ANNO XXVI. Capodistria, 1 Marzo 1892. N. 5 LA PROVINCIA DELL'ISTRIA Esce il 1° ed il 16 d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno fior. 3; semestre e quadrimestre in proporzione. — Gli abbonamenti si ricevono presso la Redazione. Articoli comunicati d'interesse generale si stampano gratuitamente. — Lettere e denaro franco alla Redazione. — Un numero separato soldi 15. — Pagamenti anticipati LA CACCIATA DEI PROFANATORI DAL TEMPIO GRANDE TELA DI ANGELO TREVISANI nella chiesa parrocchiale della Somaglia nel Lodigiano Sono anni ed anni dacché ho promesso ai lettori del'a Provincia di fare un' apposita gita a Somaglia per vedere il quadro di Angelo Trevisani da Capodistria pittore di grido della seconda metà del secolo scorso ; ma per varie ragioni ho differito fino ai giorni scorsi la visita desiderata. Quod dif-fertur non anfertur, dice il proverbio ; ed ecco che la domenica 7 febbraio ho iniziato le mie scorri-bandole primaverili. Dico primaverili,- perchè la giornata era straordinariamente bella e tepida; e tutto invitava alla baldanza del merlo inorgoglito «per poca bonaccia» (Purgatorio XIII). fi qui capisco che ci vuole un po' d'itinerario a benefizio di qualche nostro amatore di belle arti che volesse vedere co' propri occhi questa gloria istriana, relegata in un cantuccio della bassa Lombardia. Si prende a Milano la ferrovia Milano-Lodi-Piacenza-Bologna ecc., e dopo un' ora e mezzo di viaggio, passato lo storico MeJegnano, e Lodi, si arriva a Casalpusterlengo, grossa borgata di 9000 abitanti. Qui si scende, e si cerca un vetturino che, fatte cinque miglia circa, sbarca il viaggiatore alla Somaglia. Io invece avea preso il mio righetto da Lodi fino a Codogno, perchè ci avevo là qualche affare da sbrigare. La distanza da Codogno alla Somaglia è di quattro miglia, e mi sentiva da una parte attirato a fare la strada col bastone di San Francesco, se non che pensando poi che era solo, di domenica, e che non avrei trovato probabilmente anima viva pei campi, per non essere preso da quell' uggia della solitudine che assalse Renzo di notte nel bosco, e che a me mette, confesso la mia debolezza, un' indefinita paura qualche volta anche di giorno, noleggiai per due lire un calesse, e via. Si va, si va pel territorio di Codogno (anche questa una grossa borgata di 12000 anime assai ricca pel commercio di burro e di formaggio e che da noi sarebbe una città di primo ordine) territorio fertilissimo e che è tutto un giardino. Il terreno è storico; alla sinistra c'è Fumbio, dove Napoleone, avendo ingannato il generale austriaco, finto di passare il Po a Valenza, e avendolo valicato invece giù giù a Piacenza, battè la divisione Liptai, accorsa da Pizzighettone, e donde corse difilato a Ijodi per darvi la famosa battaglia del ponte (9 Blaggio 1796) e meritarsi da'suoi soldati il titolo di caporale. La strada però da Codogno alla Somaglia è tracciata lontana dai villaggi, e non rasenta che qualche ricca cascina come la Mirandola. Da questo punto si comincia a scendere in una bassura, antico letto del Po, per ascendere di nuovo, sui rivoni, e tornare subito al basso; e tutto il terreno intorno vedesi ondulato (accidentato direbbero i tecnici ; accidenti che lingua !) è un seguito di collinette, e di scoscendimenti che rompono l'uniformità dell' ampia pianura, così che ti pare di essere di botto trasportato in un cantuccio della Brianza. E tutte queste alture i bassajuoli che non hanno fatto 1' occhio alle altezze, le chiamano colli ; anzi nel territorio della Somaglia con una iperbole perdonabile alla gente latina, monti addirittura; e così abbiamo torno torno a Somaglia Monte Oltrato e Monte Cucco, a settentrione, e Monte Albeno verso il Po a mezzogiorno; e chi sa quali tradizioni ci attaccano i vecchi favoleggiando di Fiesole e di Roma; perchè anche qui il terreno è storico, e vi passava la strada che da Porta Romana a Milano tirava giù dritta per Lodivecchio a Piacenza senza il gomito moderno di Lodi, Casale, Oodogno1) e lungo il Po, distante dalla Somaglia un miglio circa, frequenti doveano essere gli argini e le fortificazioni nei bei tempi di Roma. Comunque sia ecco l'ameno paesello della Somaglia su uno di questi monti per modo di dire. Al primo vederla mi fece una gratissima impressione, e quasi una sorpresa. Mi pareva di essere trasportato di botto sotto di uno dei nostri antichi castellieri tramutati oggi in amena villetta. Il palazzo dei Conti Cavazzi della Somaglia, antichi feudatari del luogo, sta a cavaliere del poggio e domina la villa e la soggetta valle. Le mura abbattute, e ridotte alla proporzione di un muricciuolo, circondano il giardino ; invece di torri e di revellini il palazzo s'incorona gentilmente d' una fila di pioppi e di altre pianticelle tenute in rigo dalla scure e dalle cesoie del giardiniere. Più d' ogni altro ornamento però mi ferì la fantasia un pioppo sfrondato a metà circa del colle; malinconico testimonio di un' antica e caduta grandezza. Vivessimo ai tempi di Virgilio e di Dante, sarei corso lassù a stendere la mano per spezzarne un ramo e vederne uscire sangue e udire un susurro di parole iraconde e lamentevoli assieme : lamenti e gemiti di qualche vecchio feudatario condannato a gettare ancora un po' di ombra su quella altura illuminata dal sole della moderna civiltà, e a brontolare, nello stormire de' suoi ultimi rami sfrondati, contro i profanatori e i demolitori d' una potenza che fu. Se non che i vecchi conti della Somaglia si sono benissimo adattati ai tempi; hanno dotato la bella e pulita viletta d'utili istituzioni, d'un ospedale perfino, e la ricca ed architettonica chiesa parrocchiale di opere d' arte, e tra queste, ci