ANNO VI—N. 18. • Sabbato 3 Maggio 1851. Esce una volta per settimana il SabbatO. — Prezzo anticipato d'abbonamento annui fiorini 5. Semestre in proporzione.— li'abbonamento non va pagato adaltriche alla Redazione. DEI POPOLI. CHE ABITARONO I/ ISTRIA. La terra che porta il nome di Istria fu per consenso degli antichi scrittori, di quelli del medio tempo, per consenso dei popoli tanto della provincia che del di fuori, per consenso della chiesa che è di grandissima autorità, quel tratto di regione che dal Timavo si estende al fiumicello Arsa fra Castelnovo d' Arsa ed Albona, fu tra il mare ed i monti della Vena i quali dai dintorni di Duino corrono alla sommità del Monte Caldaro o Maggiore. Questo consenso non aveva però a base la fisica configurazione in tutto il suo rigore secondo i versanti delle acque, ma vi si accoppiarono la specie di popolo che abitava la spiaggia, o quelle confinazioni politiche che solitamente si adottarono dai popoli antichi, il carso cioè di fiume, o fiumiciattolo, per cui le povere acque del Varo, del Rubicone, dol Formione, dell'Arsa ebbero celebrità in nullo modo secondata da fisiche condizioni. Questi elementi nell'Istria ebbero tanto maggiore perpetuità nelle menti degli uomini quantochè per poco si scostavano dalle confinazioni naturali; e quando le menti si indirizzarono allo studio della geografìa fisica, non altro dovettero comprendere nell' Istria, cho l'agro Albo-nese, che i cosmografi, seguendo altre condizioni, credettero escludere. Queste condizioni che erano propriamente etniche, e che per ciò appunto divennero nell' antichità fondamento delle amministrazioni politiche, non pugnavano alle condizioni marittime le quali sembrauo avjre guidato le antiche popolazioni nella scelta di loro stanza; e difatti 1' agro Albonese è posto siffattamente sul Quarnero, prospelta quelle isole e quelle spia gie al di là, che è naturalmente tratto a prendere parte nel movimento marittimo di quel seno liburnico, anziché al movimento marittimo nell'Adriatico, od a quello di terra; quell'agro Albonese è siffattamente collocato sulle acque del Quarnero, che naturalmente invita quei Litorani ed isolani a farvi capo ed a prendervi stanza; per cui non è meraviglia se Albona, anzi che nell'Istria, fu calcolata nella Liburnia, in quelli provincia che fu veramente arcipelago, tutto composto di isole fra il Monte Maggiore e Zara, con breve tratto di terra ferma alle due estremità; le pendici del Monte Maggiore da un lato, l'agro Ja-dertino dall'altro, agro che al pari dell'Albonese può quasi dirsi isola, perchè circoscritto da mare e dai fiumi Tedanio e Tizio. Fu incerto se la costa oggidì croatica fosse veramente Liburnica, o se non piuttosto la Giapi-dia si spingesse fi,io al mare; noi propendiamo a crederla liburnica. L'Istria provincia dei tempi anteriori ad Augusto, per poco differiva dall'Istria fisica; ma le condizioni di governo fecero si che altre regioni contermini staccate da altre provincie per riguardi di militare sicurezza, si sottoponessero alle autorità che sull'Istria esercitavano impero, e che quindi il tratto che rimaneva al di quà della grande muraglia la qual dal Monte Rè o Nanos correva a Fiume, venisse tolto agli irrequieti Giapidi, ai Celti, ed anche ai Liburni, in quella parte che stà tra Fianona e l'odierno Tersatto; che altrimenti non sapressimo comprendere come Plinio esattissimo geografo, e dotto per proprio intuito, mentre segna esattamente i confini dell' Italia politica dei suoi tempi fra il Varo e l'Arsa, mentre sì esattamente descrive le provincie fuori Italia contermini a questa regione; nell'enumerare le genti che popolavano quell' Italia politica, nell' enumerarli secondo che si trovano collocati, cominciando dal Varo, detti i Veneti, registra i Carni, i Giapidi, gì'Istri ed i Liburni (Lib. III, cap. 6). Non poteva Plinio intendere della Provincia Liburnia, nè della Provincia Giapidia cho a' tempi di Plinio, e come crediamo da Vespasiano furono unite in una sola provincia amministrativa, ma Plinio intese, per quanto crediamo di genti C^rniche, Liburniche, Giapidiche, di singoli comuni di razze siffatte che rimasero incorporate nell'Italia politica. La grande muraglia destinata ad impedire che i popoli al di là, avversi al nome romano, sorprendessero le ultime parti d'Italia, fu certamente confine di stato come era baluardo militare ed è a credersi che quanta terra slava al di quà, e quanti uomini 1' abitavano di qualunque razza si fossero, obbedissero all' impero romano. Di una di queste tribù sappiamo che venne da Augusto nella regolazione del governo d'Italia, assoggettata ai comune di Trieste, poi da Antonino il pio ammessa alla ciltadinanza romana ed alla partecipazione della Curia, ciò che avvenne anche di altre tribù. Li quali assoggettamenti fecero sì che si comprendessero nella Provincia in cui stava Trieste, per cui l'Istria (amministrativa) ebbe estensione fino alle alture fra Adelsberg e Planina da un lato, fino a Mune e Klana dal lato di Levante includendo quelle regioni che poi si dissero la Karsia e la Piulta. E queste confinazioni furono conservate dalla chiesa torgestina fino al 1830, la quale fondata a tempi dei romano impero, a— dottò come dappertutto li rpartiraenti politici, confini al- terali poi per conformarli coi confini delle provincie moderne. Noi, che abbiamo preso solitamente a base del li studi nostri l'Istria fisica, scriviamo per l'argomento propostoci sulla base dell' Istria politica a'tempi romani, perchè ciò è necessità per l'epoca romana; e quanto ai tempi posteriori, non sarà opera perduta di parlare di regioni che sono si prossime, e cha sono in fitta nebbia di storia e di geografia. Ben ci duole, prendendo a punto di partenza 1' I-stria romana di non poter ancora pirlare distesamente sulla grande muraglia che da Hruschiza sul Nanos correva a Fiume; perchè quelle indicazioni che abbiamo, dovuto alla gentilezza del Sig. Giov. Kobler di Fiume, per la parte più prossima a questa città, e le indicazioni che dobbiamo alla gentilezza del Sig. Freyer di Lubiana, per 1' altro capo della muraglia che sta sul Nanos, non le abbiamo egualmente sulla linea che. congiunge questi estremi, sebbene ne conosciamo tutto l'andamento e la posizione. È lunga cinquantacinque