ANNO XIV. Capodistria, 1 Settembre 1880. N.ro 17 _ _ 8 Js l Iti OVti't il DELL' ISTRIA _ _ ìquioa ih [11188 tìtt U ùllob Oli q igoro-; oiaistoè I aoii ìèVi e .oi> •!•[> f: yiréMiiìfffiiq subita- r, -u-ti. Iloti tihoJj «J Kitiidiiaaoqsm oicf à Esce il 1" ed il 16 d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno fior. 3; semestre e quadrimestre in proporzione. — Gli abbonamenti si ricevono presso la Redazione. Articoli comunicati d'interesse generale si stampano gratuitamente. — Lettere e denaro franco alla Redazione. — Un numero separato soldi 15. — Pagamenti anticipati. EFFEMERIDI ISTRIANE Settembre. 1. 1319. - Il patriarca d'Aquileia investe di feudo Sergio e Nassinguerra di Pola, Giovanni de' Verzi di Capodistria e Guizardo signore di Pietra Pelosa. - 42, V, 270. 1. 1777. — Ercole Taurinetto, marchese di Prie, vende la contea di Pisino a ser Antonio cavalier Montecuccoli di Modena. - 22, I, 249. 2. 1333. - Il senato ordina il disarmo di una delle barche lunghe, destinate alla custodia dell' Istria, e l'invio di tre barche piccole in sostituzione della medesima, ciascuna con sei uomini. - , ouezia. Il maggior consiglio elegge a doge il pod. e cap. di Capodistria Pietro (vulgo Pierazzo) Gradeuigo. - 54, XXII, 413. 4. 1341. Udine. Guido de Guisis, vescovo di Concordia e vicario del patriarca Bertrando, pronuncia sentenza nelle differenze insorte tra il vicario vescovile di Capodistria ed il comune di Isola. - 37, IV, 460. 5. 1280. — Il senato delibera che il doge col suo consi- glio imponga al comune di Capodistria ed alle altre Terre d' Istria di recarsi in aiuto di Montona e di altri luoghi, non solo nella presente occasione ma ogni qual volta vi fosse un bisogno. 6, I, 143. 6. 1421. •— Capodistria. Il vescovo Pola investe ser Al- merico del fu Giovanni de' Verzi degli aviti feudi di Antignano, Pominiano, Costabona e Luparo, e della decima di Val Morasia e Laura, goduta in addietro da ser Mafono di Pirano. - 12. 7. 1406. — Udine. Nicolino della Torre promette al pa- triarca Antonio di volergli custodire sino li 11 del vegnente aprile il castello di Pietra Pelosa, ricevuto in garanzia dell'appalto della dogana Chiusa di Tenzone e di non volerlo cedere ad altri, ove non vi fosse obbligato da forza maggiore. - 13. 8. 1397. — Sacile. Il patriarca Antonio confessa di aver ricevuto dal comune di Muggia 612 orne di vino Ribolla e queste qual regalia di due jii.nv.) -'t Hvv »-. . !t 9. 1750. — Leopoldo dei conti Petazzi, vescovo di Trieste, viene eletto a consigliere intimo di stato. - 3. 10. 1280. — Il senato raccomanda alle Terre istriane, soggette alla Repubblica, di armonizzare tra di loro, e di osservare sino allo scrupolo gli ordini che verrebbero loro spediti dal doge e suoi consiglieri. - 6, I, 144. 11. 1276. — Udine. Il parlamento friulano delibera di muovere guerra alla Repubblica di Venezia, avendo questa occupati diversi luoghi in Istria, spettanti alla chiesa aquileiese. - 55, 570*) 12. 1813. — Capodistria, bombardata dalla parte di mare da due fregate inglesi e da quella di terra dall'artiglieria austriaca, si arrende. -. - 22, I, 248. ,., ■ y.> 13. 1753. — Pinguente. Lorenzo Contarmi, capitano di Raspo ed inquisitore ai boschi, bandisce le capre dalla provincia istriana. 22, VII, 87. 14. 1479. — Ducale Moceuigo che accorda alle Terre istriane, ove non havvi ebrei, di venire co' loro pegni a Capodistria al banco di Davide ebreo. - 4, 222.b 15. 1809. — Trieste. Il capitano impone ai cittadini di denunciare i possedimenti che i Veneziani avevano in città, minacciandolo della multa di cento lire chiunque sapendolo si rifiutasse di farlo. - 13. *) Manzano Annali del Friuli To. III, pap. 138, ha il fatto sotto l'anno 1277. im&Ùl . i Degli errori sull'Istria 6 j È molto tempo passato, dacché mi sono assunto l'ingrato mestiere di additare gli errori sul conto di questa povera Istria : ') errori ripetuti con insistenza degna di miglior causa anche da persone stimatissime ed erudite nelle discipline storiche e scienze affini. Non pochi di questi si sono notati nell' altro studio — Sul decadimento dell'Istria, e tanto più gravi perchè pronunziati dopo molte recenti pubblicazioni le quali si sperava avessero finalmente a portare la luce. Vana speranza! la luce c' è; ma con quale vantaggio, se agli orbi non approda il sole? Dopo ciò verrebbe una matta voglia di gettare libri e carte fuori della finestra, e d'impugnare invece lo staffile di Giovenale. Ma nell'atto di compiere questo disegno mi è entrato nella mente uno scrupolo e una pietà della patria comune. Possibile, ho detto fra me stesso che tante brave persone, tanti egregi professori, abbiano detto e scritto così gravi strafalcioni proprio per assoluta ignoranza? Chi sa che essi non possano addurre qualche ragione valevole, se non a scusare pienamente il difetto, a scemare almeno la loro responsabilità. La storia dell'Istria tanto arruffata e la stessa nostra corografia non darebbero per avventura occasione a qualche qui prò quo; e fino ad un certo punto non scuserebbero l'ignoranza? Entrato una volta in questo sospetto, e data un' occhiata alla storia, ho dovuto convincermi che le condizioni nostre passate e presenti, e qualche errore isolato o passo oscuro de' medesimi nostri scrittori hanno potuto dar luogo a qualche malinteso, e furono quindi la causa remota di quei gravissimi strafalcioni che ci fanno oggi meravigliare ed arrabbiare. Perchè in questa benedetta faccenda dtgli errori avviene agli studiosi come alle quaglie, le qilali trovato un solco abbastanza comodo e diritto, e per di più seminato a fresco miglio, cominciano a beccare di qua, di là che è una consolazione a vederle ; e intanto 1' uccellatore continua a cantarellare il suo verso e a mandarle innanzi innanzi ; finché tutte vanno miseramente a dar del capo nella rete, dove tutti quei solchi si uniscono e si concentrano. Certo che basterebbe alle meschinelle di alzarsi un pochino dal solco traditore^ e dare un'occhiatina dall' alto per accorgersi dell' inganno. Così avviene talvolta anche ai dotti : domando perdono della similitudine; trattandosi di volatili e non di quadrupedi, via non la è tanto ingiuriosa. Non si accorgono che si sono messi su di un falso sentiero che-li conduce nella rete intricatissima dell' errore. Basterebbe anche ad essi di dare un' occhiata dall' alto; ma quella benedetta sintesi è proprio una tortura del cervello ; invece piace di stare ad agio tra un libro e T altro, bezzicando qua un giornale, là un dizionario, e spesso quelli messi insieme, da certa geute, ad usum Delphini, e lavorare, lavorare raccoltiui raccoltini d'induzioni e di conclusioni; e se anche qualche volta sorge lóro il dubbio che la strada non sia buona, pure continuano per quella, per non si seccare, e perchè torna più comodo di battere la via sulla quale si ha preso 1' aire. E in questo caso chi ride, e si giova de' nostri spropositi, è sempre 1' uccellatore, il quale .... Se nou che ora m'accorgo che con questa similitudine delle quaglie minaccio di uscire dal seminato. Ariamo diritto. Adunque tutto sommato ho deciso di lasciare lo staffile, e dar mano invece a quest' altro mio scrittorello — Degli errori sull'Istria — in cui mi studierò con l'usato stile di battere due ferri ad un caldo., cioè chiarire qualche punto controverso, e allegerire nello stesso tempo mostrandone 1' origine, la responsabilità degli errori commessi dagli scrittori italiani nostri fratelli. Sarà sempre opera gentile, generosità commeu-devola. Tante sono poi le ragioni dell'Istria, e così caldi i suoi affetti, cbè non c' è nessun pericolo che la franca parola della verità, mentre giova ai lontani, abbia a nuocere ai vicini fratelli. .',(i«V .eoirf «i tiiihoq n fgneuilAB& OW8WW iwfttgi li. Ed ora, tanto per cominciare, pigliamo le mosse da quel benedetto nome d'Illiria e di Illirici ehe-hatHie-affibbiato a casa nostra ed agli inquilini. La causa prossima di questo errore sarebbe quel pasticcio del regno d'Illiria messo insieme da Napoleone, il quale poi, all' ultima ora accortosi dell' errore, avrebbe tentato come più volte si è detto, di rettificarlo. Per quanto strano a chi abbia studiato un tantino geografia dovesse apparir subito il vedere al regno d' Illiria uniti paesi che neppure nella massima e più remota estensione non appartennero mai all' Illiria ; pure il fatto di un regno così costituito da un eroe, da un conquistatore famoso dovea fare una grande impressione; e perciò il nome d' Illiria entrò così un po' alla volta nell' emporio delle frasi fatte, e divenne uno di quei pregiudizi che si accettano senza discussione, perchè messi la prima volta in giro da uno di quelli che hanno tanto iu mano da far valere le loro ragioni. Così col visto del passaporto compilato iu nome di Sua Maestà Altissima Napoleone I Imperatore e Re, abbiamo cominciato a girare l'Europa, col titolo d'Illirici: e la giriamo anche oggi. Ma la causa dell'errore si ha a cercare più lontano. È noto come i Romani dessero il nome d'Illirio a tutta la riva dell' Adriatico, di riscontro all' Italia dai lidi liburni fino circa all' Epiro. E ciò dopo la conquista romana, dopo che i confini dell' Italia furono portati fino all' Arsa. Ma prima della conquista romana, gli Istri furono un popolo d'origine illirica ? E. il re Epulo fu indipendente o tributario di un Re dell'Illiria? I più accreditati dei nostri uno ore fanuo l'Istria abitata negli antichissimi tempi da Traci e da Celti, non da genti illiriche Così il Carli, il Kandler, e via via tutti i nostri migliori fino al Combi, al Luciani, al De Franceschi. E si fondano sull' autorità di Scilace — Post Henetos gens est Istrorum. Henetis finitimi sunt Traces Istri elicti. Ma a queste ed altre autorità altri oppongono l'autorità di Stra.b'0'ne che'iu uu passo eoa troverso avrebbe detto — Aquileja emporium Illiricis Istriam incolentibus. — Questo passo però non distrugge il valore delle asserzioni contrarie di tanti scrittori contemporanei a Strabone o anteriori, e si può sempre supporre che auche egli abbia lavorato un pochino di fantasia. Se tante se ne sono dette oggidì sul conto dell'Istria, quanti errori non avranno potuto scrivere gli antichi senza i mezzi di comunicazione che abbiamo oggidì. A buon conto notiamo che 1' autore medesimo riconosce il cambiamento avvenuto dopo la dominazione romana e soggiunge (Lib. VII) Docttimus in Italiae descriptione primos Illyrici littores esse Istros conter-minos Italiae et Carnis; et hodie Principes nostri usque ad Polam Italiae terminos extendere. Ma io voglio anche ammettere che gli antichi istriani siauo stati veramente Illirici e uon Traci, non Celti prima della dominazione romana. E che perciò? Si dovrà forse negare la gloriosa nostra nazionalità? Ma allora neanche i Veneti sarebbero Italiani, non i Liguri, non gli Insubri, non gli Orobi, e via via tutti gli abitanti di quelle regioni che furono occupate dalla gente latina, mano mano Roma estendeva il suo imperio e applicava l'antico nomo d'Italia fin dove lo permettevano i confini naturali: i monti, i fiumi, il mare. Allora in ultima analisi si potrebbe anche dire che noi non siamo Italiani, perchè il padre Adamo fu originario del paradiso terrestre. Risponderanno: —Adagio, se voi vi confessate oriundi dagli antichi Illirici, date causa vinta agli Slavi. — Ma gli Slavi non hanno perduto il ben doli' intelletto fino a sostenere sul serio che gli Illirici fossero dei loro. Neppure il Vulicevic nel suo libello contro il Municipio di Trieste ha osato tanto; anzi a bocca stretta è costretto a confessare che non ne sa nulla, e che anzi i Tedeschi (i quali ne sanno più di lui) credono che gli antichi Illirici parlassero quella lingua che di presente si parla in Albania. E lo stesso opinano anche i Francesi ; e Fauriel va più in là sostenendo che anche i Veneti furono tribù illiriche e che parlarono un dialetto illirico; ') che la lingua illirica esiste tuttodì, ed è l'Albanese la quale tanto ha a fare con lo Slavo, come la gentilezza, il senso comune e la logica col signor Vulicevic nel sopraccennato libello : e questo glielo dico