III. ANNO. Sabato 11 Novembre 1848. M II due di Novembre. La liberta civile ha mostrato in quest' anno come agisca sui culto, non grandemente, ma con indizi che fanno conoscere il desiderio del popolo che la chiesa cattolica abbia anche essa la liberta, e le vengano tolti quegli impacci che creduti, o detti, mezzo ad impedire che il clero esca dal suo ministero, si mostrarono invece impedimento alle manifestazioni di culto pubblico, ragio-nevole, solenne. Vi furono tempi, e non Iontani nei quali il santo nostro protettore ebbe culto grandissimo; la ricorrenza del giorno nel quale esso diede testimonianza di sangue per la fede, la rieordanza che la morte di quel santo diede fine allfe persecuzioni in Trieste, e che poco stante fu data la liberta aila Chiesa di Cristo, la ricordanza che da quei tempi fino a noi la fede si mantenne integra ed illibata, che il sacro albero trionfatore s' alza ancora dopo il volgere di quindici secoli sulle rovine di antichi templi, fu di letizia nei Triestini, i quali nelle venture come nelle disgrazie fecero sempre capo nel concittadino che intercede per questa sua patria. L' influenza degli ultimi cinquant' anni si fe' sentire sui pubblico culto, che si volle dimesso anzi che no; la chiesa ne solennizzava invero la memoria, ed appena avrebbesi potuto fare a meno, ma la festa era di chiesa soltanto, non civile, e se le cose avrebbero progredito, il di di S. Giusto sarebbe stato come quello di un altro santo del calendario. Oualche anno addietro viddesi invero qualche segno esterno, addobbato il portale del Duomo, annunziata al popolo la festivita con iscrizione, ma fu lampo ; questi segni non erano graditi a chi poteva fare che si ommet-tessero, e si ommisero volentieri, e si ritorno aH' antica modestia, male odorando ogni cosa che sapesse di let-tere. II che non intendiamo detto per nulla a carico del Clero; anzi per quanto ci 6 noto esso si rallegro di vedere che altri facesse, cio che forse pensava non poter fare da lui solo. La Guardia Civica che e instituzione popolare e patria, fino tlal suo riordinarsi nel 1836 dichiarava il o-iorno di S. Giusto, festa del battaglione e 1'onorava con rito militare. Nell' anno decorso viddesi il Consiglio municipale celebrarla, intervenendo alle sacre funzioni, ed a ricevere la benedizione papale che il pio nostro Prelato volle rinnovata. II martirio del Santo distribui-vasi stampato al popolo per diligenza della Fraterna del Santissimo, Ouest' anno la Nazionale volle la festa del nostro protettore come festa propria, e preparava solenne com-parsa, se la pioggia dirottissima 1'avrebbe concesso ; il martirio del Santo venne propagato per le stampe fra il popolo, nei modi novelii. Di quest' anno notiamo cosa che pare a noi di non lieve momento. La stampa periodica, quella stampa che molti dicono licenziosa piuttosto che libera, che molti dicono eccedere negli argomenti e nel luono, la stampa periodica depose la penna per rispetto aila memoria del Santo nostro martire e ne fe' giorno di festa. II quale omaggio al pubblico culto pare a noi commendevole, ed in se, e pel volgo, il quale non ha forse il pensamento piu favorevole della religiosita di quelli che adoperano la penna. Ouest'omaggio, certamente spontaneo (e tale si appalesa dalla concordia), e frutto come noi pensiamo di liberta, di liberta che lasciando ad ognuno 1' agire secondo proprio discernimento, non allelta a far cosa vie-tata, npn ingenera noncuranza di cosa ordinata. . I timori che il clero ecčeda sono fuor di tempo, sono peggio se e vero che il sapere, e P onesta devon avere predominio; il consiglio di