miglia romane circa, che sarebbero 44 italiane, ed undici leghe tedesche, grossa pressoché sei piedi viennesi, munita di torri, di castelli, di porte, e conserva ancora il nome di Muro dei Pagani, e chiude interamente il varco che è il più ampio e facile per scendere in Italia, e questo è il limite oltre il quale in questo articolo non si stendono le nostre osservazioni. Lo confinazioni romane spiegano, a nostro pensamento perchè nel secolo XV e XVI i Corografi nostri provinciali comprendessero nell' Istria, Fiume, Prem, Schwarzenek ed altri luoghi fuori dell' Istria fisica, e vi escludessero Albona, che è &u terra istriana. Ora venendo all' argomento diremo che la spiaggia istriana dal Timavo fino all'Arsa, fosse al tempo della conquista dell'Istria fatta dai Romani, tenuta da una tribù tracica, venutavi dalla foce del Danubio, o propriamente dalla penisola istriana che vi era ed è tuttora, però oggidì con altro nome cioè di Dobrudscha, fra le foci del Danubio e le estreme pendici dell' Emo, o del Balkan. Questa tribù che era di stirpe grecanica, avrebbe lasciate le antiche sedi a'tempi di Dario Istajpe intorno il 508 avanti l'èra comune ed avrebbe seguito il corso del Danubio della Sava, della Lubiana, rimontandoli, avrebbe passato le alpi, o trasportativi i navigli coll'ajuto degli indigeni, navigli certamente non grandi se poterono rimontare il Savo nelle strette fra Lubiana e Steinbruck; sarebbero scesi non lungi da Trieste, ed avrebbero preso stanza su tutta la costa, cominciando dal Timavo, ove lungamente durò tempio in onore di Diomede tracico. Noi pensiamo però che questa transazione di Traci dal Mar Nero all'Adriatico non fosse una fuga, ma che sii tutta la linea acquatile vi fossero stabilimenti loro, tra i quali 1'ultima fluviatile più prossimo a Trieste fosse l'Aemona Saviana, 1' odierna Lubiana; ma il dire di ciò, ci porterebbe troppo lontano. Diremo invece che i Traci , non occuparono tutta intera la costa istriana, se i nomi ci possono essere di' scorta sicura, ma che alcuni comuni rimanessero agi' indigeni, cioè ai; vecchi abitanti. . . ..' ». Tennero il Timavo, ove ebbero il tempio di Diomede, tennero Trieste, Egida ed il Formione, Alieto od Isola, Pyrrhanon che stava sul Mogorone, o Monte della fatica, il fiume Argaon od il biancheggiante, Salvore e Sipar, Emona o Cittanova, il fiume Negone, Parenzo, il Leme, l'isola Cissa, Pola ed i Brioni, Nesazio, e terminavano all' Arsa. Non erano dei Traci ma degli indigeni Muggia, Umago, Orsera, Rovigno, luoghi forse ove ricoverarono gl'indigeni cacciati dalle amiche sedi delle città prossime. Pola era loro precipuo stabilimento ; presso a Pola terminava il regno e la. vita il loro ultimo regolo o condottiero, insieme ai maggiorenti. Questa tribù di. Traci dicevasi veramente d'Istriani-, e dura la fama nel popolo che fossero greci di lingua. Però infimi fra i greci, perchè alle piraterie cui furono facili, ed all'ardito navigare non fecero subentrare lo arti gentili, almeno niun testimonio pervenne ai posteri che attestasse la civiltà loro, non metalli lavorati, o coniati, non opere di muro, non leggende, non monete, non stoviglie; solo la fama durò di toro, ed i nomi dei luoghi. Erano distribuiti in cinque gruppi o comuni, Pola il maggiore per estensione in triangolo sui due mari, Trieste e Capodistria di secondo ordine, Parenzo e Cittanova minori; l'isola di Cissa, appendice del gruppo Polense isola poi sprofondata nel maro, però ancor ravvisabile. GÌ' indigeni, ossia i vecchi abitanti trovati già accasati dai Traci, erano celti, o gaeli, tribù dei Carni. Un passo di Livio ove parla di Galli condotti dal regolo Carmelo, che non bene fidi erano a campo cogli istriani traci, alla prima spedizione militare dei rom mi, sembra doversi intendere di Galli istriani, dacché Carni dicevansi gli abitanti d'intorno Aquileja né questi erano ostili ai romani, e tra i Carni e gl'Istriani in ligeni stavano tribù Giapid che coma vedremo. Celti o Gaeli si manifestano nei nomi frequentissimi di monti, di luoghi, di acque si manifestano celti nei numi propri degl' in lividui, nel modo d'indicare ia paternità; e la leggende che di loro avanzano sono dei primi secoli dell'èra nostra, ma attestano anzi la durata dai celti, che assai più tardi, molti secoli più tardi spariscono dalla memoria degli uomini. Questi celti, tenevano tutto T interno della penisola, ed i luoghi di mare cha abbiamo indicato più sopra; di loro oltre i nomi non avanzano monumenti cha sieno proprii di loro, nemmeno tomba coniche, tanto frequenti fra i Carni; ciò che di loro rimane é dei lampi romani, e sente dell'arte e della civiltà romana. i -L'agro Albonese fu digli antichi autori detto Li-burnico, e Liburnj si appalesano gli abitanti dai nomi cha usano nelle inscrizioni dei tempi romani venute fino a noi. '....'■'••• ' ^ v; Corre voce ripetuta da qualche autore di tempi non celebrati per molta critica, cho la penisola la' quale ha oggidì il nomo d'Istria avesse in pria nome di Giapidia. Noi senza voler negare di fronte questa diceria, perchè grandemente rispettiamo le tradizioni, ci sembra, che la asserzione valga soltanto per quel tratto di paese che è fuori dell'Istria fisica e che dicevano poi Karsia, o con noma odierno il distretto di Castelnovo. Strabone, tanto diligente nella sue descrizioni e che vide coi propri occhi l'impero romano eh & descrive, Strabone assicura che i Giapidi fossero iun misto "di Celti e di Illirì, Dei Giapidi è noto come avessero più volte molestata la colonia di Trieste, nò di altre città dell' Istria si asserisce altrettanto, lo tehe se fosse avvenuto, lo si avrebbe notato da quelli che ne .scrissero memoria per Trieste. Stavano quindi vicini a Trieste, e questa città era non solo la p ù prossima a loro, ma sulla via naturale per improvvisa scorreria; notiamo che repentine scorrerie fecero contro Trieste, non spedizioni militari predisposte, quindi scorrerie non dell' intero -popolo Giapidico, ma di quella frazione che vi era più prossima. ' Nel 128 l'Istria si-ribellò ai romani ad istigazione dei Giapidi, dal ohe. ne segue che istriani non erano Giapidi, ma prossimi e confinanti. Quest' Istri ribellatisi non dovrebbero essere stati i Traci, perchè nella guerra sostenuta solo cinquanta anni