la vicina. Seduti sul terrazzino fuori casa, fra un racconto e l’altro Albertina commenta i mutamenti dell’ambiente e delle persone. II rumore dell’acqua di una fontana, costruita al posto di una casa, fa da sfondo alle lunghe registrazioni in un pomeriggio di agosto. La sorpresa di questo incontro cleriva anche dal fatto che l’informatrice ha narrato unitä a volte piuttosto lunghe, come certe favole, senza alcuna esitazione, mantenendo costante-rnente il filo della narrazione. Alla domanda se per caso avesse narrato di recente quanto stava a me raccontando, mi viene risposto di no e ehe queste conoscenze risalgono al periodo dell’infanzia, quando la nonna era solita raccontare la sera, prima di addormentarsi, oppure mentre scaitocciavano le pannocchie. Spiega ehe certi rac-c°nti le sono rimasti molto impressi nella memoria per i contenuti fantastici ma anche perche incutevano molta paura. Con questa breve rassegna si intende sottolineare la relativa vitalitä della tradizione orale resiana anche alle soglie del nuovo millennio. E’ una tradizione ehe in misura ridotta continua e il confronto e possibile con il materiale dell’archivio raccolto da Milko Matičetov, che indubbiamente rimarrä una delle fonti piü importanti per lo studio non solo della narrativa ma di molteplici aspetti dell’universo resiano. Spero ehe coine me siano grati per questo alio studioso anche tutti i resiani e mi auguro possano in breve leggere ed ascoltare i documenti ehe per il momento sono conservati nei nastri del suo archivio18. Quanto ad essi sembrava venisse portato via tu-w Buške, in Slovenia, in una forma diversa ritornerä invece accessibile alla comunitä. Riconosco inline a Milko Matičetov il grande merito di aver saputo valorizzare la figura del narratore, per eccellenza il portatore della tradizione. Nelle nostre conversazioni sulle esperienze sul campo, non solo resiane, viene sempre attribuita molta ‘mportanza all’informatore, la cui figura si delinea attraverso descrizioni e tratti ehe le conferiscono notevole spessore. La descrizione di ambienti e situazioni avviene spes-so non senza una certa commozione, ricordando donne e uomini ehe sono dei per-■sonaggi veri e propri, ma ehe purtroppo sono per la maggior parte giä scomparsi. Essi stessi, con la loro essenza, fanno parte di quel mondo che narrano, fantastico o reale che sia. Come non si potrebbe quindi valorizzarli, riconoscendo loro una posizione di hlievo nel lavoro sul campo e nei risultati ottenuti? Dopo aver scritto queste righe mi sono recato, come spesso accade la sera, presso una resiana di Contis / Korito che per mia grande fortuna abita a poca distanza da casa Raccontato da Albertina Longhino KoCit’awa (1928) a Lipovac il 26. 8.1999, pomeriggio. Conservato a Lubiana presso ISN ZUC SAZU. mia, a Gemona / Gumin, in Friuli / tu-w Laškin. Durante queste serate, anche cjuando non c’e l’intenzione di cercare qualcosa di particolare, nel vasto bagaglio tradizionale di Cirilla Madotto Prešcina19 affiora sempre qualche racconto o aneddoto, qualche arcaismo lessicale mai colto ed e perciö opportuno a vere sempre la penna alla mano. In questa occasione e nato un canto, spontaneamente, improvvisato sul momento e mi sembra che riscriverlo qui sia il modo migliore per conciudere questo seritto ehe con grande riconoscenza dedico a Milko Matičetov. In una forma altamente poetica, ehe di solito il cantore resiano sa raggiungere, Cirilla ringrazia il monte Canin di averle dato la vita e in questi versi leggo quanto e rieonoscente alia terra resiana per averle trasmesso la mušica, il canto, la danza, la lingua e quant’altro ama. Mi chiede infine di conservare quanto lei stessa mi ha insegnato, semplicemente cantando, anche quando non poträ piü farlo. Si tratta quasi di un testamento poetico ehe rivela la preoccupazione e il desiderio ehe il sapere venga tramandato: (...) Da göra ma Caninawä,20 da lepo ta zahwalimö, ka glawo mo si wredilä. Nu da Roberto lipi möj, ti nimaš zabet wi'žico nu ti ti maš ga rüdi pet, ka glawa ma ta wücila, si wizica ti pravila. Ko glawa ma bo ginjala, da ginjala sa vasalet, ti nimaš zabit wizico, ka glawa ma ta wiicilä. Si wi'žica ti daala anu ti nimaš dat wkrej, ti maš o držat makoj ti, no wYžico ti maš zapet, ka to bo pa za glawo mo. 19 Si tratta di un ca so in cui tra ricercatore e informatore