ANNO XIV Capodistria, 1 G-ennajo 1880 N.ro 1 DELL' ISTRIA ■x Esce il 1" ed il 16 d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno fior. 3; semestre e quadrimestre in proporzione.— Gli abbonamenti si ricevono presso a Redazione. Articoli comunicati d'interesse generale si stampano gratuitamente. — Lettere e denaro franco alla Redazione. — Un numero separato soldi 15. — Pagamenti anticipati. EFFEMERIDI ISTRIANE Gennaio 1. 1-123. — Trieste. I giudici nuovi e vecchi della città accettano per un altr' anno iu vicario ser Antonio Rocca di Ascoli, e in giudice del criminale Si-r Antonio di San Daniele. - 2, 38.a 1. 1429. (M. V.) — Ducale che esime la città di Capodistria, in seguito a deliberazione del consiglio dei X, di dover rispettare gli usi antichi e le promesse fatte agli ebrei stabiliti in Istria. - 4, 169.a 1, 1787. — L'imperatore Giuseppe II sostituisce nella contea di Pisino al diritto romano la prima parte del codice civile austriaco. - 1. Ili, 63. 2. 1261. — Emonia. Il vescovo Bonifacio assieme al capitolo ed al Comune scongiura Brachino da Momiano a voler deporre la carica di podestà di Cittanuova alla quale era stato eletto illegalmente; Beachino aderisce di buon grado alla voce del clero, - 6, I, 27. 2. 1351 (M, V.) — Il senato sospende per 15 giorni la taglia che gravitava su Pasqualino de Vitando e su Costantino de Azo di Capodistria capi della rivolta del 48, accordando loro di recarsi a Mestre o nella Trevisana ed assicurandoli di largo perdono, ove le loro manifestazioni promesse fossero tali da salvare l'onore della Repubblica. - 11, XXVI, 77.b 2. 1556. — Il doge Venier abilita il consiglio di Muggia di potersi radunare in qualunque momento di suo piacimento, previo però un formale avviso fatto af podestà del luogo. - 5, 19.b 3. 1295. — Udine. Il patriarca Ramondo ordina a Matteo vescovo di Cittanuova, al decano e capitolo triestino ed al prevosto di Pisino di pubblicare la sospensione del vescovo di Pedena, il quale s' era rifiutato di venire ad un accomodamento col suo pieggio, Antonio Burgense da Cividale. - 9, XXV, 208. 3. 1423. — Trieste. li consiglio prende possesso della fornace fabbricata da Zobez massaro vescovile su terreno del comune presso Sant'Odorico (ora Dolina), e dispone di voler castigati severamente tutti coloro che per la cottura della calce tagliarono il bosco ove rifugia-vansi i villici co' loro animali in tempo di guerra, e per piantare il fondo a viti. - 2 38.a 4. 1278. — Il senato vuole che i podestà non possano allontanarsi dal loro posto senza un permesso del maggior consiglio dal dì 22 dicembre sino li sei gennaio, dal sabbato precedente la domenica delle palme fino a quella dei Sauti in aprile, e gli ultimi tre giorni di carnovale. - 6, I, 141. 4.' 1418. — Fra Giacomo di Ballando. Avrigoii, cono-li sciuti i malumori della città di Trieste per la sua traslazione 'lai vescovato di Lodi al tergestino, si ricovra in Muggia attendendo tempi migliori per prendere possesso della cattedrale e diocesi. - 10, 88. 4. 1584. — Capodistria. Il vescovo accorda al podestà e capitano, Giacomo Lion, di estrarre dalla chiesa dei Minori Conventuali in loco, Antonio Bonzaniu, reo di tentato matricidio, che per sottrarsi alla forza pubblica ivi s' era ricovra to. - 12. 5. 1485. — Capodistria. 11 vescovo Valaresso invita alla restituzione chi possedesse beni mobili od immobili, spettanti alla cattedrale od alla mensa vescovile, leggendoli fin d' ora scomunica ove noi facesse entro 15 dì. - 12. 5. 1525, — L'arciduca Ferdinando delega il suo segretario Pietro de' Giuliani ed i di lui fratelli Bartolomeo ed Ettore, a ricevere in consegna il castello di Monte Fucino, detto anche di Prosecco o di Contovello, con le artiglierie e munizioni. - 14. 1294. — Brisa de' Toppo, vescovo di Trieste, combina certe questioni tra il patriarca Raimondo ed i signori di Prata. - 15, IH, 338. 1419. — Trieste. Il maggior consiglio delega i giudici della città, perchè con altri otto o dieci cittadini di loro aggradimento si combinino col vescovo riguardo l'acquisto del monte Becca coli' annesso bosco, meno i mansi. - 2, 19.b 7. 963. — Ravenna. Ottone II concede ad istanza di Adelaide, sua moglie, al doge Pietro C'an- 6. 6. diano il luogo detto Isola in Istria. -16 40. (*) 7. 1382 (M. V.) — Il doge Contarini autorizza il pod. e cap. di Capodistria Marino Memo, a spendere lire 100 del dazio della carne per cuoprire le beucarie e a cedere le case del Comune, bruciate dai Genovesi nel 1380, a chi volesse rifabbricarle, coli' obbligo però dell' imposta annua. - 4, 20.a 8. 1426. — Trieste. 11 consiglio vuole che il ducato debba avere il valore di lire cinque e .soldi dieci di piccoli, minacciando della penale di lire cinque ogni qual volta alcuno avesse a contrariare alla deliberazione. - 2, 44.b 9. 1346. — Avignone. Papa Clemente VI invia il vescovo di Trieste a Lodovico re d' Ungheria per fare secolui le condoglianze per 1' uccisione del di lui fratello Andrea, re della Sicilia. - 18, I, 703. 9. 1355. (M. V.) — Il senato scrive al podestà di Trieste a volersi informare dei diritti che ha Volrico di Raifembergo sul castello di Pietra Pelosa, offerto in vendita dal suo procuratore Bonafede alla Repubblica, e di farne l'acquisto riducendovi il prezzo, e non potendo egli concbindere l'affare prima della sua partenza, rimetta la cosa nelle mani del podestà di Capodistria. - 11, XXVII, 53.a 9. 1869. — Il capitano generale veneto all'assedio di Trieste, Domenico Micheli, scrive al senato che i fanti ed i cavalli disertarono alcuni per le troppe fatiche altri per i disagi dell' invernata. - 19, 11, 290. 10. 1347. (M. V.) — Venezia. Nicolò Trevisani e Gio- vanni Mocenigo, esaminando le lettere «1 capitano del Taisinatico, gli rescrivono di imporre al conte di Duino, suo prigione, la restituzione dei furti fatti e la garanzia di : persona sicura che non offenderebbe più 1' onor i di San Marco, ove voglia esser messo a pie libero, e che in caso diverso lo spedisca con buona scorta a Venezia. - 11, XXIV, 55.a 10. 1387. (M. U.) — Il senato vieta al pod. e cap. di Capodistria di tenere più di ciuque cavalli e ciò per non aumentare gli aggravi della regalia dell' avena a cui erano obbligate le XIV ville del distretto. - 4, 239,a 11. 1274. — Che nessun veneziano possa accettare nel !^iuli ed in Istria il posto di capitano o rettore se non di que' luoghi, ove devono essere podestà veneti, e ciò sotto la pena di lire mille e la perdita della paga. - 6, I, 139. 