tagliare le gambe ai soldati per timore asserto che disertino, non e piu dei tempi nostri; guardate al di fuori la chiesa fosse anche colla forza; ma lasciate che entro la chiesa il clero, la congregazione si muovano', essa ha le sue leggi, ha il suo reggimento, ha le sue pene; leggi, reggimento, sa-pientissimi, mirabili; la chiesa non si confonde colla societa civile; le giova grandemente ma non e ne identica ne parte di lei. Abbia la chiesa quella liberta che e conceduta ali'infimo dei consorzi civili; sia emancipata da ogni ingerenza profana. La societa civile abbia quel sapere e quella pieta che la chiesa raccomanda e ne avra giovamento nella liberta. Pace fra il Marchesato d'Istria ed il Doge di Venezia fandiano II. II Codice Trevisani dal quale fu tratto il testo del placito istriano tenuto al Risano presso Capodistria nel-1' 804, registra altri preziosi documenti per la storia deli'Istria, tra i quali scegliamo la pace fatta fra.Win-tero Marchese d'Istria ed il Doge di Venezia Candiano II, siccome quello che ci da conoscenza della costituzione provinciale deli' Istria nell' anno 933. Nel foglio unito si da lo stampato di questa pace. AH' intelliggenza della quale dobbiamo premettere che intorno 1' anno 770, si fecero certi patti generali fra Greci, Longobardi, e Franchi per riguardo ali' Istria, dei quali ci e noto soltanto che 1'Istria per cid che ri-guarda al governo di chiesa venne stabilmente aggiudi-cata al Patriarca di Grado, e fu questa 1' epoca nella quale la provincia d' Istria penso di fare provincia eccle-siastica da se, addottando che ai vescovi medesimi spet-tasse di consacrare i loro novelli fratelli nella provincia. Non era il ducato dei Veneziani indipendente affatto dagli Imperatori Bizantini; anzi pensiamo che ad onta del reggimento che avevano tutto proprio e di provincia autonoma, riconoscessero la dipendenza da quell' impero, dal quale rilevavano gli offici ed i titoli che il doge a-veva oltre 1' ordinario deli' amministrazione. Certo si e che oltre le dipendenze in cose supreme, la costituzione che diremo provinciale dei Veneti, era del tutto identica con quelle usitate nelle provincie italiane deli' impero bi-zantino, e con quel!a deli' Istria, e pensiamo che quei diritti sul mare e per la flotta li quali erano gia di Grado, come stazione della flotta militare di presidio del mare superiore Adriatico, passassero nei Veneti e fossero poi titolo a quelle regioni che ebbero poi i Veneti sulle acque del golfo, sulla sicurezza pubblica nello stesso, e sulle citta istriane poste alla spiaggia del mare, diritti che annebbiati per 1' antichita loro, furono poi consacrali dalla religione, da feste solenni, argomento ad esercita-zione dei pubblicisti, i quali abbandonando o sconoscendo il diritto storico, preferirono le ragioni naturali. Questi nostri sospetti spieglierebbero come da tempi piu remoti i Veneti esercitarono diritti sul golfo, sulla marina delle citta istriane, spiegherebbero come le citta istriane fossero si pronte a riconoscere il dominio veneto sul mare, senza che vi fosse ostacolo la ripugnanza mostrata ri-petutamente di rimanere suddite, e la giurisdizione di propria autorita provinciale, e spiegherebbero come la fama segni la soggezione deli'Istria a Venezia, ben prima che vi fosse vera doininazione sovrana. Era a nostro pensare il debito clie avevano le citta istriane provinciali fino dai tempi romani di concorrere al servigio pubblico per la sicurczza dei mari nella flotta o stolo di Ravenna, poi di Grado; era il debito di concorrere alla spesa di questo servigio pubblico, i quali nel cangia-mento