si instalira uno streti« e proficuo rapporto di scamhio. Attraverso gli stimoli del ricercatore l’informatrice ha riscoperto determinati aspetti della propria tradizione facendoli riaffiorare nuovamente. E’ cost che ho potato raccogliere da Cirilla importante materiale orale di ogni genere: racconti e aneddoti, canti improvvisati e sacri, preghiere, massime e proverbi, credenze e rimedi di medicina popolare, un altro caso insomma non solo di ottima conservazione della tradizione ma anche di coscienza della stessa. Sul repertorio di canti di Cirilla e sul suo modo di comunicare in versi cfr. l'articolo uscito in questa rivista aleuni anni fa: K. Dapit, Nekaj pesmi iz repertoarja Cirile Madotto Prcščine. Živ zgled rezijanskega •govorjenja v stihih-. S sodelovanjem K. Frisana (glasba) in M. Matičetovega (prevodi pesmi), Traditiones, XXIV, Ljubljana, pp. 309-329, 1995. 11 canto che chiude questo articolo e stato prima cantato e poi recitato una seconda volta la sera del 30 agosto 1999. Viene qui presentata la traduzione del canto che in certi passi risulta alquanto libera e semplificata al fine di rendere pili comprensibile il messaggio del testo. Sono state tralasciate aleune figure coma la metafora glawa ma, letteralmente ’la mia testa’, nel senso di ’io, me stessa’; oppure 1’uso tlel plurale in luogo del singolare per motivi di metrica (p.es. verso n. 2): Oh mio monte Canin / come ti sono grata / di avermi dato la vita / e tu caro Roberto / non devi dimenticare questo canto / ma devi cantarlo sempre / perche te l’ho insegnato io/ti ho fatto conoscere i canti / E quando io smetterö / quando smettero di rallegrarmi / non devi dimenticare il canto / che io ti ho insegnato / loti hodatodei canti/e tu non devi darli via /devi tenerli solo tu / e devi intonare un canto / che sarä anche per me. Virginia Btrbawa a Bila (27. 4. 1994) Povzetek Ustno izročilo v Reziji Poskus primerjave sedanjega stanja z delom Milka Matičetovega Delo Milka Matičetovega je osrednjega pomena za etnološke in jezikoslovne raziskave v Reziji. Gradivo, ki ga je snemal od leta 1962 je pravi zaklad in enkratno pričevanje zadnjega obdobja, ko )e bilo ljudsko izročilo temeljni element rezijanske kulture. Na podlagi tega gradiva želi avtor Predstaviti rezultate svojega raziskovalnega dela v Reziji, ki se je začelo točno 30 let po Matičetovih začetkih in s tern poskusi določiti današnje stanje pripovedništva, in na splošno ljudskega izročila v Reziji, ki je pogojeno ekonomskim in družbenim dejavnikom. Dejstvo je, da so ekonomske in družbene spremembe zadnjih desetletij drastično vplivale na ljudsko kulturo in da so sodobne generacije samo delno podedovale izročilo, ki ga je Milko Matičetov nedavno zabeležil. Kot drugje se tudi v Reziji, zibelki pristne ljudske kulture, prikazujejo dejavniki folklorizacije, a kljub temu je terensko delo v Reziji še vedno precej uspešno. Dokazi ohranitve ustnega izročila so presenetljivi, eeprav so danes seveda veliko bolj redki v primerjavi z Matičetovim obdobjem. Besedila različnih Vlsb posneta v 90-ih letih, spremljajo pogovor o sodobnem stanju. Med njimi najdemo varijante ze znanih pripovednih pesmi kot sta Sveti Sintiläwclic in TiČica bäjica wavdijen (Tičica pestrna). besedili predstavljata neposredno primerjavo z Matičetovim delom, ker je v svojih časih obe besedili posnel, drugo celo pri isti informatorki. To je odličen dokaz zakoreninjenosti izročila. V kratki zbirki nastopa tudi pravljica o «Trinajstih tatovih* (Tiinijst Idtinuiv). Čeprav je pravljica tisti žanr, ki je najbolj izpostavljen tudi zaradi dolžine in kompleksnosti besedilne in komunikativne strukture, je še možno zabeležiti tu in tam kako pravljico. Na koncu prizna avtor, da je Milko Matičetov posebej izpostavil vlogo pripovedovalcev-pevcev in na splošno vseh informatorjev, ki so v prvi vrsti nosilci ne samo ustnega izročila, ampak celotne kulturne dediščine. Na koncu prispevka je avtor zapisal še pesem improvizacijskega tipa Cirile Madotto Preščine, ki vsebuje zelo pomembno sporočilo. Pevka želi in celo zahteva od poslušalca-raziskovalca, v tem primeru avtorja, naj poskrbi, da se bo izročilo nadaljevalo in da se bodo njene pesmi pele tudi takrat, ko ona ne bo mogla več peti - z drugimi besedami: pevka je zapela svojo folklorno oporoko. Dr. Milku Matičetuv in liuberlu Dapil - FutuJ. Fikfak