PROG GINNASIO COMUNALE SUPERIORE DI TBIEST-E PUBBLICATO ALLA FINE DELL’ ANNO SCOLASTICO - ' < I Ji; ANNO DECIMOTTAVO, TRIESTE TIPOGRAFIA DEI. L L O Y D A U S T R O - U N G A IU CO -V'' **?£ PROGRAMMA DRL GINNASIO COMUNALE SUPERIORE Dl TRIESTE PUBBLICATO AI-I-A FINE DELL’ ANNO SCOLASTICO 1880-81. ANNO DECTMOTTAVO. TRIESTE TIPOGRAFIA DEL LLOYD A U S T R O - U N G A R 1 C O l88l. Pietro Mattei, editorc. TERZA FILIPPICA Dl DEMOSTENE. S T U D I O P1ETR0 MATTEL 11 presente Studio si riferisce alle opere seguenti: A. Schaefer: Demosthenes und seine Zeit, Leipzig 1856-58; K. G. Boenecke: Dem., Lykurgos, Hyperides u. ihr Zeitalter, Berl. 1864; O. Haupt: Das I.eben u. Staatsmän-nische Wirken des Dem., Posen 1861; L. Bredif: Džmosthene, Paris 1879; Blass: Die attische Beredsamkeit III. 1. Dem., Leipzig 1877; id.: Die gr. Beredsamkeit in dem Zeitraum v. Alex, bis Aug., Berl. 1865; F. Gnesotto: L'eloquenza in Atene ed in Roma, Verona 1877; F. Mariotti: Le orazioni di Dem., Firenze 1874-77; W. Hartei: Demosthenische Studien, Wien 1877; J. Th. Voemel: Demosthenis contiones, Hai. Sax. 1857; G. Dindorf: Dem. Oxonii 1846-51; id.: Dem. orationes, Ed. III, Lips. 1874; C. RehdantDem. Ausgewählte Reden, Leipz. 1870, 1878; A. Westennann: id., Berl. 1871; H. Weil: Les harangues de Dem., Paris 1873 (critica di K. Mayhoff, Jahrb. f. cl. Phil. 1876); L. Spengel: Rhetores groeci, Lips. 1853 Dionysii Halle: opera, Lips. 1876 (id. N. Tommaseo, Milano 1827); I.. Spengel: Ueber die III. ph. R. des Dem., München 1839; id.: Die 8T){j.r)Yop(«t des Dem., München 1860; A. Spengel: Ueber die Handschrift Cod. Aug. I Monac. des Dem., München 1872; C. H. Funkhaenel: Epistola gratulatoria ad G. Hermannum, Jahrb. 1841, VII. Suppl.; id.: Observationes criticae in Dem. ph. III, Isen. 1841; id.: ad IX. 26, Jahrb. 1862; C. RehdantDemosthenische Litteratur in Bezug auf die Kritik, Jahrb. 1857-58; F. Schult^: De codicibus quibusdam Dem. ad or. ph. III nondum adhibitis, Berlin 1860; J. Draeseke: Die Ueberlieferung der III ph. R., Jahrb. 1873-75, VII Suppl. (id.: Quasstio critica de Dem. or. ph. III. Rivista di filol., Torino 1876); L. Drewes: Zu Dem. IX. 46, Jahrb. 1868; H. Weil: Die doppelte Redaction der III ph. R. des Dem., Jahrb. 1870; Brill: ad IX. 46, Mne-mosyne 1873 N. S. I; Cobet: de cod. E, ib. 1875 N. S. 111; E. Hoffmann: Zu Dem. III ph. R. Jahrb. 1876; C. F. G. Meut^ner: De interpolationis apud Dem. obviae vestigiis quibusdam, Plauen 1871. Alcuni lavori sparsi in periodici non ci fu possibile avere in nessun modo. [11 lavoro sul Parini, di cui la prima parte fu pubblicata nel programma deli'ultimo anno, uscirä separatamente.] opS) (juEV to4 xaXsitov Ta (iÄTtaT* Xi'fi’.'l sot(v. Dem. XVI. 2. Dopo la battaglia di Mantinea, dove con Epaminonda cadde il valore deli’ Eilade, a nessun’ azione generosa piü si coramuovono gli animi; ma asti continui e guerricciuole impotenti consumano 1’ultima vita dei singoli stati, mentre i cittadini fra spettacoli e feste a piž degli antichi monumenti non si danno pensiero deli’avvenire. Quando la rovina sarä imminente, si seuoteranno ancora una volta al suono d’una nobile voce, e ripiglieranno le armi; ultimo lampo della virtü che un d'i li rese grandi e potenti, ma che quindi s’ oscurerä per sempre. Intanto Sparta s’angustia per ristabilire la vecchia egemonia nel Peloponneso; ma estenuata dalle sconfitte non ha forza ne coraggio di imporre il proprio volere, sformata dali’ egoismo trova odio e opposizione da per tutto; dopo la sciagurata pace d’Antalcida, e dopo avere alimentata la discordia nella Calcidica, ella meno di ogni altra cittii puö invocare a sua difesa il nome greco. Tebe perde colla morte dei due eroi ogni energia ed entusiasmo; dura sempre il ricordo della spietata tirannia da lei usata su alcune terre della Beozia, e la sfiducia degli altri stati verso la cittüi che fa d’ occhio allo straniero. Piü considerevole per memorie, intelligenza e ricchezze resta Atene unico porto di salvezza; ma la sua superbia le inimica gli alleati, onde lo smembramento della nazione si fa sempre piü funesto; la brama smodata del lusso e dei piacere fiacca sempre piü le menti e gli animi. 1 vecchi rancori contro Tebe, che parvero calmarsi nei momenti della disgrazia, quando le ambizioni aristocratiche di Sparta colpirono prima 1’una poi 1’altra citta, ora piü che mai s’inasprivano per 1’ infelice questione di Orbpo; la voglia di riavere questo luogo reggeva in certa guisa la politica Ateniese cogli altri stati di terra ferma. D’idee grandi sia civili sia nazionali, nemmeno 1’ombra; pace e diver-timenti a ogni costo. Non piü cittadini, ma un miseuglio di gente che s’ arrabatta pei propri guadagni privati; non soldati che combattano per la famiglia, ma mercenari ladri; non capitani difensori delle patrie isti-tuzioni, ma avventurieri venduti a chi piü paga. Non leggi, non religione; ma il capriccio di cittadini opulenti e la parola prezzolata dei demagoghi; e una sofistica pronta ad accomodarsi col piacere. Negli stati piü piccoli similmente e peggio. Quäle meraviglia se in tanto avvilimento morale e civile nessuno si darä piü cura dei bene universale della nazione, nessuno penserä a riunire e dirigere sapientemente gli altri, ma tutti si tormente- ranno e spoglieranno a vicenda, aprendo la via a chi forte d’armi e d’ avvedutezza esercita intanto i suoi soldati in barbare contrade per poi sfinire colla corruzione e col ferro quel misero corpo ? Galdi ammiratori delle glorie passate e uomini sinceramentc virtuosi, che tentassero con savia parola correggere il male, non mancavano; come in individuo depra-vato resta sempre un barlume di bene, cosi in nazione decaduta e prossima allo sfacelo non del tutto s’estinguono i nobili sentimenti d’un tempo; ma il solo rimorso non basta alla salvezza. Tremenda prova di quello stato di cose fu la guerra Focese; era destino che anche il simulacro deli’ unitii dell’ Eilade dovesse venire rovesciato, dopoche gli odi di parte, 1’ aviditä e la sregolatezza avevano giä corroso e guasto ogni interno legame. II popolo greco s’ era sentito uno contro gli eserciti di Persia e nei pene-trali del santuario d’ Apollo; col re di Persia s’ era fatto mercato dei fratelli d’Asia; ora i voti preziosi del dio sfamano soldatesche indisci-plinate e ingorde, alle quali non manca il plauso d’ Atene e di Sparta, mentre Tebe vantandosi tutrice dei diritti del tempio, non fa che dare sfogo alle proprie passioni di cupidigia e di vendetta. Filippo stava pronto; i Tessali lo chiamarono. Uomo senza pari per coraggio individuale e accorgimento affinato dall’esperienza; instancabile, eccessivo, crudele come un barbaro; intelligente e avveduto come un greco; conosceva e sprezzava la presente debolezza di quel popolo, del quäle perö sentiva e animirava l’antica potenza della mente. Egli solo contro tanti stati ordisce le sue trame; muove alla testa di soldati avidi e fieri, ma induriti a ogni sorta di fatiche e costretti da sapiente e ferrea disciplina; ricco dei tesori del Patigeo discende fra una gente assetata di lucro e di sollazzi. Tutto gli e mezzo allo scopo cui tende con tutta 1’ anima. Chi ne ammirö la forza e sperö da lui salvezza e nuove glorie alla patria, come Isocrate; chi stese la mano ai filippi d’ oro, poco o nulla importandogli del resto, come Filocrate; altri, come Eschine, non con prudenza ma con astuzia cercö di accordare coli’idea del proprio vantaggio quella d’un nuovo stato grande e sicuro; Focione con aspre ma schiette parole consigliava virtii e moderazione; ma in tanta miseria di costumi parevano piuttosto parole di giudice, che di cittadino salvatore. Unico nemico aperto e temuto sorge contro al re Demostene. Intelligenza nobilmente educata, e virile costanza di carattere; caldo affetto per la patria famosa per le libere istituzioni e per le imprese degli avi, e senno che non perde mai d’ occhio la meta, che non arrischia, ma dirige; arte sapiente della parola, e sacrificio di se stesso alla generosa idea furono le grandi virtii di quest’ uomo, che con ogni sforzo s’ adoperö per salvare Atene e la Grecia; e non permettendolo i tempi e gli uomini, ottenne almeno che la fine non losse ignominiosa. Egli combatte senza posa la perfidia c 1’insolenza di Filippo; il vedere da un Macedone strappata alle mani del popolo Ateniese la nobile parte di rinnovatore della potenza greca e di vendicatore dell’orgoglio persiano immensamente lo addolora; sente bensi che alla sua cittä manca l’attivitä d’un tempo, onde continuamente esorta, rimprovera, s’ affanna; ma chiama pazzo chi osa credere che il re, il quäle per fare sč padrone assoluto calpesta ferocemente la civiltä di tante terre greche, e prepara inganni a tutti, protegga poi un giorno e aumenti 1’ onore della nazione. A lui s’ unisce una piccola schiera di generosi, ultimo splendore di vera virtti cittadina. Le sue orazioni politiche accompagnano cotne scolte fedeli la storia del tempo. In tre delle prime, tenute 1’ una sulla costituzione delle classi dei contribuenti, 1’altra pei cittadini di Megalopoli, la terza per quelli di Rodi senti un’ eco della passata sapienza ateniese con un cenno di triste presentimento deli’ avvenire. ln quella egli frena gli Ateniesi desi-derosi di muovere guerra alla Persia; ne i mezzi presenti basterebbero, ne tutti i Greci s’ unirebbero ora con loro; nella seconda vuole ehe si ristabilisca nelle cose di Grecia un equilibrio fondato su principi di giustizia, e pel quäle Atene non abbia a fernere dell’egoismo de’ suoi nemici; nell’ ultima, altero della costituzione della sua patria, consiglia i cittadini a tutelare dovunque sia la parte popolare contro i so-prusi deli’oligarchica; in quella costituzione sta la vera grandezza della cittä; e „i felici devono sempre provvedere agl’ infelici, perche č ignoto ciö che possa toccare a tutti gli uomini“. Ma ben presto 1’oratore do-vette mutare stile; ciö che prima era semplice allusione o rapida parola di rimprovero, ora divenne tema principale del suo discorso; non si trat-tava piii di aiutare gli altri per sicurezza e gloria di Atene, ma di scuotere se stessi alla propria difesa. II dominio di Filippo andava a settentrione sempre piti allargandosi deli’Eusino ali’Adriatico; le colonie greche correvano grave pericolo; Anfipoli e Potidea perdute per sempre. Ingrossavano terribilmente le cose della Focide; non si sapeva quello che sarebbe accaduto 1’indomani; e gli Ateniesi spensierati, senza milizia, senza cassa di guerra, non badavano ehe a darsi bel tempo. Allora tenne 1’ oratore la prima Filippica. II ricordo del passato e qui incoraggiamento e rimprovero; la condizione presente e tratteggiata con tanta chiarezza ed evidenza, ehe ogni cittadino assennato avrebbe dovuto conchiudere: o noi in Macedonia, o Filippo in Atene; con libertä di parola senza pari e condannata 1’infingardaggine e la scioperatezza del popolo; eppure sembra che poco gli badassero. Ma presto si mostrarono segni di mali piti gravi e piii aperti; Demostene quasi gioisce pensando ehe il pericolo di Olinto desterä finalmente dal lungo torpore gli Ateniesi; chi non vede ehe distrutto quel baluardo della civiltä greca contro il settentrione e 1’Oriente, Filippo sarä presto signore del mare e minaccerä da vicino i possedi-menti piii importanti della cittä, e la cittä e 1’Ellade tutta? L’oratore temendo, esultando, minacciando volge al popolo le tre olintiache, mo-numento insigne d’ amor patrio, di saggezza e d’ eloquenza. Ma i socčorsi inviati sono pochi o tardi o guasti dal capitano stesso ehe li guida; a Olinto non resta oramai che il proprio braccio e il proprio coraggio; la difesa ä eroica, ma „le lance d’ argento“, a cui alluse la Pitia, vincono o per dir meglio uccidono anche quei difensori; e il barbaro re dopo aver rasa al suolo la cittä, e crudelmente distrutte molte altre nella Calcidica, ne tripudia a Dium fra le feste e i canti greci. La nuova di tanta sciagura portb spavento e confusione negli stati della penisola. Perö 1* astuto re s’ accorse ehe la paura non avrebbe domato Atene; e ehe la ferocia con cui si sgombrava la via al dominio della Grecia avrebbe finalmente esacerbato tutti, e provocata una difesa da mettere in rischio i frutti delle sue vittorie. Ricorse quindi all’ ipocrisia, in cui era maestro; e colla libertä donata ai prigionieri Ateniesi, e coi doni, di cui non era avaro a chi conosceva piü ambizioso che onesto, egli seppe, aggiungendovi belle parole, calmare gli animi offesi, e stendendo la mano amica avviare pratiche di pace. Nell’apparenza umano e splen-dido coll’ambasciata venuta dalla cittä, fece capire che era suo unico desiderio il benessere della Grecia. Quei messi o ingannati o venduti non trovarono al loro ritorno parole bastanti per esaltare la magnanimitä del re. Ma a Demostene ripugnava quel traffico; pure vedendo che la guerra sarebbe ora opera iniprudente, anch’egli inclinava alla pace; ma a una pace giusta e decorosa per Atene. Ma intanto, mentre andavano e venivano gli ambasciatori, Filippo non perdeva tempo; voleva assicurarsi la via al Chersoneso, e porre piede fermo nell’ interno della Grecia. Demostene conobbe il tradimento, ma la sua voce non fu ascoltata; il re soltanto dopo conquistati alcuni luoghi forti sulla costa di Tracia, c occupate le Termopili giurö la pace in Fere. Segu'i il secondo atto di inaudita crudeltä; quäle vendicatore del dio egli fece orrendo scempio della Focide; i due voti nell’ Anfizionia, che appartenevano a quel popolo infelice, li volle per se; quindi ebbro della sua tracotanza celebrö i giuochi sacri della nazione, lä quäle inerme o atterrita o compra rimaneva muta spettatrice. Vi fu chi in Atene gridö: all’ armi! ma Demostene, che bene intese quanto fosse ora meglio il tacere, rispose a quelle voci colla sua orazione della pace; nella quäle con sapiente ironia conchiudeva, che se avevano neghittosamente lasciato che terre alleati amici cadessero in mano del Macedone, era cosa ridicola 1’ affannarsi ora tanto „per l’ombra in Delfi!“ Negli anni che seguono, mentre Filippo colla parola pace sulle labbra compie il disegno d’ingannare e irretire il resto della penisola, o scomparendo fra i barbari del settentrione sempre piü esercita i soldati nei disagi e nei pericoli, e spia 1’ occasione di occupare il Chersoneso; in Atene si contende e sofistica se egli faccia pace o guerra; le sue creature cercano d’ occultarne o abbellirne ogni azione; audacia debolezza e vigliaccheria insieme unite congiurano allo sfinimento della Grecia. Che v’ hä di piü bello e piü utile della pace ? va dicendo Eubulo ; chi piü splendido e piu potente di Filippo? soggiunge Eschine. Ma Demostene non si scoraggia; egli comprende che solo una lega salda e unanime di tutti poträ fiaccare il duro braccio del re; aiutato dai suoi pochi ma valenti amici egli s’ adopra di guadagnare per la causa comune alcune cittä nei Peloponneso, nella vicina Eubea e altrove. Si portano accuse contro alcuni degli ambasciatori, che cospirarono alla vergognosa pace di Fere; e se la destrezza della parola salva Eschine dalla condanna, perö il suo agire disonesto, fatto palese, rende accorti e solleciti i migliori dei cittadini. Sono appunto di questo tempo la seconda filippica e 1’ orazione della falsa ambasceria. Ma notizie venute dal Chersoneso cominciarono a inquietare la cittä; si mandö Diopite con coloni; accolto amichevolmente dalla maggior parte di quegli abitanti fu osteggiato dai Cardiani protetti del re; il valoroso capitano non si curö nž del miserabile trattato di Filocrate, ne del chiasso, che avrebbero fatto i partigiani della pace a ogni costo; assali alcune terre occupate dal Macedone, le rnise a ruba e a sacco e riparö nei Chersoneso. In Atene lamenti e rumori. Allora tenne Demostene 1’ orazione sull’ andamento delle cose in quella penisola; perö i fatti colä avvenuti ne sono piuttosto 1’ occasione, che 1’argomento principale; 1’ oratore tratta in genere dello stato guasto e pericolante della repubblica. Ma di li a pochi mesi, quasi raccogliendo ogni sua forza, egli parlö nuovamente al popolo; riandö la storia passata considerandola nel suo intimo nesso, cercö la vera causa di tanto avvilimento, e propose l’unico mezzo, che, energicamente usato, avrebbe potuto scampare dalla rovina. Successe la difesa gloriosa di Perinto e di Bisanzio; le ambasciate e gli sforzi generosi della parte di Demostene per unire e scuotere la nazione; poi la funesta guerra d’Anfissa, e l’onorata ma infelice batraglia di Cheronea. Ma questi fatti giči escono dal nostro tema, che e uno studio di quell’ ultima orazione, cioe della terza Filippica. Solo osserviamo ponendo tine a questi pochi cenni, premessi a schiarimento del resto, che nei dieci anni, che vanno dalla strage della Calcidica alla battaglia di Cheronea, gli avvenimenti si succedono e svolgono come atti di terribile tragedia. Ne e appunto il primo la presa d’Olinto; vengono poi gl’ inganni del re, la pace di Filocrate, la distruzione della Fockle; il terzo atto comprende le lotte dei partiti in Atene, 1’ avanzarsi minacoipso di Filippo sul Cherso-neso e le due ultime orazioni politiche di DemosWqe; segue a consolazione e incoraggiamento della parte migliore la vittoriosa difesa di Perinto e di Bisanzio e lo smacco del re; intine 1’alleanza con Tebe, generosa espia-zione dei vecchi odi, e la catastrofe di Cheronea. I personaggi sono Atene, Filippo, Demostene. La terza Filippica fu oggetto d’ammirazione agli antichi, d’ammira-zione e di critica ai moderni. Del pensiero in se stesso e della sua bellezza particolare ci occuperemo nell’ ultima parte di questo studio; ora ne verremo esaminando, come meglio potremo, la questione critica. E noto come prima delle edizioni di Becker, le quali mostrarono la bontä del codice 2, nessuno dubitasse della forma deli’ orazione, quäle era tramandata nei migliori codici d’allora; quel MS portö luce inaspettata e nuove vie si schiusero allo studio deli’oratore. Piü tardi nel 1860 Schultz pubblicö le varianti di un codice della Laurenziana molto simile al 2; ogni dubbio ora pareva tolto; ma ne sorsero ben presto di nuovi e nuove congetture si fecero, onde i critici, convenendo in alcuni punti, rimasero in altri tuttavia discordi. Noi esporremo apertamente, ma senza alcuna pretensione, il nostro parere; conosciamo la grande difficoltä della questione, e ben sappiamo come il ragionamento e la congettura possano aiutare solo in parte, anzi conducano alle volte in nuovi errori, se non siano usati con modera-zione. E se alcuno osserverä che le cose esaminate sond talvolta di poco valore, o alcune giä ammesse dalla maggior parte dei critici, e altre non del tutto provate e sempre contrastabili, risponderemo in primo luogo che in simili questioni di forma o di pensiero cose in apparenza rninu-tissime possono avere importanza singolare, poi che il giudizio si fonda sul complesso delle osservazioni, e che il presente esame non e destinato ai dotti, ma in generale agli studiosi e amanti del grande oratore; ragione che forse ci scuserä se in qualche argomento ci saremo un po’ troppo dilungati, o non avremo badato a certe ripetizioni, alcune delle quali si potevano del resto evitare difficilmente. Premettiamo le sigle dei codici distribuiti nelle famiglie stabilite da Voemel; della loro affinitä parleremo dopo la critica delle varie lezioni. I. 2. (Parisinus), L. (Laurentianus). II. F. (Venetus), B. (Bavaricus), A.2 (Augüstanus sec.), V.3 (Vindobon. tertius), Ang. (Angelicus), P.1 (Palatinus pr.), M. (Manettianus). III. A.1 (Augustanus pr.), U. (Urbinas), P.6 (Palatinus sext.), Reh. (Rehdigeranus), k, r, p. (Parisini), Hl. (Harleianus), Hr. (Harri-sianus), D. (Dresdensis), a, e, 0. (Parisini Morellii), O. (lib. Obso-poei). IV. Y. (Parisinus), V.4 (Vitidob. quart.), V.1 (Vindob. pr.), Vat. (Vati-canus), v. (Parisinus), I. (Lindenbrogianus), a. f. (Appendix franco-furtana), Aid. V. (Aldina Voemel.). V. 0. (Antverpiensis), u. (Paris.), A.:i (Aug. tert), ß, (Paris. Morel). Libanio nelle poche parole che premette all’orazione dice che l’ar-gomento e semplice; probabilmente intendeva che qui non si tratta di alcLin tatto particolare, il quäle ne fosse 1’ occasione, ma di circostanze e avvenimenti giä noti e d’ importanza universale. E questo appunto 6 un carattere singolare della nostra orazione. L’ottava stessa che tanto le somiglia, che tocca in fondo i medesimi fatti, accenna le medesime cause, e s’ accorda con essa perfino nelle ultime proposte, ebbe un’ occasione sua particolare, il mantenimento deli’esercito di Diopite. Ma giä da qualche tempo nei discorsi di Demostene alla considerazione di cose speciali e individuali s’ univa quella delle generali e comuni, o per dir meglio le prime si presentavano all’oratore con tutte le loro conseguenze possibili, giä la salvezza di una cittä era salvezza di tutta l’EIlade, e tutta 1’Eilade aveva un solo nemico. Questo pensiero, che nelle prime orazioni e ora sospiro ora timore, si fa un po’ alla volta grande e potente, e in questa, che fu tenuta nell’ultimo tempo, prorompe per cos'i dire da ogni periodo, infonde vita e calore a ogni imagine, rende giusta ed efficace ogni espressione. I pericoli di Atene sono oramai pericoli di tutta la Grecia; Atene deve sorgere la prima, perche i figli suoi liberarono un giorno la nazione dal terrore di Persia; ma Atene stessa deve rinunciare alle vecchie brame di egemonia, deve ispirare fiducia negli animi impauriti e divisi, raccogliere e unire tutti alla difesa. Se mancassero altri dati per stabilire la crono-logia delle orazioni politiche, non di molto si errerebbe ponendo mente a quest’ uno, come cioč al sentimento di un bene individuale della cittä sottentri ognora piü quello del bene di tutta la nazione. E qui la terza filippica tocca il somrno e deli’ energia e della bellezza. Perfino 1’ avveni-mento di Diopite, ehe tanto occupö l’oratore non piü di un anno prima, ha ora un valore secondario, perche „tutta la Grecia č in grande pericolo“. (§ 2o) Questa e la vera, unica occasione della terza filippica; certamente „semplice“, come dice il sofista, ma di una semplicitä tremenda, quando si tratta di salvarsi tutti, o di soccombere tutti per sempre. Ma pur troppo non bastava il dire: „il pericolo č grande, sorgete!“ 1’ oratore sapeva ehe i suoi concittadini languivano nell’ inerzia, e traviati da tristi demagoghi non credevano a quello che pure vedevano. Questo era il nemico, con cui il grande oratore doveva combattere, non meno fiero, non meno funesto di quello stesso, contro al quäle avrebbe dovuto muovere Atene. Quindi con intelligenza e virtü di parola pari alla nobiltä del pensiero, dopo esposta la presente condizione di cose, volle entrare a fondo nelle secrete cause di tanto accecamento, e seppe farlo in modo cosi libero e cosi dignitoso, da essere questa orazione meri-tamente giudicata da critici antichi e moderni la piü bella e potente che innanzi a un popolo sia stata mai tenuta. Ecco il pensiero delle parti principali: (§ i-5) Stato miserando della repubblica per i malvagi consiglieri, che mossi da ambizione o compri dall’oro di Filippo, la hanno tratta in rovina. Solo con un forte volere si potrebbe ancora salvarsi. (§ 6-19) II re fingendo pace fa guerra ostinata ad Atene; ogni sua impresa e volta contro la cittä. (§ ao-35) Ma insieme tutta la Grecia e minacciata e insultata da lui; eppure nessuno si muove, (§ 36-46) perche la venalitä distrugge nei cittadini ogni generoso sentire „Non cosi una volta . . . Ma ora . . . che devo dire . . . (§ 47-52). Propone che si prendano subito alcuni provvedimenti di guerra contro Filippo. (§ 53-70) Prima perö devonsi combattere i nemici interni. Esempi della loro funesta influenza in altre cittä. (§ 71-76) Esortazione agli Ateniesi di armarsi stretti in alleanza col resto della nazione. Ognuno puö facilmente vedere che lo svolgimento del pensiero a un certo punto si confonde, e che non senza uno sforzo della mente si puö continuare a comprenderne le singole parti nella loro unitä. Questo luogo e il § 46, del quäle tanto fu detto e discusso, e la cui lezione noi esamineremo prima delle altre, perche appunto ci pare venire di qui luce alla disposizione di tutta la filippica. N. 1. ta-cs auTOi — xlvo?; om. pr. 2, pr. L („mg 2 habet ab antiqua quidem, neque vero eadern manu', sec L in mg.u) L’oratore, esposta la cagione per cui la Grecia fu un d'i cosi grande e potente e ora e tanto debole ed avvilita, porta un fatto a provare 1’ interezza degli antichi Ateniesi. Artmio inviato del re di Persia fu bandito da Atene, e il nome suo e la sua schiatta infamati, perchč aveva tentato di corrompere con oro alcuni del Peloponneso. Poi continua Demostene: „di qui lo spavento, che la Grecia incuteva al barbaro, non giä il barbaro a’ Greci. Ma non ora, giacche voi non cosi la pensate ne in queste ne in altre simili cose. Ma corae? lo dirö? lo volete e non vi adirerete ?