siamo, della tela del nostro Trevisani. Come questo quadro sia capitato alla Somaglia, 1' ho detto altre volte ; pure gioverà ripeterlo al lettore. Nei registri parrocchiali sta scritto quanto segue: — 1818. "Il Conte Gian Luca Cavazzo di Somaglia ecc. ecc. procurò ed acquistò dall'Accademia di Brera in Milano, due grandissimi quadri : uno rappresentante il trasporto ed' il trionfo dell' arca santa dell'antico testamento, opera del celebre pittore Sebastiano Ricci del 1739, e l'altro rappresentante il Redentore che scaccia i profanatori dal tempio, opera del pittore Angelo Trevisani del 1752, e la donò a questa chiesa parrocchiale. I ') Recentemente il bravo maestro Agnelli, autore di un lodato studio dantesco, sostenne in un suo dotto opuscolo edito nell'Archivio storico lombardo — che la famosa dieta tenuta dal Barbarossa a Romaglia, non ebbe luogo alla Romaglia piacentina sulla destra del Po, vicino a Piacenza, ma sulla sinistra alla Romaglia lodigiana, a un miglio circa dalla Somaglia. suddetti quadri erano nella soppressa chiesa dei Santi Cosmo e Damiano alla Giudecca in Venezia, e trasportati in Francia, restituiti nell'anno 1715, e a Somaglia posti, come si è detto, nel 1818., Al lettore non dispiacerà sapere perchè il dipinto del Trevisani da Venezia sia stato trasportato a Brera. Posso rispondere con piena conoscenza di causa, dopo letto un recentissimo articolo nel Corriere della sera — Rivendicazioni artistiche — (13 Febbraio 1882). La pinacoteca di Brera, iniziata nei primissimi anni di questo secolo, fu subito ingrandita per volontà di Napoleone, che mirava a fare di Milano una vera capitale, e con decreto del 5 Febbraio 1818 fece riunire in Milano nella pinacoteca stessa tutte le opere di pittura provenienti dalle soppressioni di chiese e conventi non solo della Lombardia e del Veneto ma di gran parte dell' Italia di mezzo. La Pinacoteca venne così d'un tratto sopraffatta da una tale quantità di opere che, non bastando le poche sale ; molte tele furono alla rinfusa ricoverate nei locali terreni. In seguito furono divise in tre categorie, alcune, secondo il giudizio di allora le più importanti vennero subito collocate nella Pinacoteca, altre cambiate con opere di autori stranieri — Van Dyk, Rubens, Rembrand, ed altre infine (terza categoria) e che non era possibile per le grandi dimensioni di collocare nelle sale di Brera furono distribuite in deposito a quelle chiese della Lombardia che ne fecero richiesta : un' ultima categoria finalmente fu formata di tutto ciò che parve inutile conservare, e andò infatti distrutta. Alla terza categoria apparteneva la tela del nostro Trevisani per la sua grande dimensione. Ma non vorrei svegliare can che dorme : i registri della Somaglia parlano chiaro ; la tela del Trevisani fu procurata ed acquistata, ed il conte della Somaglia fece da gran signore le cose per bene. Il Trevisani non fu adunque depositato alla Somaglia, e non può essere rivendicato dalla Pinacoteca di Brera, come avvenne testé della tavola di Luca Signorelli, depositata nella chiesa di Figino. Che il quadro del Trevisani avesse a fare un altro viaggetto fino a Milano potrebbe piacere ad alcuno, ed anche a noi Istriani per la maggiore comodità ed oportunità di vederlo, ma non certo ai buoni parrocchiani della Somaglia. Per quanto poco siano poi in generale apprezzati i quadri della scuola veneta della seconda metà del secolo scorso, è dunque un fatto che la tela del nostro Trevisani ha tali pregi per cui fu posta in terza categoria, e non distrutta come avvenne di altre tele. Si aggiunga poi l'altra circostanza del viaggio fino a Parigi, accertato dai re- gistri parrocchiali, che non abbiamo alcuna ragione di porre in dubbio, e che accresce il valore della tela. Ed ecco così pienamente spiegato l'itinerario del nostro Trevisani. Un diligente esame del quadro stesso gioverà a riconoscerne il merito. È collocato in cornu epistole nel presbiterio, e attira subito l'attenzione per la straordinaria dimensione: otto metri di lunghezza misurati da me; l'altezza corrispondente tra i cinque e i sei, così a occhio e croce, che non ebbi tempo ne opportunità di arrampicarmi su per la scala. La composizione è grandiosa in un stile largo e sicuro. Ciò che prima di tutto attira lo sguardo e colpisce l'immaginazione è la distribuzione delle figure. Benché la scena sia varia e l'argomento stesso — la cacciata dei profanatori dal tempio, esiga una certa confusione, i vari gruppi sono così bene col-lorati, che l'occhio coglie subito senza sforzi ag-gradevolmente l'assieme. A sinistra del quadro sopra a due gradini il Redentore con lo staffilo alto: minaccia ma non percuote, nulla adunque di grottesco: a suoi piedi due caduti forse pili per timore che per violenza; quindi ria via una fuga di trecche, di rivenduglioli, in vari atti: il movimento viene tutto da sinistra, la fuga in contraria parte, se non che a interrompere la monotonia delle linee ecco a destra cou dotta inventiva, dalla parte opposta due robusti venditori di vitelli, poco persuasi della ragione del tumulto che tengono ferme con la fune le loro bestie e quasi in atto di protesta, pronti a sostenere coi fatti le loro ragioni, quando verrà la loro volta. Di questo fuggi fuggi, di tutto questo moto da sinistra a destra, col Cristo personaggio sempre principale perchè quello che imprime quasi il moto, di questa varietà nell'unità senza convenzionalismo l'occhio rimane in sulle prime appagato ; la ragione no, il misticismo meno che meno. Meglio sarebbe stato disegnare il protagonista nel mezzo, o quasi della composizione : e quindi un movimento in senso opposto dalle due parti, come nella scena dantesca