delle condizioni e nel cangiamento dei pensamenti sul governo pubblico prepararono la via alla doininazione veneta; la quale ebbe titolo di propria doininazione quando nel i 124 1' Imperatore Giovanni Comneno di Costantinopoli cedeva ai Veneziani ogni diritto che van-tava sull' Istria e Dalmazia. Nel trattato di pace che ripubblichiamo apparisce che il Palazzo del Doge, che e quanto a dire il suo Erario ducale, aveva dei redditi (specialmente in Pola) in tutta 1'Istria, diritti sui quali aveva pošto mano Winthero, meno forse per arbitrio, di quello che per ignoranza delle costituzioni provinciali, la quale fino dai tempi romani veniva posta a colpa dei Presidi provinciali. Ouesti redditi deli' Erario ducale si dicono res Pa-latii, mentre quelli del Patriarcato si dicono res pro-prietatum differenza che pensiamo doversi notare; e res si dicono anche i proventi del vescovato veneto cioe a dire di Castello, fondato nel 773. Dal placito deli' 804 si conosce che la chiesa patriarcale gradense aveva real-mente delle proprieta nell'Istria, difficile sarebbe I'inda-gare come il vescovo di Castello avesse redditi in Istria, se facilmente non venisse in sussidio la pratica allor frequente di fare donazioni dei pubblici proventi alle chiese, lo che spiegherebbe come Castello potesse avere redditi in diocesi altrui. I dogi non furono illiberali, ed a cio devono ascriversi forse i censi o cose che altri Ve-scovati deli' Estuario ebbero in Istria. Winthero Marchese d' Istria pel re Ugone d' Italia, aveva pošto mano sui beni deli'Erario veneto, e della Chiesa veneta che li rilevava da questo, pose mano sui beni del Patriarcato di Grado. E non solo fe' cio, ma offese i singoli cittadini veneti, impedendo che gli Istriani pagassero ai Veneti i debiti che avevano, ricuso di fare giustizia ai Veneti, li fece caricare di sovraimposte dalle citta, arresto le loro navi, le saccheggio, uccise Veneti, e percio nacque, non gia guerra, ma discordia. Pietro Candiano, per ricambio proibi che i Veneti andassero in Istria, che gli Istriani capitassero a Venezia e cio fu sufficiente perche Winthero piegasse ad implo-rare pace. Nella quale pace ricordiamo che fu confermata P antica consuetudine di pagare in ogni citta il diritto di porto, ed il diritto di dazio; e che nel caso il Re ordi-nasse guerra contro i Veneti, sarebbero avvertiti e potrebbero ritornare illesi alle loro citta. Pero deli' obbligo di prendere parte alle- spedizioni contro i Pirati non si fa alcuna menzione, sia che non fosse questo argomento di contesa, sia che le spedizioni navali a sicurezza del golfo fossero tralasciate. II diploma mostra nelle firme qualche ommissione di copisti, pero da queste e dalla ricapitolazione che vi fu aggiunta si apprendono piu cose. Nell' anno 933 la rappresentanza della provincia formavasi come nell' 804, dal Marchese, dai Vescovi, e dai Comnni. Le baronie non sembra che fossero peranco attivate, ne appariscono da altri documenti di tempi prossimi; duravano ancora gli offici, senza essere passati in benefizi. La provincia abbracciava ancora tutto il tratto dal Porto di Sestiana fino al Quarnaro, Trieste e Pola; Pola precedeva in rango a tutte le citta, il Vescovo di questa citta, i deputati si segnarono i primi; pero facendosi menzione della provincia si dice sempre = Pola e tutta 1'Istria, quasi il rimanente della Provincia fosse soltanto agro di Pola. La condizione di capitale in Pola, si vede confermata dagli atti di chiesa, piu tardi da altre instituzioni, delle quali cileremo i Templari che in Pola ebbero commenda. Fra le citta compariscono