“ Cosi la lezione piü breve.. Invece la Volgata alla prima domanda fa seguire: „Giä lo sapetc voi stessi. Perche poi si deve accusare di tutto voi? Similmente operano e non meglio di voi anche tutti gli altri Greci. Perciö credo che alla condizione presente faccia d’ uopo molta sollecitudine e buon consiglio. Quäle?. . e finisce colle altre due interrogazioni, Quindi segue nella maggior parte dei codici (om. A4, P1U Ang., ü, u, u, ß, Y-) '1 titolo o lemma o rubrica che si voglia dire: „Legge (1’oratore) daun documento del-l’archivio“. Sarebbe lungo citare le varie e diverse opinioni pronunciate a spiegazione del passo; ne diremo le principali. L. Spengel (e con lui E. Weil) supponendo che 1’orazione venisse piü tardi ritoccata da Demostene stesso, pensö che le parole della Volgata fossero state notate allato alle altre, che dovevano essere cancellate, ma chi copiö quel manoscritto trascrivesse ambedue le lezioni. Nella sua dissertazione del 1839 tralascia le due ultime interrogazioni, e insieme rfvo? e la rubrica, come parole che secondo lui si confanno soltanto alla prima lezione, e continua poi col § 47, che crede contenere “il buon consiglio„ nominato di sopra. Nella seconda dissertazione del 1860, mosso dai dubbi di alcuni critici su 11a genuinitä della rubrica, anche nei codici 2 L, conserva tutto meno questa, ma trasporta le domande innanzi alla giunta della Volgata, cui considera in certo modo come risposta a quelle; trova perö strano il passaggio col Tofvuv al § 47. Dindorf (V. p. (93. segg.) con Dobree (Advers. I 374) e Reiske tralascia il titolo (cui Benseler trasporta dopo il § 41), ma nel resto sta colla Volgata, che giudica essere la lezione prima e autentica, mentre egli tiene la piü breve per una compilazione di quella. Parimenti il Rehdantz segue la Volgata, ma rispettando il titolo suppone che l’oratore prima di passare al § 47, pieno 1’ animo di timore per le cose di tutta 1’ Ellade, facesse la proposta di un’ alleanza, e forse cogl’invisi Tebani. Invece Voemel, insieme riferendosi a Funkhaenel (ep. gratul. p. 9), segue 1’autoritä del codice 2; „recte omisit“ dice (p. 649), e s’ adopra per confutare Spengel, che, come egli osserva, fa raffazzonare (consarcinata) a Demostene la sua orazione da uscirne cosa meno bella di prima; omette insieme il titolo. Cosi pure Westermann. Anche Drewes e Draeseke si tengono alla lezione piü breve, ma conser-vano la rubrica, sotto alla quäle credono doversi pensare un fatto che fosse contrapposto a quello di Artmio. Qualche altra opinione toccheremo piü innanzi. Intanto consideriamo la lezione della Volgata. E, a nostro parere, deve far grande meraviglia, come in questo momento, forse il piü serio del-1’ orazione, Demostene interrompendo le proprie parole cerchi una ragione se non da giustificare, da scusare, sia pure in parte, i suoi concittadini, dicendo che non erano i soli che operassero a quel modo. Non volendo poi rispondere, era inutile anche fare la domanda, la quäle qui non e retto-rica, ma tale a cui s’aspetta una vera risposta; oppure si doveva addurre quäle ragione del silenzio, o 1’ aver 1’ oratore giä parlato prima di questo argomento, o la indifferenza del popolo, o quel sentimento di una disperazione d’ ogni salvezza, che traspare poi da alcune parole del § 54. Con quanta maggiore naturalezza aveva detto Demostene un momento innanzi (§ 41): „che la cosa sia cosi, ai nostri giorni lo vedete voi stessi, e non fanno bisogno prove; che nel passato andasse al contrario, ve lo dimostrerö io non con parole, ma ecc.“. E di quella reticenza del 46 e portata una ragione molto strana : „Giä voi non siete i soli; tutti eguali!“ Tali parole poteva egli soggiungere, dopo il solenne esempio d’onestä e d’ amor patrio degli antichi Ateniesi, i quali cosi agirono, perchč credevano loro dovere e diritto il provvedere alla sicurezza di tutta 1’Ellade? La colpa degli altri non era giä scusa a quella degli Ateniesi ; all’ opposto ne aggravava la condanna, mentre eglino per neghittositä ed avarizia la-sciavano che la vergogna coprisse tutta la nazione. Al § 70 e detto: „Se anche tutti gli altri si piegheranno al servaggio, ma noi almeno dobbiamo sorgere!“; e fino alla fine dell’ orazione continua inculcando ai suoi concittadini quäle primo e santo dovere 1’ incoraggiare e dirigere gli altri Greci. Nella XIX § 269 prima di narrare questo medesimo fatto di Artmio, esclama: „Voi soli, o Ateniesi, fra tutti gli uomini avete esempi domestici da imitare . . ., e se i tempi delle imprese guerresche se ne sono iti, ma almeno imitate la saggezza degli avi“. E cosi altrove. Neli’ interpolazione stessa poi le proposizioni sono, mi pare, spostate. Pili naturale sarebbe stato il dire: „Giä lo sapete voi stessi! E come voi, tutti gli altri. Perche, cioe, accusare soltanto voi “? Quindi, toccato il grande pericolo, si dice ehe fa mestieri di molta sollecitudine e di buon con-siglio. Attivitä e prudenza sono certo due eccellenti virtCi, ma di valore generale, ehe cioe si richiedono sempre e in ogni cosa; qui, in questo momento particolare, da se sole non bastavano. Degli antenati aveva detto: „Castigavano e punivano, da rendere per sempre infame“; e al § 53: „con tutta l’anima dovete odiare costoro“; e al 61 : „a colpo di bastone dovevano gli Oriti schiacciare le creature di Filippo“, perche i nemici esterni non si possono vincere, prima di aver domati gl’ interni (§ 53 e VIII. § 6i). Come mai puö l’oratore cosi rapidamente e quasi di salto uscire ora con dei consigli? Come puö 1’ animo profondamente e giustamente commosso calmarsi proprio nel momento, ehe la storia passata condanna la presente, parlare cioe di alleanze, di guerre, di prov-vedimenti, per inveire poi nuovamente con parole ancora piü aeri e piü fiere ? E questo nelle leggi del sentimento, o non piuttosto ehe soltanto dopo il pieno sfogo o del dolore o deli’ ira possa e chi parla e chi ascolta disporre 1’animo a piti tranquille considerazioni ? Invece molto pili a proposito e certo con maggiore proprietä dopo il proemio della III Olintiaca 1’oratore s’avvia a trattare il suo tema colle parole: „la circo-stanza presente ^povxt'So? -/.a! ßouXvjs Ssrcai“ (§ 3). Continua poi 1’ autore della giunta quasi a modo di passaggio: „e di quäle consiglio v’ha bisogno?“ e fa seguire le due altre domande della prima lezione: „devo dirlo ? lo volete e non vi adirereter“ Aveva ben detto e disse poi altre cose ben piü amare e tremende di un „buon consiglio“ senza timore delle ire popolari! (v. IV. 38, 5i). E qui appunto che il Rehdantz, tenen-dosi fedelmente alla Volgata, soggiunge, che essendo Demostene per proporre un’alleanza, e sapendo come solo il nome dei Tebani avrebbe angustiato gli Ateniesi, vi prepara in certa guisa gli animi. Ma che attinenza poteva avere un tale provvedimento, certamente ottimo per se stesso, come si vide in sul finire di quella tragedia, colla venalitä di cui s’era parlato ora continuamente? Prima si doveva abbattere l’idra cre-sciuta nel suolo stesso Ateniese, altrimenti era inutile ogni tentativo di salvezza. Se parlando uei §§ antecedenti degli avi avesse almeno detto che quelli pel bene pubblico facevano tacere alcuna volta gli odi privati! Ma la proposta di un’alleanza veniva ora del tutto inaspettata, e al Hagello delle coscienze seguiva la mortificazione dell’amor proprio, in modo, mi pare, non molto prudente e con un fare non naturale e vero, ma rettorico e stentato. E infine desterebbe meraviglia, che 1’ oratore non facesse di quella proposta piü cenno nel resto deli’ orazione, nemmeno lä dove esorta a chiamare alle armi gli altri Greci. Passiamo certe improprietä di questa aggiunta, riprese da alcuni critici (p. e. itposSstaOat, v. III. 3, e insieme XVI. 6,1. 19), e consideriamo invece la ragione o 1’ occasione, che si voglia dire, deil’ aggiunta stessa. Intanto e chiaro che 1’ interpolatore s’ avvide, come nel documento a cui allude la rubrica non si poteva parlare di un fatto da opporsi a quello di Artmio; prima di tutto perche Demostene l’avrebbe molto piu propriamente in-serito nell’ orazione e reso con maggiore efficacia parte viva della svia parola; poi di una prova particolare dclle condizioni presenti aveva giCi detto al § 41 che non v’era bisogno. L)rewes e Draeseke soggiungono, che in quel paragrafo la prova viene soltanto differita, e ehe 1’ oratore con quelle parole non fa ehe prepararsi il passaggio ali’esposizione del pensare e deli’ agire di una volta. Ma se Demostene aveva intenzione di leggere di h a pochi momenti un documento in tale proposito, perche asseverare con tanta precisione ehe d’ una prova non c’ era piü bisogno (xpos-SsTclte) ? Ma quelle parole sono invece da prendersi con tutto rigore, e significano : „della venalitä presente ho addotto prove sufficienti; vediamo ora come la pensassero gli antichi“; si badi perö di 11011 confondere prova e rimprovero. Quindi all’ interpolatore non restava ehe supporre dopo il lenima una qualche proposta, della quäle perö egli non poteva avere un’ idea sicura, e si tenne sulle generali. F. trovando forse strano, ehe Demostene, il quäle aveva detto doversi ora pensare non a Bisanzio o al Chersoneso, ma a tutta la Grecia, parlasse di Atene soltanto, gli parve a questo punto cosa necessaria il nominare anche gli altri Greci. Onde come meglio potč, rifece la proposizione del § 20, giovandosi di qualche espressione ultimamente usata dali’oratore; p. e. ’foxe autol e irposSeTcOe ricordano il § 41 ; invece <; emo; (XXII. § 69) ~(j)XcTv xeXeiexs, xai oüx opy{£saOč, aXX’st? touto . .. (§ 54): „Ma come devo esprimermi ? Voi eccitate a vendere, e 11011 vi adirate giä, ma siete anzi giunti a tanto di pazzia che . . Quanto alla congettura dell’ omissione della parola vi sarä forse deli’ arrischiato; ma della chiarezza e natura-lezza dei contesto spero che nessuno dubiterä. XIX. §271 : „Gli avi bada-vano che nessun uomo al mondo portasse coli’ oro rovina alla Grecia; a voi non importa nemmeno, che un cittadino faccia ingiuria ad Atene stessa.“ Ib. § 274 : „Quelli in nessun caso lasciavano impunita la venalitä (xb SwpoSoneTv v. sotto N.° 54) . . . ; voi non uccidete da voi stessi costoro, ma ci abbisogna d’un accusatore ecc.“ XX. § 167: „Chi conia moneta falsa ha da voi la morte; chi falsa la cittä puö dire liberamente la sua ragione.“ Ma piü che mai singolare e la corrispondenza dei passo cosi disposto col § 200 seg. della XXIII. Anche in questo sono con-frontati avi e nipoti: quelli erano parchi nel concedere pubblici onori agli stranieri, questi li gettano a piene mani. Cosi il periodo ha la medesima conformazione: r6re jjiv o&tw t(|aiov 9)v ... firne . .., vuv 8’ oütio äti[aov wäre. . e seguono tali parole sulla venalitä degli oratori „male-detti e invisi agli stessi dei, i quali per denaro fanno pubblico mercato delle cose piü sacre della cittä“, che se nella potenza dell’ invettiva esse sono inferiori a quelle dei § 54, non lo sono certo nella chiarezza e fran-chezza dei concetto. v. anche III. 26 segg. Per ilwwXeTv v. sopra § 40, e XIX. § 141 : „Osservate in veritä VjXfoov iorl Tb j«) rooXetv tä tvj; TcdXewq [v. inoltre VII. 17 ; XI. 18]. Quanto all’ oux Oe la mutazione di ZE in EI non parrä molto difficile; per il pensiero v. XIX. 270: „Rimanete 1\ inerti (^«Ou^sIts) innanzi a fatti, pei quali gli avi hanno decretata la morte; v. anche sotto al § 54: X£veiv '/.sXsÜcte xal ecc. e § 39, 61; IV. 43. Per la strut- tura del periodo v. VIII. 21, 22: oüxe . . . oüxe . . <&XXa . . . oöts . . . äXXa ... E in fine chi s’ offendesse della cacofonia, che pare nascere dalla ripetizione della sillaba rao, prescindendo dali’ interpunzione, consi-deri che come il pensiero cosi lo stile di Demostene e tutt’ altra cosa da quello di Isocrate, e che una certa asprezza o durezza egli ama talvolta a maggiorniente imprimere 1’ idea, o ripone una fina ironia in un apparente disaccordo di alcuni suoni, o nel loro incalzante ripetersi; v. VIII. 38 oÜTio? &;7tsp žpuraoci, (incontri accidentali mi sembrano I. i, XL. 26). Di simili tratti ironici nel corrispondersi dei suoni non mancano esempi in Dante; v. Purg. XII. 70; XXV. y3 ; anche Inf. XIV. 69; per non dire della ripetizione di alcune parole conie Inf. XIX. 52, 53, 55 e 62; Purg. XX. 64 e segg. ecc.; ripetizione non infrequente nel nostro; del resto portiamo questi esempi non tanto a conferma della lezione quanto a confronto dello stile nei due grandi scrittori. Ora ritorniamo ai §§ che sono fra il 46 e il 54. Se non c’ inganniamo, essi apparten-gono veramente a questa filippica, ma il loro luogo e al § 19. E chiaro che Demostene ha di mira nel principio deü’orazione particolarmente Atene, e ad Atene appunto si riferisce in particolar modo questo tratto, consigliando 1’ oratore quel genere di guerra, di cui aveva parlato giä nella prima Filippica (§ 19), nella prima Olintiaca (§ 27 seg.), e ultima-mente neU’VIII (§ 18). Cosi questi §§ 47-53 uniti a quelli che vanno dall’ 8 al 19 formano una cosa una e sola con nesso rigorosamente logico nei pensieri. Demostene cioe dimostra in primo luogo 1’ ipocrisia di Filippo, il quäle, mentre dice e fa dire come egli viva in pace colla cittit, la stringe sempre piü d’attorno, per poi fiaccarla d'un colpo; quindi fa vedere la scaltrita arte del Macedone nello stesso guerreggiare, appressandosi egli alle cittä con ogni sorta soldati ed armi, giovandosi dei tradimenti e delle discordie intestine, audace insieme e infaticabile. V’ e pur troppo in Atene, dice 1’oratore, chi lo difende; ma ben sürjOeataTO'. (§ io) siamo noi a credere che egli mantenga la pace,' ed ž pure (toi'vuv § 47 che corrisponde all’ Tv’ ivxsöOev del § 8) un discorso süvjOvji; (§ 47) quello di chi vuol far coraggio alla cittä dicendo, che le armi di Filippo non fanno poi tanta paura. Al § 51 si riassume la dimostrazione di questi due fatti colle parole, che ne si deve permettere che la guerra entri in paese (zps^ecOai tov toXsjasv, v. § 10), ne imitare la semplicitii degli antichi, la quäle or.a apporterebbe rovina. La Stretta attinenza, direi la continuitä, dei due brani e accennata anche dal TOtpa^uOsTsOai (§ 47) che corrisponde alle parole del § 16: „e nessuno dica: ma questi sono piccoli danni“ ; dall’ cikw (§ 47) con questo pensiero : „ebbene si, egli e nostro nemico, ma non e ancora si formidabile come una volta i Lacedemoni, che furono pure vinti da noi“; dal Tipocpavr; che corrisponde all’ ex r.popc-fcniK del i3 (v. Tue. VI. 73, VIII, 8); dal •/_p7;;j.dTMv wveicOat al 48 e al 9; dal vom del 5o, che ripete 1’ironico del 12; dal (ib.), che ricorda la medesima espressione usata in senso proprio al § 17, figurato al 18, come 1’ix tcasigtou del 5i e in fondo 1’ rfit\ del 19; infine dall’espressione toT; spyot? toT? toü zsXsij.s'j, che ricorre al § 8 e al 53. üopo avere provato che Filippo osteggia Atene dal di ch’ egli distrusse i Focesi, Demostene esorta i cittadini a prepararsi subito alla guerra; qui appunto dovrebbero seguire i sette §§ in questione, i qunli in fatti vi si connettono con natu-ralezza e precisione. Adunque Suvv^ss.ev ouv al principio del § 6 gli veniva facilmente suggerito da quello deli’ 8. Ma prima di esporre del tutto la nostra opinione intorno all’origine di que- st’ aggiunta consideriamone alcune singole espressioni. In plimo luogo il dire: „Filippo fa guerra alla cittä e viola la pace“ e ima tautologia, che nel resto di questa orazione e in altre e sempre evitata, usando Demostene o 1’ una o 1’ altra maniera soltanto. Cosi al § 19: „da quel giorno ehe distrusse i Focesi čredo io ch’egli fa guerra alla cittä.“ VI. 2 : „Viola la pace fatta con voi, e tende insidie a tutti gli altri“ ; ma .gli oggetti sono diversi. Forse 1’ interpolatore, accortosi della somiglianza degli esordi nelle due orazioni, volle imitare il passo citato della VI, ma non pose mente alla differenza ehe abbiamo n o ta ta. (v. anche XVIII. 181) Accordandosi poi tutti nella necessitä della guerra, e avendo il re giä da lungo tempo violata la pace, la proposta doveva essere di armarsi il meglio che potessero, e subito, come IV. i3: ßdXxtaxa xa't tt/j.z-cl ; II. 11: xäXXwca /.at xctytsxa; XIV. 14: aptoxa -/.at Ta/tuta; e piü precisamente nella nostra al § 19 e 71 ijSirj, § 5 1 ex zXst'crrou. „Sicuro“ e „facile“ sembrano quasi contradirsi, e massimamente ora, trovandosi la cittä in si diffieili condizioni, dopo cioe ehe s’ era detto rosXXa icpostTat. Diversa e la cosa nella V. i3, dove l’oratore osserva appunto, ehe se avessero ancora il molto perduto, la guerra sarebbe „pid sicura e piü facile“; nell’Vlil. 72 č detto ehe si deve sempre cercare to ßeXxtaxov ;j.yj xb paaxov. E facendo Demostene in sul finire deli’orazione le sue proposte, fa capire che 1’im-presa e seria e ehe di molto senno e d’ energia v’ ha bisogno, e ricorda i „molti e grandi pericoli“, che sostennero gli avi Invece Sen. Mem. II. 1. 9: paiTra Kal vjätara ßtoxsisiv; e Plat. Tim. pag. 19”, parlando Socrate deli’ imitazione: pstora xat äptaxa; c’e 1’idea del bello e del buono, ma disgiunta da ogni altra di tatica o di tedio. Draeseke osserva ehe la collocazione di toXX«/.;; e tutta propria del nostro; non v’ ha dubbio, anche Demostene poteva collocare la parola a quel luogo; ma in un passo della XV. § 22 molto simile a questo egli dice: ax.o6w S’lyw TtoXXäy.'.c svxauOt 7:ap’ üij.Tv xtvwv Xsyovxwv. v. anche ib. § 24. Strano e pure quell’ incerto seguirsi di pronomi indeterminati „alcuni . . . certuni . . . alcuni“; maniera non propria di Demostene, che tutto ordina e stabilisce con precisione. Ti pare di udire uno, al quäle, mentre vuole ritrarre la confusione delle parti, si confondono le espressioni stesse; non senti il cittadino, che colla parola viva va incontro all’ ire d’ un popolo signore. E per veritä bisogna riflettere con molta attenzione per ben distinguere le singole persone. „Alcuni di noi“ dopo le parole „se tutti ci accordassimo“ potevano essere oratori, ma anche alcuni del popolo (v. VIII. 20, dove r^M'i Tive; sono partigiani di Filippo); cos'i pure am-biguo suona il irepi tojtwv; di qui la variante nel singolare. Inoltre dopo «vAf/.fi si aspetterebbe ■prima, innanp tutto; e in vero soggiunto alla fine del paragrafo; ma qui subito stava forse meglio, parendo ora in questo periodo, cosi com’ e, che 1’ oratore s’ accontenti di consigliare prudenza e avvedutezza. II verbo poi owpOotkOat, medio, (propriamente: aggiustare, raddirizzare) non e, eh’ io sappia, mai usato come al nostro passo nč in Demostene ne in altri; ma bensi coli’accusativo; p. es. Isocr. pan. 181 : -3i [/iXXovxa; cosi Esch. II. 112: Ixstva. In Dem. XXXIII. 11 e costruito con ü%£p „a mio favore“, ma vi si sottintende un oggetto neutro generale, ciö che qui non si puö, essendo questo giä accennato nel genitivo. Cosi, come fu giä osservato da Weil e da Draeseke, in nessun luogo ricorre oiopt£o[j.at con er, ripugnando al concetto di definizione quello di condi-zione; e sempre costruito o coli’accusativo p. es. XVIII. 111, o con una preposizione, come in Isocr. II. 5, o con una proposizione oggettiva, p. es. XVIII. 44; e cos'i il semplice v. § 19. Quindi fu pensata la variante o«axupi?o(Aa'. (mg. Z. P.1); ma con poco vantaggio, essendo anche questo verbo, come il suo semplice, usato o coli’ acc. o con oxt (wc) nel significato di sostenere, v. XIX. 332. E nemmeno mi pare giusto il dire ,,se e in nostro potere il deliberare di pace o di guerra“ ; ben con mag-giore proprietä Demostene al § 8: „se dipende da noi lo stare in pace“. Deliberare potevano sempre, anzi dovevano (§ 19, 20), altrimenti non hanno valore il Ypa^etv e il sujAßouXsüsiv di questi §§ stessi; cosa ammessa anche da Draeseke. 15 in fine il seguire per ben tre volte, e a poca distanza (§ 4, 6, 8), e ancora qui in sul principio dell’orazione, et \j,h s3v col troppo distinguere stanca 1’attenzione degli uditori; non mi pare la stessa cosa exstSv) xotvuv, che ricorre pariinenti tre volte nella XLVII (v. Rehdantz, Zusatz n. 3i); ma anziche distinguere, riassume; e in sul finire dell’ orazione, e la prima volta segue a molto maggiore distanza (§ 62. 67, 68). Per tutto questo io crederei che i §§ 6-7 non siano di Demostene. Non giä che ciascuna di queste osservazioni da per sč mi guidi a una tale opinione; forse in certi luoghi sarä possibile anche un differente argomentare, ma il complesso dell’ esame mi fa parere, se non cosa certa, perö molto probabile che quel passo sia una giunta posteriore. II pensiero che piti preme al suo autore di far passare fra quelli di Demostene, congegnandovi intorno quello strano ragionamento, t che gli oratori di parte repubblicana potrebbero essere accusati e spenti dalla parte avversa (v. sotto i Nri. 138-141). Anche dal § 58 al 64 si narrano esempi di costituzioni violate e di popolani perseguitati e uccisi per la malignitä delle creature di Filippo. Questi fatti, come giä dicemmo, sono per veritä considerati solamente come una conseguenza di quella causa, cui il nostro con tanto ardore ricerca e condanna dopo esposta la miseria dell’ Ellade; ma ad un lettore di altri tempi, e che non ponesse mente al complesso della filippica, potevano non difficilmente parerne quasi 1’ argomento principale. E c’ e ancora meno a stupire, se si pensa alle questioni mosse perfino da critici moderni intorno al tema stesso del-l’orazione, e alle diverse opinioni sullo svolgimento del pensiero; forse anche la confusione nel testo, che cercavamo di provare esaminando la prima variante, fu motivo dell’interpolazione. Volerne stabilire precisa-mente il tempo sarebbe sentenza arrischiata ; perö crederei che si possa con qualche probabilitii supporre che ciö avvenisse, o quando distrutta Tebe da Alessandro e minacciata Atene, la Grecia vedeva perire co’ suoi figli piti generosi la sua libertä per sempre; o durante 1’infelice governo dei Diadochi. E infatti cosa singolare come nel pensiero fondamentale di questi paragrafi s’ impigli due volte il sofista della X, la quäle pure sembra scritta in una delle due epoche ora nominate, probabilmente nella seconda. Nell’ VIII 56, 57 Demostene aveva detto, che certuni volevano addossare la colpa della guerra a chi proponeva la difesa, ma ne aveva subito soggiunto la ragione: „perchč all’ accadere di qualche infortunio essi abbiano poi contro chi volgere 1’ ira del popolo, salvando se stessi.“ Questa ragione č taciuta dali* autore dei §§ 6-7, ma a questo modo il pensiero resta incompiuto. Essere cagione della guerra 11011 sigtiificava ancora essere cagione della rovina; anzi Demostene al passo citato, col sentimento di chi afferma una veritä aperta a tutti, adduce subito una prova del contrario, e tutti io credo, leggendo il § 7 della IX dopo le parole žsrt yap Seo; |JW/TOTe s’aspettano quelle dell’VIII a'vtt XuxTjaOs (v. an-che I. 16). Ora in due luoghi della X, al § 18 segg. e 5o segg., e trattato questo argomento dietro il modello della Chersonesitica, e il retore si ferma quasi a bello studio su quella ragione portata da Demostene; ma nel primo luogo si confonde e n’esce una goffaggine; nel secondo per sostenerla con maggiore sicurezza la commenta addirittura. Quindi il mancare essa nella IX pare cosa di riflessione; forse 1’interpolatore vi trovava la medesima difficoltä nello svolgerla, tanto piü che qui aveva invertite le parti, accagionando del male 11011 la perversitä dei TCoXiTsuinevsi, ma 1’ insensatezza del popolo. Inoltre la tronfia applicazione della X. § 59 : «v c!j.i0j|j.aocv e/. |jw«; yvtÜj^.Yjc; *1'. äjj,6vK)a0s e § 75 6|j.syv(!)