dell' angelo che scende ad aprire le porte di Dite, immaginata dal Dorè nell'illustrazione della Divina Commedia (Canto nono). Ma il Trevisani avrà temuto chi sa? di dare così nel convenzionale, e volle fuggire da quell'eterno posare nel centro il protagonista il quale può bene ricevere maestà meglio da altre circostanze che dal punto del mezzo preciso. Questo studio di attirare l'attenzione dello spettatore proprio nel mezzo c'è, però è cercata con molta cura ma con altri mezzi e per un'altra ragione che m'affretto di «sporre. I pittori veneziani, dopo il secolo del pu- rismo, hanno sempre usato dell' arte loro, per rappresentare sulle tele la vita operosa e chiassosa di Venezia. Lavorando per chiese e conventi, costretti a trattare argomento sacro e legato a quelle stret-toje, usarano il soggetto religioso come un mezzo e non come un fine: trasfondere nel quadro l'umano, la vita la passione era il principale loro intento, e ciò spiega i seguenti anacronismi anche nei sommi. E così fece il nostro Trevisani; il suo quadro nella prospettiva, nei dettagli e nel diverso modo di aggruppare le figure pare tale e quale la rappresentazione, non del tempio, ma del mercato di Venezia in Piazza Rialto. Le fabbriche, le colonne, in puro stile palladiano, d'ordine jonico, la grandiosità delle volte che spiccano nel mezzo attirano tutta la tua attenzione. Il Redentore pur troppo non è più il Redentore, ma il Messer grande che intima in nome della Signoria lo sgombro della piazza, per dare un saggio, come più volte avvenne, a qualche illustre visitatore della pronta esecuzione degli ordini. Ed ecco così spiegato un bel-l'artificio del pittore che riuscì ad attirare l'attenzione dello spettatore proprio nel mezzo, e dar risalto ad una figura che dovrebbe essere accessoria ma che in realtà ci fa la figura di protagonista. É questa una bella e giovane rivendugliola che con un'ardita mossa, con gli abiti scomposti, con una nudità incipiente, non sfacciata, si guadagna tutta la simpatia del riguardante. Quasi la diresti una protesta dell' umano e della passione contro l'ascetismo ; il tipo della seduzione, un simbolo dell' eterna lotta tra la materia e lo spirito, tra il male e il bene. Dunque, se come ho detto, il movimento è logico, e pare venire tutto da sinistra a destra, ecco che, riguardando il quadro, si comprende P artifizio del pittore di genio che ha trovato modo di concentrare così, con arte che non tutta si scopre, e senza troppo convenzionalismo, l'attenzione proprio nel mezzo. Ciò apparisce ancor più evidente dal disegno di una specie di piramide che s'alza dietro le spalle della giovine nel mezzo del mercato, e dall'arco di molto lume che le s'incurva di sopra. La tela ha perciò molto del teatrale. Tutto assieme adunque panni di poter asserire che il nostro Angelo Trevisani più che alla scuola del padre, si sia inspirato nelle opere del Canaletto, famoso nella riproduzione dei monumenti palladiani, e vedutista, al dir del Selvatico, che non ha pari nel dare il sole, l'aria, e l'acque mollemente azzurre all' incantatrice Venezia (Selvatico - Storia dell'arti del disegno. Yol. II. pag. 576). Angelo Trevisani fu quindi continuatore del- l'opera del Canaletto, e libero imitatore di genio; e lo studio delle sue tele giova al critico per formarsi una giusta idea delle condizioni della pittura in Venezia nella seconda metà del secolo scorso, tempo assai trascurato, generalmente parlando, dagli scrittori d'arte, che dopo il Tiepolo ed il Canaletto non ricordano più nulla della scuola veneta, come se fosse stato possibile, dopo tanti capolavori un così completo abbandono. Il nome del Trevisani riempie adunque una lacuna, perchè la storia non si giova solo dello studio dei sommi, ma nei minori pure vede l'esplicazione del pensiero artistico e ci dà uno studio compiuto dall' arte nel vario suo movimento, e nelle evoluzioni. Questa affinità del Trevisani col Canaletto apparisce ancor meglio dalla tavolozza. Qui nulla di confuso, di oscuro, come nel nero Zanchi, e nella scuola tristamente celebre dai tenebrosi; il secondo Trevisani è amante del chiaro; i colori dominanti della sua tavolozza sono l'azzurro nelle sue gradazioni; ben si può dire sotto questo aspetto — il celeste Trevisani. Una fuga di colombe nell'aperto aere, le vesti, il fondo della piazza, le bianche muraglie che arieggiano lo stile delle fabbriche nuove di Rialto: tutto tutto ti trasporta in un campo di Venezia inondato dal sole. Vedutista e colorista di primo ordine, di grande ingegno nell'inventiva e nell' ampiezza della composizione fu certo Trevisani a suoi tempi tra i primi; e ciò spiega la fama del suo nome che procurò a questa tela il viaggio fino a Parigi. Chi ha scritto essere egli stato educato dallo Zaneti, e che si distinse specialmente nei ritratti, non ho mai visto questa sua tela. (Pertes, citato dello Stancovich pag. 443). E non è vero fosse fratello di Francesco, figlio sì, e un' occhiata alle date basta per accertarsene. Possa la descrizione di questo viaggetto e della tela del Trevisani invogliare qualche amatore dell' arti belle a una corsa fino alla Somaglia per convalidare con maggiore autorità questo qualsiasi giudizio; perchè non è solo viaggiando coi treni celeri l'Italia che si ha esatta cognizione delle bellezze così in copia diffuse anche negli angoli più remoti del benedetto paese, ove ridono i cieli quando sono belli, i marmi, le tele, le carte. p. T. --—ikì--- INDICE DELLE CARTE DI RASPO (Archivio provinciale) Filza 7. (Continuazione vedi N.o 10 anno XXIV e seg.) anni 1552 e 1553 c. 1150-: Capitano David Bembo Processus Ioannis de Servia de portulis contra Ioanem q. mo-chorii primaz