11. 1291. — Il senato ordina un nuovo imprestito per proseguire ed ultimare la guerra iu Istria. - I, 139. 12. 1220. — Corrado vescovo di Trieste manda al convento di S. Nicolò del Lido in Venezia la decima del vino a lui spettante e raccolta sul territorio triestino. - 20, Vili, 689. 12. 1458 (M. V.) — Il doge Malipiero ordina al pod. e cap. di Capodistria Donato Corner, di scrivere alla curia vescovile di Trieste, perchè intimi al pievano di Pinguente la residenza ed in caso diverso ve lo rimuova. - 4, 164.a 13. 1322. — Trieste. Si pubblicano le indulgenze pa- pali da guadagnarsi da chi pregherà 1' Altis- (*) Il Cod. Dipi. Istr. dice li 8 gennaio. 1 simo, perchè le armi patriarcali aquileiesi riescano vittoriose su quello del duca di Milano Matteo Visconti. - 8, 67. 13 1367. — Udine. 11 comune festeggia con luminarie il ritorno del Patriarca dall' Istria. - 21, 143. 14. 1421. — Trieste. I giudici assieme a 12 consiglieri eleggono Nicolò de Addam, Roba de' Leo, Francesco de'Basilio, Argentino de Argento, Omobono de' Belli e Giovanni de Zigotti per assistere ser Agostino dottor Ozola di Pavia nella traduzione e revisione del civico statuto. - 2, 31.ab 14. 1510. — Trieste. Il consiglio minore delibera di prendere a mutuo verso rifusione fiorini mille dalla muda di Postoina per salariare i soldati stiriani. - 5. 15. 1403. — Cividale. Nicolò de Portis si elegge i procuratori che lo rappresentino nelìa^lite che aveva coi patriarca per il dominio e la giurisdizione di Pietra Pelosa. - 13, 15. 1422. (M. V.) — Il doge Foscari ordina al pod. e cap. di Capodistria, Alessandro Zorzi l'esaudimento di certe giuste domande, avanzate dai villici del suo distretto al senato. - 4, 81.b 15. 1550. — Trieste. Il consiglio approva l'istruzione dettata per il capitano del porto e ristretta in soli otto capitoli. - 14. Del decadimento dell'Istria1* Ai tempi di Teodosio adunque, regnando Valentiniano in occidente, il generale Arbagaste resosi potente e trovato in Valentiniano un ostacolo alle superbe sue mire, un bel di lo fece appiccare ad un albero del giardino di lui, facendo correre voce che l'imperatore venutagli a noja la vita, avesse di sua mano così troncato i suoi giorni. E per meglio colorire la cosa, contento di regnare di fatto, fece scegliere ad imperatore il rétore romano, Eugenio, uomo dappoco, e mandò ambasciatori a Teodosio in Oriente, perchè gli raccontassero a suo modo come era andata la cosa. Finse Teodosio di credere; e per due anni maturò la vendetta, apparecchiando intanto un formidabile esercito per vendicare la morte del collega e detronizzare 1' usurpatore. E nella primavera del 374, avendo apparecchiata ogni cosa, condusse l'esercito per la Pannonia alla volta d'Italia, accennando d'entrarvi pel solito passo dell' Alpe Giulia. L' usurpatore gli mosse incontro con le sue truppe, e per tentare ogni via alla fortuna si mise in capo di rialzare l'abbattuto politeismo, e di chiamare in ajuto i vecchi Numi di Roma. Non mancarono perciò i soliti auguri ; anzi a fulminare il nemico fece innalzare statue d' oro di Giove Tonante ai confini dell' Italia Romana sulle antiche Arae Po-stnmiae, al noto passo delle nostre Alpi. Ma Giove Tonante, perduta 1' antica virtù, lasciò passare Teodosio; e i due eserciti si affrontarono al confine dell' Istria, nelle vicinanze di Aquileja, in una pianura, dicono gli storici, confinata dai monti e dal mare, probabilmente nel terreno storico, tra Monfalcone e Duino. 2) Le sorti della battaglia furono sulle prime propizie al generale Arbagaste, e 10.000 Goti dell'esercito orientale rimasero tra morti e feriti; ma poi per defezione di uu corpo e l'infuriare d'un temporale, la vittoria rimase a Teodosio; l'esercito degli occidentali fu distrutto, 1* imperatore Eugeuio preso e ammazzato. Arbagaste errò fuggitivo pei monti, poi, perduta ogni speranza, per non cadere nelle mani del nemico, si trafisse con la propria spada; Teodosio, senza altri ostacoli marciò fino a Milano; e l1 impero ebbe pace. E quelle famose statue d' oro di Giove Tonante? Che sì, che qualche membro d' oro del Dio, si trova tuttora tra i sassi del Carso, "sotto la guardia della grave mora !„ Quante vicende! E quanti secoli vi corsero sopra! Superstizioni; ultime reliquie di una fede morta, e di un impero famoso. Pure quante cose ci potrebbero anche oggi insegnare! Altra causa di decadimento del paese le scorrerie dei barbari. Ma siamo sempre nella enumerazione di quelle cause remote, che si rammentano per trattare il tema con qualche larghezza, e dare ad altri occasione di conoscere la nostra storia cotanto t rascurata. Perchè le scorrerie dei barbari nell'Istria per la posizione sua, in questo favorevole, e per l'impulso fatale che spingeva i popoli sulla via di Roma, non furono nè frequenti, nè lunghe: una scorrazzata al settentrione e uell'iuterno e via. Questa è almeno la più accreditala opinione. Così passarono Quadi e Marcomanni nel 372, poi i Goti. Così Attila ; anzi è dubbio se il suo cavallo abbia diseccato l'erba dei nostri prati. Non pare probabile di fatto che i barbari si estendessero troppo nella penisola, così fuori di strada ; e certo dalle loro visite importune sarà stata risparmiata l'Istria bassa, e specialmente la Pole.sana; e tu questa la causa del suo florido stato in epoche posteriori. E quando Teodorico nel 489 mosse alla conquista d'Italia, la guerra grossa arse all'Isonzo; (ed è a questo fiume che Odoacre patì la prima sconfitta. hVenuta poi l'Istria in potere di Teodorico col rimanente d'Italia, la provincia non ebbe sorti tanto infelici.— "Pagava il tributo; ma ogni pubblico affare veniva discusso e deciso indipendentemente in un generale con-vocamento; ed il popolo eleggeva vescovi, Magistrati, Tribuni, Vicari, Locopositi ecc. ecc. (1) e questo libero reggimento continuò sotto il governo dei Greci. E poiché così relativamente florido fu lo stato dell'Istria al tempo delle trasmigrazioni dei barbari, conviene ben riconoscere che altre cause ci furono interne e particolari le quali le impedirono più tardi di approfittare delle felici sue condizioni. Ed ecco subito altra causa di decadimento. A-quileia è distrutta ; Venezia intenta a gettare le fondamenta della sua futura potenza; la capitale dello Stato è Ravenna : capitale spostata che non ha forze sufficienti per conservare la provincia nell'antico splendore. L'Istria posta di riscontro a Ravenna, con un mare di mezzo, diventa la cella, o come a dire il granajo dell'esarcato, non già per la reale fertilità di tutto il paese; ma per le misere condizioni delle Provincie più vicine a Ravenna e continuamente esposte alle scorrerie dei Longobardi. Lo stesso titolo d'onore dimostra che dalla provincia s'intendeva di cavare il maggior possibile frutto, e che la sua era quindi una floridezza relativa. — "Pola sì, e il suo agro n'ebbero molti vantaggi; perchè ripeteva la sua prosperità, come bene osserva l'egregio Luciani, dal commercio, dalla navigazione, dalle industrie e dal 1 avoro che le davano i molti villeggianti che tenevano (1) VediCorabi — Prodromo della Storia dell'Istria. Porta I imo I. pag. Orientale. 