|j.ovs(; fanno pensare all’ evtoi, come il StcpO(iaacOat del § 46 pare detto in modo simile al oiopOouaÖa’. della IX. Altre considerazioni sull’ origine di questa variante ci sarä dato di fare sulla fine del lavoro. Finalmente quanto ai passi di Demostene, che chi componeva quei due paragrafi poteva avere sott’ occhio, crediamo di dover ricordare in particolar modo quello giä citato dell’VIII, poi i §§ 5-7 della medesima, e 1' esordio della VI. Ma egli ne tolse, per cos'i dire, solamente la parte materiale; poco badö al pensiero, che vive unito al resto dell’orazione, o non ne sentl la forza. Al § 56 segg. dell’VIII Atene vede rapirsi le sue terre, perche gli oratori venduti gettano codardamente la colpa della guerra su quelli che desiderano la sicurezza e la gloria della patria; qui invece si vuol dimostrare che le terre sono rapite da Filippo, perche la colpa non abbia a cadere su Demostene e la sua parte; lži il movi- mento dei periodi, il loro succedersi e, come si conviene al pensiero, animato e giusto insieme; qui monotono e incerto. Quäle differenza fra la parola franca deli’oratore e quellu congegnata deli’interpolatore! Quello sente innanzi tutto la caritä della patria; questo architetta con animo freddo, direi da egoista, un ragionamento. (£t [jiv . .. ETistšv) Ss-eort yap. lyw or).) Quanto al secondo luogo deli’ VIII (§ 5 segg.), anche in esso parlasi di consiglieri, i quali per cavare sč d’impiccio vorrebbero che fosse proposta addirittura o la pace o la guerra; ma Demostene appena mostrato il suo stupore (xe0a6[/.ay.a) passa senz’altro *) come nei §§ 8 e 9 della nostra alla considerazione diretta dei fatti con espressioni e con periodi pieni di vita, non senza un soffio di quella ironia, che sicura di se stessa fa di se stessi dubitare gli uditori. Invece 1’ autore dei due paragrafi in questione, senza nemmeno dar segno del proprio sentire individuale (e si noti che il pericolo era adesso piü serio di quando fu tenuta la Chersonesitica), procede grave e uggioso distinguendo e con-fondendo; di quella rapiditä di parole, di quella potenza d’ incisi, per cui il cenno, il gesto agiscono sull’anima come cosa viva, nemmeno 1’ombra in lui, mentre quel passo dell’VIII ne e tutto animato ; ma 11011 appena posato il retore lo stilo, 1’ oratore fa suonare la sua parola al principio dell’8, respiri piü liberamente, e senza avvedertene sei portato in mezzo all’ azione; ora senti la voce che ha pronunciate le parole del luogo citato. Dal quäle 1’ imitatore prese alcune espressioni e le uni, come meglio gli venne fatto, con altre dei §§ 56-5y; p. e. 7:6X21? xaxa-Aaf/,ßavovTo; (§ 56) r/.stvou, xai icoXXa tmv u^e-clpoiv e/ovto? (§ 5 segg.), x.at "ävTOc av6p(Ä7cou? (§ 5) aStxouvxo? (§ 56). Del passo nell’ esordio della VI abbiamo parlato di sopra; qui osserviamo come 1’interpolatore non s’ accorgesse di cadere in contradizione con altre parole di quel periodo stesso. Nell’esordio cioe della VI, il quäle molto somiglia al principio della IX, e detto, che quanto piči spesso e piü apertamente si viene par-lando delle violazioni della pace commesse da Filippo e delle insidie ch’ egli tende a tutti gli Elleni, tanto piü difficile riesce il proporre ciö che si debba fare. Ne e quindi addotta la causa: 1’ avarizia degli arami-nistratori dello stato, e la timidezza degli onesti oratori nello esporre la vera condizione delle cose. Queste parole portano luce all’ argomento della IX: anche altri avevano narrato e continuamente narravano esempi della tracotanza del Macedone, eppure si andava sempre alla peggio, perche appunto nessuno metteva il dito sulla piaga, che internamente consumava la repubblica; i cittadini avevano giä piena la testa delle sfu-riate contro Filippo, ma del perche i nipoti dei vincitori di Maratona non sapessero ora muoversi, non s’ udiva parola. A questo invece tendeva sopra tutto il nostro altre volte e ora, e con animo tanto piü risoluto, quanto piü universale e rovinosa si faceva la dissoluzione. Invece 1’ interpolatore perde al tutto d’ occhio questa causa prima e terribile del male; non parla di chi regge la cittä, ma di alcuni del popolo, non *) Notiamo che I’autore della XI, il quäle parte imita, parte copia Demostene, unisce il § 19 col 20 della sua orazione, come il nostro il 5 coli’8; ripete i medesimi pen-sieri, quasi le medesime parole, ma con nessun cenno ricorda i due paragrafi di mezzo deli’interna corruzione, ma se si ammetta o no che e Filippo ehe fa la guerra. Cosi contradiceva al passo stesso, donde probabilmente toglieva quelle espressioni accennanti 1’ ostilitä di Filippo e la violazione della pace. Alcuno oppose che perö prima della scoperta del cod. 2, nessuno dubitö mai della genuinitä dei due paragrafi. E vero; ma non si era dubitato nemmeno di altri passi, che ora tutti rieonoscono per interpolati. Dionigi, uno dei piti valenti eritici deli’ antichitä, teneva pure la X orazione per opera di Demostene; e ognuno sa quanto tenace sia la forza della tradizione. 11 Rehdantz, che perö difende a questo luogo la Volgata, guidato da un sentire nobile e finamente educalo, osserva n el suo bel lavoro intorno alla critica di Demostene (Jahrb. 1858, p. 466) ehe, come non e da meravigliarsi ehe i secoli XVII e XVIII trovassero in ordine e a suo pošto quanto fu aggiunto durante il regno dei Diadochi o sotto 1’ Impero, cosi senza le procelle della rivoluzione e l’entusiasmo per la libertä, nessuno avrebbe mai sentito la miseria dei centoni lasciatici da quei tempi. Ora ehe nell’ esame delle due principali varianti abbiamo avuto occasione di riflettere allo svolgimento del pensiero in tutta 1’ orazione, passiamo alle altre, che in parte ci agevoleranno ancora piü 1’ intelligenza di queste due, parte ci apriranno la via a considerazioni intorno alle varie lamiglie dei codici. Esamineremo dapprima le lezioni ehe si rife-riscono a questioni grammaticali, quindi le aggiunte fatte o per dilucidare il concetto, o con intenzione rettorica; e infine quelle che contengono una nuova idea o cenni particolari della storia del tempo. E se in tale studio esporremo qualche nostra congettura, lo faremo non per amore di novitä, ma per bisogno di chiarirci i passi critici, allontanandoci meno ehe potremo, e non senza forti ragioni, dalla tradizione diplomatica. A. Varianti ehe si riferiscono a questioni grammaticali. a. Articolo. 3. (§ 11.) ot xoXXoi S. L. P“. — 01 om. Vulg. Anche da parecchi luoghi del nostro vedesi quanto fosse vivo 1’ odio fra Ateniesi e Tebani, e come i primi si tenessero per i loro sentimenti di umanitä e di giu-stizia superiori a quel popolo duro e malvagio; cosi almeno lo chiama Demostene XX 109. Quindi piü naturale „la maggior parte“, quantunque, come osserva il Rehdantz, i Tebani siano trattati in questa orazione piü mitemente del solito. 4. (§ 21.) (Xwwo<; il. L. P.8 — o <1>. Vulg. Questo nome ha nelle filippiche, di cui e argomento principale, di rado 1’ articolo; per lo piü se e opposto ad altro concetto (p. es. III. 7; IV. 5; V. 20, 24; VI. 7; VIII. 5, 8), o se pronunciato con sentimento di meraviglia, o d’ ironia, o di dolore; p. es. II. 5: «|J-xyp'i tov .; ib. 6: ^oßipov tov <1>.; ib. 12. tov <]>. sütj/oumt«; IV. 4: ouTJtoXe(j.Y)xov tov .; V. 10: Tob; 'l'or/.sac tov . (?ti)a£'.v! VIII. 4: tov <1>. . . . che F. sopporti faliche per nulla!; e nella nostra § i5: quel Filippo, del quäle si bada solo alle parole e non ai fatti. . . Nelle altre orazioni (p. e. nella XIX), dove e parlato del Macedone piuttosto a modo di narrazione, 1’ articolo ricorre piti spesso. In questo passo tu probabilmentii aggiunto per fare opposizione a ot "EXXy]V£<; ; ma non si avverti che i due articoli avrebbero differente valore. 5. (§ 33.) xbv 3vj|«v • • • "öv 'EpsTptštov 2. A' v. Ang. — ... twv’Ep. L. Vulg. 6. (§ 42.) tou ov^ou tou ’A0v)v«{(i)v 2. A' Ö. k. P.; fors’ anche sembrando contradirsi ttvi? e ot; perö v. Kr. § 51, 16, 11. Funkhaenel cita in favore di 2. anche XXV. 79. I secondi nominati sono quelli che nell’ anima di Demostene occupano il primo pošto; nell’ articolo c’e un secreto dolore: „aleuni altri oratori. quelli che parlano per il bene della patria . . . ma inutilmente“. 11. (§ 58.) b c'j;j.[;.ay_o<; pr. L. Vulg. — om. art. pr. 2. add. man. saec. XV1. L’ironia qui richiede 1’articolo: „quel caro alleato“! It. Forme nomiuali. 12. (§ 17.) tosout(|) 2. L, P.6 A.3 — tocoutou Vulg. La medesima costruzione, ehe Cobet dice essere graccitatis consenescentis si trova XVIII. ni. (2. ‘I>.). Raro e posteriore e pure 1’accusativo. II genitivo e di mancanza. L’accusativo di estensione: „tanto sono lontani“, frequente in latino (pochissime volte con una costruzione personale p. es. Bell. Alex. 22); in questo caso 8iš:) — oüxw v 'AO^v/jat Vulg. (2. corr. man. saec. XV). Ilgenitivo: i diritti degli Ateniesi; il locativo: i diritti goduti in Atene. La condizione e! p.sOdSeiv e;j,sXXsv ci fa vedere che qui si tratta dei primi, perchč ai secondi Artmio come prosseno aveva realmente parte, e quindi ne poteva venire privato. 18. (§ 52.)— rj pr. 2. vj pr. L. ifjv. Reh. — vjc Vulg. — (e)iv pr. 2. (toXXiv [sic] man. saec. XII). st? tyjv ir6Xtv pr. L. — žare toXXyjv Vulg. Queste traccie di corruzione fanno credere che, non essendo L una copia di 2., anche 1’originale avesse il passo guasto. II quäle come lo leggiamo nella Volgata e, a 11 ostro parere, una trasformazione di altre parole, o forse una interpolazione. Ecco il pensiero del periodo: „in una guerra voi avete per natura molti vantaggi, cioe la natura del paese di Filippo, del quäle buona parte potete mettere a ruba e a sacco e devastare; mille altri. Ma in battaglia aperta ecc.“ Altre volte in vero (I. 28, IV. 19). Demostene consiglia questo genere di guerra, ma sempre in modo chiaro e ragionato. Qui invece lo fa come a stento; promette molti vantaggi, parla di uno e anche di questo un po’ prolissamente (xa/.w? ir. pare glossa di v- 9; con maggiore proprietä IV. 19), conchiude: „e mille altri“. Gli uditori potevano con ragione pretendere dali’ oratore ehe ne nomi-nasse uno o due ancora, come egli fa veramente tutte le volte ehe finisce dicendo: „e altri, e molti altri, e simili“. Enumera cioč prima aleune cose o azioni secondo 1’argomento, p. es. cose: I. 9, IX. 39, 49, XVIII. 276, XIX 228 (qui come al nostro passo a'XXa [Aupča, v. X. 10); azioni: VIII. 25, IX. 64, XIX. 225 ecc. E senza cercare esempi, e istinto d’ogni uomo unire il molto coli’ indeteiminato enumerando piii individui. Sarebbe stato molto meglio accennare solamente ciö che era da farsi, tanto piii ehe gli Ateniesi avevano udito parlare di questo genere di guerra giä altre volte. Inoltre la ripetizione 9uust — vj 9601? (v. Meutzner p. 10) a me pare languida e quasi mostrare 1’ origine deli’ interpolazione. Piii spedito e sicuro va il pensiero passando da 3 si a sE?; 1’ iato sarebbe tolto coli’ interpunzione. O il passo e corrotto altrimenti. 19. (§ 53.) žxe{votg 2. L. V.3 (pr. V.1?). — lxs(vw Vulg. II principio ž pošto in generale; meglio vi corrisponde la prima lezione. Col singo-lare Filippo e i nemici della citta pajono persone differenti, e non quegli 1’ esempio concreto di questi. 20. (§ 57.)(aovov 2. pr. L. P.° — ^.ovoi; Vulg. Quest’ ultima č in apparenza precisa opponendo o aggiungendo agli abitanti di Olinto gli altri popoli ingannati dal Macedone. Westermann perö porta aleuni esempi anche deli’ avverbio con quel significato (v. Kr. § 57, 5, 3). Mi pare ehe vi sia la seguente differenza: 1. coli’ agg.'. non solo a costoro, ma a degli altri ancora (numero); 2. coli’avv.: non solo a costoro, ma ad altri ancora di maggiore importanza ecc. 21. (§ 61.) |AS|Av»)|Jivoi 2. L. F. — jj.£|xvy][j.žvo<; Vulg. Grammatical-mente piti preciso č il singolare, ma piti evidente il plurale; tutti si vedevano sempre innanzi la misera sorte di Eufreo; al silenzio e allo spavento di ogni singolo cittadino si univa continuo il ricordo in tutti. Questo, senza dire del valore collettivo del xlc, e che poi segue il verbo al plurale. 22. (§ 65.) 3>tXfamou pr. 2. (inan. saec. XV corr. in «.) pr. L. superscr. in F. Col dativo spicca maggiormente 1’ idea del vantaggio di Filippo; col genitivo quella deü’abiezione degli adulatori Ateniesi, per cui son giustificate le parole deli’ oratore, che e da preferirsi mille volte la morte. c. Pronomi. 23. (§ i.) ocuxa om. pr. 2. (add. m. saec. XII) pr. L. F. M. V' v. ü. u. Altra cosa al § 5, dove fra xpotYi^axa e la proposizione infinitiva sta un’ ipotetica. Qui il pronome neutro fu aggiunto da chi temeva che si potesse pensare ujxac;. 24. (§ 2.) aM) om. S. pr. L. Vat. Nella Volgata Atene e contrap-posta a Filippo; pare che la cittä debba a ogni modo essere punita; nella lezione piCi breve il contrapposto e irapa «InXixxöu: la cittä dovrebbe punire Filippo e non se stessa. Non mancano invero esempi del rifles-sivo rafforzato dall’ auT6?, dove essendo la medesima persona soggetto e oggetto, ella ci si mostra in tutta la sua potenza individuale; ma qui si richiede che quanto vi e di singolare in Atene e nel suo nemico sia fatto spiccare appunto dal confronto (perö v. Rehd. VIII. 23). a5. (§ 3.) fy-ias om. X. pr. L. Vat. P6 a. e. Y\ V.1 V.4 Precede ujaTv, e segue subito nap’'jjJLtüv; non co.si III. 3; ib. 36 il pronome e aggiunto per opposizione ad altro concetto. Come qui XVIII. 34 (2 ); forse perche, seguendo in ambedue i luoghi 1’ apostrofe <0 £. ’A., questa senza il pronome ha maggior efficacia? 26. (§ 5.) u[AÜiv om. 1. L,. Ripetizione oziosa del soggetto della proposizione antecedente ; lä era necessario; qui toglie ogni energia all’ e-spressione, tanto piCi che ritorna nella medesima forma. 27. (§ 12.) ev ocutoTc om. 2. pr. L. P.f’ A.1 Quanto al costrutto, prendendo qui oracrta^ouatv il significato di „essere discordi“, iv av>. e usato bene, e se ne citano esempi. Ma si potrebbe osservare che l’ironia delle parole di Filippo con quel verbo si tradisce; e supporre che Demostene abbia scritto soltanto voiouatv iv aü.; e la seconda espressione sia stata aggiunta a commento della prima; cosi anche al § 5o vosoOvcac fu spie-gato con TExapavjjLsvou?. Del resto Voemel si oppone con ragione a Cobet, al quäle le parole della Volgata sembrano piuttosto insulse. (v. II. 14). 28. (§ 18.) fywv om. S. pr. L. A.1 Hl. Puö stare e mancare; ma precedendo 6[j.eT<; 6 inutile la ripetizione della persona, v. Erod. I. 120. Non tanto perche gli Ateniesi perdono 1’ Ellesponto, quanto perchž esso cade in mano di Filippo, la cittä corre pericolo. (v. perö § 17.) 29. (§ 26.) nrjSsva om. S. pr. L. A.' La Volgata pare prevenire la supposizione, che forse alcuno potrebbe ecc. Ma la rovina di quella cittä fu tale e tanta che l’idea che piü occupa 1’oratore si della loro opu-lenza non resta piü segno alcuno. Probabilmente il (AYjSdva fu aggiunto per la difficoltä del sottintendere un soggetto indeterminato. 30. (§ 26.) itap’ auxot? om. 2. pr, L. Aggiunta oziosa dopo auxwv, e che per di piü disturba 1’ euritmia dei tre verbi, i quali posti ciascuno alla fine della proposizione dovevano fare un’ impressione ben singolare nel- 1’ animo degli uditori: TOtpfjpY)x«i (-—■ JMtTŽorniaev ------------------------w),... SouXsitoGW (----------'~') S 1’ultima parola piti grave e piti dolorosa: „rovina, tirannia, schiavitü“. 31. (§ 3o.) rt; om 2. pr. L. A.1 P.(i. II sostantivo usato assoluta-mente ha qui maggior forza; non si tratta d’un „certo figlio“ mn del figlio legittimo in opposizione allo schiavo e al figlio naturale. 32. (§ 33.)3v S. L. Vat. — ovtiv«. Vulg. II volere di Filippo non lasciava dubbio di sorta; il governo imposto ai Tessali era stabilito e preciso. 33. (§ 35.) xacO’Iva - L. P.6 A.1 HI. 0. D. hbc, Vulg. Una qualche difficoltä nella prima lezione derivante dalla mancanza di un verbo, ehe regga il v.aTa, causö il genitivo della Volgata. Ma quanto meglio corri-spondono alle similitudini portate di sopra le parole: „dopoche sia divenuto padrone di ciascuno di noi vincendo 1’uno dopo l’altro!“ 34. (§ 41.) toutov om. X. pr. L. U. Reh. lf. V.4 Un avverbio e opposto a un altro avverbio: „cosi— all’opposto“. II ~. non solo e inu-tile, ma dopo il toiStoc confonde. Chi direbbe: queste cose una volta andavano ali’ opposto di queste? 35. (§ 47.) toioüto; om. S. pr. L. II correlativo puč facilmente man-care, onde il costrutto si fa piü conciso. Alcuni codici (i. 0. A.1 A." Hl. D.) hanno nrjXiiwtkc?. l.a differenza dei due pronomi ci e prova del-1’ interpolazione. 36. (§ 5g.) V5fj.1v S. L. V.1 — u(j.Tv Vulg. Variante molto frequente anche in altre orazioni Perö 1’oratore non usa a capriccio l’una persona per 1’ altra, ma per lo piü sceglie con fino intendimento. O, come Orazio, si confonde a bella posta cogli uditori (p. es. VIII. 37); o in momenti solenni di lode o di biasimo tocca al vivo la loro individualitä, mentre li confronta con altri popoli, o cogli antenati, o con loro stessi, quali si dimostrarono nel passato (VIII. 42, 60; IX. 3; VIII. 66; IX. 54); s’intende che la differenza e alle volte di poco momento. In questo passo, come al § 3, si parla di Atene in generale; quindi č da preferirsi la prima persona. 37. (§ 60.) Tcap1 £/,e{vou om. pr. S. pr. L. (add S. man. saec. XII, sec. L.) II rapido mutamento della costruzione da attiva in passiva, onde al pensiero deriva maggiore energia, fu, čredo, occasione della giunta. Ma bastava che P'ilippo fosse nominato, il sottintenderlo poi era pur troppo cosa facile. Inoltre, prescindendo dali’ iato, ehe si potrebbe scusare col-1’interpunzione, si aspetterebbe uto. v. IV- 41 aTpaTYjyewOs ex.»(vou. Forse si usö ~apa badando alla glossa di Arpocrazione, il quäle spiega ’/opr^b'/ con StatpšfscOat (v. XXVII. 63), e se ne considerö quäle sinonimo il xpuT«v£ui(ji£vo'.; quantunque puö darsi che 1’aggiunta della Volg. sia anteriore al commento di quell’ interprete. P.' ha Ttap’aÜTOü; a ragione il Voemel: ipsa haec varietas spurium esse additamentum ostendit. 38. (§ 71.) autot 2. A' A'^ Hl. r. Reh. 1). — om. Vulg. All’opposto delle altre volte la Volgata tralascia il pronome. Ma qui c’e un confronto continuo e incalzante tra gli Ateniesi, che primi si devono accingere all’ impresa, e gli altri Greci, ai quali devono essere di esempio. v. § 73: aÜTSÜc .. . «ütsüc ... aÜTob?. d. Forme verball. 39. (§ 1.) 3s pr. 2. pr. L. pr. F. — 3’y) Vulg. Coli’omissione della copula ßXäa^YjiJ.cv — aXrfihc stanno come assolutamente, il [j.yj e tutto il costrutto restano sospesi, e con essi 1’ animo degli uditori, che con mag-giore impazienza ne attende la fine. Vi sarebbe invero una inconse-guenza, raa da qualche irregolaritä di forma nella composizione di certi suoi periodi potenti il nostro non rifugge, onde la singolaritä del pensiero s’ incarna, per cos'i dire, in quella della costruzione. L’ oratore dapprima teme una cosa, che pare quasi delitto il pronunciare, poi, procedendo il periodo, il timore si muta in sentenza, e si asserisce che in nessun modo le cose potrebbero andare peggio di adesso. Quanto all’ ellissi del con-giuntivo esempi non mancano. v. Voem. ad I. 26. 40. (§ 8.) rcpoßdXXsi 2. pr. L. M — xpoßoeXXeTai Vulg. Col dativo 6|j«v difficilmente potrebbe stare la seconda lezione (v. XVIII. 195). Ne qui si pensa tanto a Filippo, che in questa guisa si difende, quanto alla stoltezza degli Ateniesi, che si pascono di vuote parole, (v. II. 6) come si vede pure dall’ ironico contrapposto TtpoßöcXXei — ; non a caso si trovano ambedue i verbi in fine di proposizione. 41. (9.) ifysiv om. 2. pr. L. A.2 V.1 V.;* V.4 (X^si om. F.) L’ infinito fu aggiunto per spiegare il costrutto, ma ne venne confusione. II pensiero e da confrontare con quello molto simile della XV. § 25: „v’ e chi e molto destro nel tutelare la giustizia Cwclp töv aXXwv wpb; ujj.as, ma io vorrei che si cercasse di farlo Orclp ü;j.oiv rcpoq tou? äXXou?.“ Cioe al nostro passo: „costui intende il mantenimento della pace da parte vostra a vantaggio di Filippo, non da parte di Filippo a vantaggio vostro“. Inoltre senza quella giunta c't una corrispondenza singolare nel ritmo alla fine dei due membri del periodo: Ttpwxov [jiv p.aCvs-at. (— —--------------------^ —), rr(v £tp*^vY]v (—------------— - —). 42. (§ i3.) aÜT6v, oV £TC0tY;aav . .. av 2. L. P.6 fp. B. mg. pr. V.1 — 3v aÜTjv iSuv^0y)uay ’roi^aai. Vulg. II potere significare la prima lezione: „avrebbero fatto“ e „avrebbero potuto o voluto fare“ aperse la via al commento della Volgata; ben difficilmente dalla seconda sarebbe derivata la prima, che č da preferirsi appunto anche perciö che comprende il fare e il volere o poter fare (v. Plat. apol. 3o c.). Altra cosa § 2 e IV. 14. Quanto alla posizione dell’aÜTiv, traendo ora Demostene dai fatti narrati la morale per i suoi uditori, 1’ idea piii importante č Filippo: „lui — che . . ; perciö giustamente in 2 ecc. sta subito dopo oteaOe. 43. (§ i5.) sXaj;.ßxv£v 2 pr. L. — xoctsX. Vulg. Non si pensa al modo dell’occupazione (erano luoghi piccoli § 16, XIX. i56tvjpst), ma solo che Filippo se ne fece padrone, come al § 9. La preposizione puö essere stata aggiunta pel confronto con -/.aTSTTrjCSv. 44. (§ 17.) ffjiq S. — 9^? pr. L. — «pvjat Vulg. Al § 15 1’intima persuasione dell’ oratore prende nello esprimersi nuova forma ; esponendo egli i fatti con domande e risposte, abbatte il falso ragionare degli amici del re, finche al § 17 altro piü non sente che la giustizia del proprio pensare, e sicuro di questa, dopo averla nuovamente rischiarata con una similitudine, afferma in modo solenne la veritä delle cose dimostrate. Quello che piü di tutto gli sta a cuore si č di svelare gl’inganni, da cui Atene e insidiata; quindi mentre egli prova coi fatti 1’ assidna e maliziosa ostilitä di Filippo, ha continuamente presenti i suoi satelliti, e n el {/.tjBsIc elmrj, e nell’ espressione tpšps Se vuv del § 16 appare, per cosi dire, l’individuo che rappresenta quella parte nemica (v. IV. io). Quindi al 18: 97)? — lyo) Sl . . . „che cosa fa? tu giä sostieni che non fa guerra! ma io sono tanto lontano da concedere . . .“ II fare invece opposizione diretta a Filippo, come č nella Volgata, ne sarebbe opportuno, ne s’ac-corderebbe col processo del discorso. Quel singolo individuo torna poi a confondersi con tutto il popolo ingannato: ©vfasxs — dXX' ob frfests; l’oratore cioe parla subito dopo del pericolo di tutti. 45. (§ 29.) KpoaipxsTM X. Vulg. upoep/stat L. Non vi e solamente 1’ idea deli’ avanzarsi, ma insieme deli’ assalire. 46. (§ 3o.) evsTvat S. L. A.' r. M. P.ß — eivai Vulg. Si tratta di una possibilitä oggettiva: „quanto allo sciupare il danaro si potrži dire ehe e degno di biasimo; ma non vi & ragione di dire che non abbia diritto di farlo“. L’sTvai della Volgata sarebbe sinonimo di ll;e!vai, e signi-ficherebbe piuttosto una possibilitä soggettiva. Mi pare ehe 1’ iv- del verbo ben corrisponda anche a jutr’aforb ecc. (v. Sof. Ant. 213). 47- (§ 31.) ž®Y)sav 2. pr. L M. P(1 Ang Gonst. — ? ehe i forestieri trovino buone le cose sue, quanto nella bontä reale di queste cose.“ .. . Un infame d’ un Macedone, di quel paese donde non veniva nemmeno un bravo schiavo — una volta!“ Come osserva il Rehdantz, 1’ ultima parola e terribile : „una volta nemmeno uno schiavo, venuto dalla Macedonia, aveva valore; oraa un Macedone abbandolnate la vostra patria, voi stessi.“ „Terra nemmeno buona da produrre schiavi“ e espressione piti amara dell’altia: „dove non si pu6 nemmeno comperare uno schiavo“. 