Trieste, Capodistria, Cit-tanova, Parenzo, Pola, non comparisce Albona, (dei paesi fra terra nessuno comparisce) perche forse non ebbe ostilita coi Veneti, posta come e al Ouarnero, o perche distrutta come era avvenuto di Rovigno, di Umago e di Sipar, che non figurano nell' atto di pace. La distruzione di questi ultimi luoghi e registrata nella Storia scritta, piu tardi appena tornano a ricomparire. Pirano vi figura, non comparsa al Parlamento perche in allora apparte- CODICE DIPLOMATICO ISTRIANO. Anno 933. Rivoalto, 12 Maržo. MVintero Marchese d' Istria fa pace con Candiano II Doge di Venezia. (Dal Codice Trevisani.) In Nomine Christi. Regnante Domino Nostro Ugone Sanctis- simo Rege anno septimo, Lothario vero filio ejus in Dei nomine Regnante anno secundo, die XII mensis Martii, indictione sexta, • actum Rivoalto. Cum nos Win-therius, et homines nostri invasimus res proprietatum de Patriarchatu vestro Gradensi S. Hermachorae, quas in finibus Pollanae, et Istriae habet, et similiter res Palatii vestri Venetiarum, et de Episcopatu Venetiarum quas ipse Palatius, et sui Episoopati in Polla, et in omnibus finibus Istriae habet, et debita, quae Istriensis ad Veneticos solvere debebant, detinebamus, ut justitias minime invenire po-terant Venetici, et suprapositas eis per civitates imponebamus, etiam naves eorum comprehendimus, et depraedavimus, et homicidium in Veneticos fecimus: unde maxima lis inter nos, et Veneticos accrevit propter hoc m&lum, quod in Veneticos exercuimus, Dominus Petrus gloriosus dux Venetiarum praecepit ut nullus Veneticus Istriam pergeret, nec Istrienses Venetias advenirent: hoc videntes nos Wintherus Marchio Missos direximus ad Dominum Marinum Patriarcham, ut pro Dei omnipotentis amore intermitteret se ad Dominum Petrum Eminentissimum Ducem, ut pacem cum nobis, et cum nostro Populo faceret, et negotia Venetici cum Istriensibus exercerent, sicut soliti fuerant facere. Tunc praedictus Dominus Marinus egregius Patriarcha exiit a sua Civitate Gradensi, venitque ad suum seniorem Dominum Petrum Eminentissimum Ducem, et admonuit eum, ut pro Christi amore Pacem faceret, et malum pro malo non redderet, sed quod contra legem factum haberet, secundum scire parti emendaret; Ad haec monita mente Domini Petri piissimi, et gloriossimi Ducis compuncta condoluit, unde ipse denique Dominus Petrus Dux ammonitus Divina, et Apostolica precepta in devo-tione et promissione Istriensium esse devota, per hanc chartam misericordia motus, et per sanctas Dei Ecclesias, et pauperibus Christi ad pacem, et concordiam sua mente reduxit, et omne malum, quod contra suos Istrienses degerunt, pro Divino amore reliquit. Ideo ego Wintherus Marchio una cum Johanne Episcopo Urbis Pollanae, et cum caeteris Istriensibus Episcopis, et cum omni Populo Istriensi prona mente, et spontanea voluntate promittentes promittimus, ut a modo, et deinceps in nullas proprietates de vestro Patriarchatu Gradensi Sancti Hermachorae, nec de illas de vestro Palatio, nec de cunctas res sanctarum Ecclesiarum Dei, quas in vestro Episcopatu Venetiarum pertinet, in totis finibus Pollanae, et Istriae, quas ille, et Venetici ubicumque habere, et possidere visi sunt in finibus Istriae, nullo unquam tempore nos in eas intromittere; nec in aliquo occupare debeamus, sed semper in suo statu, et in vestra Dominatione manere debeant, ita ut non per nos, neque per su-missam personam ab aliquo mali patiantur, sed semper ab omnibus nostris, qui sub nostra potestate degunt, defensae ipsae proprietates, et homines vestri maneant: et vestra dominatio per nostros fideles, et ipsos colonos discurrat. Simili modo