36. corte bandita. Lo stesso spostamento della capitale uon nocque a lei, forse giovò all'incremento di qualche parte del suo commercio., (1). Certo la coltura dell'agro dovea essere spinta assai per soddisfare a tutte le domande dell'esarcato; e il porto tappa della flotta che navigava ad oriente. Del florido stato di Pola abbiamo altro testimonio nella leggenda di Massimiano, chierico di Vistro nell' agro polese, il quale, avendo trovato un tesoro nel campo paterno (questa leggenda \li tesori nascosti è comune nell'Istria e nel Friuli: testimonio la forinola — salvo jure putti — quando vendevasi un campo) lo portò all'Imperatore a Costantinopoli, e perciò, entratogli in grazia si ebbe da quello l'arcivescovato allora vacante di Ravenna. Leggeude si dirà ; pure hanno un fondo di verità; ed è storia l'erezione della basilica di Santa Formosa, o volgarmente di Canneto in Pola per voto di Massimiano memore della patria lontana. Ed a Ravenna esistono tuttora monumenti eretti dallo stesso nostro Arcivescovo; e se la basilica di Pola nou fosse stata miseramente distrutta, non pochi raffronti si potrebbero instituire anche oggidì tra edilizi ed edifizì, e trovarne prove di artefici ravennati lavoranti a Pola e viceversa, e di rapporti strettissimi tra le due città anche nei sereni campi dell' arte. Ma se florido era lo stato di questa città anche sotto l'impero bizantino, Pola non era però tutta l'Istria; nè gli esarchi aveanu tempo, voglia e mezzi di vegliare a difesa dell' intera provincia. L'armata navale era sì sempre potente a vigilare le coste; ma quali mezzi e quale interesse aveano gli esarchi a tutelare l'intento, essi che non furono capaci di conservare la Romagna? L'Istria era sempre un possesso lontano, sempre un paese di là dall'acqua: si accentui bene questa frase caratteristica che esprimerà molto bene altri guai sotto una posteriore dominazione. E infatti, mentre navi andavano e venivano dalle due coste, la parte superiore era esposta a nuove scorrerie : di Longobardi, con Alboino nel 568, con Autari nel 588; di Slavi nel 604; finché nel 752 quasi tutta l'Istria cadde in potere di Astolfo, e nel 789 passò finalmente al Regno d' I-talia di Carlo Magno; e fu iustituito il Marchesato d'Istria con la residenza del Marchese in Pola. Ed ecco così nuova e più grave causa di decadimento: l'introduzione dell' abbonito e fino allora sconosciuto sistema feudale. Ma qui si apre largo campo alle disquisizioni storiche; e il nostro povero studio si collega ad altri studi e fatti importantissimi che diedero luogo alle più disparate opinioni. TV. Quale era adunque lo stato delle municipalità nel-l'Istria .all'epoca dell'iutroduzione del sistema feudale? Uno sguardo alla passata grandezza gioverà a far conoscere i danni della nuova barbarie. E qui la storia dell'Istria diventa, si voglia o non si voglia, una pagina di storia eminentemente italiana; la quale se meglio fosse stata e con larghi intendimenti studiala, meno errori si sarebbero commessi: e meno strane ed azzardate ipotesi accolte con tanto apparato di scienza. E a dir vero — "due souo, scrive il Lanzani, le scuole a cui si possono ridurre i differenti sistemi, coi quali dai tempi del Machiavelli fino ai nostri, si tentò di risolvere il problema delle origini del Comune. Più per il carattere delle dottrine e dei loro principii, che por lei nazionalità degli scrittori chele costituiscono, ci piace denominare l'una germanica e l'altra italiana. Appartengono alla prima il Sigonio, il Lupi, il Fumagalli, il Manzoni, il Troya, e, fra gli stranieri, il Sismondi, il Leo, il Bettman - H>llweg, l'Hegel, l'Hau-leville, pei quali in generale il Comune italiano, non avrebbe nessuna diretta e necessaria colleganza cogli ordinamenti civili dell'Italia durante Li repubblica e l'impero remano. ìjk seconda scuola invece è di quelli che propugnano la italianità del risorgimento municipale uel secolo XI e la continuità delia tradizione romana-, e fra questi, i principali sono il venerando Muratori, il Maffei, il Pagnoncelli, il Savigny, il Capponi, il Capei, il Cibrario (pag. 70). (1) Ammettiamo anzitutto coli'egregio Lanzani, chela formazione del Comune italiano è infine un fatto complesso, che varie cause concorsero al suo risorgimento nel secolo XI, perchè nella storia, come nella vita organica non vi ha nulla d'isolato, nulla che si possa dire assolutamente individuale. Sta bene; rimane sempre vero però che le due scuole si fecero una guerra accanita, senza tenere conto di questo temperamento ; e, per parlare degli scrittori italiani, se i seguaci dell' italianità del Comune furono accusati di fare della ret-torica, e di lasciarsi dominare dalla passione politica, anche è vero che si può fare della rettorica, dalla nuova scuola ghibellina dei giovani scrittori e professori italiani, che dettano opere sulla falsariga dei tedeschi, per paura della rettorica stessa; e che il sostenere, per dirne una, che la restaurazione dell' impero sotto Ottone il Grande (?) e la conseguente sudditanza della cotona italica alla germanica, fu un bene pel paese, è rettorica bella e bnona, anzi della peggiore specie, perchè una rettorica, mi si passi la frase, a sangue freddo. Ammesso adunque, che si debba tener conto di tutte le ca-gioui, diciamo che in questa benedetta questione dell' origine del Comune italico, come avvenne iu quel fatterello della scomparsa di una monaca dal monastero di Monza, "si sarebbe potuto sapere di più se invece di cercar lontano si fosse scavato vicino. A che tanto scavare e frugare lontano? Meglio era smuovere la terra in tutti gli scompartimenti e le ajuole del nostro orto. La storia del Comune istriano, tanto sconosciuta e negletta, avrebbe recato lume non poco iu cosi grave, questione. Si fecero invece