et Gasparem filium dicti Ioannis Lite risolta con una sentenza d'arbitri, in conseguenza della quale tutta la sostanza lasciata da M. Primaz è divisa in due parti: una è assegnata alla di lui figlia Anna maritata a, Giovanni de Servia di Portole, 1' altra al di lui figlio Giovanni e al nipote Gaspare. anni 1552 e 1553 c. 1165-1197 Capitano David Bembo Processo de Hieronimo Maizan contra s. Sebastiano de Germanis per uno molino Gerolamo Maizan fa istanza perchè Sebastiano de Germanis sia invitato a produrre i documenti che' comprovino essere di sua proprietà un molino da lui oggi posseduto che altre volte apparteneva al suocero del Maizan ora defunto; altrimenti il capitano voglia indurre il Germanis a rilasciare quelle parti di esso molino che per testimoni sarà provato appartenere ad altri. (Proc. non esped.) anno 1552 c. 1198-1203 Capitano David Bembo Processus Michelis busich cum fratribus suis circa testamentum Michele Busich ritenendosi danneggiato dal testamento di suo padre defunto, chiede la parte legittima a lui spettante. (Proc. non esped.) anni 1552 e 1553 c. 1204-1219 Capitano David Bembo Processus civilis inter Dominum Sebastianum de germanis contra litredes q. s. francisci de germanis Sebastiano de Germanis, quale erede del padre suo Michele, chiede sieno dichiarati nulli certi atti per i quali egli era privato di parte di molino posto nel territorio di Pinguente, — Frammento. anno 1552 c. 1220-1235 Capitano David Bembo Processus civilis inter heredes q. ser francisci de germanis contra D. Sebastianum de germanis Gli eredi del defunto ser Francesco de Germanis chiedono e ottengono contro Sebastiano de Germanis di poter usufruire della metà di una bottega posta in Pinguente. anni 1552 e 1553 c. 1236-1251 Capitano David Bembo Petitto Mare Margonize contra Iacobum gelenich Donna Maria Margoniza chiede ma non ottiene che le sia assegnata la parte dei beni paterni che le spetterebbe in base al testamento del defunto padre suo Marco Ielenich. anno 1552 c. 1252-1257 Capitano David Bembo Processus Perini Iadrecich de Verch contra magistrum Mateum furlanum de rotio Frammento di processo. Due fratelli Iadrecich chiedono sia loro rilasciata una casa posta in Pinguente nella contrada calusa indebitamente posseduta da Matteo di Rozzo. anno 1552 c. 1258-1263 Capitan j David Bembo Processus Michelis serotich de Sovignacho contra fratres suos Michele Sirotich, sposatosi venti anni addietro con donna Giovanna sorella di ser Dionisio Bridiga di Portole, ebbe la promessa dal padre che sarebbero consegnati a lui e alla nuora ducati ventinove. Morto il padre senza soddisfare la promessa, Michele chiede a' suoi fratelli il pagamento della somma indicata. Le parti compromettono in arbitri la definizione della lite. anno 1552 c. 1264-1269 Capitano David Bembo Processus Montone circha appellationes Durante la visita del Pasenatico, trovandosi il capitano a Montona il 12 di novembre 1552, gli viene significato trovarsi in Castello alcuni i quali non vogliono che nelle appellazioni si ricorra al tribunale di Raspo cum magna iactura pauperum et po-puli lamentatione. Lo si informa parimenti di certo inconveniente al barbacan pericoloso per la sicurezza del Castello e dei disordini che possono nascere durante la fiera di santa Margherita eh» i tiene in Castello ogni anno per il fatto che vi concorre una noltitudine di morlacchi tutti armati. Voglia esso capitano prov-redere. Dopo di ciò il Bembo fa citare al suo cospetto in Pinguente i due giudici del Comune ser Andrea Corazza e ser Pietro Barbo, ler Nicolò Dolzan (?) e Antouio de Algogius agenti della comunità, Marco de paxe, Antonio Michelich e Matteo Cugna provveditori fro universitate populi Montone- Andrea Corazza, di anni sessanta, alla domanda direttagli dal capitano che noi dir che le appellatione non uengono o nero non lassano uenir dauanti il capitanio de raspo come se faceua, risponde : mi non so perchè ma uolentiera noria che le uenisseno et molti desidera de uenir qui in appellatione che li pareria uenir a caxa ma mi noti so chi habbia desconzà sta cosa ma magari si uenisse qui perche tutti li montonesi credo sariano contenti perchè cum uno soldo de pani per modo de dir se expediriano senza andar cum tanta spexa a uenetia. quali pouerhomini che lassano de andar in appellatione per le spexe et lasano le sue rasone de mal per non hauer modo de far tanta spexa. — non haueu mai parlato de sta cosa? — madexì che tra noi, ma alcuni de montona non uoriano — che fiera feu a Montona ? — femo hi fiera de santa margarita néla terra, che le uero che uengono usai morlachi del territorio et anche feuano costion nela terra essi morlachi. ma in questa fiera passata non està fatto costion et e uero che li morlachi femo costion cum quelli dela terra ma e 3 o 4 anni che non si afato niente. — chi e queli de montona che non uoria uenisseno esse appellatione qui? — li auocati e che uogliono uadagnar che uano uolentieri a uenetia perche li dano denari et feno il suo. — chi esti auocati che uano? — li è il pampcrga et il spimento (?) Ser Pietro Barbo, montonese, di anni trentadue, giudice di Montona. Non sa la cagione per la quale non si va in appello al tribunale di Raspo. In Montona si fa la fiera di santa Margherita dove intervengono i morlacchi i quali fanno costion coi cittadini. Ser Nicolò Dolzan (?) di Montona, di anni sessantasette, agente del comune, dice: per quanto mi aricordo et credo sia da 22 anni... sotto m. nicolò rimondo che fo podestà a montona esso podestà disse ali agenti che hera più honor suo andar le ap-pelìation a uenetia che dal capitanio et fo causa che li agenti se strenseno insieme, et meseno parte in el suo