49. (§ 34.) «peXi|j.evos am. S L. Anche qui si volle coli’ aggiunta spiegare la difficolta grammaticale. II medesimo costrutto c’era invero anche nella proposizione antecedente, ma li la mano deli’ interpolatore non poteva iar nulla; invece gli fu pili faeile compiere alla sua ma-niera la seconda, togliendo il verbo dalla terza. Ma quäle difterenza fra questa languida facilith e la maschia sicurezza della costruzione di De-mostene, a cui Penergia individuale non toglie proprietä! „E ciö che e il peggio di tutto, egli dice, nessuno si difende nemmeno dalle ingiurie ehe sono fatte a lui!“ E seguono quattro proposizioni, in capo a ciascuna delle quali sta appunto un genitivo con significato possessivo; Filippo muove da lontano e come bufera si avanza fino sopra Atene: „dei Corinti . . . degli Acliei... dei Tebani.. . di noi ha occupato ... ecc.“ Quanto al tempo del participio, avendo Filippo tolto Naupatto agli Achei (Ol. 110, 2) dopo il giuramento fatto agli Etoli (01. 109,2), si aspette-rebbe il futuro; oppure lasciando 1’ aoristo si dovrebbe porre il participio dopo il verbo principale. Le parole *at vöv-Svta? furono per il penslero e per la collocazione materia di critica. Taluno volle addirittura tralasciarle; ma trovandosi esse iti tutti in MSS., e non contencTido alcuna contradizione, il sorpassarle non ci parrebbe ragionevole. Lo Spengel voleva trasportarle al § 33 dopo 1’ ultima domanda; e in vero, se si dovesse nmmettere una svista del copiatore, quello sarebbe il luogo piti acconcio, finendo 1’ interrogazione colle medesime lettere Z0NTA2 con cui finisce appunto il passo in questione. Ma lii trattasi d’insulti fatti segnatamente alle costituzioni, qui di offese alla proprietžt; e come al pensiero cosi s’adatterebbero male alla forma, riuscendo uno strascico pesanre dopo 1’ interrogazione. Voemel ed altri pensano a un oltraggio fatto ali’ alleanza di Tebe con Bisanzio; ma le parole cup-iAor/ou; ovxac senza determinazione alcuna, p. es. scutmv, sono senza dubbio da riferirsi a Filippo. Rehdantz dice ehe 1’ avere nominato Tebe desta nell’oratore il ricordo di altri alleati tlel re da questo stesso ingiuriati; ma questa attinenza mi pare ehe si dovrebbe vedere anche nella costruzione. Basterebbe una lieve mutazione, leggere cioe 0y$a(ouc'; cosi cuij.. a. diverrebbe apposizione dei Tebani e dei Bizantini insieme, e gli offesi sarebbero distribuiti in tre parti con amarezza ognora crescente: Corinti e Achei, alleati di Filippo stesso, Ateniesi. E vero ehe con questa mutazione del terzo genitivo in accusativo, la forza con cui si seguono le domande sembra un momento attenuarsi, ma nella costruzione del-1’ av Vulg. Gon quel modo di anticipazione 1’ inutilitä dei diritti Ateniesi per lo Želita, e il suo nulla curarsene prendono una forma grammaticalmente meno rigorosa, ma piti popolare e piü efficace (v. IV. 43). Nella Volg. si dice in generale: „allo Z. non importava se . . nella prima lez. al pensiero: „allo Z. non importava nulla dei diritti Ateniesi“ segue come caso particolare: „se non dovesse avervi parte“. Si pensa involontaria-mente al noto verso d’ Orazio: Quo mihi fortunam si non conceditur uti? Ma quel genitivo pareva ardito e oscuro! Nella Volg. vedi proprio la mano del grammatico, ehe timidamente ritocca i costrutti e i periodi del potente oratore; vuole avvicinarli ali’intelligenza dei moderni, e non s’ accorge quanto ne attenui il vigore naturale. 85. (§ 45.) d |j,yj pr. 2. pr. L. A.1 — d om. Vulg. La seconda lez. significa semplicemente: „agli Ateniesi non sarebbe importatö ehe . . , se non avessero creduto . . .“; la prima: „se non credendo . . .“, cioe: soltanto con questa persuasione, ehe eglino dovevano pensare alla sal-vezza di tutti i Greci, poteva rincrescere loro ehe il denaro persiano vincesse gli animi dei Peloponnesiaci. Ognuno puö vedere quanto la prima superi in forza e precisione la seconda. E si noti che questo punto deli’ orazione e molto importante volendo 1’ oratore mostrare ai suoi concittadini la virtii passata e 1’aviditä presente; 1’accento, il numero. la collocazione d’ogni parola dovevano qui produrre singolare effetto. II costrutto e eguale ali’ italiano; se non prende il significato avverbiale di eccetto che; v. Dan. Inf. VIII. 21 : se non passando; Par. V. 47: se non servata. Plat. Crit. 52n : „tu non uscisti mai di cittä d \i-f\ TOt ctpaTej!:<3|J.£Vo?.“ L’ omissione della Volg. forse derivö dal confondere EIEI in d. (v. Funkh. obs. crit. p. 9). 86. (§ 45.) av om. 2. pr. L. Vat. V. V.4 Qui trattandosi di azione passata non si potrebbe, come p. es. Sen. Mem. I. 5. 1 : Svrtv’ «!crOavs(j>sOa(, pensare „dei quali, se si porgesse roccasione, s’ accorgereb-bero“; ne il discorso e indiretto (come p. es. Sen. Mem. I. 2. 6), ne la proposizione principale conticne una semplice idea (p. es. Plat. Carm. pag. 164), ma bensi un fatto. (v. Aken. Lehre v. T. u. M. § 246). Del resto 1’ av potrebbe avere avuto origine dalle prime due lettere a1, del verbo ehe segue. 87. (§ 53.) om. Z. pr. L. V. pr. V.4 Hr. pr. Reh. Nell’VIII. §61, 1’avverbio e a suo luogo, distinguendo 1’oratore i nemici della cittä in esterni ed interni. Ma qui la parola „nemico“ colpisce in parti-colar modo e sopra tutto Filippo; la gente venduta e considerata come il suo servitorame; tornando cioe qui l’oratore a quel medesimo pensiero, aggiunge ali’ ira profondo disprezzo, e il tiranno e le sue creature non pili distingue come due nemici diversi, ma con fiera parola in uno cora-prende: schiacciati i servi, vi riuscirä di abbattere anche il padrone. 88. (§ 54.) vj.. . ^ om. i. pr. L. Quanta maggior fierezza nell’ a-sindeto, ehe ricorda il Cv-aoc |/.tao? del 39, e 1’ ironia tremenda di Dante: Tu ricca, tu con pace, tu con senno! Purg, VI. 137. Anche il relativo indeterminato che segue ben corrisponde a questo sospingersi per cosi dire delle idee. CoH’i), osserva Funkhaenel, si tratterebbe di scegliere. Puö darsi che questo •)) sia stato aggiunto per opposizione ali’ altro jj.wptoe; ^ . . . ■})... 89. (§ 64.) om. S. pr. L. Vat. P.8 pr. Y. Hr. pr. Reh. 11 con-trasto non sta fra il presto e il tardi del piacere, ma fra 1’ essere adulati e salvati. L’ avverbio e come una spiegazione deli’ qAeXXov. 90. (§ 64.) (ouoe ^ ) 7tpo; /äpiv suoe 2. L. — ouxe.. . outs Vulg. La lez. di L. mi pare la migliore: „non tanto per compiacenza, e nemmeno per ignoranza, quanto . . .“ S ripetendo la negazione toglie forza all’otkwq, che pure ha qui un’ importanza particolare; la Volg. poi al difetto di 2 ne aggiunge un altro, di dare cioč il medesimo valore a „compiacenza“ e a „ignoranza“. Ma la causa antica di mali per gli Ateniesi tu quella; questa segue a modo di complemento. (v. III. 3). 91. (§ 70.) ’tflrw; om. A.'1 B. e. Y. A.4 Vat. — «v 'ter. om. P.8 („post h. L. continuo pergit vqc, imvov or. X. 2, omissis quce interposita suntw.) Quest’ avverbio e uno di quei modi urbani propri al discorso degli attici, o fosse serio, o detto con ironia; cosi al § 63: „Forse vi meraviglierete . . e altrove. Plat. Crit. 53.1’: av rpiuz oou äxoiotev, dove pur senti la punta deli’ ironia socratica. Quanto all’ av, sostenendo la maggior parte dei critici ehe col participio futuro non e mai unito, (v. perö Plat. Apol. 3o.c) o si mutö il part. tut. in part. aor. (Cobet), o si volle sottintendere un part. pres. (Rehdantz). La mutazione di AI in ÜN potrebbe parere un po’ ardita; il sottintendere poi il part. pres. li presso al part. fut. e del medesimo verbo, e senza progresso nell’ idea, ha deli’ artificioso („aleuno che volentieri domanderebbe, siede per doman-dare“ ; senza ambagi VIII. 38: ipwtöfft TrpoOjjj.toc) ehe annebbia la parola deli’oratore. Sarebbe quindi meglio o unire l’äv col part. fut., o omet-terlo addirittura con P.° t'. Collocazioue. Fra le varianti che spettano alla grammatica, e quelle che si riferi-scono al pensiero, ne considereremo aleune della collocazione delle parole. 92. (§ 17.) ayeiv ojj.oAo^iiv L. P.8 A.1 A.1'* HI. D. — o. oi. Vulg. v. N. seg.; nella prima lez. e inoltre evitata la cacofonia ayeiv. 93. (§ 19.) TOXepLsIv 6p!iJo|/ai 1. L. V.1 — 6p. k. Vulg. (HI. A.1 addunt av — U. P.8 ujaiv.). Due sono le cose ehe 1’ oratore vuole dimo-strare: che Filippo fa guerra, e ehe la fa seguendö un suo antico disegno. Ora nell’ ultima proposizione di questo tratto esse sono riassunte in modo ehe 1’ una sta nell’ altra, e a quella appunto si dä maggiore rilievo, ehe 1’altra comprende: „lui in pace che io čreda? ci vuol altro! Ma il giorno che distrusse i Focesi, quello della guerra considero io il primo“. L’ av puč> essersi formato dalle dne prime lettere deli’ aux'ov; 6jj.iv fu tolto dal § 18, qui e del tutto inutile; il tiemico contro cui segnatamente sono volte le armi di Filippo e indicato dalla ragione stessa di quel modo di guerra; inoltre 1’ oratore aveva detto un momento prima x po? 94. (§ 23.) £T7) y.ai tpča Vulg. — •/.. %. I. L. HI. Nella prima lez. c’ e il sentimento che quel numero grande fu sorpassato: oltre settanta anni; Kr. § 24. 2. 7 cita aleuni esempi di questa collocazione in Tue., Rehdantz un passo del nostro XXVII. 35. g5. (§ 23.) TOUTOuai rol)? TsXsuTat’ou; 2. L. P.{i Hl. V.1 — t. tsa. tout. Vulg. Se nella Volg. tout. seguisse almeno a /povou?, si potrebbe dire ehe il pronome pošto in fine fa sentire niaggiormente la prossima vici-nanza del tempo; ma cosi come sta non puö essere ehe una trasposi-zione accidentale, nata dal cominciare le parole eolla medesima lettera. 96. (§ 20.) Ta? woXiTsfa? y.ai Tac xoXsi; 2. L. P.“ V.1 A.1 A." D. — t. x. awTÖv x. t. x. HI. — t. x. ■/.. t. xoXvr. cet. Harp. s. v. žOvo;. — •/.. t. xoXči; om. Dion. Dalla difficoltä di unire quei due oggetti con un verbo eomune vennero le varianti nella collocazione delle parole e nella composizione del verbo stesso (1x9—, xspW)pr)Tai eec), e insieme le eon-getture di alcuni critici; tuttavia senza un po’ di violenza non se ne cava un senso chiaro. II verbo della maggior parte dei MSS. vale „to-gliere via, di mezzo, distruggere“. Ma Filippo distrusse la costituzione dei Tessali, non le cittä; quindi la Volg. avvicinando ra? xoXit. al verbo credette racconciare il passo; senza por mente ehe il progredire deli’ a-zione nell’altra variante e piii naturale: prima le costituzioni poi le cittä. Rispetto a quest’ ultime Rehdantz soggiunge: „vi collocö dei pre-sidi“ ; Reiske tralasciando il x.ai intende „privö le cittä di ecc.“; ma come osserva Funkhaenel c’ e d’ impedimento la posizione deli’ auTwv; similmente Weil; ma ritenendo egli il /.at, la disposizione delle parole riesce stentata. Altri volle omettere con Dionisio il secondo oggetto, ma il xoXst; e necessario per il contrasto, ehe poi segue nella seconda parte del periodo, fra questo nome e IOvkj. Funkhaenel propose v.z-a to; xöXei; ; ed e la migliore delle congetture fatte, se forse non disturba il ripetersi poi di y.aTa x6Xst; con un significato differente della preposizione, da uscirne quasi un bisticcio. Vedendo ehe la disparitä delle lez. sta appunto nell’ incertezza della collocazione, sorgerebbe il dubbio che aleune di queste parole fossero state giii anticamente spostate; ehe torse il xai ideq xÖA£t? seguisse in origine al verbo, e al xoXet<; la preposizione et?; che, causa la terminazione eguale del nome, 1’ si? fosse poi omesso, e quindi si rendesse necessaria la trasposizione di quelle tre parole, e 1’ aggiunta d’un xat fra le due proposizioni; cioe rä? xoXvr. aÜTöiv xapyjpvjTai xai ra; xoXsi; zic Ttzpw/uq y.aTearvjaev; (v. XV. 20) E tradurrei: „non ha egli tolto di mezzo le costituzioni dei Tessali, e ordinato le loro cittä in Tetrarchie, affinche siano servi non solo per cittä, 111a anche per schiatte?“ Esempi del /.aOtaTavai it? coli’aceusativo di una forma di governo non sono rari, p. es. Eur. Suppl. 352: orj|j.ov ii? |j.ovap/(av. v. Dem. VIII. 10. 97. (§ 43.) Tiov ’AQyjvaüov twv tote - L. P.*’ A.1 A.*— t. tote ’A. t. Vulg. Colla prima lez. la circostanza di tempo eolpiva maggiormente gli uditori, per essere unita al verbo e posta in rilievo dalla forza dell’ allit-terazione (t. t. TaÜTa, v. V. 5). 98. (§ 44-) ®&tws( ti? ipnjaeisv S. L. P fi — ä. 0. x. e non c’ inganniamo, la cosa va qui considerata diversamente. Al § 28 dopo narrato il pericolo deli’Eilade, 1’oratore soggiunge: „e noi stiamo qui indifferenti a guardare Filippo, mentre diventa grande e potente“; e segue la similitudine della febbre. Quindi 1’ oratore continua dimostrando 1’ ol-traggio ehe deriva a tutti i Greei dali’agire di Filippo „e noi, dice, senza muoverci, lo stiamo a contemplare, come il contadino la grandine, ehe non flagella le sue Campagne“. Conchiude esponendo le soverchierie ehe il re commette a danno dei singoli stati, e finisce: „eppure, 1’uno gua-tando 1’altro, pieni di sfiducia, restiamo inoperosi, e [a«X'/.(ojasv, cioe siamo come intorpiditi“. (Or. Ep. I. 6. 14: Defixis oculis animoque el' corpore torpet. v. Dem. IV. 9.) Non corrisponde ella forse quest’ ultima imagine alle altre due, molto meglio della parola ehe ricorda mollezza o rilassatezza ? I nipoti dei prodi Ateniesi sembravano ora come ammaliati dal Mace-done, onde Demostene si attrista e insieme si meraviglia. A loro pur troppo non sarebbe convenuta la bella lode, con cui Pericle onora i caduti nei primi scontri della guerra del Peloponneso (Tue. II. 46): „nessuno di questi cadde in mollezza (i(j.aXax,(c(b)), perche ponesse in maggior pregio il godimento delle ricchezze“ ; e in fatti 1’ oratore spiega poi con parole severe la causa del decadimento; ma prima doveva essere narrato il fatto per se stesso, cosi doloroso e cosi strano insieme. Colla lez. dei cod. quella causa sarebbe giä accennata, onde la domanda ehe segue subito dopo perderebbe della sua importanza. 10^. (§ 36.) SxavTsc om. S. pr. L. Al § 28 e detto; „e ciö ve-dendo i Greci tutti . . e al 33 „e ciö vedendo i Greci . . .“ Qui m. pare aggiunto in opposizione all’ ätwaaiv del § antecedente. Pero se era vero ehe a tutti poco ora importava della libertä, non era vero del pari ehe tutti una volta 1’ avessero cercata, come si vide nelle guerre Persiane; onde čredo da preferirsi la prima lez.: il popolo greco in generale. Del resto e questione che dipende piuttosto dalla bontä dei MSS. che da una differenza notevole nel pensiero. 109. (% 40.) TipsuoSos (xpissooi) om. pr. 2. pr. L. (add. sec. S. [sing.] man. saec. XII1; sec. L. fpl-J). „La moltitudine dei denari“ fu creduta espressione o non chiara o impropria, e si aggiunse „entrata“. Ma Demostene vuol far vedere che di mezzi materiali ve n’ ha piCi che a sufficienza. Orazio avrebbe detto (O. III. 24. f.): Scilicet improbeu Crescunt divitiae, che e proprio il rcXvjOo; ; tarnen Curtae (con ben altra ironia che il ov, v. N.° 126) nescio quid semper abest rei, che in Demostene sarebbe 1’ abominio twv tc(üXo6vtmv ; e la vis consilii expers (O. III. 4. 65), 1’ to/iktv che rovina sotto il proprio peso. Invece r.pincooq dice semplicemente „entrate“, ma queste possono essere grandi e piccole, e forse per tale ragione si mutö poi il sing, in plur. Qual senso profondo e quanta potenza in queste poche parole: „Corpi e oro, ma non cittadini, non animi virtuosi“. v. Plat. Fedr. p. 279. c.: j'pujoj TrXvjOoi;. Forse chi faceva quell’ aggiunta pensava al passo IV. 40 ; ma dal tempo che 1’ oratore tenne la prima filippica quanti fatti dolorosi erano accaduti, onde la sua parola doveva farsi piü severa e piii aspra! 110. (§ 40.) ratvta om. pr. L. M. Non fa tanto meraviglia che il numero delle cose dette non produca aleun effetto quanto che riescano inutili esse per se stesse. Inoltre vi e giä 'ir.a.c. nella proposizione ante- cedente, e non vi č alcuna ragione perche la paroln sia fatta partico-larmente spiccare come p. es. al N." 12 5. Invero nella IV. § 36 ai tre aggettivi, uniti, come qui, asindeticamente e rinforzati dali’ allitterazione segue ärocvra: „tutte le cose“ ehe spettano alla guerra; raa fa opposi-zione a „tutte quelle“ che spettano alle feste e ai divertimenti. v. del resto il N.° precedente. L. oinette il %. anche al § 2 5. mi. (§ 41.) Seixviwv om. pr. S. pr. L. (add. 2. man. saec. XIV1, sec. L.) L’ espressione '(pd\j.\j.oncn iv fu ritenuta non ginsta, e si inserl con rispetto al 8Y)X(!>ao> questo participio, quasi che si potesse dire solamente „leggere“ o „mostrare“ un’ iserizione. Ne venne la solita chiarezza senza energia, cioe un parallelismo puramente materiale di forma, opponendosi al Xdfwv il Ssixvuwv, e non si badö alla stranezza delle parole: „mostrerö indicando“ ! Ma 1’oratore non mostra, recita; e come nella XIX. 271 e detto: „udite 1’iserizione“, cos\ potevasi pur dire a questo luogo E interpolazione della natura di quella esaminata al N.° 109. 112. (§ 42.) oii* ’AO^va'Ce om. 2. L. P.® pr. Vat. pr. Hr. pr. Reh. Quanto e ben fatta questa osservazione al § 43 per bocca di Demostene: „fu infamato dagli Ateniesi, perche portö oro nel Peloponneso, non in Atene“, come se dicesse: „ehe avrebbero poi fatto, se 1’ avesse portato qui in Atene!“ altrettanto e fuori di proposito sulla colonna. 113. (§ 48.) T(ov avitTcaXwv om. pr. 2. pr. L. (add. mg. S. man. saec. XV.1 sec. L.) L’oratore dicendo tyjv yji>pa') intende senz’ altro il paese nemico; v. anche § 5o. Cosi gli antichi Italiani per „la terra“ intendevano spesso il paese nemico. Del resto non si puö negare ehe la glossa sia scelta bene e che corrisponda meglio di TCoXstj-tGC (v. VIII. 33; XXIII. 102) alle altre di questo passo, ehe ricorda il guer-reggiare alla buona di una volta. v. Dante Purg. XIII. 115: Erano i cittadini miei (Sanesi) presso a Colle In campo giunti co’ loro avver-sari (Fiorentini). E fra le guerre e guerricciuole ehe ai tempi di Dante e prima infestavano il paese, e quelle interne ehe prepararono la rovina della Grecia vi e grande affinitä e di cause e di forma. Se quella parola non e deli’oratore, io la direi tolta da qualche storico. Voeni.: glossema superfluum. 114. (§ 56.) toc, 9povoiivT£(; om. pr. S. pr. L. pr. Vat. T. pr. V.4 (add. S. man. saec. XV.1 sec. L.) Come si vede dal secondo membro, i dne genitivi tX. e ßsXTfuxou si corrispondono 1'un 1’altro e come e ben detto „aleuni della parte migliore“, cosi e giusto il costrutto „aleuni di Filippo“, quasi „proprietä, cosa di Filippo“; e dice piti ehe 1’ aggiunta; la quäle fu fatta dietro le parole che seguono poco dopo. (v. Liv. XI. 21.) 11 5. (§ 60.) (tou) twv ’öpsiTwv om. 2. pr. L. pr. Vat. P.11 T. V.4 Come nelle varianti dei N.‘ 112 e 114, anche queste parole sono tolte da quello che segue. Ma qui si pensa semplicemente alla parte popolare opposta a quella di Filistide: il popolo, per la libertä del quäle egli (Eufreo) tanto s’ angustiava, lo insultö a quel modo. Invece al § 61 il fatto e esposto storicamente. 116. (§ 64.) ef/axsXstipO^aav corr. 2. (Voem. p. 661: si nisi falli-mur in erasa litera ab eadem mann.) V.1 P.,! —. —sXv^O. rel. Colla prima lez. : „finchč al medesimo modo in tutte le altre cose rimasero indietro“ ; colla seeonda : „finche furono preši nella rete (Jacobs). E in tutto il resto al medesimo modo“. Puö darsi che quella derivasse dall’osservare come l’oratore continui a parlare delle mene della partc Macedone, la quäle colle lusinghe traeva in errore la parte sana del popolo, e conchiuda poi col dire, che finalmente s’ accorsero della rovina, ma era troppo tardi, e non restava altro che lasciarsi trascinare dalla corrente. Si trovö forse qualche difficoltä anche per 1’ ellissi del predicato nella proposizione seguente. Quanto al pensiero si potrebbe confrontare IV. 38. segg.; VIII. 12; III. 20, dove ösrspfijstv e IXXsfestv corrisponderebhero al verbo di questa prima 1 ez. v. anche XIX. 151. Ma la prima e da preferirsi perche con una sola parola segna la fine dolorosa, e perche ne rende partico-lare ragione dimostrando la vcrita della sentenza posta prima xa yap •Kpd'(\j. ^dvte? Osot VI. 37, IX. 76, ma con animo piü rassegnato; 'HpobcXsic IX. 3i : meraviglia e sdegno insieme); ma non mai dove si tratta, come qui, di un semplice ragionamento. v. VIII. 34, IX. i5. Quanto alla seconda variante, proba-bilmente s’imitö I. 12, XXI. 123. II fatto che i codici A.1 A.“ conciliano le due lezioni tralasciando y.. Oscop. č prova dell’ essere la seconda stata tenuta per un’ amplificazione della prima, v. XVI. 9. Ne viene alla Volgata il solito parallelismo di forma : „per Giove e per gli dei! riflettete e considerate qual era la mente e quäle la dignitä degli Ateniesi d’allora“. 130. (§ 44.) aXX’ ou ts5to om. pr. S. pr. L. (add. 2. man. saec. XII.‘ sec. L.) Non fu intesa la forza deli’ äXXa seguente, ehe vale: ma invece, ma ben sta seritto ecc La crederei aggiunta fatta da clii in sen tout’ e'jjieXev (v. N. 53), al quäle tutto il passo dovette sembrare nella sua rapida concisione oscuro. Sono parole sotto ogni aspetto oziose, mas- simamente dopo ti? av e^setsv. Pu6 darsi ehe 1’interpolatore pensasse anche al toüto Stj del § seg. 131. (§ 54.) ouSž ßodXscrOe om. pr. S. pr. L. A.1 P.° {add. mg. Z. sec. L.). Questa giunta ne si adatta al pensiero ehe segue al § 54, ne a quello del 19 segg., qualora i §§ 47-53 si dovessero, secondo la con- gettura fatta al N. t, trasportare a quel luogo. Qui 1’oratore prorompe tosto con quella tremenda parola, ehe egli teme perfino ehe una seiagura fatale perseguiti la eittü; lä non aveva ancora esposta la desolante depra-vazione del eostume; tutt’altro si era il dire: „non potrete“. Senza dubbio la giunta della Volgata si riferisee alle parole del § 19: „se non vi difendete subito, pili tardi nol potrete, nemmeno volendo“; ma non ne ha la proprietči ne la precisione. 132. (§ 57.) Sš to racvxa om. pr. S. pr. L. (superser. 2. man. saec. XII.1; add. om. to sec. L.) Accettando la Volgata vi sarebbe una con-tradizione con ol jxkv ecc.; le parti erano due; ciascuna s’adoprava per conseguire il suo scopo: pur troppo 1’una vi riusci meglio dell’altra; quindi Ta woXXat: per lo piü. Ma a qual verbo riferire il |/.aXXov ? Funk-haenel vorrebbe unirlo con iicsfoOY]-/. vjSy) —; ou—; ora invece nulla tace, ma appena pronunciata la parola „insolenza“, con impeto di nobile sdegno volge al popolo domande altrimenti terri-bili, ma posta una volta sola e in principio la negazione, e serrando quindi una proposizione all’altra coi verbi a capo, in modo direi vorti-coso (.. ."tfOvjtn... ...; — ...;), fino ehe soffer- mandosi nella similitudine della grandine, la parola si muove meno agitata nell’ironia, per riprendere nuovamente se non la rapiditä, 1'energia di prima. (ou —; ou/. — ; cu/t —; ou/_ -- ; in tutte le forme). „Bandisce i giuochi Pitici, impone la tetrarchia ai Tessali, scaccia la parte popolare dali’ Eubea; ingiurie ehe offendono tutta 1’ Ellade, e tutti guardano indif-ferenti; invade Ambracia, terra dei Corinti; promette di dare ad altri Naupatto, proprietä degli Achei; si fa signore di Echino, cittä dei Tebani; di noi occupa Gardia nel Chersoneso; ogni singolo stato di Grecia č da lui insultato, ma nessuno si muove, nemmeno per il bene suo partico-lare“. Invece nella Volg. alle tre interrogazioni, ehe comprendono i fatti piii ingiuriosi alla Grecia, se ne aggiungono ancora due, ma in modo fiacco e ehe con fatica possono unirsi ali’ ou, a cui s’ appoggiano le altre; non senti 1’impeto deli’oratore, ma la riflessione d’un com-mentatore. Se Filippo mandava i suoi schiavi a presiedere i giuochi pitici, egli era certo anche signore delle Termopili, ehe 1’ interpolatore spiega „i passi di Grecia“, la qual seconda espressione fu probabilmente la prima pensata; e dopo aver detto ehe il re aveva distrutto le cittii della Focide, non era una freddura il soggiungere ehe ne teneva guardate le porte? Ma del pericolo Demostene aveva giä parlato, ora mostra 1’ in-famia ehe copre la Grecia: 1’ oXeOpov MaxsSövo? dirige la festa Sacra della nazione! meno ancora poteva fermarsi a spiegare un vocabolo. Parlando delle Termopili egli usa 1’una o 1’altra espressione (V. 20, VI. 7), non mai ambedue cos'i pedantescamente unite; bens'i VI. 35: „signore delle Termopili, e signore della via all’ Attica e al Peloponneso“. Agli Ateniesi bastava il dire TtöXat, perenne ricordo del tempo piü glorioso della loro storia. II retore prolisso e declamatore vedesi anche nelle parole t. t6wou? t., iiell’amplificazione, se pur e tale, oupat? •/.. ijsvotj, nel tornare che fa da capo, dopo nominate le Termopili, a parlare dell’oracolo; e in fine nello strascico attaccato alla 7tpo|/.avTs(a, vj? ecc. L.’ estremo del vitupero si era che quel diritto fosse tolto agli Ateniesi, ai quali spettava; non giä che ora l’avesse Filippo invece di altri Greci, che non 1’ avevano mai goduto; tutt’al piü doveva dire: rapito questo diritto a noi, non lo cede ad altri, ma lo ritiene per se. Con quanta maggiore proprietä e dignitä parla invece 1’ oratore XIX. 327 degli Anfizioni cacciati, e della Ttpo^,. tolta agli Ateniesi! Tutto questo senza dire di alcune ripetizioni fatte proprio rustice, come osserva Voemel. Quanto alle proposizioni spostate v. N.