prima, in una prima battaglia 8000 furono i morti istriani, 4000 in altra dell' anno successivo, altri 5600 vennero fatti schiavi, avendosi così registrate 17600 persone che furono perdute dai Traci. Alle quali se anche non volessersi aggiungere i promotori della ribellione passati per le armi, devonsi calcolare i prigioni, i mutilati, quelli ben più che nelle guerre vanno dispersi e perduti, poi quelli che resistettero nelle fortezze di Mutila, di Faveria e di Nesazio, nella quale ultima il meglio dei maggiorenti, il residuo dell'armata prevenne colla morte volontaria, la morte ignominiosa. Così che non sembra esagerato il porlare la cifra dei mancati a 30000, però di uomini atti alle armi, dal che volendosi porlare ad alta cifra la popolazione dei Traci; secondo il loro territorio che non fu ampio, volendola anche portare ai 120,000 abitanti che è molto, la perdita fu tale da non poter in 50 anni rimettersi ed alzare la fronte, avendo in casa il nemico. È quindi verosimile che il grosso degl' Istriani che si ribellarono nel 128 fossero i celti, i quali affini dei Giapidi e risparmiati nelle guerre precedenti ben più facile orecchio prestare potevano alli incitamenti. Virgilio nato nella Venezia (la provincia romana) disse Giapidico il Timavo, ciò che non può intendersi della breve foce confine d'Istria, ma delle origini e del lungo tratto che corre all' aperto per meglio che venti miglia romane (nemmeno un miglio è il canale alla foce) nascendo e correndo per terra Giapidica, con beli' effetto poteva dirlo Giapidico, appunto quando usciva fra terra di altri popoli, con beli' effetto, mentre lo sgorgare improvviso di quel fiume da rupi, presentandosi maravi-glioso agli occhi corporei, veniva fatto ancor più mara-viglioso col dirlo Giapidico, a quel volgo, comunque fosse vestito, che le origini dei fiumi teneva in conto di misteriose. Propendo a credere che tutto quel tratto di paese che da Rodig corre a Lippa, che dal filone del Timavo superiore s'estende ai monti della Vena fosse abitato da Giapidi, fosse il territorio loro più avanzato verso Aquileja ; propendo a credere che le sorprese fatte a Trieste dai Giapidi venissero fatte da questi abitanti, che erano staccati per la grande muraglia dai loro fra-telli di là dell' Albio. Questi Giapidi per improvviso avanzarsi separarono i Celti istriani dai Celti della Valle Piuka, dei quali siamo a fare parola insieme ad altre popolazioni alpine registrate da Plinio. Plinio nel passare in rassegna i popoli alpini in queste regioni montane che egli indica fra Pola e Trieste, dice di voler accennare i più illustri e quattro ne registra in ordine topico non alfabetico, Secusses, Subocrini, Catali, Monocaleni, poi seguecoi Carni, poi cogli altri. I Secusses noi li collochiamo precisamente nell'antico Vescovato di Pedena, e la presenza di Vescovato che rimonta al VI Secolo di nostra èra, il rango di città che ebbe Pedena, ci persuade a crederli ivi collocati. Dal nome noi li diressimo Celti; altre tribù di tali popoli ebbero nome simile, non fossero altro i SEGVSIANI. ^ La voce di Subocrini sembra a noi traduzione di quella voce celtica con cui si esprimeva la posizione della popolazione sotto la Vena. Ora, dicevano per fede di Strabone la parte più bassa di queste nostre alpi, e-sprimevano il Carso. Noi collochiamo questi Subocrini nell'agro Pinguentìno, intorno Rozzo, Castello ove belle memorie si rinvennero di genti celtiche, e che ebbe chiesa di rancho, chiesa capitolare con ampia giurisdizione; Rozzo, che significa luogo a Levante, segnerebbe il comune più orientale dei celti istriani e lo è diffatti, secondo le nostre credenze, dacché tocca Comuni Libur-nicho, e Comuni Giapidiche. É del Sig. Carlo de Franceschi il sospetto che questa voce di Subocrini sia conservata in quella odierna di Savrini che si dà agli abitanti slavi nel distretto di Capodistria che stanno 6otto la Vena, troppo stirata é diffatti il volerli così chiamati perchè venuti dalla Sava; noi applaudiamo all'opinione del Sig. C. de Franceschi. Di due altre tribù dobbiamo tenere parola prima di venire ai Catali, dei Giapidi che abitavano la Karsia, dei Liburni che abitavano le spiaggie orientali del Monte Maggiore. Plinio non nomina nè quelli, né questi; che preterisse > Giapidi è naturale, perchè stati ostili al nome romano, e diffamati per le imprese di devastazione, devono essere stati invisi ai Romani. I Liburni avrebbero formato il comune di LAVRIANA, il di cui nome si conserva in Lovrana, e questo comune noi crediamo che venisse tolto ai Liburni per incorporarlo all'Italia, così che Albona e Fianona formavano isola di territorio contermine all'Istria. Ci persuade a ciò la muraglia che si estende fino al mare includendo 1' agro Castuano e Lau-ranese. Confessiamo che le ragioni addotte altravolta in questo foglio dal Sig. Giovanni Kobler per vendicare a Fiume l'antica Tarsatica ci parvero di grande peso, sicché per quell' angolo che forma il Comune proprio di Fiume siamo in grandissima incertezza, non chiarita nè tolta dalle condizioni ecclesiastiche. Corre tradizione che la giurisdizione antica del Vescovo di Pedena abbracciasse in tempi assai remoti le pendici orientali del Monte Maggiore e Fiume, che poi furono dal Vescovato di Pola fino ai tempi di Giuseppe II. Sequell'agro che noi intitoliamo Lauranese fosse stato politicamente Liburnico, Lauriana sarebbe stata fuori del confine dell'Arcidiocesi Aquilejese, sarebbe stata dell'Arcidiocesi Salonitana, sarebbe stata della prossima diocesi Croata; all' inveco fu della diocesi di Pola, così Albona non avrebbe dovuto sottostare al Patriarca A-qUilejese bensì all'Arcivescovo di Salona; non al Vescovo di Pola, ma non avendo proprio vescovo, soggetto per abbinazione si Vescovo di Ossero. Ma risultando il contrario o dovrebbe ascriversi l'incertezza alla nebbia nella quale è involta la Storia ecclesiastica di Ossero dei primi otto o nove secoli, o ritenendo genuino il diploma di Carlo Magno dell'801, al che propendiamo ritenere staccate dalla Liburnia e Tarsatica ed Albona da Carlo-magno ed unite all'Istria. Ma contro di ciò sta che Albona nell' 804 si vede prendere parte al parlamento istriano, non così Tarsatica. E da attendersi dal tempo che queste incertezze sieno chiarite. Or