io triestino, italiano, galantuomo, a fronte alta, senza essere nè perfido, nè strozzino del ghetto. -) E poi si prenda l'Atlante del mondo antico del Menhe ad uso delle scuole e si vedrà sulla carta del Regno Persico ai tempi di Alessandro il grande ed in altre antiche segnata in verde l'Illiria fino alle lagune venete ; ma poi voltando carta ai tempi degl'Imperatori si troverà disegnata l'Italia fino all'Arsa; e la scritta in appendice avvertirà chi noi sapesse che il nome d'Italia si estese a settentrione a poco a poco, che fu ristretto originalmente alla parte meridionale della penisola abitata dagli Enotri, e che finalmente ai tempi dei primi imperatori anche una parte dei popoli vinti sulle Alpi fu aggregata, i cui confini furono verso occidente stabiliti al Varo ; e verso oriente da Trieste e dal Formione si allargarono fino all'Arsia, ciò che credo sappiano del resto anche le oche al mio paese. Tirare da questo successivo ampliarsi, giova ripeterlo, un' argomento per negare all'Istria, se pure un tempo illirica, la sua nazionalità, tanto vale come asserire che Piemontesi, Lombardi, Veneti, Parmigiani non sono ora Italiani, perchè abitano regioni, prima dell' occupazione latina escluse dall'Italia ed abitate da Taurini, da Insubri, da Orobi, da Ceno-mani, da Heneti: e chi più ne ha più ne metta. Che gli Istriani fossero, negli antichi tempi, illirici è sostenuto a spada tratta, e chi lo crederebbe ? da un erudito capodistriano, il signor Francesco Alme-rigotti — Dissertazione del signor Francesco Almerigotti giustinopolitano sopra un passo di Strabone che risguarda la corografia di Aquileja ;s). La Dissertazione è in forma di lettera al signor Cristoforo De' Belli sopra la spiegazione d'un passo di Strabone, fatta dal signor Marchese Gravisi in sua lettera al Padre Girolamo Tassis della compagnia di Gesù. Ecco di che cosa si tratta. Il signor Almerigotti giustinopolitano avea proposto un suo nuovo sistema corografico intorno all'antica Istria nell'Accademia dei. Risorti, fin dall'anno 1759, in cui si dimostrava cou l'autorità di Strabone che Aquileja era compresa nell'Istria, e che l'Istria poi faceva parte della regione illirica, prima s'intende dell' occupazione romana. La cosa non andò ai versi dell'erudito Marchese Gravisi, che ne scrisse al Tassis ribattendo le ragioni dell'Almerigotti. È dunque un battibecco tra quest'ultimo e il Gravisi; nella lettera con qualche buona ragione l'Almerigotti dimostra che ') Fauriel : Dante et les origines eie la langue et de la litterature italiennes. 2) Veggasi ii pag. IO, 76, 77, 78 di questo libello. Trieste 1877. Slavi e Italiani. 3) Si trova nella — „ Nuova Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici Tomo ventesimo terzo. Venezia 1772. Presso Simone Occhi" — L'ho pescato in fondo ad un cassone della Biblioteca di Lodi. Credo sia poco conosciuto in provincia. Se gli studiosi credessero opportuno, si potrebbe anche ristamparlo essendo molto breve. il passo di Strabone — Patet Aquileja emporium II-lincis Istriani incolentìbus fu adulterato dal Gravisi e dal Carli, che leggevano contro la grammatica Istrum invece di Istriani. Se non che l'Almerigotti stesso nel calore della disputa, dopo aver rimproverato molte contraddizioni agli avversari, cadde nell'altra contrad-zione di ritenere il Timavo confine dell'Istria, e di sostenere nello stesso tempo che Aquileja era istriana e quindi nell'Illirio compresa. Quello importa a noi rilevare fra tante parole si è che il signor Almerigotti giustinopolitano, accademico ecc. ecc. sostenne che l'Istria era compresa nell' Illirio. E di vero egli conchiude il suo ragionamento così — Credo che il giudizio del nostro Carli far non possa su ciò autorità alcuna quand'egli, con stupore di tutti gli eruditi, escluder volendo dall'Illirico perfino l'odierna Istria, fece ad uu fascio di tutte le antiche dottrine, asserendo che gli scrittori si sono tutti confusi, che Strabone si è ingannato, che in Pomponio Mela ed in Appiano vi sono degli sbagli e degli equivoci. E questo è quanto. Quello importa ben fermare in mente si è che l'essere stati noi un tempo illirici 0 meno nulla toglie e nulla aggiunge ai sacrosanti diritti della nostra nazionalità. Il nome illirico ha per noi un valore storico, arcaico, e nulla più. Ma pur troppo ci danno quest'epiteto nel significato moderno ; e qui comincia la confusione. Mi spiego. Poiché pei Romani Illirio era così all'ingrosso tutta la sponda destra dell'Adriatico, e poiché l'Istria fi ritenuta quale uu prolungamento e uno svolgimento naturale della sponda sinistra, appartenente all'interramento della grande vallata del Po e di più la Prefettura òeir Illirio avendo più tardi abbracciato tutta la glande penisola dei Balcaui, dalla quale Prefettura l'Istria rimase sempre esclusa, il nome d'Illiria dopo 1 Romani e i Veneziani venne a significare abbastanza chiaramente un paese distinto dalla regione italica un tempo appartenente alla prefettura illirica ; e abitato dopo varie invasioni da genti Slave ultime venute. Quindi è che la parte destra chiamasi anche oggidì illirica e illirici impropriamente gli Slavi, non già perchè ne occuparono le sedi, cacciando i veri od antichi illirici giù giù agli ultimi confini. (Albania) Chi dice Illirico dice oggidì Slavo, Dalmata, e precisamente della Dalmazia più meridionale ai confini albanesi : tanto è vero che la chiesa slava - ortodossa esistente a Trieste e composta di mercanti e marittimi delle Bocche di Cataro, chiamasi oggidì Chiesa illirica, comunità illirica. Qui comincia adunque la confusione delle idee : ed è per questo che gridiamo all'errore ogniqualvolta ci sentiamo confusi con gli Illirici. Nessuno de' nostri letterati di fatto si è mai sottoscritto con questo nome, neppure quando era moda di ricorrere ai vocaboli arcaici, come all'epiteto di giustinopolitano nome largo di battuta e venerando. Uno solo fa eccezione Mattio Flaccio (Francovich) di Albona — Flaccius Illiricus. Ma forse l'Albonese volle intitolarsi cou quel nome sonoro, alludendo agli