° 1. 144. (§ 37.) xai — om■ Pr■ "• Pr- L. V. V.4 Arist. (add. mg -. man. saec. XV.‘ sec. L.). 145. (§ 39.) <7UYYvti>|J.Y) tos; om. pr. 2. pr. L. (add. mg. man. saec. XV.1 sec. L.) Come si vede 1’ una giunta corrisponde al- l’altra. Al § dice 1’oratore: „Chi riceveva denaro dai nemici della Grecia era odiato da tutti, e guai a lui se era trovato reo di tale in famia; era punito coi castighi piü severi“. Come si poteva dopo parole s'i chiare soggiungere che non era lecito supplicare, ne v’ era luogo a perdono? Dopo le espressioni assolute Stocvts?, xtxkzx&xonov, uscire con un pensiero, il quäle ammettendo la possibilitä del contrario doveva prendere una forma negativa, era togliere ogni forza ed evidenza a tutto il periodo. E vero; prima, e allora segnatamente, non mancavano lagrime ai rei per rendersi compassionevoli ai giudici; v. XIX. 99, e 186, dove Demostene subito soggiunge: „ma quanto piü egli (Midia) cercherä di commuovervi, tanto piü dovete abominarlo ([j-taetv); avete giurato di obbedire alle leggi“. (§ 188; v. anche 279). Quindi probabilmente con rispetto a questi luoghi si fece la prima interpolazione senza badare se la proprietä e la precisione del pensiero ne venissero offese; non sono giä parole che riHettono direttamente il sentire deli’oratore, ma confronto e considerazione d’ un lettore, come si vede anche dal modo con cui sono unite aufj-vciiJU) e rcapatmrjo«; (v. lo Scol. a Tue. I. 73). La seconda giunta poi sta bens'i in luogo migliore, ma disturba il numero e 1’ ordine del periodo senza portare nulla affatto di nuovo, o convenientemente dilucidare le cose giä dette. I tre sostantivi yfhioc, jAtao; sono apo- dosi di potente brevitä, che fieramente colpiscono 1’ animo degli uditori; inserendovi quelle parole, gran parte della loro virtu va perduta. v. XIX. 272: vuv 8k äosia. oäx — Ypoe;j.{j.axa om. pr. S. pr. L. (add. mg. 2. man. saec. XIV.1 sed e!>fp6vouv et 'iyyioa it. •/.. (tr.. „Lo stato cade in rovina, perche ora e salita in potenza e onore la gente venale; ben erano forti e sicuri una volta, quando chi avesse tentato corrompere un greco, era severamente punito e infaniato. Cosi operando 1’ Eilade divenne formi-dabile ai barbari“ ; ž il pensiero di questa parte. Se gli antichi avessero agito altrimenti con chi portava in Grecia 1’ oro di Persia, Demostene non avrebbe potuto dire di quel tempo le altere e belle parole del § 36; ma ferne? i^faouv, tutti abominavano chi si vendeva. Or dunque pensa-vano gli avi con quei memorandi esempi ai contemporanei o ai posteri ? Non mi par dubbia la risposta, e ben fuori di proposito la osservazione della giunta, che interrompendo le parche e severe parole deli’ oratore, fa sentire la smania rettorica d’ un tempo oramai privo di cittadini e di nobili azioni. II dire che gli avi prima che a se stessi provvedevano a quelli che erano ancora da venire, non e che una vuota declamazione. Ben altra cosa VI. 3i dove Demostene pensa con rossore ai posteri: „anche a loro avete imposta una pace si ignominiosa!“ Cosi XV. 35 la conclusione dell’ oratore e giusta e naturale: „Gli antenati inalzarono trofei non perche voi stiate li ad ammirarli, ma perche imitiate le virtü di chi li ha eretti“ ; non si analizza giä il pensare degli avi rispetto a se stessi e ai nipoti, ma si confrontano i due diversi modi che potevano tenere i secondi nel considerare le opere dei primi. Ma la sola e vera causa di quell’agire d’un tempo la soggiunge poi Demostene: „quelli adunque credevano che la salvezza di tutti i Greci incombesse a loro“. Nella XIX. § 268 segg. dove e narrato questo medesimo fatto di Artmio, per le medesime ragioni e detto : „ma voi, Ateniesi, piQ d’ ogni altro popolo potete oixsfoi? ^p^aOai uapa3e£f|j.a<;i (III. 23), cioe seguire esempi domestici, e se il tempo delle grandi virtü militari e passato, almeno imitate degli avi xo eu^povsiv“. Continua poi al § 271: „da questo fatto potrete com-prendere come i vostri antenati si dessero cura perchč nessun uorno al mondo portasse colla ricchezza danno all’ Ellade, mentre voi non impe-dite nemmeno che certi cittadini rechino ingiuria ad Atene stessa“. E al § 284 a un di presso e detto: „voi direte che per il processo di Eschine contro Timarco i giovani saranno migliori ..., badate invece che con quest’ altro processo si migliorino gli amministratori dello stato“. E in fine dell’orazione: „fatene un solenne esempio a tutti, e ai cittadini di Atene e agli altri Greci“. Quanto stentato e artificioso e il pensiero della giunta, altrettanto naturale e consentaneo a ragione si e il parlare del-1’oratore in tutti i passi che abbiamo recati. Ma a questo 1’interpolatore non badö, o se ne servi alla sua maniera, (particolarmente dei luoghi XIX. 26g, XV. 35 ; al primo accenna anche 1’ errore mg. S man. saec. XIV.) congegnandovi insieme le parole di Dinarco (c. Arist. p. 108. 7): „posero la colonna sull’acropoli, esempio a voi posteri“. Ma per non dire che questo oratore appartiene giä a un tempo piü volto alla dcclamazione che alla seria considerazione dei fatti, e importante vedet e come 1’ autore di questa giunta commenti il passo di Demostene con quello di Dinarco, per chiosare poi anche questo con un suo giuoco rettorico: „Posero 1’ iserizione scolpita nella colonna sull’aeropoli“, dice Demostene; „ma per lasciarne un esempio a voi“ continua 1’ interpo-latore, „a voi, perchč gli avi pensavano giä dirittamente anche senza quel monumento“. v. anche LIX. io5. 147. (§ 44.) «XX’ebaY^s vjv (yj A.' A." B. u. v. Ang. U.) ib ÄiroxTStvai om. pr. 2. pr. L. Y. V.4 (add. man. saec. XII.1 sec. L.) L’ imperfetto tradisce 1’ interpolazione, onde in aleuni codici fu poi mutato nel con-giuntivo e coordinato a StSü. Si ripete in modo affermativo quello che e espresso negativamente, volendolo insieme chiarire; ma s’ introduce un vocabolo, ehe alla sna volta ha bisogno di nuova spiegazione, e la spie-gazione che dä poi 1’ oratore stesso, resta confusa nella sua attinenza. v. Andoc. I. 96, Plat. Leg. IX. 12. La glossa fu tolta probabilmente dalla legge stessa; Schultz dice ehe fu alterato il significato di sua-fž;, ehe nella legge e detto di persona e non di cosa. Dindorf vorrebbe trala-sciare tutto il §, parendogli inopportuno a questo luogo un si lungo commento d’ una parola. Anche quella singolare interpretazione di secondo la quäle tutti i discendenti di Artmio avrebbero potuto essere uccisi impunemente, sembra fuori di proposito e favorire la congettura del dotto critico. Perö crediamo ehe se quella giunta fosse stata fatta posteriormente, lo stile suo sarebbe stato meno serrato e conciso, da non essere necessarie poi le nuove interpolazioni e mutazioni della Volg. 148. (§ 58.) xitč |J.sv — riap[7.£v{(ovo; om. pr. S. pr. L. (add. man. saec. XII, sec. L.) Quanto al pensiero non c’ e in queste parole nessuna contradizione; anzi se sono d’ un posteriore, dovrebbero derivare da me-morie storiche o dei tempi di Demostene o di non molto dopo. Ma nella forma restano le tracce della giunta fatta da chi voleva e poteva rendere ragione del Sli;, mentre poco ne doveva importare ali’oratore, ehe aveva gi£v narrato tutti i momenti principali deli’avvenimento. Intanto mi pare ehe 1’ espressioni correlative tote |*ev — rcäXtv Se sarebbero usate con proprietä, se il Si? fosse unito al verbo principale: „due volte li cacciö; la prima mandando ecc.“; ma essendo congiunto col participio, cioe coli’oggetto, la spiegazione riesce stentata; Voemel lo riferisce senz’ altro al verbo principale, ma in tal caso il 31? dovrebbe essere collocato al-trove. Pesante e direi pedantesca e pure la ripetizione di e di ;svou;, impacciando una circostanza secondaria, come inutile soprappiii, il movimento, del resto spedito, del periodo (v. N.° 143 'EXXvjvwv ["EXXv)va; ... ijdvoi?] «jevou?). Inoltre tots [J.sv, se cosi deve essere accentuato, signi-fica: „allora, in quella congiuntura“, ma non si sa quäle, perche il St? comprende senza distinguere i due tentativi di liberazione; se invece e da leggersi totI yiv (v. Kr. § 2 5. 10. 12), allora significherebbe „ora — (ora)“, quasi: di quando in quando ; ci sarebbe in somma 1’ idea della ripetizione o della durata. P. es. Plat. Gorg. p. 491°: l*šv. . . auOi; SL., vöv S’au. Adunque in ambedue i casi c’č della confusione. Aleuni ammettono uno sbaglio del copista, pel quäle questa proposizione sia andata perduta nell’ originale di L.; ne parleremo dopo 1’ esame delle varianti. 149- (§ 7*0 romajo t — /aTaa-peij/auOat om. pr. Z. (add. man. saec. XIV.1). Voemel per spiegare questa omissione in ü congettura (p. 668) che dopo scritto •jrpsaßsi«;, al calligrafo fuggisse l’occhio a parole alquanto simili che seguono al § 72 uepuat — rUXoTWcövvYjaov, quindi rediisse quidem in ordinem, ma sorpassasse quanto appunto vi 6 di piü nella Volgata. Ma o il calligrafo copiava macchinalmente, e allura non ben s’ intende perche non continuasse addirittura lä dove per errore gli era caduto l’occhio; o capiva quello che scriveva, e in tal caso perche essendosi avveduto dello sbaglio non cercö le parole corrispondenti a quelle che 1’ avevano tratto in inganno? Questa dovrebbe essere stata cosa d’ un istante ; e non vide egli che saltava tre o quattro crtr/oi e univa iv’äv a lettere (2BE1S) del tutto diverse da quelle che nell’ originale stavano innanzi alla congiunzione (VA20AI)? Gli errori di omissione di questi copisti consistevano di solito nel tralasciare un qualche tratto, fuorviati da una parola che ricorresse due volte nella medesima forma, e proba-bilmente nel medesimo luogo della linea; ma questo accorgersene e cercare il filo, e errare poi di nuovo, e pure trarne un senso chiaro e corretto, mi sembra cosa piuttosto strana. Io crederei invece che le parole che vi sono nella Volgata, mancassero realmente nell’archetipo. E vero che le amba-scierie di cui si parla furono mandate poco tempo dopo tenuta 1’ orazione; ma e perche Demostene, se egli fece proprio in questo luogo in modo particolare la sua proposta, come pur notnina quelli di Chio e di Rodi, 11011 fa cenno anche dei Bisantini? Nella nostra orazione si parla due volte di loro; al § 20 dove t detto che si deve bensi prestar loro soccorso, ma insieme pensare alla salvezza di tutta la Grecia, e al 34 dove sono posti fra quelli cui Filippo insulta colla sua prepotenza. Giä nell’VIII § 14 segg. l’oratore aveva esortato gli Ateniesi ad aiutarli, e all’osservazione che erano una gente dissennata aveva risposto : „ma tuttavia devono essere salvi, perche ciö torna utile alla cittä“. Anche nella XV § 3. quelli di Chio, di Bisanzio e di Rodi sono ricordati insieme, come nemici invero di Atene; ma da quel tempo erano passati dieci anni, gli avvenimenti dei quali avevano consigliato a tutti concordia ed unione. Ora poi era per Atene senza dubbio di molto maggiore momento l’intendersi coi Bisantini, che non cogli abitanti di quelle due isole. Cosi sono in questa aggiunta passati sotto silenzio altri popoli, dei quali Demostene nella XVIII § 237 si gloria di avere procurata 1’ alleanza alla sua cittä. Invece si propone, e con insistenza, di mandare un’ambascieria al re di Persia. Ma come vi aveva l’oratore preparato gli animi dei suoi concittadini ? U110 dei piü bei tratti dell’ orazione si e appunto lä dove egli ricorda le vittorie navali e terrestri riportate dai loro padri contro i Persiani, e parla del solenne castigo inflitto proprio da Atene ad un messo di quel re; onde conchiude con alterezza che „bensi 1’ Ellade era al barbaro formidabile, ma non all’El-lade il barbaro“. Si poträ forse opporre che in quel punto a Demostene premeva di stimolare gli animi intingardi colle memorie d’ un passato glorioso; ma d’ altra purte come potevano essi poi picni di quelle me-morie accettare h subito il consiglio d’invocare 1’alleanza di quegli stessi Persiani? L’ au tore della X § 32 segg. parlando nel suo centone con un certo calore rettorico di questa alleanza, dice una pazzia quella di certuni che chiamano spesso il re di Persia „il barbaro“, „il comune nemico di tutti“, e simili. Si sarebbe egli espresso in questo modo, se Demostene avesse fatto una tale proposta proprio in questa orazione? egli che copia spesso a parola Demostene? Un’ambascieria si recö in vero piti taulo al re Oco; provvedimento che poteva essere politicamente buono, -come fu ottimo il consiglio dato parecchi anni prima dall’ oratore di non pre-cipitarsi ciecamente su quell’impero; ma quello che io vorrei ora dimo-strare si e che a questo luogo, infine di questa orazione il momento non era opportuno a una tale proposta. Credo perciö che la lezione della Volgata, del resto quanto a lingua e a stile corretta, non sia di Demostene, ma d’altro autore; forse di chi scrisse o volle imitare la X (le parole o'jSI ecc. paiono un sunto del passo citato) o la XII. v. § 6. Per agevolare 1’ interpolazione si prese la voce u«v:ayvoT dal luogo molto simile deli’ VIII. § 76, dove perö non e nominato nessuno. E in vero il dire sol-tanto „dappertutto“ era forse cosa piü prudente; cos'i qui dopo t. dcXXoj? si poteva pensare anche ai Tebani, coi quali importava pur molto a Demostene che una volta si facesse pace; altrimenti parevano sorpassati a bella posta o trascurati. Infine il y.oivwvouc si presenta senza l’aggiunta con maggiore naturalezza ; con quella, si aspetterebbe forse icavxa; to6tou; o altra simile espressione, che innanzi all’ aggettivo predicativo riassu-messe gli stati nominati. i5o. (§ 72.) 'H-pfawnroi; 2. B. V.1 V.3 V.4 Ang. P.1 M. Hr. Y. pr. Vat. v. 1. 0. u. A.3 — Au'/.oupYo; xal 'H. R. — KXsiTÖjj.a^o; y.. A. exsivoai. x. 'II A.1 U. Hl. mg. Vat. — b ßsXTia'co; x. K. y.. A. y.. "Imrap^o;. y.. 'IL D. — 'H. •/.. K. y.. A. Vulg. Importa osservare che i tre ambasciatori della prima lezione ricorrono anche in tutte le altre. Nelle Vite dei dieci Oratori p. 84iE sono nominati come ambasciatori nel Peloponneso e in altri luoghi Licurgo, Polieutto e Demostene; il tempo deve essere quello accennato nell’ orazione. Un Ipparco e ricordato al § 58 come tiranno d’Eretria; naturalmente non puö essere 1’ambasciatore; Glitomaco non e altrimenti conosciuto (v. Schäfer II. 400). Probabilmente questi nomi furono tolti da qualche storia o libro memoriale; fors’auche si confuse quest’ ambascieria con altre. Dopo ot äXXot era facile 1’ aggiunta, come al N.ü 148 (§ 58) dopo 8(;, al N.w 149 (§ 71) dopo t. äXXou;. Non tutte queste lezioni appartengono assolutamente alla categoria, in cui sono distribuite; alcune potevano essere comprese in piü d’una ; p. es. quelle dei N.‘ 48, 49, 53, 54 potevano essere esaminate anche fra le aggiunte fatte per schiarimento del pensiero; ma per amore d’ordine ci parve meglio tenerci ai principi esposti di sopra, riflettendo alla ra-gione principale deli’ origine della variante. Ora consideriamo brevemente in quäle attinenza stiano i principali MSS. fra loro, e colla forma pro-babile deli’archetipo ; cercheremo di fondare il nostro giudizio sul com-plesso delle osservazioni fatte. Dalle quali risulta che la lezione dell’originale di S. L. č sotto ogni aspetto la migliore. Non giä che anche questi due MSS. non abbiano i loro errori, o che siano da considerarsi a parte disgiunti da tutti, come cosa singolare; ma la loro bontä e di molto superiore a quella di qualunque altro, e sia esso pure dei piü apprezzati. Del resto in queste osšervazioni ci ristringiamo alla terza filippica. Per accidente poteva esserc tralasciata qualche parola o qualche proposizione, ma ehe senza le molte aggiunte e mutazioni, ehe troviamo nella Volgata, tutta l’orazione riesca e nella sLia unitä e nelle singole parti piii precisa e piti energica, e ben cosa da fare meraviglia e che non puö giä essere opera del caso, ne di una riflessione posteriore, come pareva ammettere Dindorf. Quäle critico rimoto degli avvenimenti morali, civili e politici, che sono 1’anima deli’ orazione, e per di piii vissuto in tempi nei quali il decadimento della lingua, della letteratura e d’ ogni vera grandezza nazionale andava ognora crescendo, avrebhe potuto cor-reggere, per cos'i dire, la mente deli’ oratore, e renderne la parola piti sobria e insieme piü potente? Quindi Spengel e Weil congetturarono che alcune delle giunte piü considerevoli fossero di Demostene. Ma quäle particolare ragione poteva indurre 1’oratore a ritoccare, anzi in parte a rifare, il suo discorso, giä passata 1’ occasione per la quäle lo aveva cora-posto? V’ e aggiunto forse qualche pensiero importante, veramente nuovo, e in giusta armonia col resto? O e ricordato almeno qualche altro fatto storico che potesse maggiormente commuovere, oramai non piü gli udi-tori, ma i lettori? Ne questo ne quello; ma il concetto primo deil’orazione viene da quegl’intarsi disturbato e confuso, o le giunte contengono circostanze di poco o nessun valore, e che tutt’al piü mostrano lo studio di un dotto del tempo seguente. Le due piü notevoli sono i §§ 6-7, 46; due luoghi nei quali per la loro importanza 1’oratore doveva giä essersi espresso con tutta sicurezza ed evidenza nei momento che tenne 1’ orazione, da non essere poi costretto a rifarli; ne egli che voleva numero e parola, pensiero e periodo, parti e tutto per se stessi perfetti e in perfetta armonia fra loro, si sarebbe mai accontentato di racconciare cos'i alla meglio il vecchio col nuovo. Se a Demostene premeva di fare noti al suo popolo o altri fatti o altre idee, non gli mancavano certo ne il modo ne la parola. Inclinerei piuttosto a credere, senza contradire a quanto fu detto al N.° 2, che alcune delle interpolazioni della Volgata fossero parti di qualche orazione perduta o del nostro o d’altro oratore; e che alcuno piü tardi trovandovi un’ analogia con dei tratti di questa filippica, le rifacesse alla sna maniera per meglio adattarvele, spiegan-dole secondo il proprio intendimento, e le inserisse poi lä dove ora si leggouo. Cos'i 1111a tale raffazzonatura sarebbe stato il principio d’ altre fatte poi con maggiore audacia, e che ci diedero la cosidetta quarta filippica e la risposta alla lettera di Filippo. Weil (p 311) domanda: e perche s’interpolö questa piuttosto che un’altra orazione? Io credo che tre ne fossero le ragioni. ln primo luogo la sua singolare bellezza. La quäle grandemente invogliando l’animo dei lettori, faceva si che questa orazione fosse molto piü studiata delle altre; alcuni suoi tratti pieni di fuoco generoso o dovevano muovere a dolorose considerazioni sul pas-sato, o, massime in tempi di poca energia individuale e di nessuna vita politica, divenire luoghi comuni di analisi rettoriche e di declamazioni. Poi la somiglianza sua coli’ ottava. Lc riflessioni di quell’ orazione sullo stato della repubblica, che si ripetono, alcune quasi a parola, nella nostra, aprivano la via ai confronti dei lettore, il quäle cominciava a conside-rarle come un bene oramai comune, onde il suo raziocinio poteva eser- citarvisi direi piü liberamente. E in fine, trattando questa filippicn delle cose di Atene e dell’Eilade in generale, senza che un fatto singolo e particolare ne fosse 1’occasione, 1’interpolazione era qui piü facile che altrove. Adunque anche quelle giunte piü lunghe sono, a nostro parere, fatlura posteriore; probabilmente del tempo dei Diadochi, come accen-navamo nell’esame della seconda; puö darsi che il loro autore si gio-vasse, a modo suo s’ intende, anche di qualche orazione che non ö venuta a noi, sia di Demostene sia d’altro autore; fors’anche delle considera-zioni di qualche stolico. Stabilire con sicurezza la cronologia di tutte le varianti non accet-tate e cosa impossibile; di certe spiegazioni o dilucidazioni v’e bisogno in ogni tempo; vi sono inclinazioni della mente e forme del sentire che a certi momenti si mostrano in tutti gli uomini. Tentiamo di determi-narne 1’ etä o per dir meglio la successione, secondo la loro attinenza diplomatka; delle piü importanti s’ intende, e ben lontani dal credere che le nostre osservazioni colgano nel giusto segno. E veramente ci paiono dovere essere piü antiche quelle lezioni, che mentre non si tro-vano in 2. L., sono comuni a tutti gli altri MSS.; adunque di quelle che spettano piuttosto alle idee che alla grammatica i N.‘ i, 142, 149; 2, 141, 145; 143, 146; 148; poi 124, i3o, 120, 13 5; 119, 123, 132; poi 125, 100, 118, 108, 101 ?, 109, 111, 113. Esse o racchiudono un qualche pensiero; o cercano di agevolare il passaggio a ciö che segue, o di rendere piü ampia la forma; o per maggiore chiarezza ripetono l’oggetto di cui si parla. Sarebbe quindi da tenersi quäle codice originale della seconda tamiglia quello che contenendo queste varianti, avesse nel resto seguito la tradizione della prima. Invero nessuna copia ne e giunta a noi, segno che ben presto tennero dietro e divennero comuni anche le ältre lezioni non accettate della Volgata, almeno una parte; perö alcuni codici s’avvicinano a preferenza degli altri a quell'originale supposto; quelli cioe che hanno il minor numero di queste ultime lezioni e in pari tempo le migliori. E sono i codici della famiglia V., della quäle prendiamo in considerazione i principali T. V.4 Vat. Essi (cioe l’uno o l’altro o tutti tre) hanno le varianti 11011 accettate dei N.