veniamo ai Calali. Questo nome suona in greco chiari, illustri, ma non erano greci i Calali, quantunque portassero nome che aveva significato greco e del quale certamente si gloriarono; erano Carni, secondo che ne attesta insigne lapida del Museo triestino. La regione che tenevano no'n è incerta, essi abitavano la valle della Piuka fra Klana, Adelsberg ed il Timavo superiore, al di sotto della grande muraglia. Il monte che forma 1' estremo confine dell'agro loro alle sorgenti del Timavo, conserva ancora il nome di Monte Catalano ; altro villaggio al confine verso il Timavo dicesi Cai ; il luogo principale della Piuka che ha la chiesa sotto l'invocazione delle B. V. Assunta in cielo, e che già era dell'Arcidiaconato di Trieste, ha il nome di Slavina, nome che trovasi .ripetuto in altro luogo, e Slavina esprime precisamente in islavo ciò che Catalos direbbe in greco, prova che gli Slavi tradussero anche qui nella loro lingua quei nomi propri che avevano significato compreso. V'ha di più, un monte che forma confine dell' agro dei Calali e che al pari del Monte Catalano è altissimo, ha nome di Wremschiza, e questa voce esprimerebbe in celtico ciò che esprime in islavo slavina, in greco Calalo. L'ultima tribù menzionata da Plinio è quella dei Monocaleni, voce pur questa greca ma non pensiamo che fossero greci, ma al pari dei Calali denominati con voce greca dai Traci prossimi. L'agro di questi non è difficile a rinvenirsi; quel fortalizio all' estremo confine dell'antico agro di Trieste, e che rimase confine dell'agro colonico, fu detto Moncolano, ed è quel luogo che con strana storpiatura di lettere li slavi dicono Conto-vel. Questo Castello prendeva il nome dall'agro ivi contermine, e contro il quale stava a guardia di Trieste ; 1' agro era quello che si direbbe oggidì il Carso di Duino e di Comen che già apparteneva alla chiesa di Trieste, passato poi all'Aquilejese oggidì della chiesa Goriziana. I nomi che su questo tratto si riscontrano sono i più celti ; se gli abitanti antichi fossero stati di lingua greca avrebbero appartenuto agl'istriani; Plinio non ne a-vrebbe fatta menzione separata e distinta. Così stavano le popolazioni all'epoca della conquista fattane dai romani. Ben sappiamo che altri, ed autori dinnanzi cui dobbiamo chinare la fronte, accennarono a popolazioni etrusche e pelasgiche ; sennonché sconosciuto a noi quel campo non vi porremo piede, e crediamo riferibili quelle indicazioni ad epoche più remote, delle quali rimasero traccio leggere, se rimasero; e quanto ai Pelasgi crediamo bene, che fratelli ai Traci istriani vi fossero contatti. I Romani, vinta che ebbero la provincia,, la presidiarono soltanto, e vi posero non meno di 14000- uomini, confederati latici, ma non cangiarono:; allora il popolo. Ciò avvenne nell' altra guerra del 628, al- chiudersi della quale pensiamo noi che mandassero coloni in Trieste ed in Pola a formare comuni romani dominanti, ai quali fu sottoposto il comune antico, mandassero co- loni in Egida ed in Parenzo a formare Municipi di cittadini romani senza rango di colonia. Queste colonie furono collocato appunto nel territorio che era dei Traci, sicché non è meraviglia se quella tribù tracica lasciasse facilmente la propria lingua per adottare la romana, tanto nobile, tanto gradita per essere mezzo potentissimo a diffondere la civiltà di popolo sì illustre, tanto propizia a fruire le condizioni di romano, che quel popolo vincitore portava ai popoli vinti. I Celti facilmente adottarono la lingua latina, siccome avvenne altrettanto anche nelle maggiori provincie da essi loro abitate, siccome fu della Gal'ia e di buona parte delle Spagne, siccome Io fu delle parti d'Italia ove erano Celti. Così li Istriani tutti divennero di lingua latina, e la conservarono lungamente, intendiamo della lingua volgare di colloquio. L'Italia che in luogo della volgare latina, adottò poi la volgare italica (non intendiamo delle lingue nobili) mostra tuttogiorno nei dialetti parlati, quella geografia che i romani ci lasciarono secondo le varie razze che 1' abitavano; per modo che dall'odierna geografia dei dialetti si può con sicurezza risalire alli antichi scompartimenti d'Italia secondo razze ; per cui con sicurezza di argomentazione è lecito conchiudere che tuttogiorno durino le testimonianze delle antiche popolazioni secondo stirpi, ad onta che né la lingua comune, nè la lingua parziale sia l'antica. E così il dialetto facile, armonioso, pieghevole che parlano gli abitanti della costa, e che si accosta al veneto, proverebbe come Istri e Veneti sieno ambedue di origine grecanica; e come il duro parlare degl' Istriani udito da Dante mentre l'interno dell' Istria era abitato dalla antiche razze, e che esso dice simile al Friulano, risentisse le origini celtiche, della popolazione interna, siccome veramente era altrettanto in Friuli, ed è tuttogiorno in questa. Provinci», come nelle altre dell' Italia superiore ove durano dialetti sì dissonanti o più ancora dal Veneto, come è il friulano, sebbene tutti di lingua italiana. Così a' tempi romani in quella che dissero Istria amministrativa dalla presenza di antiche lingue, nacquero due dialetti diversi, quello delle spiaggie, e quello dell' interno delle tribù carniche, fra le quali comprendiamo anche i; Giapidi che misti erano di celti e di illirì. Non sappiamo cosa dire della lingua dei Liburni; dei Pan-noni' e-dei Dalmati abbiamo persuasione che fossero slavi. -'!''