promittentes promittimus quod omne debitum, quod Istrienses Veneticis solvere debent annuatim justitias facere debeamus: usque promittimus de omnes superposi-tas, quae factae fuerunt, ut in aeternum non inde memoretur, sed secundum antiquam consuetudinem pro unaquaque Civitate ripatica, et telonea solvantur, ita ut amplius eis non impomntur; itemque promittimus, ut nullo unquam tempore cum nostrae naves super vestris in contrarium ire non debeamus, ne vestri Venetici mala patiantur, sed omni tempore syncere, et cum caritate ab invicem vobiscum manere debeamus, et omnem legem, et justitiam vestris Veneticis observare promittimus. Super hoc autem pollicemur, ut si jussio Regis venerit, nt contra Veneticos aliquod mali agatur, primitus cum nos potuerimus scire, eos faciemus, ut inlesi ad suam patriam revertantur, et haec in-violabiter observare promittimus, nos cum nostris successoribus ac haeredibus, ac prohaeredibus. Qiiod si quocumque tempore per vim nos proprietatem de vestro Patriarchatu Gradensi Sancto Hermachorae, aut de Palatio vestro, aut de Sanctarum vestrarum Ecclesiarum, aut de vestris fidelibus invadere praesumpserimus, incurramus in iram omnipotentis Dei, et Sanctorum ejus, quorum res invadere praesumpserimus, et insuper componere promittimus cum nostris haeredibus vobis, et in Palatio vestro auro fulvo lib. C. medietatem cui forcia facta fuerit, et medietatem Palatio Regis Italico regno praesidenti: et haec promissionis charta maneat in sua firmitate. Hanc vero chartam repromissionis tradidimus scribendam Georgio Diacono, et Notario de Civitate Justinopolis. Acta vero Rivoalto. Signum manus Domini Winthicherii Mareliionis, qui hoc fieri rogavit. Ego Johannes Episcopus Pollanae Ecclesiae mm. SS. Ego Firminus Episcopus mm. SS. Signum manus Rocioni de Civitate Polla ad omnia consentientis. Signum manus Martini filii Constantini consentientis. Ego Andebertus Locopositus de Civitate Justinopoli consentientis. Signum Leonis filii Passivo consentientis. Signum Dominici Locoposito de Trieste consentientis. Signum Johannes filii Olivae de Trieste. Signum manus Andreadis Scavino filii Dominici Pepolo de Tergeste. Signum manus Dominici filii Olivae de Castro Mugla consentientis. Signum manus Juliani de Mugla consentientis. Signum manus Venerii de Augusto de Castro Pirano consentientis. Signum manus Felicis filii Ravenni de Pirano consentientis. Signum manus Dominici Scavino de Anastasia consentientis. Signum manus Maurocini de Justinopoli consentientis. Signum manus Johannes de Justinopoli consentientis. Signum manus Andreadis fratris Domini Johannis Episcopi consentientis. Signum manus Uberti, cui cognomentum Pepulino consentientis. Ego Georgius Diaconus, et Notarius de Civitate Justinopoli ex jussione Wintherii Marehio- nis hanc repromissionis chartam scripsi, complevi, atque firmavi. De Civitate Pollae sunt Rocius, Martino, Leo filius Passivo, et Johannes Basiliauus. De Parentio l.eo de Walteramo, Domenicus de Juventino, Odorlicus, Theodorus Tribunus. De Civitate nova Leomanus, et Johannes cognatus Formino Episcopo. De Pirano Felix Scavineus, Andreas Justulago Rissus Ansaldus. De Civitate Capras Andibertus Locopositus, Andreas Aquabrolus, Dominicus de Anastasia, Petrus de Zunani. De Mugla Venerius Guzolinus, Dominicus de Oliva Anticus. De Tergeste Dominicus Locopositus fiilius Senadri, Andreas filius Dominici Pepoli, Josephus de Olivo Rosiderius. tinttMHij ■ . unumlf »-.».»»f. i«i. auAtun uiM(gM ; -ii .' . 'i uši«« r. •..<••. iu * • • ■j, „ iij X0 . •. ' t /• i : • ' - A'V -i ■ «V . r i • »•■•'" »- ■ . i , *»>(tf{t «>;:!!»