conseglio de far reuocar le ditte appellatione et credo tentorno per uia deli sindici (?) magari se uenisse de qui dal capitanio chel saria più utile et credo che li populi sariano contenti la e chiara come il sol. Interrogato se sarebbe più opportuno di tenere fuori di Montona la fiera di santa Margherita, visto i danni e i pericoli che potrebbero recare i morlacchi, risponde che sì e che tornerebbe assai vantaggioso di riparare agli inconvenienti del barbacan appresso la becharia. Ser Antonio de Algogius di Montona, di anni settanta, a-gente del comune. Lui pure non conosce il motivo per il quale le appellazioni non vanno più a Raspo, che sarta bona spexa et grande utilità deli populi. non uoriano se uenisse qui li citadini de montona queli mazorenti non uoriano ma li populi et poueri uoriano. et chi uolesse cerchar pel ben del populo et pouereti si furia tornar qui in appellatione ma mi non so se li sia ne sen-tentia de sindici (?) ne termination ne altro perche mi stago nel borgo dela madona et uado a far li fatti mei. La fiera di santa Margherita, dice, è pericolosa et staria ben a non farse a cagione dei morlacchi che da anni XV in 20 sono multiplicati et uenuti hàbitar nel territorio e trovano questioni coi cittadini. Ser Marco de paxe di Montona ignora anche lui il motivo pel quale le appellazioni da certo tempo in qua non vanno a Raspo dove li populi sariano tutti contenti a uenir perchè saria più comodo et manco spexa. È vero che alla fiera di santa Margherita intervengono i morlacchi che da trenta anni in qua sono uenuti et moltiplicati et fanno in quel giorno costion cum quelli dela terra, staria meglio essa fiera fuora dela tera et manco pericolosa perchè facendosi questione quelli dela terra se potria tirar nella terra. Ser Antonio Michelich, provveditore del popolo di Montona, non conosce come gli altri il motivo pel quale ora le appellazioni vanno a Venezia ; ma i citadini a fato questo perche sano che li poueri non hanno modo de andar a uenetia per difendersi. Quanto alla fiera di santa Margherita la staria meglio fuora della terra perchè i morlacchi fanno questioni e portano tutto il giorno le arme in essa terra. Et li e anche un altra fiera che se fa a bados sie mia lontan dal castello et se forza a uenir li homeni dela terra et roman pochi homeni alla guarda del castello et li più deboli et noi in campagna siamo manco deli morlachi et mi par che non si doueria fforzar niuno andar in dita fiera de bados. Informa egli poi il capitano che el populo e stato più uolte in controuersia coli zitadini per li torti ne feuano et sono stato dauanti li podestà per esser suffragato ma li podestà diceuano non poter far nome quello hanno trouato, che il popolo desidera ritornino le appellazioni al capitano di Raspo. Ser Matteo Cugna, di Montona, egualmente non ne sa nulla ; ma li citadini nostri, dice, che si tengono gran maistri non li piace uengar (intendasi a Pinguente) perche de una sententia de lire tre fata a fauor (?) de un pouereto tolgono lappellation a uenetia et il pouereto non a modo de spender ducati doi »t andar a uenetia a defender. Circa la fiera, essa è pericolosa e dovrebbe tenersi fuori di Montona. Quanto alla fiera di bados, e mal fata per mia opinion, egli dice, perchè se cerne tuto il fior della zente et uano a bados mia sie lontan et la più trista resta alla guardia del castello et pochi et el se poi uenir dal contado de pixin per il bosco fino sotto montona che non se uederia niente el troueria la terra senza zente et li homeni lontani, a mi par che se poria ben far la dita fiera de bados ma andar chi uolesse et non cauar le zente delli borgi et castello et li mior zernir et mandarli in mostra a bados perche li homeni quando non fosseno forzadi non andariano. Interrogati quindi i tra ultimi, dichiarano rivolti al capitano: Clarissimo Signor. Sapia Vostra Mag.ia che li auocati et grandi (?) dicono ali pouereti te menerò a uenetia e te faro spender et meteno li homeni in paura et dicono anche per lenir le lite el far se face lite lasa che mi menerò la parte aduersa a uenetia, et lo faro spender et consumar et cosi strusiano li pouereti che se uenisse lappelation qui deli Clarissimi capitani li poueri ueneriano a pinguento che e poco lontan. (Continua) G. V. — Portole -s^tjg^ggy® 2nT otizie Riportiamo dall'Istria del 20 febbrajo, la continuazione dell'interessante articolo: In previsione dell' apertura della Dieta Nell'ultimo numero abbiamo detto, che per sanare le profonde ed insolubili scissure sorte tra una parte e l'altra della Rappresentanza provinciale, l'unico rimedio è quello di divorziarsi definitivamente da quelle regioni eterogenee, che non ebbero mai per lo passato niente di comuue con noi, cioè nè storia, nè tradizioni, nè comunità d'interessi. Chi conosce le precedenze dell'Istria geografica, e quelle dei paesi contermini a noi aggregati dall' imperiale governo, troverà la nostra proposta in perfetta consonanza alle ragioni storiche e quindi rispondente al nostro diritto. E poiché in oggi tanto ci si tiene e in tutte guise si cerca di far valere codesto diritto, così detto di Stato, 0 perchè mai non lo faremo valere anche noi in tutti 1 modi consentiti dalle leggi costituzionali? Qui non si tratta nè di capricci, e manco ancora di diritti più che ipotetici, falsi, come sono quelli accampati dai nostri avversari; ma di diritti reali, sanzionati dalla storia ancor recente di parecchi secoli, che nessuno potrà mai menomare e men che meno distruggere. Che se hanno il loro proprio diritto di Stato, i cechi da un canto, ed i croati dall' altro — per tacere di altre popolazioni della Monarchia — non si stenterà, crediamo, di ammettere