. - « Augusto compiute le guerre civili, ebbe un numero sterminato di soldati che avvezzi ai tumulti, al saccheggio, al sangue sarebbero stati pericolosi, e che pretendevano ricompense ed in Italia, egli li ripartì per le città e gli Agri, e la Venezia e l'Istria ne ebbero buona parte. L'Istria che teneva per la repubblica era stata maltrattata assai dai Cesariani, Pola era stata diroccata. Augusto rifece la colonia di Pola, aumentò quella di Trieste, mandò colonia di marini a Parenzo, formò colonia in Cittanova, mandò colonii; in Pirano, e perfino nelle campagne furono sparsi. Una colonia fu collocata nella valle dell'Arsa da Finale-a Felicia, ossia da Bo-gliuno a Chersano, colonia che presidiava.il passaggio del Monte Maggiore. Altra colonia fu collocata lungo la grande muraglia, ma di questa non sappiamo più che l'asserzione di persona che ci ripete le tradizioni che ivi da- rano ; non sappiamo poi se fosse colonia Auguslea o più antica. Altra ve ne fa nella vallata di Castelnovo, ma questa non fu Augustea, piuttosto sembra che fosse Claudia, nata quando ritornato dalla spedizione britannica diede compensi ai soldati, specialmente ne! Norico e nella Pannonia. Faifsserita una colonia Trajana in Trieste, ma fu equivocò coli* Augustea di Pare nzo. Queste ultime colonie chg 'abbiamo dette, non formavano già corpi politici propri con rango di città nobiliari o quasi. Così durarono le cose lungamente, e quel grande movimento di sangue e di distruzione che avvenne nel 409 deplorato da S. Girolamo, ed in conseguenza del quale nuovi popoli si posero nelle sedi degli antichi, non passò le Alpi Giulie nè l'estremo .confine della Pannonia; la spedizione di Alarico re dei Goti avvenuta nel 400 non portò grave cangiamento nelle cose d' Istria. Attila entrò in Italia per altra parte che non per queste Clau-stra Julia, entrò per la parte di Cividale, distrusse A-quileja, però l'Istria andò esente, nè cangiamenti seguirono durante la dominazione dei Goti e nei primi anni della dominazione bizantina, che anzi il Friuli devastato da Attila, Aquileja da lui atterrata andavano ricomponendosi. La spedizione dei Longobardi condotta da Alboino fu micidiale, ignari come erano dell' arte di governare, sprezzatori degli ordinamenti civili; in ciò ben diversi dai Goti che rispettando le leggi e le istituzioni, tennero e non esclusivamente per sè, le sole cose militari, riconoscendo che il governare è sapienza unita a potere, non potere soltanto. I Longobardi non vennero soli in Italia, tale era l'impeto che i popoli fuggivano dinnanzi a loro, tale la ferocia che struggevano le città e toccò questa mala sorie a Trieste, per la prima volta, che altre distruzioni non sofferse nè da Unni, nè da Goti. Il Friuli fu da loro occupato, e piantatavi colonia di Longobardi, che perfino i cavalli trassero dalle pianure ungheresi ; però con tale effetto che 200 anni più tardi Paolo Warnefried, sceso di loro razza, che tanto picchiava sulla purità del suo sangue da trasmettere ai posteri la sua genealogia; non sapeva la lingua degli avi suoi, e da memorie e pitture traeva il vestito dei suoi Longobardi, La colonia longobardica fondata appositamente nel Friuli, era già friulana duecento anni dopo la sua instituzione, la lingua latina era già divenuta propria dei vincitori, che. deposta la natia ferocia piegavano a civiltà. Delle quali spedizioni in Italia, pare a noi che malamente sieno giudicate, quasi fossero d'innumerevole sciame di popolo; che veniva a cacciar l'altro dalle sue sedi; credenza promossa dalla viltà dei vinti, e dalla boria non tanto del vincitore, quanto di quelli dei tempi posteriori, i quali cercano in quegli eventi, argomento per loro. La spedizione dei Longobardi fu militare, stolto il governo, spossessata fu la nobiltà; la grande massa del popolo assorbì siffattamente il dominatore, che nessuna traccia rimase di lingua straniera; il popolo di Venezia mai venuto in dominio dei Longobardi nè mescolatosi a questo, parla quello stesso dialetto, che parlano i veneti della terra ferma che furono sotto il dominio de'Longobardi ; nemmeno traccia nei dialetti di lingua longobardica; e quelle poche voci che furono usate erano termini sanciti dalla legge o dall'autorità delle nuove instituzioni. I Longobardi venuti non furono più che un corpo d'armata, seguito da donne e fanciulli, come vedemmo anche ai nostri giorni negli stati barbareschi; rotto il potere ogni traccia sparve. '-'.■■) : Ma i Longobardi* additarono la via a'popoli che verso Italia si avanzarono, e che recarono loro quelle medesime molestie, che dessi avevano recato agli Italiani. Coi Longobardi era venuta qualche tribù di Slavi; il Friuli come era stato il baluardo dei Romani, divenne il baluardo dei Longobardi, e guerra continua con fatti deplorabili sostenere dovettero contro le irrazioni di popoli che cercavano veramente nuove stanze. Erano questi li Slavi avanzantisi, che i Longobardi chiamavano anche Avari, ed Unni, e che non muovevano per inimicizia, quindi tutti attaccavano. Nel 604 valicato il Monte Maggiore dell'Istria, uccise le guarnigioni, tale strage fecero del popolo nella Valdarsa, che dura ancora la fama essere stata la valle coperta da cadaveri. Questa spedizione che fu a danno dei Bizantini era dopo breve tempo susseguita da altra contro i Longobardi del Friuli che sofferirono grandi travagli. Noi ascriviamo a questi tempi l'occupazione delia Piuka, della Earsia, dei Monti del Goriziano, del Cividale e della Resi« fatta dalli Slavi; però ci sembra di scorgere nella Car-sia e nella Piuka un convivere di slavi insieme alla popolazione antica, mentre nei monti del Goriziano e del Cividalese una cacciata o distruzione totale del popolo più antico. I Giapidi, i Catali, i Monocaleni dei dintorni di Trieste si trovarono uniti alti Slavi; la Valdarsa era occupata dalli Slavi, ma come pensiamo solo nelle parti montane tanto nel versante dell' Arsa, quanto' in quello del Quieto; tribù queste affini tra loro, però non identiche. Nel 753 una scorreria di Longobardi nell'Istria posta fra il Carso e la Dnigogna disertò questa regione, e prendendo argomento" dal fuggire dei popoli che ricoverarono nelle isole, o passarono il mare per prendere nuova stanza nelle lagune di Venezia, la spedizione fu di ferro e fuoco; e crediamo che allora fosse disertato il paese, e fosse quello ove Carlo Magno o piuttosto il duca Giovanni che per lui governava trasportò Slavi, che sarebbero quelli appunto che oggidì dicono Savrini. La cessazione dei Vescovi di Capodistria, le instituzioni di quella diocesi, diverse da quelle di altre diocesi accenna, a povertà del prelato venuta da mancanza di popolo (.chè' allora il clero era dotato colle decime) e la totale mancanza in quell'agro, di capitoli e di dignità di chiesa, quali di Arciprete, accenna ad un impianto della chiesa sopra altri elementi che non i romani, ad un impianto posteriore all'istituzione generale delle chiese in Istria. E ciò gioverebbe a credere che là dove nell'Alto del parlamento istriano tenuto nell' 804 si parla di slavi pagani, si debba