molti studi sui Comuni lombardi ; e ciò fu giusto, perchè colà più vivo e ricco d'illustri fatti apparve il risorgimento della municipalità; ma pure fu ingiustizia negligere lo studio dei Comuni istriani, miseri più tardi, pure così ricchi e floridi, quando altrove nel più fitto della barbarie, era quasi spenta la memoria delle libere instituzioni. Fra i pochi che si ricordarono di noi è debito di giustizia rammentare l'egregio Lanzani stesso, che ricercando le origini del ! Comune italico e propendendo iu ultima analisi alla scuola italica, quando giunge a parlare dell'Istria così scrive: — Alle Comunità che continuavano a governarsi colle antiche instituzioni municipali, con una nominale dipendenza dalla corte bizantina, bisogua aggiungere infine anche le città del litorale istriano e dalmata, quelle città che fino dal secolo X dovevano essere aggregate alla repubblica di San Marco (?) ed a proposito 1) Vedi Francesco Lanzani. I Comuni dalle origini Ano al principio del secolo XIV. Milano Vallardi 1879. Fa parte di una pubblicazione importante — Storia politica d* Italia — diretta dall' illustre Prof. Pasquale Villari. i delle quali il Balbo dice che allora esse „erano già indipendenti, viri Comuni a modo dei lombardi e dei toscani cinque secoli appresso.„ (1) Parole d'oro che compensano noi poveii istriani di tanti superbi dispregi, e di tanti fastidiosi riconoscimenti. Ed altrove il signor Lanzani stesso: — „I Veneziani non erano soli in quegli odii e in quelle vendette (contro i corsari). Le città dell'Istria, e della Dalmazia, abbandonate come tante altre dagl'imperatori di Costantinopoli, e costrette a provvedere da sé stesse alla propria difesa, ed al proprio reggimento, prosperavano anch'esse da lungo tempo per interna libertà e costituivano tanti muuicipii indipendenti e repnbblichette come le città greche dell'Italia meridionale. (2) E adunque una verità storica, che non ha bisogno di dimostrazione l'esistenza di liberi Comuni nell' Istria sotto la dominazione bizantina, mentre l'Italia longobardica languiva nella più desolante barbarie. E quale fosse questa libertà, e come dai nostri sentita, lo prova il Placito al Risano nel 814, di cui rimane documento scritto della più alta importanza; e del quale ci abbiamo ora ad occupare. Prima di tutto giova notare che non c' è alcun ragionevole motivo a dubitare della sua autenticità. 11 prezioso documento, secondo il diligentissimo Kandler,passò da Grado a Venezia, colie carte di quell'archivio patriarcale, entrate nell'Archivio della repubblica dei Veneziani. Comparisce nel codice Trevisani, il quale con-teuRva documenti tratti da originali, per facile uso di quel governo. Uu esemplare è deposto nell' archivio imperiale a Vienna; altro nella Marciana, altro era in mano del Verci che scrisse la storia delia Marca trevigiana (3). Espone i lamenti degli Istriaui contro il duca Giovanni governatore della Provincia, nel campo di Maggio o Placito tenuto al fiume Risano nelle vicinanze di Capodistria, nel 304. lieca la firma di Fortunato patriarca di Grado e metropolita allora dell' Istria, del Duca Giovanni, di cinque vescovi e del diacono Pietro d' Aquileja che rogò 1' atto. Fino dalle prime parole reca meraviglia la locuzione "venieutibus . . . reliquia Primatibus vel Populo Provinciae Istriensium . . . e l'altra eligimus de singulis Civitatibus seu Castellis homines capitaneos numero centum septuaginta et duos, le quali dimostrano quanto fosse radicato l'antico jus municipale, e largo l'intervento del popolo nella pertrattazione della pubblica cosa. La meraviglia crescerà sapendo di che veramente si lamentassero gl' Istriani. Saltiamo a pie' pari le lagnanze loro contro il patriarca Fortunato dove però è degna di nota la frase in bocca del patriarca stesso; Rogo vos fìliino-bis dicere veritatem. Q,nal?in constici iidinem S.a Ecclesia mea Metropolitanaiu territorio Istriense inter vos habuit. Con la parola consuetudini quattro secoli dopo i Comuni lombardi indicavano i loro privilegi. Omettiamo pure le lagnanze contro i Vescovi; e veniamo 1) Lanzan'. op. cit. pag. 82. 2) Lanzani. Op. cit. pag. 118. Ma ecco che in una nota 1' autore ci converte in amaro il dolce del testo — "La città illiriche che fecero omaggio a Venezia furono: Pola, Parenzo. Trieste, Giu-stinopoli, Pirano, Isola, Bilione, Rovigno, Uirugo nell'Istria: Zara, Salone, Sebenigo, Spalatro ecc. ecc. nella Dalmazia., — A parte altri errori, da quando in qua le città istriane furono illiriche? Mai, mai, egregio signor professore. L'Istria con la Venezia fu provincia italica prima, e nella divisione dell'Impero fu ascritta all'occidentale. Fra noi « la Dalmazia c'è di mezzo il Quarnero. La Dalmazia fu molto tempo soggetta alla Croazia, poi all'Ungheria; nulla ha di comune l'Istria con quella terra slava. Tanto noi siamo Illirici come Turchi i Napoletani. (3) Vedi Notizie storiche di Pola, pag. 86. alle proteste contro il duca Giovanni. E qui i nostri padri suonarono veramente a campane doppie. — A' tempi passati, sotto l'impero dei Greci, i nostri padri godevano il diritto di creare i propri magistrati, tribuni cioè ei vicari e giudici locali e per queste cariche si entrava in consiglio e parlamento, ognuno secondo il proprio rango — Ab antiquo tempore dum fuimus sud potestate Graecorum Imperli, habueruntparentes nostri consuetudinem habendi actus Tribunati Doniesticosseu Vicarios, nec non Locoservatores, et per ipsos honores ambulabant ad eonununionem, et sedehant in congressi* musquisqueper suumhonorem... Ora il duca Giovanni divise il popolo tra i suoi figli e le figlie e il genero suo, . . .ci tolse i tribuni ... e perfino i liberti. "E così via via si lamentano che ai Comuni fosse imposto il fodero, 1' obbligo di lavorare nelle vigne del duca di far calce e costruire tuguri. — Fodere numqnam dedimus, in curte numquam la-boravimus, vineas numquam laboravimus, ralcavias numquam fecimus, casas numquam edificavimus ; tegoria numquam fecimus. — Gli Istriani insomma si lamentano come di cosa nuova di ciò che e:a n iturale; anzi la base del sistema feudale; non siamo già in un campo di Maggio, non si tratta di amministrare la giustizia; è un parlamento che protesta contro tutto un sistema e la perduta libertà municipale goduta da tanto tempo ; sono lamentazioni, proteste, forse nuove anche oggi a più d' uno scrittore ; e gioveranno, spero, a dimostrare quanto fosse profondo negli Istriani, come negli altri Veneti, 