‘ io3; 104; 110, 121, 122, 129, r31, 133, 138. Sono brevi aggiunte o facili mutazioni fatte senza intendimento di parafrasare o voglia di commentare; tendono per lo piü a un certo parallelismo nella forma o a chiarire qualche concetto, senza che lo stile ne abbia molto a soffrire. Succede quindi una terza famiglia, i cui MSS. principali sono A.1 P.6; ha quasi tutte le lezioni nominate di sopra, piü quelle non accettate ai N.1 114; 117, 106, 128; 147; 126, 127, 134, 137, 139, 140, 144; i5o. Le piü sono aggiunte o mutazioni del tutto inutili, o spiegazioni prolisse, non di rado ammanierate. Perö queste due famiglie si integrano e compiono a vicenda. Mentre cioe la terza t! inferiore alla seconda nelle varianti che hanno una qualche attinenza col pensiero, la vince per purezza di forma e proprietči di costrutto; la diresti sorta nel tempo, nel quäle, quantunque si desiderasse invano la primiera feconditä delle idee, tuttavia si tentö di rimettere in onore la castigatezza e atticitži deil’ espressione; a questa tonte pare attingessero i retori migliori deli’ epoca romana. E qui ap-punto, nella parte grannnaticale, la prima famiglia (-, L.) e meno segre- gata dalle altre. Di g5 varianti accettate non piCi di 18 appartengono soltanto a questa, e mentre essa ne ha comuni coi principali MSS. della T. 10, con quelli della A.' ne ha 32; 7 si trovano in tutte tre; 12 in 2. L. e in alcuni rami della seconda e della terza; i3 le ha comuni o Z. o L., ma non tutti due, con gran numero di codici; 3 restano dubbie. S’ intende perö che la formazione di queste famiglie non e avvenuta cosi direltamente e semplicemente come noi 1’abbiamo esposta; un copista poteva avere sott’ occhio piü MSS.; poi si facevano aggiunte in margine, si correggeva e ricorreggeva; il caso o il capriccio vi avevano pure la loro parte; di qui le molte e varie combinazioni; alle volte codici cor-rotti e volgari nel resto, seguono in certi passi la tradizione migliore. Ma per non allungare di troppo il lavoro non ci occuperemo di queste divisioni e suddivisioni; ci basta d’avere mostrato, come meglio per noi si poteva, come da un solo ceppo uscissero queste tre famiglie principali, diverse fra loro secondo i tempi in cui ebbero origine. Piü vicina ali’ archetipo e senza dubbio la prima, la quäle mentre forse contiene qualche interpolazione non per anco conosciuta, č, a mio credere, scevra da qualche altra, ehe probabilmente accettarono gli Alessandrini stessi. Quanto piü si corrompeva il buon gusto, tanto piü difficile e oscura diveniva la forma profondamente sentita e meditata deli’ originale; la parola perdendo ognora piü del suo valore civile, veniva ristretta nello studio di eruditi e aridi imitatori; qualche costrutto, qualche espressione pote-vano ancora essere corretti da puristi; ma come guastatosi una volta il giusto sentimento del bello nelle opere d’ arte, pare cosa fredda e monotona la sapiente e schietta semplicitä antica, cosi ora nessuno avrebbe pensato a rendere popolare quella tradizione che piü s’ avvicinava alle parole (quali erano uscite dalla bocca di Demostene. Senza passare a un minuto esame silila distribuzione delle varianti nelle singole parti del-l’orazione, basti osservare ehe, a proporzione, il maggior numero ricorre appunto nel tratto piü bello, ki dove Demostene inveisce contro la gene-razione venale, e la confronta all’integro e nobile pensare dei padri. Dal § 36 cioe al 46 ne abbiamo 34, quasi un quarto delle non accet-tate, e veramente un terzo di quelle che si riferiscono al pensiero, in un settimo deli’ orazione. E invece cosa strana ehe nelle giunte, parliamo delle piü considerevoli, lc lezioni varie siano pochissime e di poco o nessun conto; una ragione di piü, se non c’ inganniamo, deli’ origine loro meno lontana. Cosi la famiglia dei codici Z. L. giacque un po’ alla volta dimenticata, e coi segni e colle tracce dei differenti periodi si venne formando e diffondendo la Volgata. Anzi in quegli stessi due codici furono in vart tempi notate in margine le interpolazioni di cui andavano immuni. Esamineremo in poche parole quelle del secolo XII. in 2. Draeselce, il quäle tratta la nostra questione piü ampiamente e con maggior numero di criteri d’ ogni altro, seguendo un cenno dato gia da Rehdantz (op. cit.), črede quest’ultime giunte genuine, appunto perchč seritte in mg. Z. da quella mano antica. Ma confrontate colle altre ehe mancano, si vede ehe sono di valore non molto diverso, e direi eguale. I N.1 23, 37, 52, sono interpolazioni falte come al solito per facilitare il costrutto; cosi ai N.1 48 e 109 si vuol togliere la singolaritä deli'e-spressione, ma ne va insieme perduta la energia; nelle varianti 82, 117, 120, 127, i3o, 147 senti una riflessione ehe analizzando fiacca la viva parola deli’oratore; pei N.1 2, 132, 148 v. sopra. Ammettendo la genui-nitä di queste lezioni, si dovrebbe pur riconoscere per originali anche parecchie altre piti spontanee e piü necessarie, ma che non sono seritte in mg. 1. da quella medesima mano. Oserei anzi dire, ehe Draeseke non avrebbe nemmeno tentato di difenderle cosl particolarmente, se egli non avesse con ciö creduto di vie meglio convalidare gli argomenti da lui addotti per dimostrare ehe i §§ 6-7 non sono di Demostene. Quanto poi al modo con cui vuole provare che aleune di queste giunte siano state omesse per la somiglianza di certe lettere, ei sembra ehe questa sia la parte meno riuscita del suo bel lavoro. P. es. § 58 sostiene che 2QZE20AI venisse confuso con Z (= xat) TIAEI; e per rendere piü evidente 1’ inganno, prende in considerazione anche parte della penultima parola del testo e parte deli’ ultima della giunta. Ma in tal caso il co-pista doveva o copiare anche questa parte, o omettere anche •/.«i x( oeT; o dalla strana mescolanza delle lettere, se pure qualche cosa intendeva di ciö che seriveva, essere ricondotto sulla giusta via. Ma e perche furono notate in mg. da quella mano antica soltanto quelle 14 lezioni? Intanto osserviamo ehe aleune mancano non solo in pr. S. ma anche in altri codici e dei migliori (v. i N.‘ 23, 52, 117, 127, 147); i N.1 i3o, 147 anche in Arpocrazione, il quäle cita il § 44. secondo S. L Adunque 1’originale di quei MSS., che non puö essere quello della lezione piu breve, non le aveva; e qui come si spiega una tale omissione? Forse col dire che quell’originale derivava da un esemplare della prima famiglia, al quäle erano State seritte in margine aleune di quelle lezioni tralasciate per isbaglio, e poi parecchie delle aggiunte apocrife ? Ma allora tutto il ragionamento va a finire in uno studio di combinazione, col quäle si potrebbero dimostrare tante altre cose. Ma invece pare cosa piü naturale l’ammettere che le postille del sec. XII.0 in 2. siano state tolte da un altro codice qualunque; la scelta dipese dal criterio, dal gusto e dal bisogno individuale del lettore o correttore. Si dirä che questo ä asserire e non provare; ma questa asserzione non contradice almeno al resto dei fatti E perchč si doveva fare un si gran numero di omissioni accidentali proprio nella terza filippica? E perche non piü di due secoli dopo si aggiunsero a quel MS. altre lezioni della Volgata, ma non tutte ancora? Alcuni critici ragguardevoli dissero che un confronto coi passi che retori o grammatici posteriori portano della nostra orazione, potrebbe rischiarare la questione tanto confusa. 11 principio 6 senza dubbio giustis-simo, ma pur troppo venendo all’ applicazione sorgono nuove difficoltä, che intricano quasi ancora piü le vecchie. In primo luogo queste stesse fonti sono spesso corrotte, e si deve essere molto guardinghi nell’ usarne; poi il medesimo citato č fatto ora secondo una lezione ora secondo 1111’ altra; qualche volta il passo, perche meglio s’ adatti al discorso, e riprodotto piuttosto a senso, cioč con espressioni del retore, che a parola, come stava nell’ originale. Si recano luoghi della terza filippica da Dionisio d’Alicarnasso, dal lessicografo Arpocrazione, dai retori P. Elio Aristide, Ermogene e dai eommentatori di quest’ ultimo. Quello che dal confronto si puö dedurre di certo, si č che al loro tempo giii esisteva una lezione piü vicina alla Volgata che a quella di Z. L. (Arpocr. accenna alla varietä dei codici, sv lv{ot;); che aleuno perö conobbe anche questa; che i loro esemplari dovevano essere qua e lil spiegati e commentati, citando essi alle volte in modo del tutto differente dai MSS. ehe abbia-mo; raa un criterio giusto e sicuro sull’ attinenza delle due tradizioni principali fra loro, crediamo ehe beri difficilmente si possa ritrarre da un tale studio. Per ciö che spetta all’ ap^at« žx3o«? (che iorse non e del tutto la stessa cosa cogli „esemplari Atticiani“), pare anche a noi che non sia da dare gran peso a quanto leggesi in Pseudo-Ulpiano; raa d’altra parte ehe non faccia bisogno prendere la parola „edizione“ cosi rigorosamente corae nel linguaggio moderno; potrebbe intendersi di aleuni MSS. inter-polati poi e postillati, ma ehe conservavano ancora i segni della loro origine antica; a ogni modo merita considerazione il fatto ehe la lezione ’.spa, citata da quel commentatore come propria deli’ äp/a(a 'iv.osc.c, si trova solo in S. (XXI. 147). Blass nel suo studio „Della sticometria degli antichi“ (Museum f. Philol. XXIV. p. 524) dice d’avere scomposto la nostra filippica nei suoi •/.wXa o merabri rettorici, e d’averne contato, senza le giunte, 627. II numero degli artyoi sottoseritto alla nostra orazione in 2. e in qualche altro codice, e che molto probabilmente deriva dalle tavole di Callirnaco, e 11; i AAA = 58o. Si e disputato se per mlyoc debba intendersi una linea di serittura o un membro rettorico del periodo; ora pare fuori di dubbio ehe sia da accettarsi la seconda spiegazione. Ma come deve poi essere conformata una tal parte oratoria, o per dir meglio, come la com-prendevano gli antichi? Blass pone aleuni principi, secondo i quali egli ha diviso appunto 1’orazione; ma molto di ciö dipendendo dal sentimento e dali’ energia individuale di chi parla, e dalle attinenze della parola o con cose gii\ dette, o coi fatti presenti, o colla capacitä e coll’indole degli uditori, la definizione resterä, a nostro credere, finche non s’ avranno ulteriori aiuti, sempre incerta; antichi commentatori citano talvolta uno di due o tre linee, tal altra uno di una sola parola (v. Voem. p. 222). Comunque sia, le osservazioni di Blass sono piuttosto favore-voli alla lezione piii breve ehe alla Volgata. Questa filippica pose in certo modo la corona alle parole del grande oratore e patriotta. 1 pensieri e i sentimenti ehe animarono le altre orazioni politiche, resi pili potenti col progredire degli anni c dali’ incal-zare degli avvenimenti, in quest’ ultima si concentrano in sapiente e terribile accordo; arte e ispirazione in giusta armonia s’equilibrano; aleune parti splendono di tale bellezza, ehe si possono raeritamente con-frontare con certi squarci di sublime eloquenza in Dante. Macaulay di-ceva (Saggi III. 95): „d’aver udito osservare dagli statisti piü eloquenti del secolo, ehe dopo Demostene, Dante sia lo serittore ehe deve essere piü studiato da chiunque desidera pervenire al soramo nell’ arte oratoria“. Ma di tutte le orazioni dell’Ateniese questa segnatamente e degna d’essere posta vicina ai canti del poeta Fiorentino. L’amore di Demostene per Atene qui si mostra in tutta la sua mirabile virtü; egli fa voti ehe la sua cittii consegua il primato deli’ Ellade, non mossa da egoismo, ma da amore di vera grandezza; per diritto d’intelligenza c piena dellc memorie dei padli ella deve i'accogliere gli altri intorno a se. Ma la generazione contemporanea lo angustia; q Lies ta non piti aspira ad opere generöse, ma si diletta di parole e di lusinghe; ond’ egli presente che il barbaro, il quäle ricco d’avvedutezza con ogni mezzo la insidia, avrä in fine la vittoria. Considerazioni e avvenimenti, consigli dettati da puro desiderio di bene e sentenze di sapienza umana e civile si alternano e congiungono sotto 1’alito d’una fiamma, che sorge dali’ intimo deli’a-nima; entusiasmo e ironia, incoraggiamento e disperazione accompagnano la parola prudente, il giudizio assicurato dalla lunga esperienza. Quest’atfetto e quest’ammirazione di Demostene per Atene non erano solamente conseguenza di mature considerazioni, ma sentimenti nati in lui ancora nel tempo della sua educazione. Le storie di Tucidide facendogli conoscere quanto grandi fossero tuttora la vitalitä e la forza di quella nazione che si accusava e distruggeva da se stessa, avevano eccitato in lui un desiderio immenso di ricondurla all’ antica grandezza coli’ esempio degli avi, i quali avevano combattuto contro un comune nemico. E mentre egli scorgeva altrove odi e egoismo, lo innamoravano i sentimenti e le istituzioni di Atene, la quäle difendendo la libertä degli altri stati parve talvolta sapientemente accordare le idee di potenza e di giustizia. Giä in una delle prime orazioni (XVI. 15) egli dice che e ufficio di quella cittä il „salvare gli offesi“ ; mentre i cittadini di Sparta invano ambiscono d’essere chiamati umani. E poco tempo dopo (XV. 22): „Voi avete fama di aiutare sempre gl’infelici“. E piü tardi (VI. 8 segg.): „Voi non tradireste mai per un vostro utile privato nessuno degli altri Greci. . . questa e la piü bclla lode che si possa dire di voi... Perciö Filippo fa guerra, e terribile guerra, a voi“. ib. 3o: „Voi dimenticatc t'acilmente le olfese“. VIII. 42: „Siete tali non da soggiogare, ma da ricondurre a libertä gli altri popoli.“ Onde giä per tempo consigliava (XIV. ö): „non dovete permettere che cadano in mani barbare nem-meno i vostri nemici“. XV. 4: „Non vi e per voi bene piü grande del godere la fiducia e 1’amore spontaneo degli altri“. ib. 21 : „Aiutate gli altri come vorreste che essi un giorno aiutassero voi“. Quindi, sebbene amante della sapienza di Socrate e studioso e ammiratore di Platone, non si senti mai portato a lodare la severitä spartana, che del resto ai suoi tempi piü non esisteva che di nome; egli Ionio nel profondo deli’anima non sa togliere la mente dali’ Acropoli, giii signora e incivilitrice dei mari. Lä riposa tutta la sua fede. Ma allato a questa doveva sempre trovarsi il dolore. Dolore e speranza s’ avvicendano continuamente in tutte le orazioni politiche; piü potente che mai ne e il contrasto nell’ ul- tima. I fatti sono giunti a tale, che strappano all’oratore parole non di timore ma di disperazione; eppure il suo entusiasmo per il nome e per la gloria di »Atene in questa filippica s’accende piü che in qualunque altra; 1’oratore s’ afferra quasi alla storia del passato per rappresentarla ai degeneri nipoti, e ricordar loro, che a loro segnatamente incombe il dovere di riunire e di salvare gli altri. „I Greci, gli altri Greci, tutti i Greci“ sono nominati ora con amarezza ora con alfetto, o ammonendo o rimproverando, in quasi tutte le orazioni politiche; ma nella nostra il contrapposto fra essi e la cittii e cost urgente e ripetuto da divenire quasi il pensiero principale. A un sentimento cos'i vero e profondo del-l’ecccllenza e dei doveri di Atene si puö ben perdonare se egli speravu ancora nella sua nazione; e non 1’ ingegno ne la potenza, non le promesse ne i successi fortunati di Filippo lo allettassero punto. Ma questo nol trattenne dal biasimare la sua cittži in faccia a tutta 1’ Eilade, anzi ancora piči lo spinse a farlo. Quanto piü luminoso č il ricordo del passato, tanto piü spaventevole e la pittura ch’ egli fa delle presenti condizioni; quanto piü funesta entra la discordia fra i singoli stati, tanto piü severamente deve risponderne la cittä; la rovina sarä universale e tremenda, senza esempio la vergogna di Atene. Nelle altre ora-zioni 6 castigato quando un difetto quando un altro; il biasimo ora colpisce 1’inerzia e la trascuratezza, ora l’adulazione e la lusinga; lo stato corre grave pericolo o pei cittadini spensierati, o pei demagoghi venduti, o pei reggitori ambiziosi; cogli anni rimprovero s’aggiunge a rimprovero; nella Chersonesitica giä tutte le colpe sono coraggiosamente e fieramente flagellate; ma nella nostra con rigore di filosofo e fuoco di cittadino egli cerca la causa prima d’ogni male; e col giusto sentimento che fino a tanto chef quella durerä, sarä vano ogni tentativo di salvezza, condanna i rei all’ abominio. II contrasto fra le parole e i fatti e accennato in tutte le orazioni o con seria riprensione o con lampi d’ironia; ma in questa, malgrado le lunghe sfuriate contro Filippo, le cose sono giunte a tal punto, che nemmeno con animo deliberato si potrebbero rendere peggiori; perche non la libertä della parola, che tu gloria di Atene, regge le adunanze, ma la licenza che calunnia i migliori e accarezza i colpevoli. L’infingardaggine tante volte ripresa ha trasmu-tato quei cittadini; non sono Ateniesi che ha vinto Filippo, ma una gente oziosa e pigra 5), che, come ammalato preso da febbre, guarda con occhi insensati al vicino, se mai 1’aiuta (§ 29). La mania e la catti-veria di gettare la colpa adilosso agli Ultimi che hanno parlato, e che con onesta intenzione consigliavano il bene della repubblica, sono parti-colarmente notate I. 16; VI. 34; VIII. 5y; nella nostra tentö farlo 1’ interpolatore con quella sua strana giunta. Ma per non dire che quello non era ne il momento ne il modo, egli non bene intese come questa orazione si distingua appunto da tutte le altre per 1’ universalitä delle cose esposte e giä riconosciute da tutti, ma da tutti neglette, perche il buon seme degli animi incorrotti e leali si va .oramai perdendo. Anche di se stesso tace qui l’oratore. I fatti premono, e giä vicina e 1’ora estrema, onde il fermarsi a bella posta per discutere sul sindacato, che si terrä poi in fine, riusciva ora una cosa fredda e stentata; basta-vano le brevi parole, ma plerie di dolore, che pongono fine all’ esposi-zione delle disgrazie toccate a tante cittii, le quali si lasciaröno lusingare dai tristi (§ 65): „Giunti all’estremo punto, mille volte meglio la morte, che cömpiacere in cosa alcuna a Filippo“; parole che danno un carat tere tutto proprio all’orazione. Cos'i alle continue e calde esortazioni perche i cittadini contribuiscano ed escano essi stessi in campo guidati da capitani, e non da mariuoli, che preferiscono la morte dei ladri a quella degli eroi (IV. 47), qui sottentrano pochi cenni in sul finire del-1’orazione; il male č cos'i grave che questi provvedimenti sono in certa guisa sottintesi; altri e piü severi fanno prima bisogno, tali che lo vin- cano nella sua radice. Quindi 1’oratore domanda: come mai c’e venuta addosso tanta sciagura? Quäle ne e la vera e prima causa? E mentre dell’aviditä e deli’avarizia egli aveva parlato giä altre volte, o accusando direttamente i colpevoli, come nella XIX, o cercando d’aprire gli occhi al popolo ingannato, come nella III e nell’ VIII, qui senza piti ritegno alcuno, accomunando governo e governati, inveisce contro la cittä delle libere istituzioni e delle nobili memorie, ora mutata in mercato, dove chi intasca 1’oro straniero se ne vanta pubblicamente, e i cittadini ap-plaudiscono e fanno festa. lo čredo ehe solo in Dante si trovino luogiii degni d’ essere confrontati con questi del nostro. Nato e 1’uno e 1’altro in cittä piena d’intelligenza e di squisito gusto nell’arte; ricca d’una lingua varia, armoniosa, evidente; signora di se stessa e, nel tempo della sua libera potenza, ribelle ad ogni soverchieria interna o esterna, ina insieme volta alle passioni popolari, alle parti e alla discordia; ambedue arami-ratori delle glorie passate, con tutta 1’ anima avversi ai capricci della plebe e ai fastid! dei grandi, e ai quali la parola esce dalla persuasione profonda; per quanto diversi fossero del resto i loro ingegni, i tempi e le condizioni, s’ incontrarono ed accordarono in modo singolare nella lode e nel biasimo dato da ciascuno di loro alla sua patria. Basta leg-gere la fine del VI canto del Purgatorio. Anche lä lo stato ž paragonato a nave in tempesta (v. 77 e § 69); č corroso e disfatto dagli odi di parte (v. 83, r 15 e § 28); i prudenti desiderano di unire 1’opera alla parola, e per questo sono parchi nel consigliare; ma il popolo di Firenze ha „la giustizia in sommo della bocca“ (v. i3a e § 1); il poeta teme quasi che tanta sventura sia „preparazion fatta nell’ abisso del consiglio divino“ (v. 121 e § 54). E infine le molte leggi fatte e disfatte dai Fiorentini ricordano i vuoti decreti degli Ateniesi; e la cittä che come „inferma con dar volta suo dolore scherma“, Atene che si difende da Filippo come i pugilatori barbari, i quali altro non fanno ehe tenere la mano alla ferita, ma 11011 lian 11 o coraggio di guardare il nemico in faccia e di avventarsegli sopra (v. 151 e IV. 40). E come in Demostene, cosi in Dante la parola s’avviva e s’affina nel dolore profondo, donde esce con espressione ora d’ amara ironia, ora di terribile invettiva. I principi politici deli’ oratore riassunti in poche parole sono: governo democratico nell’interno; equilibrio politico fondato sulla giustizia cogli altri stati di fuori. E nelle prime orazioni, e sempre, egli insiste perche si rechi aiuto alle cittä libere pericolanti, e si dubiti delle promesse e dei patti dei governi oligarchici; onde piti ehe dai baluardi e dai valli le repubbliche sono difese e assicurate contro costoro dalla sfiducia (VI. 24). Ma la giustizia deve sedere allato d’ogni istituzione, e accompagnare ogni impresa; Filippo stesso desterebbe in lili sentimento d’ ammirazione, se egli lo vedesse fatto potente con mezzi giusti (II. 6). Gli stati ehe si reggono colla violenza e coll’inganno nascondono la parte marcia nello splendore di un certo benessere; ma un urto solo basta talvolta a farli precipitare (ib. 21). Per ci6 nella questione dei Rodiani sosteneva ehe era dovere degli Ateniesi appoggiare con ogni studio la parte giusta; e soggiungeva che quanto piti persuasi eglino fossero della veritä di queste parole, tanto meno toccherebbe poi loro di soffrire (XV. 8). Giustizia inoperosa e viltä (ib. 28). Ma pur troppo tali principi oramai piti non basta- vano alla salvezza della cittä; gli abitanti di questa non erano piii veri e schietti Atenicsi, ma come avrebbe detto Dante „cittadinanza mista“ (Par. XVI. v. 49); a loro non importava gran fatto del bene e della gloria di Atene, ma solamente dei loro guadagni privati; onde 1’idea di giusiizia non poteva essere da loro compresa nel suo nobile significato, e molto meno poteva muoverli a proteggere e ad aiutare gli altri. Cosi perdendosi il sentimento di questa virtü, la democrazia perdeva la parte sua piti vitale. Invece ognora piti potente e temuto diventava il Macedone, e la profezia di Demostene pareva dileguarsi in nulla. Questo contrasto da alla nostra orazione, non in maniera artificiosa ma naturale, un’ espressione tragica. Quel re insolente (IV. 3. ecc.), millantatore (ib. 9), ebbro della sua forza e vanitoso (ib. 49); infedele e spergiuro (II. 5), ingannatore (ib. 7), avido e malvagio (ib. 9), oltre ogni dire ambizioso e dissoluto (ib. 18 seg.); in una parola „quell’ abominio d’un Macedone“ (IX. 3i) ha pošto il piede sul collo di tante cittä, bandisce i giuochi pitici, mi-uaccia Atene e tutti di schiavitti e di vergogna; eppure nessuno gli dä noia, ma si gode senza paura del suo trionfo. L’ oratore con impeto ognora crescente aggiunge prova a prova deli’ oltracotanza del re; e come il rombo del vento ehe porta la procella; a un certo punto le parole si mutano in gemito disperato: la barbarie, ma insieme il vigore, di una gente nuova hanno giži vinto la civiltä, ma insieme la mollezza, d’ un popolo nobile. Tutta la storia deli’agire di Filippo contro Atene e la Greda č in questa orazione non solo riassunta ma considerata in tutte le sue attinenze; gl’ inganni, le violenze e gli oltraggi commessi dal re e dalle sue creature sono toccati con efficace rapiditä che colpisce e spaventa. Olinto e la Focide tradite e distrutte; il Chersoneso, Megara, 1’Eubea, la Tracia, il Peloponneso giä sotto 1'unghia deli’ astuto Macedone, ehe prepara 1’ultimo colpo contro Atene; i Tessali ingannati e con insulto spogliati delle loro costituzioni; Corinti, Achei, Etoli, Tebani offesi e derubati; la parte popolare d’Oreo e d’ Eretria tiranneggiata e spenta. L’evidenza di tanta sciagura č accresciuta dalle imagini, ehe con tratti potenti rischiarano quegli avvenimenti, e ne danno in pari tempo la ragione. Le soverchierie di Filippo nei singoli stati sono quasi macchine da guerra ehe vengono a mano a mano avvicinate alla rocca principale e piti salda (§ 17); innanzi al pericolo ehe tutti minaccia, tutti stanno irresoluti e inerti; come fra gente preša da febbre periodica, ciascuno e contento ehe il malore non colga lui, ma del resto nulla fa per tenerlo da se lontano (§ 29); l’ingiuria di Filippo non offende una sola cittä, ma la nazione intiera; eppure ciascuno, come gli agricoltori, si chiama beato ehe la grandine non percuota i suoi campi, e guarda indifferente la desolazione di quelli „che arati ei non ha“ (§ 33); oramai la repub-blica č nave sbattuta d alla tempesta, e guai ai cittadini ehe aspettano ehe il mare la sopraffaccia; allora ogni sforzo sarä vano (§ 69). Ma sebbene la speranza giä venisse oscurandosi anche nel cuore di Demostene, pure quell’ orazione scosse gli uditori, ehe diedero ancora una volta prova di sentire torte c magnanimo. Fu 1’ultimo raggio deli’antica virtii, la quäle, mentre i prodi di Cheronea soccombevano alla tattica macedone, ricordava come i padri loro combatterono un tempo e vinsero altro formidabile nemico, ehe preparava Io sterminio a tutta la nazione. Come abbiamo osservato, questa Filippica ottenne almeno ehe Atene non perdesse la sua libertä ignominiosamente. Ma i fatti ehe seguirono a quell’infelice battaglia furono chiara e terribile prova di quanto 1’oratore era andato continuamente dieendo ai suoi concittadini. Non mancarono poi accuse e calunnie, ehe ne offendessero e vituperassero il nobile agire; segno ehe la cittži ben meritava la nuova tirannia. E forse egli aveva preveduto anche quest’ora, quando con franca parola assicurava innanzi a tutto il popolo ehe solamente amore, e vero amore, del pub-blico bene lo nioveva a parlare in quella guisa, senza nessuno rispetto al proprio utile privato, anzi alle volte colla certezza ehe a lui ne ver-rebbe danno. v. XIV, 33; XVI. 32; XV. i5; IV. 51; I. 4; III. 21; V. 12 ecc. Ma piti di tutti splendido 6 il passo VIII. 70 segg., ehe a momenti ricorda la difesa di Socrate. A prova di quanto abbiamo detto intorno al carattere deli’ oratore, lo aggiungeremo qui in fine, tradu- cendolo come meglio potremo. „Tanto sono lontano dali’ emulare eostoro ehe vi accarezzano, o dal crederli cittadini degni dello stato, ehe, se aleuno mi domandasse: dimmi, e tu che hai fatto di bene alla nostra cittä ? mentre pure avrei, o Ateniesi, da nominare e trierarchie, e coregie, e contribuzioni di danaro, e riscatti di prigionieri, e altre simili opere d’ umanitä, nulla direi di tutto questo; ma bensi ehe non m’ immischio punto nei governi di questa gente; e ehe, potendo forse anch’io come gli altri e accusare, e lusingare, e proserivere, e tare quanto vanno facendo eostoro, giammai mi diedi ad aleuna di simili cose, nč mi lasciai sedurre o da guadagno o da onori; ma continuo a dire quello, per cui io sono nella vostra opinione da meno di molti, ma voi, se m’ obbedite (e čredo di non troppo presumere), sarete piti potenti ehe non ora. Che non mi pare cosa degna d’un eittadino amante del giusto il trovare tali maniere di governo, per le quali io divenga prestamente il primo fra voi, e voi restiate gli ultimi di tutti“. Questa profonditä di persuasione e tutta propria di Demostene, la quäle mentre infonde alla sua parola una singolare potenza, ne onora altamente la vita politica, e Io difende dalle accuse ingiuriose, di cui lo fecero segno censori antichi c moderni. Giž» in una delle prime orazioni e detto (XV. 25): „E una assurditä ehe v’ insegni ad amministrare la giustizia chi non opera il giusto“. E nella IV. 38: „E un obbrobrio ingannare a bella posta sc stessi“. II. 27 : „Non si puö indagare con severitä ciö che 6 stato fatto dagli altri, se prima non abbiamo fatto noi il nostro dovere“. III. 32: „Con-cepire pensieri nobili e generosi non puö chi opera con grettezza e con viltä“. E nelFVIII. 