intendere pagani in senso religioso. La chiesa di Trieste non conservò nel Carso e nella Piuka tutte le istituzioni che ragionevolmente avrebbero dovuto esistere secondo la primitiva forma; non vi sono capitoli, nè arcipreture; però nell'agro dei Monocaleni vi era Arcidiaconato, la chiesa dei Catali era dell'Arcidiacono di Trieste ; qualche traccia di antico rimase, per cui non tiriamo induzione che nella Carsia e nella Piuka, durava insieme l'antico ed il nuovo, però l'antico che ri- sentiva la presenza del nuovo, mentre nell'Agro fra il Carso e la Dragogna il nuovo soltanto presentavasi. A" tempi di Carlo Magno medesimo nel!' 820, i Croati occuparono il paese fra l'Arsa e la Cettina, cioè a dire la Giapid.a grande e la Liburnia, e convien credere che frammistisi ai Liburni occupassero non solo l'Agro Al-bonese, ma altresì le pendici orientali del Monte Maggiore. Le più antiche popolazioni non furono cacciate od uccise, nè sull'Agro Albonese nè sulle isole; su quello durarono lungamente le vestigia di altro popolo, su queste durano tuttora di popolo che parlava il volgare romanico. Per quanto è lecito a rilevare dalle condizioni successive, a' tempi di Carlo Magno, l'Istria (secondo la conGnazione amministrativa romana) presentava lo st8to seguente : Le città al mare erano popolate da italiani, Trieste s'era rifatta dalle sue rovine, le altre città, non guaste da scorrerie erano ancora popolose e potenti, a segno che potevasi pagare a Carlo Magno quella stessa imposta che pagavasi agl'imperatori Bizzantini. Le città tutte e Trieste più che le altre, Muggia, Capodistria, Cit-tanova, Parenzo^ Pola erano state abbandonate da parecchie famiglie, che certamente erano ragguardevoli se in Venezia vennero ascritte fra le tribunesche, anche del popolo molti ripararono in Yenezia a formare quella novella città che doveva prendere il posto della cancellata Aquileja; però il popolo rimase ancor numeroso e bastante a tenere vive le città. In Albona medesima non crediamo che fosse estinto il seme latino, anche nella Dalmazia che tutta fu occupata da Slavi, le antiche citià conservarono la lingua italica, e latini vennero detti e si dicono tuttora dai campagnoli. Slavi erano nel tratto fra il Risano e la Dra-gogna, non però toccanti il mare; Slavi sulle alture dell'Istria interna intorno il filone che unisce Lupoglau a Pisino; pretti latini nella Val d' Arsa, intorno Pola, nella Vallata di Castelnovo; latinizzato il rimanente, senza però avere dimenticato il gaelico; slavi uniti a Carni nella regione dei Catalì, e dei Monocaleni. Nei cinque secoli successivi cioè fino al 1300 noi pensiamo che li Slavi si dilatassero e si componessero a civiltà, avevano lingua scritta che usavano nelle carte, avevano lingua nobile che usavano nella liturgia; ancor più tardi e fino al 1500 la usarono nelle , lapidi monumentali e funebri, ma questa civiltà, che poi improvvisamente cessò, per timore di novità religiose, non s' alzò gran fatto e fu sola, di comuni rustiche, le instituzioni delle quali, che in altro numero di questo foglio abbiamo accennato, indicano..il grado cui giunse quel popolo in Istria, il quale mai sii alzò alle, libertà di municipio, nè alle lettere. Carlomagno aveva bensì voluto togliere affatto in Istria il reggimento municipale, sostituendovi il baronale come era lo stile dei tempi, ma sui reclami degli Istriani, lasciò i municipi nelle loro antiche libertà, ma, non restituì loro Io giurisdizióni sui comuni minori rurali che furono dei Vescovi indi dei baroni. La carica, di Marchese della Provincia divenne ben presto baronale, presto si formò la» Contea dell'Istria, e. siccome i Marchesi come i Contii eranoi delle case Carijitianocfegli Ep-penstein, delli ;Sponheim, éi degli Andechs, questi grandi baronii come i minori che da; loro ebbero, investitura fu- rono tedeschi. Le lingue segnavano allora le tre condizioni politiche, il tedesco era del potere baronale, l'italiano dei cittadini liberi, lo slavo dei sudditi baronali. I baroni tedeschi furono pochi e sparvero senza lasciare altro segno che i loro cognomi durati ancor lungamente; in quella lingua non ci fu dato di vedere che la carta di conferma delle libertà dei baroni rilasciata dall'ultimo Conte d'Istria nel secolo XIV, ed un atto di confinazione del secolo XIII; però non tutti i baroni e-rano tedeschi chè i Patriarchi d'Aquileja divenuti nel 1200 Marchesi d'Istria, non diedero importanza a predilezione costante alle nazionalità. E i è naturale che i baroni tedeschi pendessero dal Iato delli Slavi i quali passivi e di niuna levatura erano sudditi più pazienti, che non gl'italiani desiderosi di largo reggimento, gloriosi delle antiche condizioni municipali; per cui è naturale che i baroni si facessero a promuovere lo slavismo. Le municipalità poi che ebbero baronie, non curarono gran fatto di porre li Slavi in m gliori condizioni, e valga l' esempio di Capodistria che dettò per le ville slave sue leggi rigorose, e li tenne in tale dazione che mill' anni dopo la loro immigrazione duravano nello stato di primitiva rozzezza. Dal 1300 al 1630 grandi travagli soffrì 1% provincia per le pesti rinnovatesi ad ogni tratto, e per le guerre di esterminio. Le pesti furono tali e tante che gli agri rimasero deserti da Salvore a Pola, meno travagliato fu il tratto da Trieste a Pirano; Pirano medesimo ne andò esente, per cui ancora oggidì è testimonio vivente delle antiche condizioni istriane, più che qualunque altro luogo dell'Istria. Le dedizioni delle città istriane a Venezia non furono di prospere conseguenze alle città medesime, anzi alle più c ttà riuscirono fatali, perchè Yenezia voleva concentrata nella dominante, ogni naviga-. zione, ogni commercio, e scaddero tutte, meno Pirano, locchè spiega perchè le città tutte si ponessero più volte 1 in ribellione o dovessero domarsi colla forza, e perchè Pirano fosse ed avesse il tìtolo di fedelissima ; perchè Trieste non volesse saperne di Yenezia. Al terminare del secolo XIV, Pola non aveva popolo nelle. 