antichi Illirici, e nou già ai moderni Slavi. Poi si possono (diciamolo pure francamente chè la verità non fa mai male) muovere dei dubbi sulla sua stirpe, e il cognome slavo lo indicherebbe ; forse egli era originario delle isole vicine o delle coste dalmatiche. Quello è certo si è che quel suo capriccio fu causa di errori nel mondo dei dotti, e può scusare fino ad un certo punto gli scienziati che hanno esteso quell' appellativo a tutti gl'Istriani. ') Rimaue adunque dimostrato, che se anche gli antichissimi Istriani furono Illirici, ciò che è molto dubbio, non si può oggidì chiamarli con tale nome, senza grave offesa alla geografìa e alla sua storia, causa il significato tutto moderno del vocabolo stesso. (Cont) P. T. _^___,__il',.;_,_:__:___*____. ,., ■ . ■■__:-,-l_ CORRISPONDENZA Pisino, Agosto, 'i 911!) litS'lJ — 1809 OwMHypifM^ i! '<;)iP:'v In qualunque paese, anche per brevissima dimora, si possono osservare cose che valga la pena di riferire, e possano pur anco riesciro di istruzione e vantaggio altrui. Perciò è raccomandato ai ricchi ed intelligenti di non ristarsi dopo fatto il primo viaggio di rigore colla sposa, o di quei viaggi così detti di circolazione, cui, dopo il ritorno a casa non bene si ricorda se il duomo di Milano lo si vide veramente a Milano od in altri siti. Io mi trattenni testé per alcune settimane a Lus-sinpiccolo. Avezzo a credere che gli uomini siano quali sono e che facciano le cose come sanno, per cause cui essi sono subordinati senza saper di esserlo, mi tenni alieno dal fare giudizii su ciò che mi attorniava; non per tanto seguendo il principio di comunicare ciò che parve più interessante delle cose osservate, ne farò qualche cenno. Provai grata sorpresa al bellissimo panorama che si presenta a metà del monte tra la città e la chiesuola del calvario. Nou ne fo la descrizione perchè mi rie-scirebbe difficile ed imperfetta; ma spero che quauto prima ne avremo un buon diseguo o fotografia. Qui però la gente, molto preoccupata d'affari, ha ben altro per testa che badare alle belle viste ; concede che vi siano, ma uou ha agio di prestarvi particola!1 ammirazione. Continuando sul campo estetico rammento della bellissima statua di marmo che rappresenta la madonna, e di un dipinto nell'altare di rimpetto. nella chiesa di L'ùssingrande A Lussinpiccolo havvi pure una società d' artieri, la quale ritengo progrediente poiché ha una bella casa di proprio con sala di riunione e giornali, frequentata nei dì festivi, Nou ne so di più, però ci arreca soddisfazione il conoscere 1' esistenza di società simili, avvegnaché soltanto per sodalizj ed istituzioni cotali si può sperar di stabilire e diffondere il buon senso, regolatore della vita sociale. Infatti ogni società lecita ha per meta il buono, ed è scuola d'amor proprio; l'artiere poi viene a comprendere di essere un membro utile, comprenderà poscia che tutti non possono figurare in società per studio scientifico a cui molti sono i chiamati ma pochi gli eletti, comprenderà infine che non fa d'uopo d'imitare certi usi che diventano caricature inconsulte per chi nou ha il dovuto tirocinio nè i necessari mezzi ; sicché adattandosi alla sua posizione e raffermandovisi per onestà e lavoro, saprà di formare uua classe da costituire il nerbo dell' attività e quindi del progresso materiale del paese ; saprà valutare i suoi diritti nonché i suoi doveri. In quanto all' agricoltura Lussili ne perdette ogni attitudine, nè potrà riaverla giammai. Il suolo è roccia dilavata, e non c' è che appiè delle costiere ed a qualche avvallamento o negli interstizi alquanta terra, dove ve-getano le viti e gli olivi. 1 quali stati piantati ancora ne' tempi quando c' era terreno grosso, crebbero con forza da spingere le radici tra le fessure delle roccie, per il che ancora adesso dopo denudato il terreno, si trovano ben radicati da sostenersi oltre l'aspettativa. Per tali circostanze e pei guadagni che offriva la navigazione la popolazione si diede al mare. Ora poi scamati i guadagni ed accresciuta di molto la popolazione, si prevede un dilficile avvenire. All'agricoltura non v'è ritorno ; ed infatti quando nou si hanno campi, quando non si possano tener pecore od animali grossi che stabiliscono la famiglia dell'agricoltore, non si ha sentimento pella campagna, cessa l'agricoltura. Il clima è propizio pell'olivo e pelle viti, queste sono però di poco buona qualità per dar molto vino ; ci vorrebbe far piantagioni di specie più fine nel quale caso confezionare vino squisito da ritraivi corrispondente lucro.*) Quello che molto mi sorprese a Lussino, erano i tanti viaggiatori e agenti di commercio per la Dalmazia. 10 riteneva la Dalmazia sorella nelle critiche condizioni economiche alla nostra provincia ma uno di cotesti viaggiatori da Vienna, il quale ritornava dalla Dalmazia e che conosceva molto bene quella provincia quanto pure l'Istria, me ne fece il raffronto a scapito di noi dandomi a conoscere l'ingente somma di danaro che ogni anno ritrae la Dalmazia dall' olio e dal vino, con che trovasi in istato di commettere generi d'ogni sorta quanti ne abbisogna. Non trovo di ripetere il nostro colloquio; però n'ebbi rammarico quando mi raccontò d'aver veduto a Spalato due bastimenti francesi a caricare vino per trasportarlo in Francia onde riconfezionarlo iu qualità che si mettono in commercio con grande utile; e quando mi parlò della società enologica di Spalato e del vistoso dividendo che n'ebbero quest'anno gli azionisti. L'idea di mandare taluno dall'Istria a Conegliano per imparare a confeziouare vino migliore, è buona per quanto si potrà fare in proposito un po' alla volta; ma ritengo che si dovrebbe mandar persona idonea, senza indugio, a Spalato perchè prenda esatta informazione d'ine facciano colà ad incantinare una considerevole quantità di vini, come li corservino e poi vengano a spacciarli in tempo utile e con adeguati vantaggi. Lo scoglio qui è sempre quello dell'iniziativa, e il tempo passa, e se ne risentiranno anche quei pochi che presentemente se la campano a spese di quei molti che sono decaduti e di coloro che per fatali congiunture vanno successivamente in decadimento. SOCIETÀ ALPINISTI TRIDENTINI Leggiamo nel Benaco di Riva: Il giorno 8 corr. nell'ameno altipiano di Lavarone, si teneva la riunione estiva della nostra Società Alpina. 