1' amore alla libertà, e quanto radicate le consuetudini e tradizioni che ci legavano a' più bei tempi di Roma, e quanto sia perciò inconveniente pei nostri paesi di cercare la resurrezione del Comune italico nelle istituzioni e concessioni degl' imperatori germanici; e un po' anche pei Comuni lombardi, perchè a la fin fine Venezia ed Istria non erano agli antipodi, e non è presumibile che nessuna notizia avessero i fratelli delle nostre proteste e delle godute libertà. Ma quale è poi. si domanderà la conclusione che ne ricavate pel vostro tema: il decadimento dell'Istria? La conclusione è chiara. Tanto più il sistema feudale dovea essere pernicioso agl'Istriani, quanto meno ci erano apparecchiati ed avvezzi. — Ab assuetis, dice il proverbio nulla fit passio ; e chi ci ha fatto il callo, meno sente il dolore della ferita. E per vero il feudalismo si definisce : l'individualismo, o meglio la prepotenza germanica, disciplinata dopo la conquista. Gli ordinamenti adunque di Carlo Magno, che regolò il sistema feudale, poteano apparire ed erano infatti, una benedizione per gli altri Italiani che aveano provato gli effetti della prepotenza non frenata da leggi ; gì" Istriani abituati al vivere libero, non aveano bisogno di quel temperamento, e più dovea apparire loro duro, perchè non transitorio ; ma sistemato, legalizzato, ed imposto senza preparazione. Si può facilmente immaginare quanto do-dovessero essere deplorabili le condizioni del paese, dopo secoli di libertà sottoposto al sistema feudale e quanto profondamente odiassero i nostri quel Duca Giovanni e i suoi tìgli ebe li obbligavano alle dure angherie e peranghe-rie nordiche; e non già, ripetiamolo, per uno sfogo di vendette del vincitore ; ma per un diritto proveniente da consuetudini e prepotenze legalizzate che distruggevano così ex abrupto altre consuetudini derivate da una sapienza che avea dettato per così lungo tempo le sue leggi al mondo civile. Abbiamo trattato alquanto diffusamente questo punto di storia per dimostrare l'importanza dell'Istria nell'antica vita comunale: vita ricca di avvenimenti accertati da documenti preziosi. Ili questo risveglio di studi storici delle singole provincie, necessari per compilare una vera storia nazionale, cessi adunque il mal vezzo poltrone di confondere sempre la storia istriana con la storia veneziana. L'Istria ha adunque una vita abbastanza distinta ed autonoma prima del dominio veneto : quando Venezia era appena sorta e i suoi abitanti lottavano con le prime difficoltà, Pola, capitale dell' Istria, era porto di primo ordine, murava tra il sesto e 1' ottavo secolo basiliche insigni, dava un prelato a Ravenna, un patriarca a Grado, e precisamente quel Cristoforo che con l'efficace parola persuase ai lagunari in Eraclea il cambiamento della forma di governo (697); cioè la sostituzione dei Dogi ai Tribuni; e la nomina di Paolo Lucio Anafesto ; Pola infine osteggiava perfino i Veneti nel 938, e non già come si va susurrando quale refugio di pirati, ma quale aspiraute a liberi commerci sul mare. Perchè di uu altro fatto vuol essere avvertito il lettore. Le laguanze degl'Istriani al placito di Risano furono in parte ascoltate dai messi di Carlo Magno. Il Duca Giovani infatti, visto che gl'Istriaui non si lasciavano tutti trattare come servi della gleba, e che il libero mare non si poteva infeudare, rinunziò alle angherie di opere e di navigli da carico, restituì ai Comuni i liberti, concedette che questi avessero giurisdizione sulle persone libere, onde i Comuni nostri si trovarono in condizione superiore a quella dei Comuni del Regno. La campagna aperta rimase però in governo diretto del principe, a sistema feudale. (') Di più secondo l'opinione di alcuni nostri scrittori, Capodistria ed altre città al mare sarebbero rimaste libere anche dopo la conquista fraaca ; e vere republichette nella nominale dipendenza dell' imperatore bizantino. Ma ecco qui nuova e grave causa di decadimento per la provincia, causa particolare anche questa, ma j collegata ad altri fatti d' ordine generale, e d'interesse I nazionale e che vuol essere attentamente considerata | dallo studioso. (Continua) P. T. (1) Vedi Kandler — Notizie di Pola, pag. 104. Pubblichiamo per la seconda volta 1' interessante Rapporto del Conte Stadion (vedi "Provincia,, N. 24 a. d.) e per soddisfare alle molte richieste indirizzate alla Direzione del nostro periodico, e perchè i nuovi abbonati possano averne cognizione; ed infine per procurare una edizione più corretta della prima, riuscita così per un deplorevole accidente avvenuto nella nostra tipografia nel momento dell' impaginatura. N. 1318 P. Umilissima relazione del devotissimo Governatore del Litorale, Francesco 0 nte Stadion, intorno all'organizzazione dei Comuni del Litorale.*) Maestà! Prima di assumere il nuovo incarico, che alla Maestà Vostra piacque di assegnarmi, e prima di ab- (*) Traduzione dal tedesco. — Vedi documenti Voi, III, appendice all'opera: ttcsrhiclite «esterrcfolis tomi Aiis-gaiige de» Wieimer October --Aufstaudes 1848, del Bar. Alessandro Helfert. bandonare la Provincia, di cui V. M., sei anni or sono mi ha graziosissimamente affidato il governo, mi sento in dovere di rendere ragione direttamente alla M. V.g sull' operata regolazione dei Comuni nei due Circoli del Litorale. Io considero questa regolazione come uno degli affari più importanti del paese, del quale essa raccoglie i più vitali interessi ed è diretta a sollevarlo dalle misere condizioni in cui versa da tanti anni. Ma nell'imprendere queste misure ho seguito una via — a parer mio conveniente allo scopo — la quale però attesa la mia im-provisa partenza dalla Provincia, non presenta quella guarentigia di stabilità e di perfezionamento, che io devo pur assicurare a sì importante istituzione. E siccome io nutro la convinzione di aver avuto di mira soltanto il bene del pubblico servizio e del paese, e di averne favorito il conseguimento; mi sento perciò tratto a rivolgermi direttamente alla M. V., perchè soltanto dalla Suprema approvazione del mio relativo procedere potranno restare assicurate le benefiche conseguenze dello sviluppo del Comune. E per vero la regolazione delle condizioni del Comune fu da me promossa di concerto coi Capitani circolari e con la Procura di finanza e posta in esecuzione a mezzo degli Uffizi circolari, senza l'intervento del Governo; nè sarebbe più tempo di rimettere alle solite procedure questo importante oggetto senza