43: „Se non sarete persuasi nel fondo deli’anima che Filippo e vostro nemico, non avrete nessuna sollecitudine per le cose vostre“. E colla medesima intima sicurezza, e forse non senza prc-sentire ciö ehe un giorno sarebbe toccato a lui stesso nel tempio di Poseidone in Galauria, dopo narrati nella nostra orazione gli oltraggi fatti dal popolo ad Eufreo, e la sventura, onde Oreo fu colpita, sog-giunge (§ 62): „Ed Eufreo uccise sc stesso, testimoniando coli’ opera ehe giustamente e onestamente aveva per il bene dei cittadini fatto fronte a Filippo“. Mori un anno dopo Alessandro. Agli inni dei nemici suoi c dei cortigiani dclla casa di Macedonia per le imprese favolose del giovane G guerriero egli avrebbe potuto rispondere additando i disordini e le vio-lenze che seguirono in Grecia alla morte dcl principe, c finirono col sotfo-care ogni alito generoso di vita cittadina. Allora si adempiva il presagio deli’ oratore, che il regno di Filippo, non fondato su principi di giu-stizia, avrebbe dovuto funestamente rovinare. Agli abitanti di Grecia le conquiste nell’ Asia erano magro compenso pei delitti e la barbarie rafti-nata dei Diadochi, e per la schiavitü che si voleva imporre a tutta la nazione. Demostene avrebbe desiderato che non la forza e la prepotenza s’ impadronissero del fracido imperio di Persia, ma che lo vincessero la civiltä e 1’ umanitä di Atene. Ma pur troppo anche i destini dell’ Ellade erano compiuti. Di nuovo e di singolare ella per se stessa non doveva produrre piii nulla. Demostene muore nel medesimo anno di Aristotele; 1’ ultimo uomo di stato e 1’ ultimo filosofo veramente grandi. L’ uno guarda con dolore al passato, 1’ altro scrutando accenna all’ avvenire. CORPO INSEGNANTE Direttore: i>Iatt<*i Pietro, insegnö nel I Sem. lingua preča nella classe VI, ore 5 per settimana nel II lingua greca ib. e matematica nella classe II A, ore 8 per settimana. Professori ordinari: («osetti Lorenzo, Dottore in Matematica, insegnö matematica dalla V—VIII classe fisica nelle classi VII e VIII; ore 18 per settimana. Bastian Don Matteo, Catechista, insegnö religione cattolica in tutto il Ginnasio; ore 22 per settimana. Greiff Gioele, insegnö lingua greca nella classe VII, lingua latina nella V e VIII; ore i5 per settimana. Honussi Bernardo, Dottore in Filosofia, insegnö storia e geografia nelle classi II A, 111 B, V, VII, VIII, propedeutica filosojica nelle classi VII e VIII; ore 21 per settimana. Cappelletti Basilio, insegnö lingua latina c greca nella classe IV, lingua latina nella VI; ore 16 per settimana. (•elcicli Pietro, insegnö lingua latina c greca nella classe III A, lingua latina nella VII; ore 16 per settimana. Visiutiili Edoardo, insegnö storia naturale e matematica nelle classi II A e B (nella II A matematica il I Sem.), storia naturale in V e VI, ßsica in III A e B; nel 1 Sem. ore 22 per settimana; nel II ore 19. (•roiff Iginio, insegnö lingua latina e italiana nella classe I A, greca nella V; ore 17 per settimana. Szombatholy Gioachilio, insegnö lingua e letteratura italiana dalla III B—VIII classe; ore 18 per settimana. Cristofoliui Cesare, insegnö lingua latina e italiana nella classe II B, lingua latina nella III B, lingua greca nella VIII; ore 23 per settimana. Weildlenner Carlo, insegnö lingua tedesca nelle classi III B—VIII; ore 18 per settimana I Professori supplenti: Battistella Michel«*, insegnö lingua latina e italiana nella classe I B, italiana nella III A; orc i5 per settimana. Ferianeieli Francesco, insegnö lingua tedesca nellc classi I A e B, II A e B e III A; ore i5 per settimana. Ptischi Alberto, insegnö geografla e storia nelle classi 1 A e B, II B, III A, IV, VI; ore 20 per settimana. Zenker Antonio, insegnö matematica c storia naturale nelle classi I A e B, materna tiča in III A e B, matematica e fisica nella IV; ore 24 per settimana. Pernecher Giacomo, insegnö lingua latina e italiana nella classe II A, lingua greca nella III B; ore 17 per settimana. Maestri incaricati: Majonica Giuseppe, insegnö religione israelitica dalla I (A c B) — III (A e B) classe; ore 6 per settimana. Servadio Giuseppe, insegnö religione israelitica dalla IV—Vlil classe; ore 4 per settimana. Maestri straordinari: Zernitz Enrico, insegnö il disegno. Anton,i (de) Giovanni, la calligrafia. Calegari Giuseppe, la stenografta. Gli scolari inscritti alla ginnastica furono istruiti nella Palestra civica diretta dal sig. Lorenzo de Reya. PIANO DELLE LEZION1 per 1' anno scolastioo 1880-81. STXJIDI D’OBBLIGO. CLASSE I A e B. Capoclasse di I A: Sig. Iginio Greiff. Capoclasse di I R: Sig. Michele Battistella. Religione cattolica. — Due ore per settimana. Catechismo. Spiegazione del simbolo apostolico, dell'orazione dominicale, del decalogo e dei precetti della chiesa, della giustizia cristiana e dei quattro Novissimi. M. Bastian. Religione israelitica. — Un’ ora per settimana. Lettura del Rituale con traduzione letterale delle principali preghiere. Grammatica ebraica. Regole di lettura. Storiä sacra. Dalla creazione del mondo sino all’ ingresso degl’ Israeliti nella terra promessa. Esercitf di calligrafia rabbinica. G. Ma.jüllica. Lingua latina. — Otto ore per settimana. Grammatica. Declinazioni, Comparazioni, Numerali, Pronomi, Conjugazioni regolari. Lettura. Schultz. Applicazione delle regole grammaticali;esercizidi memoria. Cbmpiti. Secondo il piano. I. Greiff 0 A). M. Battistella (l B). Lingua italiano. — Quattro ore per settimana. Grammatica. Teoria dei nomi, aggettivi, pronomi e verbi. Regole spe-ciali intorno al genere dei nomi, alla formazione del plurale, all’uso dell’articolo, degli aggettivi indicativi e dei pronomi; teoria della proposizione semplice e eomposta. Lettura. l.etti e spiegali vari brani con riguardo alle regole grammaticali ; alcuni a memoria. Compiti. Secondo il piano. I. Greiff (I A). M. Battistella (I B). Lingua tedesca. — Tre ore per settimana. Grammatica. Fonologia; declinazione dell’articolo, nome, aggettivo, nome numerale e pronome; conjuga/.ione dei verbi ausiliarl e deboli. Traduzione dei §§ i — i5o. (Claus) Gram. § i — ioq. Cbmpiti. Secondo il piano. F. Ferianeiell. Geografia. — Tre ore per settimana. Elementi di geografia astronomica, fisica e politica. Cenni particolari intorno agli Stati d’ Europa e d' America. I-ettura di carte geografiche. A. Pusclii. Matematica. — Tre ore per settimana. Aritmetica. I.e quattro operazioni con numeri astratti e concreti, com-plessi ed incomplessi, interi e decimali. — Divisibilitk dei numeri, massimo comune divisore e minimo comune multiplo. — I.e quattro operazioni colle frazioni ordinarie. Geometria. Introduzione. Punti, linee, angoli, triangoli e quadrilateri. A. Zenker. Storia naturale. Tre ore per settimana. Zoologia. Mammiferi — Uccelli — Rettili — AnfibJ — Pesci — Insetti — Aracnidi — Miriapodi — Crostacei — Molluschi — Vermi — Echinodermi — Celenterati. — Descrizione delle specie piü importanti con riguardo ai carattnri de’ singoli gruppi. A. Zenker. CLASSE II A e B. Capoclasse di II A: Sig. Giaconio Perneclier. Capoclasse di II B: Sig. Cesarc Cristofolini. ffeligione cattolica. — Due ore per settimana. Catechismo. I SS. Sacramenti: la Giustizia cristiana; i quattro Novissimi. Liturgia. Dei tempi sacri, ossia delle domeniche e feste della Chiesa cattolica. M. Bastian. Religione israelitica. — Un’ora per settimana. Lettura c grammatica ebraica, Come nella classe I. Storia sacra. Dali’ingresso nella terra promessa sino r.U’istituzione della dignita reale. Eserci\i di calligrafia rabbinica. (i. Majoiliea. Lingua latina. — Otto ore per settimana. Grammatica. Ripetizione delle forme regolari colla maggior parte delle relative eccezioni. Verbi irregolari, difettivi, impersonali, avverbt, preposizioni, congiunzioni, teoria delle concordanze; all’occasione alcune delle regole piü importanti della sintassi. Lettura. Furono tradotti dallo Schultz tutti gli esercizt relativi ai §§ della Grammatica ed alcuni brani contenuti nella Parte terza. Vocaboli e modi di dire appresi a memoria. Cbmpiti. Secondo il piano. (A. Pemecher (II A). C. Cristofolini (II B). Lingua italiana. — Quattro ore per settimana. Grammatica. Preposizioni, pronomi c cougiunzioni. Teoria della propo-sizione semplice e complessa; periodo e sue parti; proposizioni dipendenti. Lettura e analisi di brani prosastici e poetici. Esercizi di recitazione. Compiti. Secondo il piano. G. Perueclier (II A). C. Cristofoliui (II B). Lingua tedesca. — Tre ore per settimana. Ripeti^ione delle declinazioni. Teoria dell’aggettivo, sua declinazione, comparazione e reggenza; del numerale; del pronome; dei verbi ausiliart e deboli, loro formazione e conjuga-zione. Forma passiva del verbo. Principi fondamentali dei verbi forti. - Esercizi analoghi del libro di testo dal § XI.IV—LXIV. Frequenti dettati di favole tedesche e loro memorazione. Compiti, Secondo il piano. F. Feriaucich. Ceografia e Storia. — Quattro ore per settimana. Geogra/ia. Due ore. Riassunto della geografia, matematica e lisica. Gli stati dell’Africa, dell’Asia e deli’Europa meridionale ed occidentale; sguardo oro-idrografico di questi continenti. Esercizi cartografici. Storia. Due ore. Personaggi ed avvenimenti piii importanti della storia orientale, greca e romana fino alla caduta deli’impero d’Occidente. Dr. licmissi (II A). A. Pusclii (II B). Matematica. — Tre ore per settimana. Aritmetica. Le proporzioni, la regola del tre semplice e i calcoli di un tanto per ogni cento. Geometria. Poligoni, superficie delle figure rettilinee, teorema di Pitagora. Trasformazione delle figure rettilinee e loro partizione. Somiglianza dei triangoli. P. Mattei (II A). E. Visiutini (II B). Storia naturale. — Tre ore per settimana. I." Sem. Mineralogia. Nozioni generali e descrizione de’ minerali e delle rocce piii importanti. II.“ Sem. Botanica. Nozioni generali c descrizione delle piante piii comuni e delle piii importanti con riguardo ai caratteri delle relative famiglie. E. Yismtiui. CLASSE III A e B. Capoclasse di lil A: Sig. Pietro Gelcicli. Capoclasse di III B: Sig. Gioacliiuo Szoinbatliely. ftetigione cattoiica. — Due ore per settimana. Storia deli’antico Testamento, Geografia della Terra Santa. ni. liastian. ftetigione israelitica. — Un’ ora per settimana. Lettura del Pentateuco e versione del primo libro „Genesi“ Cap. I. Grammatica ebraica. Teoria del nome e del pronome. Storia Sacra. Dall'istituzione della dignita reale fino alla divisione del regno. Esercizi di calligrafia rabbinica. G. Majonica. Lingua latina. — Sei ore per settimana. Grammatica. Teoria dellc concordanze e dei casi. Uso del riflessivo. Ablativo assoluto. Gerundio. Supino. Lettura. Cornelio Nipote. Analisi grammaticale. Traduzione e spioga-zione della maggior parte delle biografie. Compiti. Secondo il piano. P. Gelcicll (III A). C. Cristofoliui (lil B). Lingua greca. — Cinque ore per settimana. Grammatica. Dal principio deli’ Elimologia lino al perfetto. Lettuva. Analisi e versione degli Esercizi di Schenkl relativi, cioe dal I al LXIII. Vocaboli a memoria. Compiti. Secondo il piano. F. Gelcicll (111 A). G. Peruecher (Hl B) Lingua itaiiana. — Tre ore per settimana. Grammatica. Ripetizione deli’ Etimologia e della Sintassi. Lettura di brani scelti in prosa e in versi, con minuta spiegazione. Compiti. Secondo il piano. M. Battistella (III A). G. Szombatliely (111 B). Lingua tedesca. — Tre ore per settimana. Teoria generale del verbo: sua divisione e conjugazione, verbi ausiliari, deboli, forti, misti, riflessivi, impersonali, modali, irregolari; reggenza dei verbi. Costruzione tedesca nelle proposizioni semplici e complesse, principali e secon-darie. Versione di alcune narrazioni tedesche. Esercizi analoghi del libro di testo. Compiti. Secondo il piano. F. Feriancich (III A). C. Wendlenner (III ß). Storia e Geografia. — Tre ore per settimana. Storia. Un’ ora. Avvenimenti principali della storia del Medio-Evo. 1 paesi della Monarchia austro-ungarica da Carlo Magno a Ferdinando I. Geografia. Gli stati d’Europa meno 1’Austria-Ungheria; I’America, l’O- ceania e le terre polari. Nozioni elementar! di fisica terrestre. Delineazione di carte geografiche. A. Pusclii (lil A). Dr. Benussi (III B). Matematica. — Tre ore per settimana. Algebra. Le quattro operazioni con quantita algebriche. Potenze e radici quadrate e cubiche. Permutazioni e combinazioni. Geometria. II cerchio. Misura della circonferenza e deU’area del mede-simo. Nozioni intorno all’ellisse, la parabola, l’iperbole, Ia linea spirale ed ovale e la cicloide. A. Zenker. Fisica. — Tre ore per settimana. Proprietä generali dei corpi. I principali corpi scinplici e le combinazioni chimichc piü importanti. II calorico, colle leggi e cogli strumenti piü importanti che vi si riferiscono. Tensione dei vapori, macchina a vapore. — Idrostatica.— Aerostatica. E. Visiiitiiii. CLASSE IV. Capoclasse: Sig. Basilio Cappelletti. Religion e cattolica. — Due ore per settimana. Storia del Nuovo Testamento. M. Bastian. Religione israelitica. — Un’ora per settimana. Lettura del Pentateuco e versione della „Genesi“ c. 1—X. Grammatica ebraica. Regole di lettura. Storia dalla divisione del regno d’lsraele sino alla rine del regno di Giuda. Catechismo. G. Servadio. Lingua latina. — Sei ore per settimana. Grammatica. Ripetizione deli’Etimologia. Tutte le regole principali della sintassi. Alcuni elementi di metrica e di ritmica. Lettura. Cesar e, de Bello Gallico. I.ibri l e VI. Frequenti esercizi a memoria. Ovidio, brani scelti. Compiti. Secondo il piano. B. Cappelletti. Lingua greca. — Quattro ore per settimana. Grammatica. Curtius. Tutta 1’Etimologia. Lettura. Esercizi 60 100. Traduzione e analisi di alcune favole di Esopo. Esercizi a memoria. Compiti. Secondo il piano. B. Cappelletti. Lingua italiana. — Tre ore per settimana. Grammatica. Ripetizione deli'etimologia e della sintassi; sinonimi, deri- vazioni e raffronti col latino. Le piit importnnti forme di serittura e di stile; del linguaggio proprio e rigurato. Precetti ed esempi. I.ettura e spiegazione dei migliori componimenti in versi e in prosa, scelti dali’Antologia. Tutte le poesie a memoria. Esercizi di recitazione. Compiti. Secondo il piano. G. S/OIllliatliely. Lingua tedesca. — Tre ore per settimana. Lettura. Müller: Traduzioni dal tedesco in italiano e dall’italiano in tedesco. La reggenza dei verbi, 1’ avverbio, le preposizioni, coi relativi esercizi a voce ed in iseritto, esercizi tedeschi di analisi logica e grammaticale. Compiti. Secondo il piano. C. Weildleiiuer. Storia e Geografia. — Quattro ore pur settimana. Ripetizione della Storia del Medio Evo da Rodolfo d'Absburgo. Sloria moderna fino al 1815, con particolare riguardo ai fatti ehe si riferiscono alle provineie austriache. Geografia e statistica deli’ irapero austro-ungarico. — Delineazione delle rispettive carte geografiche, secondo il metodo di G. Wen z. A. Pusehi. Matematica. — Tre ore per settimana. Aritmetica. Rapporti composti, proporzioni, regola del tre composta. — Calcoli di societh, di alligazione, della seadenza media, di catena, deli’ interesse composto con relativi esercizi pratici. Equa^ioni di i." grado. Geometria. Posizioni di rette e piani nello spazio. — Angoli solidi. — 1 corpi poliedrici e quelli a superficie curva. — Calcolo della loro superficie e dei loro votumi. A. Zeilkcr. Fisica. — Tre ore per settimana. Statica e dinamica — Le maechine semplici — Acustica — tClettricitä e Magnetismo — Luce — Calore raggiante — Punti principal! deli’Astronomia e della geografia fisica. A. Zenker. CLASSE V. Capoclasse: Sig. Gioele Greift'. Religione cattolicn. — Due ore per settimana. Religione in genere e prova por la veritii della religione cattolica. m. liastian. Religione israelitica. — Un’ ora per settimana. Lettura e versione della „Genesi“, c. i —13. Storia sacra. Dal regno d’Acabbo sino ali’esilio babilonese. Catechismo. Grammatica. Regole di lettura e il nome. G. Servailio. Lingua iatina. — Sei ore per settimana. Grammatica. Riassunto dei capitoli XXVIII, XXIX, XXX, XXXVIII, XLV e XLVI. Lettura. Livio: Prefazione. Libro VI, c parte del XXII. O v i d i o: Metam. I, 89—415; II, 1—366; III, 511—733; VI, 146—312; VIII, 183—235; XI, 85—193; XV, 745—860. Preparafioni. Cömpiti tre al mesc: due domestici ed uno scolastico. G. Greift’. Lingua greca. — Cinque ore per settimana. Grammatica. Ripetizione di tutta 1’Etimologia. Sintassi §§ 361—468. Forme omeriche. Lettura. I Sem. Traduzione e analisi di alcuni brani della Crestomazia di Senofonte (Schenkl). — II Sem. Omero, Iliade: misurazione, traduzione e analisi di tutto il V. — Esercizi a memoria. Cömpiti. Secondo il piano. 1. Greift'. Lingua italiana. — Tre ore per settimana. Storia della letteratura. Dalle origini lino al Boccaccio. Lettura. Antologia del Carrara, Parte 1: Gli scrittori di questo periodo. Illustrazioni, precetti rettorici. Cenili delle opere dei principali autori. Poesie a memoria. Cömpiti. Secondo il piano. 0. Szombathely. Lingua tedesca. - Tre ore per settimana. Grammatica. Fritsch: Ripetizione di tutta 1’Etimologia. Uso delle pre-posizioni. Könne e disposizione delle proposizioni e del periodo. Lettura. N oe I parte: Traduzione e analisi di parecchi brani di prosa. Frequenti esercizi dall’italiano in tedesco. Cömpiti. Secondo il piano. € Weudleillier. Storia e Geografia. — Quattro ore per settimana. Storia orientale, greca e romana sino all’ Impero. Geogratia relativa. Ur. H. Benussi. Matematica. — Quattro ore per settimana. Algebra. Nozioni preliminari e detinizioni. — Le quattro operazioni fon-damentali con quantita intere monomie e polinomie. — Teoria dei divisori e dei multipli. — Divisibilitii dei numeri generali e particolari. — Teoria delle frazioni e. calcoli colle medesime. — Teoria dei rapporti e delle proporzioni. Geometria. Nozioni preliminari e detinizioni. — Linee ed angoli. — Proprietä speciali delle figure rettilinee, loro congruenza e somiglianza. — Su-perficie delle figure rettilinee, loro equivalenza e trasformazione. — 11 circolo coi teoremi relativ!. — Poligoni inscritti e circoscritti al cerchio. — Misura della circonferenza. — Calcolo della superficie del cerchio. Dr. L. Gosetti. Storia naturale. — Due ore per settimana. I. Semestre Mineralogia. Caratteri generali dei minerali. — Descrizione delle specie piü importanti. •— Cenni sulla formazione e sulla natura delle rocce. II. Semestre, liotanica. Elementi di anatomia e fisiologia vegetale. Morfologia. - II sistema naturale delle piante. — Descrizione delle famiglie piü importanti E. Visiutini. CLASSE VI. Gopoclasse: sig. Alberto Puschi. Religione cattolica. — Due ore per settimana. Dogmatica. Dottrina dei dogmi della Chiesa cattolica. M. Uustian Religione israelitica. — Nella classe VI non ci sono scolari di religione israelitica. Lingua latina. — Sei orc per settimana. Lettura. I. Semestre. Sali ust io, la „Giugurtina“. II. Semestre. Virgilio, „Eneide“ üb. II, VIII; Egloghe tre. ESerci^i grammatico-stilistici. Compiti. Secondo il piano. 11. Cappelletti. Lingua greca. — Cinque ore per settimana. Grammatica. Ripetizione di alcunc parti dell'etimologia. Sintassi: Ripetizione della teoria dei casi e delle preposizioni. Generi, tempi e modi del verbo fino alle proposizioni temporali. Negazioni. Lettura. Traduzione e analisi dell’„ Iliade“ üb. XVII, XVIII v. 462—fine. Introduzione a Erodoto. Storie üb. VII § 1 —100. Compiti. Secondo il piano. I*. Mattei. Lingua italiana. — Tre ore per settimana. Storia letteraria. 11 Quattrocento e il Cinquecento. Origine e sviluppo della poesia epica, drammatica e didascaüca. Lettura degli scrittori di questi due secoü dali’Antologia del Carrara, P. II e 111 — I.ettura e commenti della „Gerusalemme 1 berata“, le piü belle ottave a memoria. Compiti. Secondo il piano. G. Szoiubathely. Lingua tedesca. — Tre ore per settimana. Egger. I Parte: Lettura e versione con osservazioni grammaticali e tilologiche. Esercizt di dialogo. Fritsch: Ripetizione deU’uso delle congiunzioni, delle preposizioni e parte della sintassi. Compiti. Secondo il piano. C. W(Siullenucr. Storia e Geografia. — Tre ore per settimana. Storia dell’ impero romano — Storia del medio evo colla geografia relativa. A. 1‘usclti. Matematica. — Tre ore per settimana. Algebra. Potenze, teoremi ed operazioni relative. — Radiči. — Logaritmi. — Risoluzioni di equazioni determinate di I grado ad una e piü incognite con esercizi relativi. Geometria. Stereometria con applicazioni. — Trigonometria piana. Dr. L. Gosetti. Storia naturale. — Due ore per settimana. Zoologia. Elementi di anatomia e tisiologia umana. — II sistema zoolo-gico esposto per classi e per ordini con particolare riguardo alle spede di mag-giore importanza. K. Visi litini CLASSE VII. Capoclasse: Sig. Dr. B. Benussi. Religione cattolica. — Due ore per settimana. Morale. Dottrina della Morale della Chiesa cattolica. ni. Bastian. Religione israelitica. — Un’ ora per settimana. Lettura e versione del libro di „Geremia“ c. 1—VII. Teologia morale. Storia. Da Ircano I. sino alla distruzione del secondo tempio. Grammatica ebraica. Teoria de’ pronomi. G. Servadio, Lingua latina. — Cinque ore per settimana. Lettura e commento della orazione di Cicerone „pro P. Sestio“ e dei libri III e XI deU'„Eneide“ di Virgilio. Principali nozioni di metlica e spiega-zione dei metri oraziani. Lettura e commento delle seguenti odi di Orazio: lib. 1. 