11 concorso riesci numeroso, alla sessione rallegrata da un bel mazzo di fiori femminili e nazionali. Cinque j signore rappresentavano, la colta iutelligpnza, la gentile ! bellezza e l'amore al progresso della patria. Un fotografo \ vicentino riunì con un colpo di lente si bel gruppo, il quale facilmente verrà riprodotto sull* Illustrazione Italiana. *) Ci permettiamo d'aggiungere che la produzione di uve mangerecce primaticcie riuscirebbe meravigliosamente ; sono pa-. recchie settimane che vediamo arrivare dalla Dalmazia uve (tutto I altro che scelte) e che si vendono molto bene. (La Red.) Venne distribuito l'Annuario 1879-80, un bel volume di 425 pagine con 22 vignette, pubblicazione contenente lavori seri ed interessanti dimostra quanto abbia progredito la Società. Nello scavo dei celebri pozzi glaciali di Vezzano, ottenne una vittoria alla scienza ed un' illustrazione importantissima del nostro paese. La scoperta della caverna ossifera di S. Donà e dei resti dell'Ursus Speleius, illustrata dal Dr. Frattini di Tesino, provauo quanto progredisca lo spirito indagatore dei soci. Le Maitinade della Rendeua raccolte dal brillante socio Bolognini e Magita in Gardena del filologo Inama. sono lavori da leggersi attentamente da chi ha a cuore lo sviluppo iutelettuale dei nostro paese, altri lavori meritano considerazioni speciali ma il breve spazio uon ce lo permette. Noi vorremo che in ogni albergo, caffè e famiglia si trovasse sul tavolo 1'Annuario Alpino il quale oltre al ricreare e coltivare la mente fa molto bene al paese mediante le sue illustrazioni. 2ST" otizie --?— A proposito del Risano Siamo informati che alcuni agenti di non sappiamo quale impresa, i quali da parecchio tempo percorrono la vallata del Risano per disporre la popolazione a dimostrarsi favorevole alla cessione dei diritti d' acqua, al caso che ne fosse richiesta, si adoprano in questi giorni con febbrile attività a stringere contratti impegnativi a breve termine, pei' acquisto di molini e diritti d'acqua coi privati possidenti e coi singoli comuni. E verso quelli che mostrano difficoltà ad accettare le loro offerte minacciano addiritura 1' espropriazione forzosa già decretata (dicono loro) dal governo a tavole di Trieste (sic) ; minaccia che pare vengano confermate da autorevoli personaggi che si sono fatti vedere tra quei poveri contadini ; per cui alcuni per tema di peggio hanno ceduto, altri ancora incerti, sono propensi a seguire la maggioranza sempre sotto l'impressione delle bugiarde minaccio di espropriazione. Ai comuui si promettono strade, ponti, fontane, campanili e perfino mia stazione di ferrovia quando ta ferrovia sarà fatta ! ! ! E in nome di chi ? Tutto sommato tra l'acquisto dei diritti privati, e tacitazioni ai comuni, pare che i su accennati agenti si abbiano portato via tutto il fiume per uu ottantina di mille fiorini! Bell'affare perbacco!— Ma hanno fatto il conto senza 1' oste, e 1' oste c' è quantunque si tratti di acqua fontis. _■_ Leggesi nell 'Indipendente del 28 p. p. : Questa mattina col, treno delle ore 6 parti alla volta di Milano, affine di prender parte alla gara, che s' apre domani a Milano, una squadra di ginnastici della nostra Associazione ginnastica, unitamente al prof. Draghicchio, membro della giuria a quel Concorso. Il sig. Giuseppe Capriu, direttore dell'Associazione stessa a quel Concorso, è partito egli pure alla volta di Milano fino da ier 1' altro. Siamo sicuri che i bravi giovani faranno onore all'Associazione e alla nostra città. È uscito il volume settimo, fascicolo I. e II, dell' Archeografo Triestino, dotta e pregevolissima pubblicazione, editta per cura della società del Gabinetto di Minerva, coi tipi dello stab. tipografico Herrmanstorfer. Ecco il sommario di quest'importante volume: A. Zenatti. Un'epistola in versi di Gerolamo Muzio. — 6r. di Sardagna. Memorie di soldati istriani e forestieri che militarono nell'Istria allo stipendio di Venezia nei secoli XIII, XIV e XV. — Pietro Dr. Pcrvanoglù. Le colonie greche sulle coste orientali del mare Adriatico. — Carlo Dr. Gregorutti. Antichi vasi fittili di Aquileia (cout.) — Carlo Kunz. Due sigilli vescovili di Roma del museo civico di Trieste. — Don Angelo Marsich. Regesto delle pergamene conservate nell' Archivio del rev. Capitolo della cattedrale di Trieste. — A. Puschi Cenni intorno alla guerra tra l'Austria e la Repubblica di Venezia negli auni 1616 e 1617. — Attilio Hortis. I Romieri a Trieste. Annunzi bibliografici. Vi Congresso degli agricoltori italiani in Cremona Il Consiglio permanente della Società generale degli agricoltori italiani, in adunanza tenuta a Bologna presso quel Comizio e Società agraria, ha deliberato d'indire il suo VI Congresso in Cremona, dal giorno 14 al 21 p. v. settembre, contemporaneamente al concorso regionale agrario. Furono scelti ed approvati i quesiti da porsi allo studio e trattarsi nelle sedute del Congresso e nominati i relatori ; e di tali quesiti, appanna ci verrano comunicati dalla Presidenza della Società, pubblicheremo il testo preciso. — Possiamo fin d'ora assicurare che al Congresso di Cremona si tratteranno temi di grande importanza uon solo per quella florida regione agricola, ma per l'Italia intera. Gli uffici di Presidenza del Congresso furono così costituiti: ing. comm. G. Chizzolini, Presidente-, prof, cav. jW'Zauelli ed avv. L. Griffini, Vice-Presidenti; ing. ferretti e dott. Ghizzoni, Segretari generali, con riserva di nominarne altri, occorrendo. Una Commissione ordinatrice del Congresso fu costituita in Cremona, sotto la Presidenza del cav. Camillo Mina-Bolzesi. Coloro quindi che desiderassero prendere parte al Congresso sono invitati a fame sollecita domanda a detta commissione in Cremona od alla Presidenza della Società, presso gli Uffici dell'Itola agricola, in Milano, via Silvio Pellico, n. 6. i'LI Bibliografìa _____ INTORNO ALLE EMIGRAZIONI DEI RUMENI SULLE ALPI DINARICHE E SUI CARPAZI del Prof. Francesco Miklosicli Membro effettivo dell'i, r. Accademia di Scienze in Vienna. Vienna, 1879, (in 4.