72 sue ville; la città era diroccata, smantellate le mura, morti e fuggiti il più degli abitanti, così Parenzo, così Capodistria, così altri luoghi, disertati due Castelli, l'antica Muggia abbandonata dagli abitanti che preferirono rifarla al mare nel sito dell'odierna. Le pesti penetrarono certamente anche noli' interno della provincia, ma le memorie scritte mancano. Nel secolo XV il Principe Veneto pensà a ripopolare la provinc'a, e dovendo collocare quei. Dalmati che fuggendo il giogo turchesco erano riparati sul territorio Veneto, e dapprima accolti nelle isola dalmatiche, li trasportò nell'Istria da Salvoro a Pola; mar lacchi cioè, ed Epiroti. Si accagionava dell'insalubrità dell'Istria l'aere grave, e si credeva che a resistervi vi volessero razze robuste, sì credeva che gl' italiani non. potessero reggervi. Qualche progetto di colonizzazione fu fatto da speculanti privati, e volevasi ripopolare l'Istria deserta con greci e romagnoli, ma furono tentativi in piccole dimensioni e falliti; il governo trasportò dalmati, però villici soltanto e li logò sulle terre che per l'estinzione degli antichi proprietari erano derelitte e cadute in mani del governo; furono trasportati nella campagna aperta, non nelle città o nelle castella; nessun luogo murato fu popolato di Dalmati ; non furono condotti nuovi abitanti nell'Istria tra Pirano/fe Trieste, tratto che non èsi fieramente travagliato, Ripopolò per proprie forzo. Furono condotte colonie./sfave nella campagna fra Salme ed il Quieto, non in Boje che durò immune, nell'Agro Mon-tonese e Parffntitìo, nel Rovignese, nel Dignanese, nella Polesana, é ne abbiamo in altro numero indicate le epoche precise. Non potemmo venire a notizia di coloni dalmati passati sul Carso di Pinguente, ma dobbiamo per molti indizi congetturare che vi fossero condotti. Dopo la peste del 1631 che fu l'ultima, le città fra SalVoro e Pola furono pressoché annientate, Pola contava a pena 300 abitanti; 30 Cittanova, 30 Parrnzo; ma il governo non prese cura a ripopolarle nè vi mandò coloni veneti, come da qualcuno fu detto; che anzi dopo il 1630 Venezia doveva pensare a rimettere la popolazione propria, e vi provvide. Famiglie greche ricoverarono in Pola ed in Parcnzo dopo la caduta di Candia, ma erano per lo più, veneti od italiani passati a quelle parti e che rientravano nell'antica patria; per di più erano si pochi come pochi furono gli alni coloni tratti da Grecia che presto si fusero negli abitanti, divenuti italiani i cittadini, slavi i campagnuoli. Cosi la Carnia, co:ì Grado fornì abitanti all'Istria, ma erano singoli individui venuti alla spicciolata, per propria speculazione, il governo si tenne a ciò dol tutto straniero. Noi non potammo trovare indizio. che il Principe Veneto volesse fare veneta l'Istria, intendiamo pel popolo; quel Principe dominava la Dalmazia e la Grecia, e Inv iò a quei popoli la lingua loro, e la usò negli atti del governo; quel Principe lasciava che i Stttecomuni, e quei tre della Carnia che erano tedeschi usassero la lingua loro, e la faceva insegnare al clero nel Seminai io di Padova; quel Principe non fe'un sol passo per italianizzare li Slavi del Cividalese, o dell'Istria; anzi nell'Istria trasportò Dalmati, e considerò l'Istria come provincia di mare, e la reclutava pei reggimenti militari srhiavoni. Però non ci capitò mai sotto occhio atto di governo per l'Istria che fos^e in islavo, siccome uso talvolta per la Dalmazia, e più spesso pel Levante. Nel secolo XV avvenne intorno a Trieste trasmigrazione di Slavi, mandriani, che poi scesero anche nel-1' agro proprio di Trieste. Della quale città si ha memoria che un Vescovo, e fu certamente Rudolfo Pedraz-zani, trasportasse una colonia di Cremonesi e propriamente dal Castello di Soncino, nella villa di Servola, che era del Vescovato, e ciò intorno il 1300; mai quei Cremonesi divennero slavi, e non lo sono tuttora. Cosa divenisse del Carso e della Piuka lo ignoriamo onninamente. Nel 1617 chiudevasi la guerra durata lungamente fra Austria e Venezia, nella quale gli Uscocchi fecero comparsa; gli Uscocchi furono allontanati dalle spiaggie del mare, e trasportati a fui mare confine militare si limiti fra Carnio e Croazia, e fu in tale occasione che Austria trasportò colonie croate lungo tutto il confine suo coi veneti, formando una zona di nuovi abitanti cho da S. Ivanaz correva per Gemino, Corridico, Antignana; Vermo si congiungeva a Marenfels e Lupuglau, primitiva stanza degli Slavi nell'Islria, zona non larga, e che tuttora è riconoscibile. Il trasporto di Slavi si chiude coli' anno 1650 nel quale Montenegrini da CemiZza tennero a Peroi nella Polesana. ' 1 In quest' epoca la posizione delle popolazioni secondo lingue era tale. - L' agro dei Calali Crédiamo .fosse interamente slavizzato; slavizzato pure quello dei Monocaleni nel quale i divenuti slavi conservano nelle forme, e negli usi le testimonianze di altra razza. Nel territorio di Trieste in Opchiena rimanevano le traccie della lingua volgare Ialina, della rumena, rimanevano traccie di questa lingua sul Carso di Pinguente, nella Valdarsa, ed in altri tratti di paese che non potressimo ancora precisare. Trieste, Muggia, Capodistria, Isola, Pirano, conservavano l'antico dialetto, il quale sebbene simile al veneziano, diversificava però in parecchie voci, e pronuncie da riconoscerlo proprio dialetto; Trieste e Muggia che in ciò erano in parità di condizione diversificavano ancor più; pro\a questa che respinge le origini da Venezia; Pirano, rimasto immune da ogni commistione col di fuori, prova quanto queste commistioni non giungessero ad alterare le cose proprie. Orsera, Rovigno, Valle, Dignano, Galesano, Pola, Sissano formavano altro gruppo di dialetto italico che vedut i scritto, attesta le comuni origini e la provenienza dal romanico ; simile dialetto aveva nel secolo XV Cittanova; e questi dialetti provano quanto fallace sia la volgare credenza, di commistione di razze diverse che si vogliono venute in uno di questi luoghi; credenza che accenna piuttosto a singoli individui, ma che non prese a calcolo come questi facilmente e prontamente si fondino nella massa maggiore. Le castella ed i luoghi murali dell'interno paese, Momiano, Grisignana, Piemonte, Montona, Pinguente, Rozzo, Pisino, Gemino, S. Lorenzo, Momorano, le stesse ville maggiori conservavano l'italiano, e famiglie i di cui nomi gentilizi attestavano l'origine; i baroni tedeschi od avevano venduto i loro possessi o dell' antica origina non conservavano che i cognomi. Slave