volerne arrischiare il successo. Le trattative che perciò diventerebbero necessarie nei diversi Uffizi, pregiudicherebbero tutta la istituzione, ove mancasse il mio intervento, dappoiché, come rispettosamente mi presi la libertà di esporre più sopra alla M. V., l'iniziativa della regolazione fu intieramente mia, e non verrebbe con facilità opportunamente compresa ed apprezzata dal Governo, limitata che fosse alla sola azione di questo. Non uno dei consiglieri del Gremio ha mai servito in uno degl'Uffizi circolari della Provincia; non uno di essi si è procurato, per propria intuizione, la conoscenza delle differenti intralciatissime condizioni del paese, delle sue località e delle persone ; non uno di essi, neanche con un giro alla sfuggita pel paese, si è mai dato cura di rilevarne ed esaminarne da sè i bisogni, le relazioni, i mezzi : tutti, senza eccezione, conoscono il paese soltanto dagli atti d' ufficio. E perciò sotto queste condizioni, allontanatomi dalla via ordinaria, che in questo caso non si presenta la più pratica, azzardo portare col massimo rispetto la cosa a conoscenza di V. M., ed affidare direttamente nelle sacre Vostre mani 1' avvenire di questa importantissima, miglioria. Assunta, sei anni or sono, la direzione del Governo, stimai mio primo obbligo quello di apprendere a conoscere il paese, del quale piacque alla M. V. nominarmi governatore. Non avrei potuto sottrarre alla mia attenzione il Comune, sul quale poggiano tanto importanti interessi: ma mi tenni doppiamente obbligato, nelle tristi condizioni riscontrate in tutti gli affari comunali, ad esaminare con particolare cura questo ramo d'amministrazione, e ad influire per mettere riparo al gravissimo dissesto in cui si trovava. A capo dell' amministrazione comunale trovai da-pertutto persone senza autorità, senza influenza, ben di spesso senza conoscenza della loro missione, dapertutto allontanati invece dall' amministrazione gli uomini appartenenti alle classi migliori, distinti per coltura e per censo. Nel maggior numero dei Cornimi trovai ogni cosa in abbandouo : non scuole, non provvedimenti per i poveri e per gli infermi. Ed anche là dove mi incontrai iu simili istituz oni, ebbi tosto a riconoscere la loro azienda male o niente affatto governata, e senza controlleria di sorta. In principalità le istituzioni per iscopi di polizia sanitaria e per provvedere alla grande mancanza di acqua nell'Istria, sul Carso, si trovavano in pessime condizioni. Nessuna amministrazione comunale avea cognizione delle sostanze del rispettivo Comune: non se ne teneva l'inventario; e da alcuni singoli ne veniva fatto bottino : molta parte già perduta, il rimanente si arrischiava di perdere. Osservai anche, che laddove il Comune ne ritraeva un utile, questo non era proporzionato alla sostanza, considerata sempre dagli abitanti come res nullìus, essendosi ^di regola introdotta da per tutto una sistematica usurpazione dei beni comunali, di cui ciascuno ne prendeva quanto più gli riusciva. Con questo modo di amministrazione, il Comune andava incontro quasi alla completa rovina: un progresso qualunque non era sperabile e la generale prosperità economica ne soffriva in mezzo a tanti esempi di pessima amministrazione, di disordine e di ostentata mala fede, passata oramai in abitudine, e da nessuno dei membri del Comune neppure più avvertita. Fatta conoscere agli impiegati circolari e distrettuali la mia sorpresa per le descritte deplorevoli condizioni, venni da loro assicurato, che nessuuo si voleva assumere volentieri 1' amministrazione del Comune, che si doveva quiudi chiamarsi contenti quando si avesse trovato persona la quale non vi si rifiutasse; ed accertarla e trattarla colla massima indulgenza nella assunta carica la quale con ogni pretesto dopo accettata, subito teutava di rinunziare. I membri del Comune mi dissero apertamente che un uomo di coscienza, di qualche coltura, non poteva accettare incarichi, certo di non poterli adempire senza una determinata slera di azione, a base dell'amministrazione comunale: incerto sulla posizione che doveva assumere sia davanti alle autorità che davanti ai comunisti; quella il più delle volte dipendente dal l'arbitrio degl'impiegati distrettuali subalterni, e perfino dal capriccio di semplici servi d' uffizio : non ringraziamenti, non soddisfazioni da parte dei comunisti per le sue fatiche, per le indicibili seccature; ma invece soggetto a sospetti continui ed a mistificazioni ; senza neppure nutrire la speranza di riuscire a buon risultato, perchè non trovando nelle leggi alcuna regola del suo agire, mai poteva sapere se nelle sue azioni verrebbe suffragato oppure sconfessato dalle Autorità; se ciò che egli avea in animo di fare stesse nelle sue attribuzioni, o da chi e come dovesse essere ordinato; e se di faccia ai membri del Comune avesse qualcosa a rappresentare ed in qual forma e modo. Una voce sola era però in bocca di tutti; che cioè fosse tempo di por fine un volta al deplorabile stato di cose e che se ancora qualcosa si avesse voluto salvare, e non lasciare invece tutto alla rovina, fosse assoluta necessità porre sollecitamente in ordine 1' amministrazione comunale. A riparare a questi disordini e portare una regola nell' azienda comuuale, mi trovai aperto due vie : io potevo promuovere la emanazione di una dettagliata legge comunale, e curare che a mezzo delle competenti autorità ne venissero fatte le relative proposte che fossero poscia assoggettate alla sovrana sanzione ; oppure limi tarmi a far in modo che venissero adottate nella cerchia seguata dalle prescrizioni organiche, in via amministrativa quelle più precise misure atte ad assicurare, in conformità allo spirito della legge, e con riguardo alle speciali condizioni dei singoli Comuni, la esecuzione della regolazione dei Comune, voluta dal legislatore supremo, ed indicata soltanto per sommi capi nelle sovrane patenti. Scelai la seconda via. E quantunque convinto che soltanto con una dettagliata legge comunale si arriverebbe a corrispondere a tutte le esigenze dei tempi e delle circostanze; mentre che in via amministrativa una buona parte delle necessarie disposizioni riuscirebbero meno precisate, e quindi meno efficaci, —come per esempio le prescrizioni intorno all'obbligo di accettare una carica comunale elettiva, comminando una pena a quello che la rifiutasse; od intorno alla aggregazione di più Comuni minori in un Comune più grande allo scopo di ottenere una