°, 66 p.) Studio critico del Dr. ANTONIO IVE, istriano tradotto dal periodico francese Romania N. 35, aprile, 1880. Il lavoro del signor Miklosich, del quale .noi citiamo il titolo, e che è estratto dal tomo XXX delle Memorie dell'1 Accademia di scienze in Vienna, contiene uno studio molto interessante sulle emigrazioni dei Rumeni nei paesi situati sulla costa orientale del mare Adriatico e sui Carpazi. Esso si divide in due parti, ciascuna delle quali si suddivide in più capitoli. Alla fine d' ogni parte si rinvengono dei saggi della lingua parlata nelle differenti regioni, delle quali 1' autore si occupa. Ecco i titoli dei capitoli della prima parte : A. Eumeni sopra il territorio serbo (p. 3-4); B. Eumeni sopra il territorio croato (p. 4-6). Qui notiamo dapprima come 1' eminente slavista abbia compreso fra il paese del territorio croato una parte della Dalmazia e della Croazia propriamente dette, e perfino T isola di Veglia, la quale ha potuto essere considerata, e in certe epoche, come facente parte della Croazia ; e finalmente l'Istria, la quale non è mai stata nè geograficamente nè etnograficamente riguardata come croata. Alla maggior parte dei capitoli sono annessi dei documenti importanti sia sotto il punto di vista linguistico, sia sotto il punto di vista storico. La seconda parte di questa memoria tratta: 1° Rumeni sul territorio della piccola Russia ; 2° Rumeni sul territorio polacco ; 3U Rumeni sul territorio moravo. In quanto ai saggi aggiunti ai due primi capitoli, noi citeremo una lunga lista di parole rumene che si rinvengono nella piccola Russia e nella Polonia; parole che concernono in gran parte la pastorizia (p. 12-22); nonché un' altra lista non meno lunga di nomi dei luoghi dovuti allo stabilirsi delle popolazioni rumene nella Gallizia (p. 25-35). Queste voci, come le note istoriche che le illustrano (p. 35-58) furono comunicate al signor Miklosich dal signor E. Kaluzniacki. Come si vede da questo riassunto, trattasi di un insieme di studi molto seri, e che rivelano una volta di più l'ammirabile talento (di cui ebbimo da lungo tempo gran numero di prove) del celebre filologo austriaco, il quale abborda con chiarezza e metodo rigoroso le questioni più astruse di linguistica e di storia, cercando in pari tempo di risolverle di una maniera definitiva e quasi sempre soddisfacente. Così, per citare soltanto un esempio applicabile allo studio di cui parliamo, quante volte la questione dei Rumeni nell' interno dell' Istria *) non è stata trattata dagli scienziati, sopratutto dagli scienziati del paese ! Quante ipotesi non furono emesse senza pervenire a precisi risultati ! E noi crediamo, che il professore di Vienna, senza averla ancora risolta, abbia gettata la maggior luce su tale questione. Il signor Miklosich rigetta 1' opinione di coloro che considerano i Rumeni dell' Istria ') I villaggi dell' Istria dove si trovano anche attualmente persone che parlano il rumeno sono : Santa Lucia di Scliilazza (dove non rimangono che tre o quattro iudividui che parlano il romeno), Berdo, Iessenovih (Senovik o Sesnovik), Villanova, Susnjevica (ital. Susgnevizza), Gromniko, Gradignc, Lettaj, Zejane So Jejane), di cui la popolazione totale, secondo i dati favoritici lai curato, ascende a 3003 abitanti. come discendenti dalle popolazioni indigene che avrebbero appreso il latino volgare dai soldati romani e dai coloni latini, dopo 1' occupazione di quella provincia fatta dai Romani ; ') egli dimostra che il rumeno di quel paese contiene delle parole, le quali per i loro rapporti assai ristretti col bulgaro, provano che i Rumeni dell' Istria sono venuti da una contrada in cui devono essere stati limitrofi ai Bulgari. L' autore fa quindi tre domande: Quale era la patria primitiva di questi Rumeni ? Quale cammino hanno preso per venire dalla loro sede primitiva fino al luogo dove ora gì' incontriamo ? A qual epoca ebbe luogo il loro arrivo nella penisola istriana ? Quanto alla prima di tali questioni, il sig. M. non accettando come verosimile l'opinione di quegli che pretendono avere queste popolazioni guadagnata l'Istria, partendo dalla sinistra del Danubio, è portato a credere che la patria di questi Rumeni, come quella di tutti gli altri devesi piuttosto cercare ne' paesi situati al sud del Danubio. È di là, o, come l'autore lo indica alquanto vagamente a pag. 6, che da un punto della penisola dei Balkani, i nostri Rumeni si sarebbero staccati per arrivare fino alle rive dell' Adriatico. Noi non ci fermiamo a discutere qui 1' opinione del dotto professore viennese intorno alla presunta patria dei Rumeni in generale; ciò ci allontanerebbe di troppo dal nostro soggetto ; rimarcheremo solamente, che, ammettendo anche essere i Rumeni dell' Istria originari dalla riva destra del Danubio, questo non proverebbe ancora che tutti i Rumeni vi abbiano avuta la loro residenza. Per riguardo ai Rumeni dell' Istria in particolare, non sì potrà secondo noi, risolvere la questione, se non quando si disporrà dei materiali linguistici più numerosi di quelli che finora disponiamo.s) Per rendersi conto della via che questa popolazione ha preso per giungere fino al luogo ove noi oggi l'incontriamo e dall' epoca in cui vi è giunta, il signor Miklosich crede opportuno di parlarci prima (p. 3-6) dei destini di lei nei paesi abitati dai Serbi e Croati, ') Ecco gli scienziati che hanno creduto di poter sostenere questa ipotesi: Kandler (Istria, a. I, n. 11, 12; a. VII. n. 18, 19, 20); Coinbi (Porta orientale, strenna per l'anno 1859, III, pag. 112-115. Nell'anno 1861, l'Ascoli avea oppugnato cotesta opinione con argomenti assai validi ed era giunto quasi alla stessa conclusione del Miklosich (V. ne' suoi Studii orientali, fase. Ili, p. 331-357, il notevole articolo in proposito, articolo che fu ristampato ne' suoi Studii critici, I, p. 53-79). ■i) Noi speriamo pure di contribuirvi, e, per la pubblicazione che faremo dei materiali raccolti da noi stessi in questi ultimi tempi in Istria e nell'isola di Veglia, di gettare forse qualche lume sopra questo soggetto, che è divenuto, per così dire, una questione di attualità. perchè è nei paesi di questi due popoli, secondo lui, che i Rumeni devono aver soggiornato prima di pervenire sulle montagne dell' Istria. I documenti serbi nominano assai di frequente i Yalacchi (Vlahi).