erano le pendici orientali del Monte.mag-giore, però in Fiume conservavasi l'italiano, e nomi famigliari illustri, così in Fianona, così in Albona. In mezzo alle popolazioni slave dell'interno durava la lingua rumena, ed indicavansi quelli che la parlavano col nome di Ciceroni, di Ciciliani, di Cici per la pronuncia sonora della Ci, e per la loquacità loro. La lingua slava dila-tavasi nell'Istria austriaca, e per l'indole del popolo slavo tenace del proprio dialetto, e per le influenze politiche, chè la Contea d'Istria erasi fatta appendice del Carnio, le stesse famiglie religiose incorporate alla provincia croatico carniolica. Dal 1630 al 1800 non avvennero colonizzazioni nel-l'Istria, ma la popolazione crebbe per propria forza, nemmeno in Trieste che pure ebbe nuovo popolo, seguì colonizzazione a cura del governo, ma i novelli abitanti vennero alla spicciolata e di proprio impulso. Neil' interno dell'Istria la lingua romatiica aveva fatto luogo alla slava ; il romanico usavasi come lingua familiare e delle donne nei villaggi di Gradigne, Letìay, Susgnevizza, Vil-lanova, Tepcnovizza, Bordo, Cepich, vacillava in Chersu- sio e Cosliaco, era sparita dall'agro Albonese; dal Carso di Pinguente; solo Sejane manteneva la lingua, Mune oscillava. La Karsia era. interamente slavizzata, Castel-novo che fu sì lungamente in potere dei Veneziani non altra lingua aveva che la slava, slava era la Piuka, slavo il Carso di" Duino. Delle città, Trieste, Muggia, Capodistria, Isola, Pirano conservavano 1'antico dialetto; in Trieste i novelli abitanti lo adottarono, appunto pel progressivo venire di singole persone ad aumentare il popolo, però in tutte queste città il movimento frequento e'non pria conosciuto portò di effetto che gli idiotismi locali andassero in dessuetu line nelle classi migliori, ma il tipo era l'antico, in Pirano, Isola, Muggia intatto affatto. Umago, Cittanova, Parenzo usavano dialetto più prossimo »1 Veneto, in Parenzo specialmente che ebbe a ricomporsi per la lunga stazione che vi fece flottiglia veneta nel principio del secolo XVIII, la quale diè occasione a trasloco di persone venute da Venezia. Orsera, Rovigno, Valle, Dignano, Galesano conservavano l'antico dialetto che risente molto del romanico, Sissano oscillava, gl'italiani l'abbandonavano per lasciarla alli slavi, Pola lasciato l'antico dialetto propendeva al Veneto. I castelli e le borgate cinte di mura rimanevano italiane, Buje, Grisignano, Momiano, Montona, Pinguente, in altri gli Slavi erano già penetrati e vivevano insieme agli Italiani indigeni usando frequentemente la lingua italiana, come in Barbana, Rozzo, S. Lorenzo, S. Vincenti, in C.infanar, Momorano ; italiana era Visinada, in tutte le ville antiche avanzi degli antichi abitanti, Albona, Fianona duravano nell' uso della lingua italiana; v'erano traccie di Albanesi venuti contemporaneamente ai Mor-lacchi dalle parti di Dalmazia, e che terminarono col-l'interamente slavizzarsi, e pochi zingari vaganti, non più di cento, seppure arrivavano a tale numero. Pure in tanto avvicendare di razze una cosa non può passare inosservata, quel corrispondere cioè delle più antiche confìnazioni di popoli al terreno occupato dalle varie tribù slave in tempi vicini; eccettuata s'intende quella colonizzazione alla spicciolata ed individuale chu fu operata dal principe veneto, e dal principe austriaco dopo il 1400 Imperciocché quel tratto che dalle prossimità di Fianona corre verso Fiume e che s'estende dalle sommità del Monte Maggiore al Mare,'è occupato oggidì da slavi che nella lingua e nei costumi tengono del Croato; 1' agro Albonese ha nella campagna slavi che sembrano identici con quelli delle isole del Quarnero, e che si direbbero i più antichi dei Croati alle spiaggie del mare; nè oltre questi, due* agri s'estendono siffatte tribù. Questi due Agri sono precisamente quelli dell' antica Liturgia. Quel terreno che oggidì é tenuto da quella tribù che dicono Cicci, e che per molti riguardisi distinguono dalli altri slavi, e da quella tribù che dicono i Montanari o Berkini ; questo agro. è precisamente quello che era dei Giapidi e sul quale all'epoca romàna venne condotta colonia di soldati, per cui in antico come oggidì 1' agro era abitato da due razze diverse di popolo. In quella parte che è tenuta dai Cicci (nome d'insulto che __' •"•■'• ' t i -.-i !: ..." . .-. ■ . - Vi I. noi ripetiamo perchè recentemente adotlato, non per altrui causa) duecento anni fà si parlava il romanico, oggidì ristretto alla sola villa di Sejane, che non tarderà a fondersi nel rimanente. Gli abitanti della Piuka e del Carso più prossimo a Trieste si distinguono dagli altri slavi; e l'agro che tengono è quello dei Catali. Più diversi ancora e di vestiti, e di costumi e di forme, sono quelli dell'agro dei Moncalenì. Quolli che diconsi Savrini e che sembrano puri slavi, stanno sull' agro giurisdizionale antico di Capodistria, e sull'agro soggetto di Trieste contermine a quello. Rimangono ancora romanici nella Valdarsa, ove indizi certi f,mno ritenore-che vi fosse colonia, non di rango nobiliare, ma infe* riore, però di romani. Le alture di Marcnfels e le prossime pendici, ove fissaronsi slavi struggendo il popolo più antico sono ancora di pretti slavi, come è altrettanto dei Savrini. Degli altri slavi sparsi per la provincia dei quali è noto che ebbero terreni e stanzo frammisti agli avanzi del popolo precedente conservano nel volgaris-simo italiano che pure parlano, le testimonianze di dialetto latino che in precedenza si parlava. Li quali fenomeni concordi a ciò che altrove ebbe a succedere nei movimenti di popolo ci avvertono che le conquiste o piultosto le invasioni si fecero non di singoli campi ed a caso, ma secondo ,i. territori che si trovavano allora circoscritti ; circoscrizione che risalendo a'tempi remoli, ed avendo durato per secoli si credeva quasi inalterabile, credenza che durò fino al terminare del secolo passato. Così a mo' d'esempio, l'Italia di Augusto nella sua estensione, nelle sue ripartizioni, non è diversa dall'Italia dei Goti, dall'Italia che descriveva il bizantino Prè Guido di Ravenna, che descriveva il Longobardo Paolo Warnefried od il diacono. Così nello squarciarsi dell'impero romano, le Provincie secondo integra configurazione