migliore amministrazione della sostanza comunale od intorno alla istituzione di congregazioni circolari: foggiate alla legge comunale del Regno Lombardo Veneto. Le quali disposizioni manifestamente si presentano come miglioramenti di legge da istituirsi dal solo legislatore e da non potersi iu alcun modo surrogare in via amministrativa. — Ciò non pertanto ho creduto di dover attribuire maggiore importanza alle esigenze di una immediata esecuzione delle vigenti prescrizioni generali intorno alla regolazione del Comune, anziché di curare il perfezionamento della legge per una via più lunga e tortuosa. Dopo di aver acquistata con ripetuti viaggi nel paese la perfetta conosceuza delle sue condizioni, dopo di avere discussa negli uffizi circolari, coi capi distrettuali, > coi notabili del paese, tutta l'azienda comunale in ogui suo dettaglio, e dopo di essermi in siffatta guisa procurato la convinzione di quanto reudevasi necessario a prontamente disporre per portare l1 ordine in questo ramo della pubblica amministrazione, si maturò in me la risoluzione di prendere subito le occorrenti disposizioni, anche sotto mia sola responsabilità ; tanto più che io non poteva attendermi dal Governo un appoggio rilevante iu questo proposito; dappoiché, come più addietro mi permisi di osservare nessuno dei Consiglieri di Governo conoscesse per propria intuizione le condi-dizioni del paese più di quanto ne avessero potuto apprendere dagli atti correnti d'uffizio. L'indurre il governo, fidente nelle mie convinzioni, a disporre alla cieca quanto io avessi stimato di presentare come necessario, non solo mi sembrava incompatibile colla dignità e del Governo e mia propria, ma perfino contrario al dovere d' offizio, perchè sarebbe stato lo stesso che imporgli le mie convinzioni, addossandogliene contemporaneamente la responsabilità. Che se poi il Governo non avesse avuto il coraggio di accettare le mie convinzioni e per liberarsi da ogni responsabilità, avesse deciso di trattare questo argomento come ogni altro atto offi-coso, implorandone il superiore assenso preventivo, per procedere sicuro in uu affare di cui non aveva altra cognizione fuori di quella ritratta dagli atti d' uffizio, il tal caso io non mi sarei mai potuto perdonare di aver tirato all'infinito la soluzione di una questione urgente, per mia semplice comodità; e di aver sacrificato il benessere del paese al puro formalismo officioso, unicamente per la tema di esaer chiamato solo a rispondere di tutto ciò che ne poteva derivare. Con riflesso alle diverse istituzioni esistenti nelle | varie parti della Provincia — quali sarebbero i Nove j Uomini e Giudici della Banca, nei Comuni apparte-| nenti una volta alla Carnia, cui era affidata la ammi-I nistrazione comunale, e che hanno funzionato sotto il I reggime austriaco fino alla cessione fattane alla Francia j dal cui governo vennero soppressi nè dopo più riattivati: | i Consigli municipali nei Comuni ex veneti; le Ra-I dunanze dei Seniori, tuttora in vigore in alcuni Comuni i della Carsia; e le così dette Vicinie per tutte le elezioni e per i più importanti affari dell'azienda comunale, che sussistono di fatto, e senz'essere riconosciute dalla legge ad onta della forma democratica e del loro procedere tumultuario; sono da per tutto praticate con maggiore o minore ampiezza, "in balia di schiamazzatori proletarj che tengono la direzione degli affari e costringono a starsene lontana la classe più colta ed intelligente dei cittadini — in breve, con riflesso alle istituzioni preesistite ed attualmente praticate, ho creduto di dare l'indirizzo alla esecuzione delle vigenti prescrizioni di legge intorno all' organizzazione del Comune nel Litorale. In base alla Patente d' organizzazione del 13 settembre 1814, il Comune ha il diritto di amministrare da sè col mezzo di proprii organi la sua sostanza. A capo dell'amministrazione comunale sta il Podestà nominato dall' autorità politica, cui vengono posti a lato due Assessori eletti dal Comune, e sono questi incaricati a rappresentarlo; nonché a termini dell' Istruzione del 22 Novembre 1814, iuvestiti del diritto di parlare in nome del Comune. Entro alla cerchia di questi confini, segnati dalla legge, era mio scopo di determinare in qual modo il | Comune dovesse eleggere gli Assessori, e come questi j si dovessero pone in grado di rappresentarlo offerendo garanzie alle Autorità che essi lo avrebbero anche rappresentato secondo il volere del Comune stesso. Di fissare ancora a chi e come i rappresentanti destinati dall'autorità e dal Comune ad amministrare la sostanza, avrebbero reso conto della loro gestione; e finalmente di precisare chiaramente la loro sfera d' azione, ed in quali affari essi avrebbero potuto parlare ed agire in nome del Comune. 11 legislatore ha con somma sapienza lasciato alle sole autorità della Provincia, la facoltà di stabilire queste disposizioni di dettaglio, perchè a metterle in pratica occorre una esatta couoscenza delle speciali coudizioni del paese, che si consegue unicamente con la propria intuizione ed a mezzo degli immediati contatti cori la popolazione. In conseguenza della trascuranza delle Autorità governative nell' assicurare la regolare amministrazione del Comune, voluta dalla legge, ommettendo di prendere quelle positive determinazioni necessarie allo scopo ed alle condizioni locali, questo importantissimo ramo dell' amministrazione pubblica cadde iu abbandono, ed in luogo dell' ordine e del graduale progresso, intento a conseguire il maggior bene del Comune, si sostituirono l'iguoranza, l'arbitrio, l'apatia, e rimase soffocato il sentimento della vita comunale. Ritenni mio assoluto dovere di ripigliare il lavoro trascurato, con le norme eh' ebbi ad accennare agli Uffizii circolari nel mio dispaccio 31 Marzo 1845 N.