*) La parola vlah si traduce comunemente o per romanus nel senso di abitante d'una delle città italiane situate lungo la costa della Dalmazia, sopra tutto della città di Ragusa, o per pecuarius, nel significato di pastore, o mandriano. L' epoca nella quale la parola vlah ha perduto il senso di romano per conservare quello di pastore non sarebbe ben precisata. Verso la metà del secolo XII, i Serbi chiamavano Vlahi i pastori romani, i quali, avendo rinunziato alla loro patria, ne conservavano ancora la lingua. È di questo stesso nome che i Serbi ancora si servono per designare il Rumeno, particolarmente il Rumeno del nord ; in alcuni luoghi perfino essi lo chiamano Karavlah ; mentre presso i Turchi ed i cattolici della Bosnia e dell' Erzegovina, nonché presso i cattolici dell' Austria il nome di vlah è applicato a un individuo del rito greco ed ha un significato spregevole. Si cominciò col chiamare Vlahi tutti i Romani e si finì col restringere questo nome a quelli fra essi che dandosi di preferenza alla vita pastorale, fornivano ai popoli circonvicini il contingente maggiore di greggi.2) Havvi un punto nella prima parte dello scritto del sig. Miklosich, che deve essere segnalato, 1' estensione, cioè, che ha preso la parola vlah in composizione coli' oggettivo moro. Alla parola vlah, di origine germanica, si è opposta e si oppone ancora oggidì per designare il popolo rumeno la parola morovlaco o moroblaco (più tardi morlaco, da cui l'italiano morlacco che trovasi nei documenti latini, in francese morlaque15) e che secondo M. M. è ') Si potrebbe dedicare a questa sola parola un lungo articolo. Lasciando la cura al signor G. Paris il quale sfiorando appena il soggetto, ha promesso di ritornarci sopra dettagliatamente (vedi Romania, tomo III, pag. 505), noi rimandiamo intanto i nostri lettori al lavoro del signor E. Picot (Les Roumains de la Macédoine. Paris, Leroux, 1875, p. 4-5). ') E ormai indubitato che la parola vlah avea all' epoca delle invasioni, nello spirito degli Alemanni, un senso di sprezzo accentuato nella condizione intima in cui i romani furono ridotti in parecchi luoghi. Secondo le indicazioni che Holtzmann ha riunito (Kelten und Germanen, Stuttgard 1855, p. 136) valah significava in Austria nel VII ed YHI secolo «uomo della più infima condizione, servo, villano." Lo stesso è dèli' anglosassone vealh, che significa villano. Questo fatto, come 1' ha egregiamente osservato il signor Paris (Romania, t. I, p. 9, nota) rende incontestabile 1' etimologia etnica del greco pXà-/o?, che si adopera nello stesso significato. Presso i cattolici ed i Turchi, questo dispregiativo può derivare anche dalla circostanza che i Eumeni erano di rito greco, la qual cosa attribuivasi loro a vergogna. Vlahi schismatici dice un documento del 1373, citato dal Parlati. 3) Parimenti un passo del prete Diocleas (Sec. XII) : Latini qui ilio tempore Romani vocabantur, modo vero Marovlahi hoc est Nigri Latini vocantur. (Voy. Crncic, Popa Duklanina letopis Ksaljevica, 1874, pag. 8). identico al greco lAavpópXaxo?, senza che si possa rilevare il perchè i Rumeni sieno stati appellati Yalacchi neri. ') Questo nome di Morlacco si estese fin dalla prima metà del secolo XYI alle popolazioni slave della Dalmazia settentrionale e a quelle dei dintorni di Cattaro e di Antivari. Questa nuova appellazione ebbe luogo nel corso del socolo XYI ; il che dimostrano gl' innumerevoli rapporti fatti dai magistrati che la repubblica di Venezia inviava in Dalmazia e in Istria ; le popolazioni slave e rumeno-slave sono indistintamente chiamate Morlacchi. Sembra ciononostante che gli scrittori dell' Istria abbiano usato la parola morlacco per desigare i popoli del Carso che parlavano di preferenza il rumeno. Il vescovo di Cittanova, Tommasini, verso il 1650 si esprimeva nel modo seguente, stando a un rapporto indirizzatogli dal curato Flego di Pinguente : „I Morlacchi che sono nel Carso, hanno una lingua da per sè, la quale in molti vocaboli è simile alla latina." 2) Ma chi erano questi Morlacchi del Carso? E che lingua parlavano perchè potessero essere considerati quali popoli affatto differenti dalle tribù slave che li attorniano? Sono quostioni queste che il signor M. ha appena toccato, comecché si rannodino strettamente al suo soggetto principale. Noi qui non pretendiamo di risolverle ; cercheremo solo, per quanto possiamo di spianare il cammino agli altri. I Morlacchi del Carso sono anche appellati col nome particolare di Cici (pron. Tchitchi)3) Incontriamo questo nome per la prima volta in un documento assai importante, fattoci conoscere dal signor I. de Kukulievic4). ') Il sig. Hasdeu che conosceva 1' etimologia di morlacco, proposta dal sig. M. secondo Diocleas e secondo Tirecek, crede al contrario che la prima parte della parola non sia altro che lo slavo more. e che questa designazione non si possa applicare che ai Valacchi «marittimi." Secondo lo scienziato rumeno, degli studii del quale è spiacevole che il sig. M. non abbia approfittato, la Valacchia attuale porta sola il nome di Valacchia nera, di Tartaria e anche d' Arabia. Vedi Hasdeu, Istoria critica, 2.a ed., I, p. 37-168. 5) Commentari storico geografici della provincia dell' Istria (nell' Archeografo triestino. Trieste, 1837, voi. IV, p. 515). 