anche il nostro dei diritti, il quale non è niente inferiore al loro, anzi si presenta più netto e più lampante dei suddetti — per gli effetti che ne vogliamo trarre. Imperocché — a parte quello che ora pretendono i così detti federalisti — le nuove circoscrizioni territoriali, venute su dalla Costituzione, non furono già de-liminate jure cervellotico, ma secondo criteri rigorosamente storici. — Ed ecco che il Litorale — per non ricorrere ad altri paesi — fu diviso nelle tre provincie: di Gorizia- Gradisca, di Trieste e dell' Istria. Tante Provincie, quanti erano i diritti storici. Solo che a noi, per le ragioni svolte nell' ultimo articolo, fu giudicato allora opportuno di appiccicarci delle porzioni, che colla nostra, in codesto diritto storico, nulla aveano che fare. Non è dunque nè leggera nè superficiale la rivoluzione che ora tendono di portarci in Dieta i Deputati della grande Slavia. In prima linea, essi vogliono eliminato e distrutto il nostro diritto; cliè, mentre da un canto, ad ogni piè sospinto, si strombazza per la ricostituzione del Regno di Croazia, coli' annessione dell'Istria; dall'altro si evoca il fatuo Eegno d'Illirio, che altro non era che una delle tante fantasmagorie politiche della buon' anima di Mettermeli. Dunque qui trattasi di far tabula rasa della nostra Istria, come se mai fosse esistita, o non esistesse giuridicamente ! Ma, si dirà, appena adesso vi accorgete di tutto questo; o perchè mai non avete protestato prima? La risposta non riesce punto difficile; anzi: Prima del 1860 non ci era nessun corpo rappresentativo, e nemmeno un qualche partito politico fra gli slavi confinanti col Litorale, che dimostrasse tendenze per lo passato rispetto a questo territorio. Basterà rammentare, a provar ciò, che la Congregazione del Comitato di Zagabria, nella sua seduta del 16 febbrajo 1860, limitava 1' estensione di uno sperato gran regno slavo al fiume Arsa che sbocca nel Quarnero, o, per definire più esattamente al Monte Maggiore, dal quale l'Arsa non dista che un chilometro — confine naturale fra il Litorale italiano e la regione degli slavi del sud. Al detto fiume limitava le sue nazionali tendenze anco l'Assemblea dei Fiduciari Slavi, che convocata nella Capitale della Croazia dal Bano, teneva le sue sedute nel settembre del 1860 sotto la presidenza del noto sla-vofilo vescovo Strossmayer. Ma v' ha di più. La dieta di Zagabria, nel luglio del 1861, espose solennemente le ultime aspirazioni territoriali dei popoli slavi vicini al Litorale, accampando pretensioni alla quasi totalità della costa orientale dell' Adriatico, cioè al litorale dalmato, al litorale croato e al litorale ungarico di Fiume; ma non accennò tara-poco alla più lieve frazione del Litorale, cioè della costa istriana, di Trieste ecc. — Onde non fece parola nemmeno di quel tratto che, oltre il territorio fiumano, ne è la continuazione fino al Monte Maggiore, ed è fuori della penisola italiana, e che si designa col nome di Liburnia. Questi fatti, ci sembra, hanno un grande significato, ed acquistano poi un' importanza ancor maggiore, anzi perentoria, quando si saprà che codeste mauifesta-lioni sono avvenute in un periodo nel quale gii italiani erano guardati con occhio molto sospettoso .... E non diciamo di più. Ma ora, da tempo in qua, i criteri e gli umori si sono cambiati, e si cerca con bella grazia di scambiarci anche le carte in mano. Ornai non si fa più mistero : ad ogni piè sospinto si proclama e si insiste di volere croato tutto il paese che sta fra i lati confini dell'Isonzo e della Bojana ! Oh! una bazzecola da nulla. Così si scrive dai pubblicisti croati, così ripetono i loro giornali, così proclamano nei loio convegni i rappresentanti delle popolazioni più o meno croate. Se, dunque, per lo passato non c' era certa ragione di allarmarsi, ora crediamo non sia più il tempo di dormirci su ; tanto più che noi, volendo il distacco, non vorremmo che far valere il nostro buon diritto ; mentre gli avversari nostri non potranno, certamente, accamparne alcuno per rimanerci accollati; con tanto nostro disagio. Chè essi tendono non solo ad imporsi, a prevalere, ma ad arruffare tutto quanto, a distruggere, in una parola, le carte legittime — che essi non hanno — di casa nostra. Solo in tal modo si potrà rialzare il prestigio, 1' attività e 1' efficacia della nostra Dieta — resasi in oggi — per l'intemperanze di cotestoro — un vero assurdo. Noi abbiamo bisogno di pace, di tranquillità e di concordia, senza le quali è vano ripromettersi progressi, miglioramenti, sollievo, insomma, delle miserie nostre. E necessario poi, in ordine politico, di togliere assolutamente 1' equivoco, che va facendosi sempre più accentuato, d'una Istria slava. Poiché ci saremo levati d' addosso i 70 e più mila slavi che ci stanno propriamente sulle spalle, e che non ci appartengono, non si potrà più dire che la maggioranza è di loro. Così 1' I-stria nostra apparirà di fatto, com'è di diritto, terra italiana ; chè alla coltura, al censo, alla marina, ai commerci, alle industrie, alle arti, ad ogni manifestazione, insomma, della vita pubblica civile, corrisponderà anche la quantità numerica della popolazione italiana ; nè ci si verrà più a romperci i sentimenti colla ornai nojosa .Vogliamo quel che vogliamo, perchè siamo la maggioranza !