3, 4, 7, 8, n, 15, si, 37; lib. II. i, 3, 7, 18; lib. III. 1,2, 3, 4, 5, 12, 30; lib. IV. 7, 8, 12. Ep odi: 7, 13, 16. II carme secolare. 1*. Gelcicli. Lingua greca. — Quattro ore per settimana. Lettura. I. Semestre: Sofoclc: Ajace: Omero: Iliade I. — II. Sem.: Omero: Iliade II e III. Demostene: Olint. I, II, 111. Filipp. I. Grammatica. Sintassi, secondo Curtius, infinito e participio. Compiti. Secondo il piano. (1. (»reift Lingua italiana. — Tre ore per settimana. Storia letteraria. II Seicento e il Settecento fino al Goldoni ed all’Alfieri. Sunto della teorica intorno all’arte drammatica. Storia della sua origine e de’ suoi progressi in Italia. Lettura degli scrittori di questi due secoli dali’Antologia del Carrara, Parte IV e V. Commento deli’Inferno di Dante sino al C. XII. Alcuni canti furono appresi a memoria. Compiti. Secondo il piano. G. Szombatliely. Lingua tedesca. — Tre ore per settimana. Noe. II Parte. Lettura dei brani poetici e prosastici con particolare riguardo alle nozioni di letteratura contenute nel testo. Esercizi a voce. Traduzioni dal- 1’italiano in tedesco (G. Gozzi). Letteratura. 1 primordi, poesia epica del medio evo. Compiti. Secondo il piano. C. Wcntlleillier. Storia e Geografia. — Tre ore per settimana. Storia moderna colln geografia relativa. Dr. B. Bcuussi. Matematica. — Tre ore per settimana. Algebra. Equazioni indeterminate di I. grado. — Equazioni di II. grado e simultanee di gradi superiori riducibili al II. grado.— Equazioni biquadratichc ed esponenziali. — Progresaioni aritmetiche e geometriche. — Calcoli d’ inte-resse. — Combinazioni e perrautazioni. — Formola binomia, proprietä ed appli-cazioni relative. Geometria. Geometria analitica piana. Sezioni coniche. Dr. L. Gosetti. Fisica. — Tre ore per settimana. Nozioni prelirainari. — Proprietk generali e particolari de’ corpi. — Statica. — Dinamica. — Teoria deli’ ondulazione. — Acustica. — Idrostatica ed aerostatica. — Nozioni di chiraica e studio di alcuni elementi e corpi importanti. Dr. L. Gosetti. Propedbutica filosofica. — Due ore per settimana. Logica formale. Dr. B. Benussi. CLASSE Vlil. Capoclasse: Sig. Dr. Lorenzo Gosetti Religione cattolica. — Due ore per settimana. Storia della Chiesa di Cristo. M. Bastian. Religione israelitica. — Un’ ora per settimana. Lcttura e versione del libro di Geremia c. VII—XIV. Teotogia morale. Storia. Dalla compilazione della Misnh sino alla morte del Maimonide. Grammatica. Teoria del verbi regolari. G. Servadio. Lingua latina. — Cinque ore per settimana. Lettura. Orazio, Satire. — Alcune epistole. — Ad Pisones.— Taci to, Annali III, IV. Stilistica e compiti secondo il piano. G. Greiff. Lingua greca. Cinque ore per settimana. Grammatica. Ripetuta la sinlassi durante la lettura. Lettura. Sofocle: Antigone. Platone: Gorgia. O m er o: Odissca, 1. 111 c IV. Demostene: la III Filippica. C. Cristotolilli. Lingua italiana. — Tre ore per settimana. Storia letteraria. K’ ottocento. Ripctizione dal duecento ali’ ottocento. Lettura e commento deli’ Inferno (dal C. XXI alla fine) e del Purgatorio, Sommario del Paradiso. Compiti. — Secondo il piano. G. Szombatkely. Lingua tedesca. — Tre ore per settimana. Egger. II Parte. Lettura di quei brani prosastici e poetici che si rife-riscono ai principali scrittori da Herder fino a Goethe. Traduzioni dali'ita-liano in tedesco (G. Gozzi). Lettura e commento del dramma di Schiller: „Die Braut v. Messina Cbmpiti. Secondo il piano. ('. WeildleilllPI*. Storia e Geografia. — Tre ore per settimana. I. Semestre. Storia dell’ Impero austro-ungarico. II. Semestre. Statistica deli’ Impero austro-ungarico. Dr. H. llenussi. Matematica. — Due ore per settimana. Ripetizione di tutta la materia con applicazioni ed esercizt. Dr. L. Gosetti. Fisica. — Tre ore per settimana. Ottica. — Calore. — Idrostatica. — Magnetismo ed elettricith. I)r. L. (iosetti. Propedeutica filosofica. — Due ore per settimana. Psicologia empirica. Dr. B. Beimssi. ELENCO DE’ LIBRI Dl TESTO adoperati nell’ insegnamento. 1. Religione cattolica. Classe I : Catechismo grande. ( lasse II: Schuster, Storia Sacra. Classe III: idem. Classe IV : idem. Classe V: Wappler, Trattato di religione cattolica P. I. Classe VI : id. id. id. P. II. Classe VII: id. id. id. P. III. Classe VIII: Fessler, Storia della Chiesa di Cristo. 2. Religione israelitica. Classi inferiori: Bibbia ebraica. — Elirmann, Storia degl’Israeliti, trad. da S. R. Melli. Classi superiori: Bibbia ebraica. — S. D. Lu^atto, Lezioni di Teologia morale israelitica. — Elirmann, c. s. 3. Lingua latina. Grammatica di F. Schultrived. da Fornaciari, per lutle le classi. SchultRaccolta di Temi, per le classi III, IV, V, VI e VII. Classe I: SchultEsercizt per la Grammatica latina. Classe II: SchultEsercizl. Classe III: Cornelio Nipote, ed. Halm. Classe VI: Cesare, de bello gallico, ed. Dinter.— Ovidio, Carmina selecta, ed. Grysar. Classe V: Tito Livio, ed. Grysar. — Ovidio, ed. Grysar. Classe VI: Sallustio, ed. Dietsch. — Virgilio, ed. Ribbeck. Classe VII: Cicerone, Orationes selectae, ed. Klotz. — Virgilio, ed. Ribbeck. — Oratio, rec. L. Müller. Classe VIII: Oratio, rec. f.. Müller. — Tacito, ed. Halm. 4. Lingua greca. Grammatica di Cuvtius, per tutte le classi. ('lasse III : Schenkt, Esercizi greci. Classe IV: id. id. Classe V: SchenkI, Crestomazia di Senofonte. — Omero, /’Iliade, ed. Dindorf. ( lasse VI: Schenkt, Crestomazia di Senofonte. — Iliade, ed. Dindorf. — Erodoto. ed. Wilhelm. ('lasse VII: Demostene, ed. Dindorf. — Omero, Iliade, ed. Dindorf. -- Sofocle, ed. Dindorf. ( lasse VIII: Platone, ed. Hermann. — Demostene, ed. Dindorf. — Omero, Odissea, ed. Dindorf. — Sofocle, ed. Dindorf. 5. Lingua italiana. Classe I: Demattio, Grammatica ad uso delle scuole. — I.ibro di lettura per le classi del Ginnasio inf. I. Classe II: Demattio, c. s. — Libro di lettura ecc. II. Classe III: Demattio, c. s. — I.ibro di lettura ecc. III. Classe IV: IJ bro di lettura ecc. IV. Classe V: Carrara, Antologia, vol. I. Classe VI: Carrara, Antologia, vol. II e 111. — Tasso, La Gerusalemme liberata. — Classe VII : Carrara, vol. IV. — Dante, La Divina Commedia. Classe VIII: Carrara, vol. V. — I.a Divina Commedia. 6. Lingua tedosca. Classe 1: Claus, Nuova grammatica della lingua tedesca. Classe II: Midier, Corso pratico di lingua tedesca. P. I. Classe III e IV: Id. P. II. Classe V: Fritsch, Grammatica della lingua tedesca. — Nüe, Antologia tedesca, P. I. Classe VI: Fritsch, idem. — F.gger, Deutsches Lehr- und Lesebuch, I. Theil. Classe VII: Nöe, Antologia tedesca, P. II. ('lasse VIII: Egger, Deutsches Lehr- und Lesebuch, II. Theil. 7. Geografia e Storia. Classe I: Kinn, Geografia universale, P. I. Classe II : Weiter, Compendio della Storia universale, P. 1. -— Klun, Geografia uni versale, P. I e III. ('lasse III: Weiter, c. s. P. II. — Klun, c. s. P. III. Classe IV: Weiter, c. s. P. III. — Klun, c. s. P. II. Classe V: Pütj, Storia antica, trad. da T. Mattei. Classe VI: Pütj, Evo medio, id. Classe VII: Piit{, Evo moderno, trad. da T. Mattel. Classe VIII: Hannak, Compendio di Storia, Geografia e Staiistica dclla Monarchla austro-ungarica. Atlante per tulte le classi meno In V: Korenit, Schn 1-Atlas in 48 Karten. Per la V: Menke, Orbis antiqui descriptio. 8. Matematica. Classi I e II: Močnik, Aritmetica, P. I. Versione del Dr. G. Zampieri, Geometria, P. I. Classi III e IV: Močnik, Aritmetica, P. 11. Versione del Dr. Zampieri, Geometria, P. II. Classe V: Močnik, Algebra, versione di P. Magrini; Wittstein: Planimetria, versione del Dir. S. Scarizza. Classi VI, VII e VIII: Močnik, Algebra, Geometria, versione del prof. Dom. Dr. Turazza; Bölim : Manuale logaritmo-trigonometrico. 9. Scienze naturali. Classe I: Pokorny, Storia illustrata del regno animale. Versione di M. I.essona e T. Salvadori, Torino 1876. Classe II: Pokorny, Regno vegetale, c. s. Versione del prof. Giov. Struever. Regno minerale. Versione del prof. Teod. Caruel. Classe III: Vlacovich, Elementi di fisica. Classe IV: Schabus, Elementi di fisica. Classe V: Pokorny, c. s. Regno minerale e Regno vegetale. Classe VI: Pokorny, c. s. Regno animale. Classe VII e VIII: Münch, Trattato di Fisica. 10. Propedeutica filosofica. Classe VII: Beclc, Elementi di l.ogica. Versione del Dr. Pavissich. Classe VIII: Zimmermann, Psicologia empirica. Versione del l)r. Pavissich. TEMI DMTALIANO Classe V. Cenni intorno all’ origine della lingua italiana. — Vita di Dante Alighieri. — Parafrasi e Sommario di alcuni brani scelti dalla Divina Commedia e di due sonetti della Vita Nuova. — Giotto e Cimabue. — Santita del giuramento presso i Romani. — Morte di Fetonte, trasformazione delle Eliadi (sulle traccie d’Ovidio). — 11 Capo d’anno, riflessioni morali. — Come lo vorresti il tuo amico? — I.ettera di consiglio ad un amico. — Descrizione d’ un incendio. — Dolori e gioje del marinajo. — Origine del suono e del canto (dal Saggiatore^di G. Galilei. — F.a curiositii, di quante specie ella sia. Classe VI. Le Rappresentazioni sacre e 1’Orfeo del Poliziano. — Vita di T. Tasso. — Concelto fondamentalc della Gerusalemme. — Analisi e sommario di alcuni canti del poema. — La prima crociata cd i principali capitani ehe vi presero parte. — Perche chianiano la storia maestra della vita. — Lo scudo d’Achille, descrizione e considera-zioni storiche. — Serse chiama a parlamento i maggiorenti Persiani per movere guerra ad Atene: orazioni del re, di Mardonio e di Artabano (sulle traccie di Erodoto). — Cause di un ricolto mal riuscito e di un anno scolastico andato male. — L’ uomo laborioso non si annoja mai. — II Carnovale, riflessioni morali. — 11 sonalore di villaggio. — Bellezza del mondo delle piante. — La prima opera di Antonio Canova. — I.a spada e 1' aratro. Classe VII. Vita di Dante, desunta dalla Divina Commedia. — Alcune cose sulla allegoria del Poema, rintracciata nei primi due Canti deli’Inferno e nella lettera deli’Alighieri a Can Grande della Scala. — Gli avari e i prodighi. — La Dea Fortuna, secondo il concetto dantesco. — Parafrasi ed analisi critica del sonetto che il Petrarca serisse per la conversione del Boccaccio. — K piti infelice il cieco o il sordomuto? — Una mano lava 1’ altra e tutte due il viso. — La serittura c la stampa. — Le vittime delle nuove invenzioni meccaniche. — I pešci e gli uccelli. — II ciarliero ed il curioso, ritratti II xvur morali. — Qu* fuit durum pati meminisse dulce est (Seneca, Here. für. 656). — La consuetudine e una seconda natura. — Eccellenza deli’ Europa a confronto delle altre parti del mondo. — I funerali di Pallante (sulle traccie di Virgilio). — La culla e la tomba. Classo VIII. La vita e un viaggio, 1' uomo un pellegrino. — Educazione che deriva all’ animo dalle memorie de’ primi anni. — La poverta non arreca vergogna. — Pericoli della poverta e della ricchezza. — Nemo eodem tempore assequi potest magnam famam et magnam quietem (Tacito, De Or. XLI). — Auro magnus honos, auri tarnen pretium est tes (Ausonio). — Mr) a|j.a ap'/fj to TcXo; xaracpalvrjTat (Erod.). — De mortuis nil nisi bene. — Nusquam est qui ubique est.— Sentimenti di Annibale che abbandona l’Italia. — Guerra e bufera. — La spada, la lingua, la penna: riflessioni morali. —L’Antigone di Sofocle: analisi estetica. — La lingua degli astri (Salmo XIX).— Pensieri sui duomi gotici e sulle piramidi egiziane. — Qui proficit in litteris et deficit in moribus plus deficit quam proficit. TEMI DI TEDESCO. Nel V. Corso (II. Sem.). „Traue nicht den Schmeichlern“. — Der Schuhflicker als Kunstrichter. — Ehret die Eltern. — Fürstliche Belohnung. — Die Macht der Jugend. — Die Standhaftigkeit. — Die Eitelkeit. — Jupiter und der Wanderer. Nel VI. Corso (I. Sem.). Renzo auf der Flucht. — Das Testament. — Mären. — Eine Verfügung Claudius II. — Johann, König von Frankreich. — Grossmüthige Handlung. — Der Genügsame. — Xenophon’s Standhaftigkeit. — Vespasians Denkmal. Nel VI- Corso (II. Sem.). Der Löwe und der Bär. — „Probatum est“. — Der grossmüthige Stenius. — Der gerechte Aristides. — „Ehret eure Lehrer“. — Die Schuldigen. — Der Komtur von Malta. — Die Hirschkuh und der Weinstock. — Die bestrafte Habgier. Nel VII. Corso (I. Sem.V Der unbestechliche Feldherr.—Tod des Canius. — „Verzage nicht im Unglücke“. — Karl XII. von Schweden. — Liebe gegen die Unterthanen. — Don Rodrigo. — Marschall Turenne. Nel VII. Corso (II. Sem.). Torquato Tasso. — Schlagfertige Antwort — Pericles und die Athener. — „Ehret das Alter“. — Der verheirathete Blinde. — Das Feuer, das Wasser und die Ehre. — Die Bäcker von Lyon. — Die blinden Bettler. Nel VIII. Corso (1. Sem.). Die aufrichtigen Höflinge. — „Wo findet man wahre Tugend?“ — Die Herzogin de la Valliere. — Xenokrates und Alexander der Grosse. — Der freigebige Fürst. — Das Almosen. — Wahre Frömmigkeit. Nel VIII. Corso (II. Sem.). Eine Verordnung Theodosius des Grossen. — Philipp der Schöne und Ludwig XII. — Ein Urtheil Hadrian’s. — Giordani’s Meinung über Bonarroti. — Hochherzige Handlung. — Wahre Reue. — Raub eines Mantels (Gozzi). [Maturitäts-Prüfungsaufgabe]. STUDI LIBERI. Disegno. — Sei orc per settimana. Corso I. Esercizi di disegno geometrico a mano libera. Foglie simmetliche semplici; ornamenti piani e semplici. Corso II. Ornamenti secondo i modelli del Teubinger, a semplice contorno, e a niez7.' ombra. Corso III. Ornamenti ad acquerello. Copiu d' ornnti dal gesso; prospettiva elementare. E. Zei'llitz. Calligrafia. — Quattro ore per settimana. Calligrafia semplice e composta. G. (le Allton,j. Stenografia secondo il sistema di Gabelsberger-Noe. — Quattro orc per settimana. I Corso. I e II parte del sistema. Relativ! esercizi di scrittura c lettura. II Corso. I.a III parte del sistema con esercizt di lettura e scrittura celere. Testi: Enrico Noe. Manuale di Stenografia secondo il sistema Gabelsberger applicato alla lingua italiana. 7“ Ediz. Dresda. Man^oni: „Promessi sposi“ in caratteri stenografici. 1 Ediz. Roma. (i. Calcgavi. Ginnastica. — Due ore per settimana. VI. RAGGUAGLI STATISTICI. A) Frequentazione ecc*. jluoij;ssup uo>i ui.iojuLU uun ui jsodsos ossuo m D88BQ |[ OSSBO I BZUOllIlU^f' UOD 0SSBI3 I +-* •_ 'JZ "l-l 40 «00 o - M ^ M - C-» - a> n i i i i i i i i i i i i i i i i i I i i i i i “ i i -+• -4- ^ co c* cn « c« CO O GO V.D ro Tj- l'^ — rt- I " I I JUJJS0UX U0M luijsojaj. ojiiosoad ojujs O-! c^. 00 'O »n 00 »r> vO 'O vo n r« 00 l'' 00 >o 00 O t->. «s OUUO J OlUUJlip OUO.UOSQ COcsr^rO'-O—ir»^ UCUjpJOUJJS I I 1 I I jJBUjpJO m O ^ in rj- rf i^. ob — rh oo m m rj- tJ- cn co c«% « es •-* 0#-6l$I OOp8U|OOS OUUlUlOp 0U[JU||l! OlUJS' w m m < U o; mentre queste ultime due assieme si ebbcro fior. 40.240. Si domanda quali furono le somme toccate a ciascuna delle persone. b) Date di un rombo: la diagonale eguale ad 8 metri e 1’ altezza eguale a 5 metri si domandano il lato, 1' area del rombo, e 1’ area del cerchio, la cui circonferenza eguagl a il perimetro del rombo. c) Data una retta y = x + 1 ed un punto di coordinate y — 12, x, = 12, trovare gli elementi e l’area del triangolo formato dalla retta data e dalle due perpsndicolari condotte dal puntb sopra determinato alla retta suddetta ed all' assc delle ascisse. 6. Per il componimento tedesco: Tradu\ione della novella CXXI1 di G. Gofäi, (Ed. Salvador!}. Le prove orali si fecero nel giorno 15 Luglio, sotto la presidenza del signor Dr. Ernesto Cav. Gnad, i. r. ispettore scolastico provinciale. — V’ intervennero 1’ onorevole signor Antonio Dr. Vidacovich, membro della Commissione scolastica della Deputazione municipale per il Ginnasio, e 1’assessore e referente scolastico signor Eugenio Dr. Slocovich. Degli 8 candidati 6 furono dichiarati idonei allo studio universitario, e di questi 4 con distinzione; 1 (straordinario) fu rimesso ad un nuovo esame in una sola materia, da farsi dopo due mesi; 1 (esterno) si ritirö dopo le prove in iscritto. Furono approvati i Signori: NOME, COGNOME e PATRIA Nato Durata dcgli ■tudi percorsi A11 e s i a 10 Studio a cui dichiara dedicarsi Cusin Giuseppe da Trieste 30 Nov. 1863 8 an ni maturo con dist. Legge Fin/p Emanuele „ 11 Gen. 1864 8 anni maturo con dist. Matematica Franovich Carlo „ 18 Ott. 1861 8 anni maturo con dist. Filologia Hannau Camillo „ 28 Nov. 1863 8 anni maturo Matematica Pcscatori Giuseppe da Milano 24 Nov. 1863 8 anni maturo Legge Polonio Oreste da Trieste 2<) I.ugl. 1863 8 anni maturo con dist. Legge CRONACA DEL G1NNASIO. L’ anno scolastico fu inaugurato il giorno 16 Settembre; le lezioni principiarono il 18. Alla cattedra vacante di filologia classica fu assunto quäle professore supplente il sig. Giacomo Pernecher. Aperta la classe parallela III B, causa il numero straordi-nario degl’inscritti, ne furono per quest’ anno distribuite le ore fra alcuni professori deli’ Istituto. Del resto non avvenne nel Gorpo Insegnante nessun altro mutamento. Negli Ultimi giorni di Ottobre e nelle prime settimane di Novembre 1’ i. r. Ispet-tore scolastico provinciale, sig. Dr. Ernesto Cav. Gnad, onoro di sue visite il Ginnasio assistendo alle lezioni dei singoli docenti; tenne poi una conferenza di tutto il Corpo Insegnante, al quäle manifestö la propria sodisfazione per il buon andamento deli’ Istituto nella disciplina e negli studi. Cosi pure la Deputazione municipale onorö di sua presenza il Ginnasio, ehe fu poi durante 1’anno ripetutamente visitato dal Presidente della medesima sig. Dr. Mois'e Lu^atto. All’istruzione religiosa ed alle pratiche pre-seritte invigilavano, in conformitii alla legge del 25 Maggio 1868, per gli scolari cattolici il Rev.”0 Monsignore Giovanni Sincic, per gl’ israeliti I’ Ecc.”“ Rabbino Maggiore Raffaele Sabato Melli. II 2i Febbrajo il Corpo Insegnante e la scolaresca presero parte ai funerali del compianto Comm. Avv. Massimiliano Dr. D'Angeli, gia Podestä di Trieste. II giorno io Maggio festeggiandosi le fauste Nozze di S. A. I. R. il Principe Ereditario Rodolfo, il Corpo Insegnante e gli scolari radunati nella Chiesa di S. Ci-priano, assistettero ad una Messa solenne, dopo la quäle si cantarono il Te Deitm e l’Inno popolare Austriaco. I.o stato di salute fu in complesso buono. Ma pur troppo ancora nei primi mesi dell’ anno scolastico morivano dopo breve malattia due alunni dell’ Istituto, Alessandro Majonica scolaro della IV classe e Alberto de Nardo della I B. II I Semestre fu chiuso il 12 Febbrajo, il II il 14 Luglio. • ORDINANZE Pil) IMPORTANTI dirette dalle Autoritä al Ginnasio. I. Decr. Luog. 5 Sett. 1880, N. 11831—VII. Istruzioni sul modo d’ impedire una frequentazione troppo nutnerosa detle scuole medic, la quäle potrebbe riuscire di danno alle scuole agrarie, industriali e commerciali. s II. Decr. Luog. 9 Sett. 1880, N. io58. E approvata come libro di testo 1’Anto-logia tedesca compilata per uso delle scuole medie da Enrico Nöe. III. Decr. Mag. 19 Sett. 1880, N. 26942—VI. Si affida 1’insegnamento del disegno al sig. Enrico Zernit\, docente nel Civico Istituto magistrale femminile. IV. Decr. Mag. 23 Sett. 1880, N. 27233—VI. Si approva la proposta della Dirc-zione di dividere la Classe 111 in due parallele. V. Decr. Luog. 24 Sett. 1880, N. 12750—VII. Non si deve concedere la dilazione degli osami di maturitä a voce dopo le vacanze autunnali, se non in caso di malattia. VI. Decr. Luog. 21 Ott. 1880, N. 1754. P. L’ispezione dell’Istituto e nuova- mente affidata al sig. Dr. Ernesta Cav. Gnad, i. r. Ispettore scolastico provinciale. VII. Decr. Luog. 27 Ott. 1880, N. 14.552—VII. K approvata come libro di teslo la Fisica esperimentale di Nicolo Vlacovich, direttore della Givica Scuola Reale Sup. VIII. Decr. Luog. 23 Ott. 1880, N. 14710—VII. Scolari che per due semestri consecutivi riportano un attestato di terza classe, o ripetenti ehe nnehe nel secondo anno riportino un attestato di seconda, sono da considerarsi come espulsi soltanto dali’Istituto dove furono classificati. IX. Decr. Luog. 21 Nov. 1880, N. 15873—VII. Nei giorni, nei quali secondo 1’Ord. Min. 5 Apr. 1870, N. 2916 gli scolari cattolici s'accosteranno ai Sacramenti, vi sarii vacanza; e veramente o il pomeriggio di un giorno e la mattina del soguente, o un giorno intero. X. Decr. Luog. 24 Nov. 1880, N. 15732—IX. Uno scolaro potra godere piü stipendi fino alla sotnrna totale di fior. 200 solo col permesso dell’l. R. Luogotenenza; oltre questa somma, solo col permesso deli' i. r. Ministero. XI. Decr. Luog. 30 Gennajo 1881, N. 976—Vll. La versione della storia universale di G. Püt$ fatta da T, Mattei e permessa come libro di testo, finche snrii pubbli-cata quella della Storia del Gindcly. XII. Decr. Luog. 29 Apr. 1881, N. 5444—111. Si permette una colletta fra il Corpo Insegnante e la scolaresca per il sig. Dr. Emilio Holub, che imprende un viaggio scientifico nell’Africa meridionale. XIII. Decr. Mag. 12 Giugno 1881, N. 17129—VI. Sono riconfermati a membri della Commissione municipale per l’istruzione i signori Consiglieri che finora ne face-vano parte, ed 6 rieletto a Presidente il sig. Dr. Mois'e Lu^atto, e a Presidente sosti-tuto il sig. Dr. Giuseppe Defacis. PROSPETTO degli Alunnr ehe riportarono la classe complessiva Prima con Eminenza, secondo la gradazione. 0> 03 vt M ra COGNOME, NOME c PATRIA V) C/J va COGNOME, NOME 0 PATRIA O 0 Vlil i. Franovicli Carlo da Trieste III B 1. Riaviti Lodovico da Trieste 2. Polonio Oreste r> 2. Vivante Angelo n 3. Finski Emanuele rt 3- Pisčane$ Giusto n 4. Cusin Giuseppe » 4- 5. Rencel Emilio Perilli Luigi » v VII ) de Manerini Enrico 1 Raicicli Giulio da Pola da Trieste II A 1. 3- Degano Giuseppe Fin^i Mario Maffei Pietro »1 VI 1. Monti Paolo da Vienna 4- Glierdol Giovanni n 2. Cocevar Giuseppe da Pirano 5. Gregorutti Alberto 3. Zenatti Oddone da Trieste 6. Frangipani Giacomo n 4. Skoff Guglielmo n 7- lacopich Giuseppe da Pola 5. Cimadori Ferruccio n 8. Franellich Carlo da Trieste 6. Vaglieri Dante n 7. Tedeschi Edmondo v 11 B 1. 3. Pertot Michele Pontelli Egidio da Trieste 11 V 1. Cambon Gino da Trieste 3- Polonio Dante Zian Giuseppe Pecher Carlo r> 2. Polonio Pilade »> 4- 5. n 3. Bonetta Micliele n 6. Trost Camillo n 4. Gortan Gnido 5. Pa is Giovanni n da Rovigno 7- Scliuller Gustavo n 6. Slataper Enrico da Trieste 1A 1. 2. Bidoli Guido Alpron Alfredo da Trieste n IV 1. Kaschier Giovanni da Trieste 3- Brusini Vittorio » 2. Rintini Edmondo 4- De Cega Silvio da Gorizia 3. Mulina Enrico b. Honig Rodolfo da Cinque-Chiese 4. Iess Rodolfo 6. Butfi Mario da Trieste 5. Verson Antonio 7- Benvenuti Benvenuto da Pirano 6. Kölbel Ferdinanda 8. Favretto Francesco da Urnago 7. Cescon Carlo 9- Jacchia Giorgio da Trieste 8. Coen-Ara Clemente 10. Fegitz Edgardo n 11. Coen Davide n 12. Černe Giuseppe da S. Bortolo ltu i. Levi Lionello da Trieste' 2. Dinelli Loren^0 IB 1. Luzzatto Vittorio da Trieste 3. Cossutta Francesco n j. Podrecca Antonio da Pinguente 4. Dompieri Luigi r> 3* Slcocjer Giuseppe da Trieste 5. Laurinschich Giuseppe „ 4- Sticotti Pietro da Dignano 6. Furlan Antonio 11 5. Manerini Antonio da Trieste 7. Dalle Feste M. Aurclio „ 6. Perca Giuliano 8 'jGuerrera Ruggero n 7- Olivo Ugo da Aidussina INDICE. La terza filippica di Demostene. Studio di Pietro Mattei • Pag 3 I. Corpo insegnante 1 II. Piano detle lezioni 111 III. Elenco de’libri di testo adoperati nell’ insegnamento .... XIV IV. Temi proposti per i componimenti nelle Classi superiori . . . XVII V. Studi liberi ' XX VI. Ragguagli statistici. A) Frequentazione ecc XXI B) Tasse, stipendi ecc XXII C) litii XXIII VII. Auraenti delle collezioni scientifiche XXIV Vlil. Esami di Maturitä XXIX IX. Cronaca del Ginnasio XXXI X. Ordinanze piti importanti dirette dalle Autoritil al Ginnasio . . * * « XXXII XI. Prospetto degli alunni ehe riportarono la classe complessiva prima con Eminenca XXXIV *,<>« *»W .Ji ' . -■:■■ '-v..- JK ,, '?ospB"^3Pi ” ,J:^ er a qon«*tm., miiniir iii ii