•:• '! > « i »'.v ><- eiv /• >> fsj • ' .1 ! v,- '■ •• r. bi (UtS. A d 'Minais . . 'J iiite nente ai Bizantini. Muggia comparisce quale comune, staccata coine sembra dalla giurisdizione di Trieste. II che verrebbe in conferma di quanto dissimo parlando del placito istriano deli' 804, che cio£ sieno stati tolti allora ai comuni gli agri giurisdizionali e tributari, e dati in amministrazione al Marchese, il quale concesse ad alcuni la carta di comue. Forse a questo tempo va odločata la creazione di vari comuni istriani senza esonerarli dalla condizione di comuni baronali o soggetti, dei quali anche in precedenza se ne ebbero, siccome Montona p. e. che passo nei Vescovi di Parenzo e nei Conti d' I-stria; Muggia che rimase lungo tempo baronale, meta> dei Vescovi di Trieste, meta di altra famiglia nobile. Di Isola non viene fatta menzione, ma questo come altri comuni sorse poco dopo il IX secolo, e se non andiamo errati appena nella seconda meta del secolo XII sorse Isola quale comune, staccatasi da Capodistria, sul territorio della quale corse. Dell'antico Agro Parentino. Parenzo fu 1' unica citta che presa in grazia dai Romani alla seconda conquista della Provincia nel 625, ebbe diritto di Municipio, governo cioe di se medesima con leggi non imposte, ne imitate dai Romani, ma o con-servate delle antiche, o dettate a piacimento. Nell'anno 718 di ft, 36 a. G. C. dopo vinta la battaglia di Azio, Augusto vi condusse una colonia di soldati marini; la quale colonia fufondata togliendo agli antichi abitanti un quarto del loro agro e della loro citta; formando cosi due comuni distinti, la colonia ed il municipio; dei maggiori e dei minori, dei vecchi e dei nuovi, ed avendo come seinbra separato consiglio e separate magistrature, nella medesima citta e nel medesimo agro, che andava percio diviso in colonico ed in municipale. Ouest' agro complessivo, colonico cioe e municipale non era di grande estensione sul mare; s' estendeva dni porto di Cervera fino presso a Castellione nel Comune di Orsera, ed abbracciava Parenzo, Villanova, Var-vari, Sbandati, Monsalice, Monghebbo, Dracevaz, Fosco-lino, Fontane, in una superficie di 17,000 jugeri austriaci, o circa 35,000 romani: 1'odierno comune, o come lo dicono capo-comune di Parenzo, meno Torre, Abrega e Fratta. L'agro colonico sembra essere stato la terza parte del complessivo territorio comunale, e correva lungo tutta la spiaggia di mare in forma di zona larga un miglio abbondanle, dalla superficie di 12,500 jugeri romani, dei quali una meta terra a coltivazione artifiziale. Dalla quale misura si avrebbe ragione perche Parenzo sebbene colonia fosse inferiore a Trieste ed a Pola, e si tenesse in conto di piccola la citta, di oppidum, perche fatta colonia non a tempi della Repubblica, ma a tempi deli' impero, non gia per dilatare P impero e le instituzioni romane, ma per sbarazzarsi da soldati avanzati alle guerre civili, ma tenuta in minor conto perche P agro colonico era appena la meta di quello che ebbe Trieste. Ma se Parenzo non ebbe importanza, come dicono politica, altra ne ebbe per le giurisdizioni estese sui comuni vicini, dopo unita 1' Istria ali' Italia a tempi di Augusto. Fra le quali giurisdizioni noi prima delle altre segneremo S. Lorenzo (non sappiamo qual nome avesse in antico), comune che fu staccato da quello di Parenzo, come crediaino nel IX secolo, per cui gelosie e rivalita di vicinato. Ci fu detto (non sappiamo su quale autorita) che 1' ingresso nella curia parentina fosse vincolato a precedente aggregazione al comune di Parenzo: se cio realmente fu in antico, sarebbe indizio di nobile sogge-zione