„ Potrebbe darsi che taluno alla nostra proposta sorgesse coli' obbiezione : esser troppo piccola 1' Istria geografica per costituirla a provincia a sè. Ci pare che codesta non sarebbe una obbiezione seria. Se grande sta in convulsione, e se piccola darebbe affidamento di buon governo, e di sapiente condotta, o perchè mai ci si opporrà a un tale tramutamento ? Ma ci sarebbe forse il caso di fare anche grande la provincia, in senso amministrativo. Si è parlato tanto dell unione delle tre provincie :- di Trieste, di Gorizia e dell' Istria : ebbene, che Gorizia faccia divorzio colla parte montana — come noi colle parti eterogenee all' Istria geografica — e sarà modo allora, senza dubbio, d'intendersi per bene, e di effettuare con buona efficacia 1' unione amministrativa di tutti gli italiani del Litorale. Con la patente imperiale del 15 febbrajo 1892, venne convocata la dieta provinciale in Parenzo il giorno 3 corrente. Nella seduta del 19 febbraio p. d. della camera dei deputati 1' on. Bartoli presentò un' interpellanza intorno alle violenze degli agitatori croati, eie illegalità degli i. r. funzionari, commesse addì 29 ottobre anno scorso, nella elezione dei fiduciari in San Vincenti, per la elezione di un deputato al consiglio dell' impero. L'interpellanza venne pubblicata per esteso dall' Istria di sabato scorso, e ne riportiamo i conclusi : 1. Sono a conoscenza di S. E. il prefato Sig. Ministro i suaccennati fatti illegali avvenuti per ordine del dirigente l'i. r. Capitano distrettuale di Fola sig. Alberto cav. de Conti, ad opera del Commissario politico presso lo stesso Capitano sig. Rubelli nell'occasione dell' elezione dei fiduciari seguita in Canfanaro il dì 26 ed in San Vincenti il 29 ottobre 1891 per l'elezione di un deputato al Consiglio dell' Impero pei comuni foresi dell' Istria occidentale? 2. Intende Sua eccellenza di disporre l'opportuno acchè simili fatti illegali non abbiano a ripetersi per parte degli organi del governo, ma che anzi detti organi abbiano a tener sempre un contegno corretto ed imparziale? ---- All' esimio direttore del Ginnasio di Capodistria cav. Giacomo Babuder, fu conferito il titolo di consigliere scolastico. Il corrispondente della i. r. commissione centrale pei monumenti storici ed artistici, prof. Puschi di Trieste mandò una relazione sulla scoperta di ruderi di muraglia romana presso Borst; ed il prof. Majonicauna relazione sulla scoperta fatta di recente a Monastero di una meridiana eseguita in pietra e molto bene conservata. Troviamo opportuno riportare dalla relazione del consiglio di amministrazione presentata nella prima assemblea generale dell'Istituto italiano di Credito fondiario : „Era facilmente attendibile che, in questa prima serie di richieste venissero comprese quelle di molti proprietari, che non avendo ottenuto il mutuo in tempo 0 luogo diverso, avrebbero voluto ritentare la prova col nuovo Istituto. Altre pure vi si confusero che avevano preso a base la speranza di una valutazione eccezionalmente larga per un presunto desiderio di concludere subito molti affari, quasi come affermazione di vitalità e di potenza." „Non esitiamo a dichiararvi di aver posto ogni studio affinchè l'Istituto sino dalle prime sue operazioni, si acquistasse fama di giusta prudenza. Non abbiamo creduto cbe fosse in nostra facoltà di allontanarci, fosse anche per poco, nella valutazione dei fondi, da quei due criteri fondamentali, che sono : la certezza e la continuità della rendita. L' osservanza costante di questa norma ci ha tratto a respingere tutte quelle domande le quali apparissero mancanti della più solida garanzia a questo riguardo, e a ridurne altre entro i limiti meglio rassicuranti., La società di storia diplomatica di Parigi ha eletto a voti unanimi suo corrispondente per Milano Cesare Cantù. Questa distinzione è dovuta all' opera del Cantù : 1 diplomatici della Repubblica e del Regno d'Italia. Viva tutti e morte a nessuno Il Giusti, non mi rammento in qual parte del suo epistolario, a proposito di certi crucifige e o-sanna vociati a suo tempo, mandò dal cuore il nobilissimo grido : — Viva tutti e morte a nessuno. Queste parole mi tornarono alla mente a' giorni scorsi leggendo nei giornali dell'Istria di certi villani avvinazzati che, sulle porte di Parenzo gridarono in faccia ai giovani ed alle signore pacificamente a diporto pel viale della Madonna, le testuali parole: M.... all'Italia! M.... ai Parenzani! Viva Laginja! La frase non si può scrivere intera per rispetto al galateo; ma è facile rilevarla. Ora coi viva a Tizio e morte a Cajo molto si sono in ilio tempore scombiccherati i muri, tra la gente civile ; quella frase fu spesso il grido unanime di rivolta contro i sette padroni ; anche ha riempiuto forse più del bisogno la bocca degli arrutfapopoli, e fu la parola d'ordine dei maledetti partiti. Però tra noi si è gridato e scritto sempre viva e morte ; e non ci siamo mai sporcata la bocca e le mani. Toccava agli Slavi correggere il grido di guerra, e accomodarlo ai loro gusti : tutti i gusti sono gusti, e buon prò lor faccia. Se non che dopo il sudiciume gettato da quei mascalzoni in faccia ai signori ed alle signore di Parenzo, cT è un viva molto significante, che può dar luogo a vari commenti. E prima di tutto ad un deputato sedente come che sia, ma sedente alla Dieta dell' Impero, e che nutre la debita stima, come non vi è ragione di porre in dubbio, a ' suoi superiori, ed alla stessa sua dignità, quel M.... all' Italia congiunto al Viva al suo nome, non dovrebbe tornare di certo gradito, pensando alla triplice alleanza dell'Italia, dell'Austria e della Germania ; per cui rebus sic stantibus, non ce ne vogliono poi tante a capire, sopra a quali teste, non esclusa la sua, vada a cadere quel fango. Anche è opportuno rammentare come il massimo nostro poeta, abbia usato con potente immaginativa ed efficacissimo stile, della stessa parola urlata dai villani del territori a parenti no, per descrivere la pena serbata nell' inferno agli adulatori, ed alle baldracche feti-pati tra le ripe "grommate d' una muffa» (Inferno 18). Ah ! pur troppo me gli hanno adulati i poveri contadini dell'Istria; troppe lusinghe, non dissimili dagli accosciamenti delle femmine lusinghiere, si sono usate, promettendo Roma e Toma agl'incauti villani; ed essi lusingati, lisciati e palpati pagano, come sanno e possono, i loro adulatori, usando il vocabolario degno di quella bolgia dantesca. Quale asino dà in parete, e tal riceve, ed i M.... e Viva vociati dagli scolari sono la paga condegna ai maestri adulatori. Ed ora alla conclusione pratica. Se io mi fossi trovato presente a quella scena, governato dalla moderazione che viene cogli anni,-e dal vedere le cose dall'alto, avrei forse con tutta l'anima gridato in faccia a quei poveri illusi : Viva tutti e morte a nessuno. Si Viva tutti, e prima di tutti viva il mio bel paese, la patria grande ; e viva l'Istria, la piccola patria in cui finora tutti abbiamo vissuto, e Italiani e Slavi, in buon accordo, e viva anche la Croazia ne' suoi naturali confini, di là dal Monte Maggiore e dal Quarnero, e Dio le conceda ogni bene, e viva pure tutti gli stati e le nazioni, e morte a uessuuo. Questo in teoria ; quanto alla pratica, si sa, bisogna governarsi secondo le occasioni, e operare lì per lì, secondo vuole l'impeto di una subita indegnazione e la forza irresistibile del sistema nervoso. Perciò nel caso come sopra, se mi fossi trovato a Parenzo, a tutela, se non altro del rispetto che si deve alla donna, prima di tutto con la possibile calma, avrei non già gridato in faccia a que' mascalzoni il motto del Giusti ; chè già sarebbe stato fiato sprecato, ma gli avrei esortati in bel modo a tacere. Se poi questo non fosse bastato, data un' occhiata in giro in cerca della benemerita arma, l'avrei pregata a metterli al dovere, e in caso d'assenza, se coloro avessero continuato ad insultare quanto abbiamo di più caro, visto che, secondo la sentenza del conte Attilio, il bastone non isporca le mani a nessuno, avrei dato dcrve capita botte da orbo e con tutta facilità, stante la poca solidità delle loro gambe gli avrei fatti ruzzolare tutti di qua, di là in fondo al fossato. Badiamo però; non intendo di dare consigli; non discuto se ciò sia bene o male ; lungi da me l'idea di perturbare la pubblica tranquillità, e di eccitare all' odio ed al disprezzo. Dico semplicemente quello che avrei fatto in un impeto primo, come eccezione alla regola, e pronto a rendere ragione a chi si deve dell' operato, e sicurissimo di trovare protezione e giustizia da tutti i codici della gente civile. Ma per finire come ho cominciato, ed alzandomi in più spirabile aere ripeto : Si, viva tutti 'e morte a nessuno. Viva il mio paese, e viva pure la Croazia. La bandiera della giovane e forte Slavia io la vagheggio ; il rosso, l'azzurro e 1' argento mi allieta lo sguardo, come il tricolore d'ogni nazione che aspira alla libertà con la civiltà. Anzi a proposito, ho un vecchio debito di riconoscenza non so a quale persona gentile che volle spedire a me lontano lontano un numero del Diritto Croato con la faccia grave e aggrondata del Dr. Laginja circondata dai colori nazionali della giovine Slavia. Sapessero, come mi delizio a contemplarla ! L' ho messa in apposita cornice, e ci do spesso un' occhiata, ma sempre di notte! Allora per un certo effetto ottico, e una trasformazione del celeste (caso contemplato e passato in giudicato) in un colore simile se non eguale, il Dr. Laginja mi fa tutta altra figura, e io ne godo tanto, e mi sbellico dalle risa, e con un volo di fantasia mi trasporto a tempi in cui, cessate le attuali baruffe, tutta la terra sarà un paradiso, e tutti i popoli stretti ad un patto, moveranno con forze unite alla conquista d'un bene comune. Ma ahi ! pur troppo molta acqua ha a scorrere prima sotto i ponti. Finche ai Viva Tizio si uniranno nell' Istria quelle tali grida sozze ed eteroclite di M.... all'Istria, rispettino i così detti Croati dell' Istria il nobile tricolore della nazione slava. A celebrare i loro fasti nell' Istria basterà ben altra ghirlanda ! P. T. Cose locali Per iniziativa di un comitato, il nostro teatro sociale si aperse domenica sera a un ballo mascherato, a beneficio di questo gruppo della Lega Nazionale. Conosciuto lo scopo, non poteva mancare il concorso dei cittadini, e fu considevevole, malgrado la stessa notte si ballasse in più luoghi; così l'incasso è stato generoso. Sono risultati, questi, ornai assicurati, e che furono ottenuti in tutte le nostre città e perfino nelle minori borgate, e si otterranno sempre finché durerà il bisogno di tenere alta la bandiera della Lega Nazionale. Con felice pensiero il teatrino venne illuminato a luce eletrica; l'addobbo fu ideato ed eseguito con un gusto squisito, secondo il nostro modesto parere mai ancora raggiunto l'eguale; e forse giovò lo studio ingegnoso di ottenere gli effetti con poche spese, che vuol dire con pochi mezzi, con semplicità elegante, onde scemare il meno possibile il gruzzolo dell'incasso. Non occorre dire che tutti si prestarono con zelo perchè la festa riescisse perfetta, come infatti è riescita. --—WS----1 PUBBLICAZIONI Lettere inedite e rare di Gioachino Rossini. — Ricorrendo il primo centenario della nascita di Gioachino Rossini (29 febbraio 1792) sarà pubblicato dalla casa editrice Ignazio Galeoti e figlio di Imola, Jun volume di lettere del grande maestro, raccolte e ordinate e illustrate dal prof. Mazzatinti del r. liceo di Forlì. Questa ampia raccolta di lettere e quelle pubblicate dallo Za-nolini (Bologna 1875) e da altri formeranno l'epistolario, se non completo, certo copiosissimo dell'immortale Pesarese___ Pietro Madonizza edit. e redat. responsablie