° 920, spiegando le direttive con le quali doveva essere portato a termine questo affare. Uniformandomi alla legge, e seguendo quei principi! "pratici che mi si affacciarono, con riguardo alle condi- zioni del paese ed alla necessità di tenerne conto : d'accordo coll'i. r. Procura camerale del Litorale, e jcoi Capi più intelligenti dei Comuni e delle Autorità distrettuali, nonché colle i. r. autorità di Circolo; io compilai la istruzione per la amministrazione del Comune, ed ingiunsi all'autorità circolare di determinare l'iscrizione dei pertinenti comunali nelle varie classi, a seconda della loro quota d'imposta pubblica nei singoli comuni, di fissare il numero dei rappresentanti e sostituti da eleggersi, e conseguentemente di riempire le la-cuuea tal uopo lasciate nell'istruzione, per procedere quindi alla esecuzione delle disposizioni in quella contenute. Mi permetto di umilissimamente osserva™ che io non feci alcuna pubblica notificazione di una istruzione così completata, per evitare che all' istruzione stessa si desse sembianza di nuovo ordine di cose, mentre essa non altro doveva avere per iscopo che di porre in esecuzione la legge vigente. Lasciai poi l'incarico dell'introduzione di questo migliore ordinamento nei Comuni, alle ^autorità di Circolo che sono chiamate dalla legge comunale a fungere quali Autorità tutorie del Comune.. Quanto urgente sia stato il bisogno di dare una maggior regola all'azienda comunale, lo ha dimostrato ad evidenza la generale contentezza della popolazione. Che poi le disposizioni dell' istruzione, specialmente la ; difesa degl'interessi comunali contro il reggimento plebeo, ' dando nel governo del Comune la preponderanza ai maggiori censiti, che sono iu minor numero di confronto alla stragrande maggioranza dei piccoli censiti, corrispondessero pienamente alle condizioni del paese, lo ha dimostrato il fatto che l'attivazione dei Comuni in nessuna parte urtò in ostacoli, che iu nessun luogo sorsero dubbi, o si mossero doglianze, e che fin ora nessun ricorso contro tali disposizioni sia stato presentato al Governo. Ho giudicato infine necessaria una istruzione intorno al trattamento formale degli affari, affine di conseguire la necessaria uniformità in tutti i Comuni, e per determinare con la maggiore possibile precisione la sfera d' azione del Consiglio Comunale, onde impedire ogni ! sorpasso di potere ed ogni sviamento sul campo delle altrui competenze. Si compiacerà V. M. di prendere graziosissimamente a notizia questa devotissima relazione intorno alle disposizioni da me prese per regolare l'azienda comunale nel Litorale. Trieste, 26 Aprile 1847 di vostra maestà devotissimo umilissimo _FRANCESCO conta STADION m. p. NO TI ZI E Il Ministro dell'Interno ha impartito al Signor Avvocato Antonio Barsan e Consorti in Pola, la concessione per l'istituzione di una Società per azioni di navigazione a vapore sotto la ragioneSocietà di navigazione a vapore Istria-Trieste, colla sede in Pola. Questa concessione sarà però da considerarsi estinta, qualora la Società nou si fosse costituita nel termine di sei mesi. - li Ministro del Commercio ha dato concessione a tre impresari! di disporre per 1' effettuazione di una ferrovia a cavalli da Trieste a Muggia e Capodistria, la quale dovrà servire pel trasporto di merci e di persone Questa concessione ha la durata di tre mesi. -- Ci scrivono da Rovigno con la preghiera di pubblicare, alla quale aderiamo di buon grado, la seguente lettera: Rovigno, Dicembre 1879 Nella conferenza straordinaria delle docenti di questa scuola popolare femminile, tenutasi il dì 4 p. p. dicembre, la dirigente Sig.a Antonia Spongia, ad onorare la memoria di due trapassaci, addetti all'istruzione, pronunciava le seguenti parole, che, pure ad onorare la memoria stossa, qui riproduciamo; — "Signore docenti! Chiudere questa nostra conferenza senza volgere il peusiero alla povera morta, che ai 28 del p, p. novembre deponemmo nell' avello, mi è impossibile. Sì; mi è impossibile; poiché scorgo qui tra noi un vuoto che mi dice : la tua compagna, che fu anche tua istruttrice, l'anziana in età del corpo insegnante che hai 1' onore di presiedere, la maestra Lucia Sbssà, non vedrai mai più, qui, comparire. A sì triste peusiero mi sento compresa, o Signore, del dovere di ricordarvela ; e la ricordo con riverenza, additandovela come modello d'indefesso lavoro. A vent'anni, entiata addi 4 novembre 1844 quale assistente gratuita nella qui preesistita i. r. Caposcuola femminile, principiava la sua carriera, e a cinquantacinque compivala; colta da fiero morbo, da speciale fatica fors'anche procuratole. L' esempio adunque del lavoro è 1' eredità che ci ha lasciata; eredità eminentemente apprezzabile, che noi dobbiam custodire. Con tale sentimento nel cuore perpetueremo la Sua memoria. Facciam così che la modesta docente trovi almeno fra noi chi giustamente la estimi. Preghiamo pace per Lei. — Altra tomba schiudemmo durante lo stesso novembre, quella dell' emerito Direttore delle qui preesi-stite i. r. due Caposcuole, maschile e femminile, Giovanni Valenti ncfg, insignito della Croce d'oro del merito, iu ricognizione di lunghi e zelanti servigi. A Lui pure v'invito o Signore, a rivolgere ora iT vostro' pensiero, coni'io mesto il rivolgo, a Lui, ch'ebbi a precettore e a guida, e che ho sempre riverito e amato. Distinto ed instancabile cultore dell'arte pedagogica a ottanta nove anni 1" onesto vecchio, sol cessando di vivtM-e, cessò di educare; per cui, sebbene altrove a-vesse tratto i natali, lasciò qui eredità di affetti come fosse dei nostri. A voi quindi lo addito, perchè meco il ricordiate maisempre, quale maestro e onore dell' arte nostra. 1 due quadri, a cornice dorata, da noi gelosamente custoditi, eli' Ei regalò a questa scuola, con intendimento educativo, Lo ricorderanno anch' essi alle nostre allieve. Benedetta la Sua memoria!,,___ __ Hanno pagato il prezzo (li abbonamento i similori : A tutto 1879 — C. M. Furegoni — Pirano; — G. P. Polesini Parenzo; — Ernesto Millevoi — Albona; — C A. Cesca_ Trieste ; — Don A. Marsich — Trieste; — C. de Franceschi — Parenzo; — D. Sciolis — Trieste; — N. de Filippini - Citta-nuova ; — G. Castello — Parenzo ; — G. Vergottini - Parenzo ; — G. Lazzarini — Albona-. — A. Appollonio — Umago; — D. Fanganel — Pola ; — A. Barsan — Pola ; — Stab. Tecnico Triestino — Trieste; — N. Rizzi — Pola. A tutto 1880 — i signori: D. Clean — Albona; — Mrach — Pisino; — Casino Società — Parenzo; — Casino Società — Pisino; — Casino Società — Roviguo; — Gabinetto lettura — Volosca. A conto 1880 — i signori: C. Colombicchio - Cormons — primo sem.; — I. R. Spedizione Gazzette — Trieste — primo quar, —- L'ultimo numero del nostro periodico, diretto sotto la solita fascia, ad un onorevole signore di Albona, venne rimandato a noi con una leggenda in lingua tedesca, scritta da un signor impiegato di quell'Ufficio Postale, per far.:i sapere che quell' onorevole signore aveva respinto il numero che gì' inviammo Ora, - se ci è lecita la domanda — qual' è la lingua ufficiale nella nostra provincia? Forse la tedesca ? ... E attor chi la Rapisce?