3) Riguardo al vero significato di questa parola gli scienziati non vanno d'accordo. Il sig. Bidermann, nell'opera che s'intitola: Die Romanen und ihre Verbreitung in Oesterreicìt (Graz, 1877) pretende (p. 79 e 86) che la parola cici si riferisca, a un vocabolo usato dal contadino della Slavonia per salutare il suo vicino. Lo chiama cica, cioè «vicino." Benché questa spiegazione abbia del verosimile tuttavia noi siamo tentati di vedere nella parola cici, data a questi popoli sopratutto dagl'Italiana dell'Istria, un'idea di spregio. Non sarebbe forse un so-prannnome burlesco per voler designare questi Rumeni da una particolarità della loro pronuncia? Per analoga ragione chiamarono i Roumeni della Macedonia Tsintsares, perchè essi pronunciano ts in tutte le parole che gli altri Rumeni dicono tch. I Rumeni della Valarsa furono appellati anche Cicerani, Ciciliani, e ciò che è ancora più caratteristico Ciribiri che s'usa a Venezia (ved. la «Gazzetta uff. di Ven." 28 ott. 1861). Il nome di Cici sarebbe quindi più che una designazione etnografica, una designazione di sprezzo, come non manca nella nomenclatura etnografica. 4) Monumenta Historica Slavorum meridionialium Acta, Croatica, I. U. Zagrebu, 1863. Doc. LXXm. Esso è una spiegazione del salterio croato, in caratteri glagolitici, fatta dal sacerdote Pietro Frascsc nel 1453 a Lindaro in Istria. In fine di questo documento sono nominati i Cici, come, cioè, si fossero uniti ai soggetti del conte Giovanni Frangipane di Veglia per fare delle invasioni alla costa orientale e nell'interno dell'Istria. La penisola istriana sembrava del resto avesse attirate queste bande nomadi non solo per la fertilità delle sue vallate e la ricchezza delle sue foreste, ma anche perchè loro offriva un sicuro asilo contro le persecuzioni dei Turchi. Esse vi si trovavano così sicure ed a loro agio, che 60 anni più tardi (1523) vediamo questi medesimi Gici ottenere una stabile permanenza; anzi vengono trattati questa volta non più come invasori ma come fuggiaschi. E fu loro assegnate tre località, una delle quali si trova nella valle dell' Arsa, dove di presente sono i Romani ; gli altri erano allora compresi nella Contea di Gorizia e Gradisca '). I Cici sono anche citati in altri documenti; così un documento latino dell'anno 1517, pubblicato dal Signor Kandler2), parla di un'ordinanza della città di Trieste contro „i Cliichi, qui habitant in Charsia" ; parimenti una lettera indirizzata dal podestà di Capodistria alla città di Trieste nel 1540, dà ai Chichi l'epiteto di Mur-lacchi (detti Murlachi)3). Fra gli storici che trattano dei „Cici" va notato: 1° Valvasor, verso il lò88, che pone questo popolo fra Neuhaus (Castelnuovo) e San Serff (San Servolo sul territorio triestino) e trova la loro lingua assai dissimile di quella d'altre popolazioni del Carso e vanta la loro capacità di servirsi della fionda4). 2° Fra Ireneo della Croce (Giov. Maria Manarutta 1627-1713,) il quale non soltanto colloca i Cici fra i Rumeni, ma ci da anche saggi della loro lingua. Il passo della sua opera è troppo importante per poterci dispensare dal riferirlo qui per intero. „Un'altra memoria antica, d'osservatione non minore delle già addotte antichità Romane, osservo in alcuni popoli addimandati comunemente «Chi-chi", habitanti nelle ville di Opchiena, Tribichiano e Gropada, situate nel territorio di Trieste sopra il Monte, cinque miglia dalla Città verso Greco, et in molti altri villaggi spettanti a Castelnuovo 1) Beschreibung des Gschlos Marenfels sambt alien guldt wnd herlichait, 2 Jimi 1523. (Urbar) negli Archivi prov. di Lubiana. Vicedom. Act. Lit. M. 3, citato da Biderraann, p. 86, n. 2) Raccolta delle Leggi ecc. per Trieste. (Trieste, 1861). Rubr. : Lo Eimboscamento, p. 3-9. 3) L'Istria a. 1851. p. 125 (n. 29). 4) Die Ehre des Herzogthums Crain, I. parte, lib. II, pag. 255 (ediz. di Norimberga 1689).__ nel Carso ... quali, oltre l'Idioma slavo, comune a tutto il Carso, usano uu proprio e particolare consimile al Valacco intreciato con diverse parole e vocabuli latini..... I nostri Chichi addimandansi nel proprio linguaggio Rumeri (sic.) „Ecco le parole citate da Ireneo quale appartinenza della lingua dei Cici: Ambia cu domno (ambia cum Domino) Ambia cu Braco (ambula cum Dracone) Bou (bove) Berbaz (che dev'essere senza dubbio il plurale de barbat, homo, propr. vir) Basilica (pacvA'.**]) Cargna (carne) Cassa (cassa) Cass (caseus) Compana (campana) Copra (capra) Bomicilio (domicilium) Filie ma (figliae meae) Forzin (forceps o forfex) Fizori ma (filioli mei) Fratogli (o piuttosto fratzgli?) ma (fratres mei.) Matre (che è molto curioso mater) Mugliera (muliere) Patre (patre) Sorore (sorore) Puine (panis) Vino (vino) lira ova (una ovis) '). ') Historia di Trieste. (Venezia, 1698, lib. IV cap, 7 pag. 334). (Continua) Hanno pagato il prezzo d'abbonamento i signori: A tutto 1878 : G. Vesnaver — Trieste. A saldo 1879 : Gius. Ant. Battei — Barbana. A saldo I. quadrimestre 1880 : P. Franco — G. Kers»vany — Capodistria A saldo I. semestre 1880: Don Osvaldo de Caneva —-Faremo. A saldo II. quadrimestre 1880: N. Bartolomei — G. Cav. Baseggio — P. Baseggio — L. Ved. Belli — A. Bratti — G. Barega — N. Del Bello — G. Cobol — P. De Rin — A. De-pangher — Don G. Favento-Apollonio — G. Pavento — A. Gallo — P. Gallo — G. Genzo — V. Gravisi — A. Ved. Gravisi — Z. Lion — G. Manzini - D. Marinaz — Società del Caffè delia Loggia — A. Tommasich — G. C. Totto — L. Utel — F. Vicich — L. Venuti — Capodistria — Gabinetto di Lettura — Cormons — Enrico Fonda — Trieste : Giuseppe Bar. Morpurgo — Trieste ; D. Dr. Te ni aro - Isola; — V. Dreossi — Pola; — Casino di Società — Dignano ; — G. Dr. Fonda — Pisino; — Giacomo Nacinovich — Santa Domenica ; — Raimondo de Baia — Lindaro ; — P. Dr. Millevoi — Albona ; A saldo II. semestre 1880: Dr. Pervanoglù — Trieste; — D. Verginella — Cittanuova. A saldo 1880: Domenico Ravasini — Isola; — Paolo Sbisà — Gorizia ; — Presidenza del Consorzio dei Sali — Pirano ; — Domenico Manzoni — Capodistria; — Carlo Franceschi — Umago; — Municipio - Buje; G. Privilegi — Parenzo; — Raimondo Tominz — Trieste; — Don Giov. Mizzan — Corridico ; — Caffè civile e militare — Pola ; — Stanze di Radunanza del Tergesteo — Trieste; — Vittorio Rumer — Capodistria.